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Ricordando il pane dei Santi a Salemi

copertina

Salemi, Altare di San Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

di Giovanni Isgrò

Il paesaggio di Salemi, che mi si presentò quando vi ritornai quasi quarant’anni dopo il terremoto, fu davvero emozionante per la bellezza solare che lo rendeva affascinante nel flessuoso ondeggiare della sua superficie ricca di messi. Il colore della natura che si apriva gioiosa alla primavera sembrava ruotare festosamente attorno al cono urbano dominato dalla mole svettante del castello svevo. E quanto più mi accostavo ad ammirare le architetture delle chiese, dei conventi, dei palazzi, mi accorgevo che l’osmosi con il paesaggio circostante era completa.

Devo dire che di fronte a tanta testimonianza d’arte disseminata nel tessuto urbano fra Medioevo e stratificazioni cinque-seicentesche fino al trionfo del barocco, ho avuto il privilegio di poter contare su una sapiente guida, l’allora sindaco, Giuseppe Cascio Favara, il quale mi fece apprezzare al meglio le bellezze della sua città che dimostrava di amare in modo profondo e di conoscere con rara ricchezza di dettagli, come se essa fosse una sua creatura d’arte.

Fu così che in una delle mie visite il dottor Cascio mi portò a vedere la preparazione di quanto sarebbe avvenuto a Salemi per la Festa di San Giuseppe. Mi resi conto, allora, in che cosa consistesse il significato e il valore estetico dei piccoli pani devozionali che venivano collocati nei dispositivi agresti delle “cene” di San Giuseppe, vere e proprie sintesi della cultura di Salemi e del suo territorio: testimonianza alta di arte materiale sostanziata dalla energia della natura. E poiché quella manualità sapienziale un po’ artigiana e un po’ contadina, comunque rivolta al sublime, non poteva essere nata dal nulla, mi misi alla ricerca di una spiegazione “storica”.

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Salemi, Festa di san Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

Mi illuminò allora la presenza del complesso monumentale della chiesa e del collegio dei Gesuiti, vero e proprio spartiacque fra il percorso tardo medievale e quello controriformista. La presenza della Compagnia di Gesù, portatrice di cultura e di arte fra i tanti messaggi salvifici, nonché di teatralità edificante, dovette avere un ruolo determinante nell’avançada del paese anche da parte del ceto contadino. Più che di un fenomeno di discesa dal culto al popolare, dovette trattarsi di un fenomeno di inculturazione, per certi aspetti assimilabile a quello attuato dai Gesuiti nelle riducciones del Paraguay o nelle botteghe artigiane di Palermo dove essi insegnarono l’arte della scenografia urbana destinata alle grandi feste civili e religiose.

E scenografia urbana fu, e continua a essere dopo secoli, quella messa in atto dai nostri contadini-artigiani e dalle donne delle loro famiglie: testimonianza straordinaria di arte dell’intaglio e del décor di cui i Salemitani vanno giustamente orgogliosi. Non a caso la direttrice della sezione europea del Musée de L’Homme di Parigi, Monique de Fontanes, invitata nel marzo 1983 ancora dal nostro sindaco Giuseppe Cascio Favara a constatare di persona tanta testimonianza di cultura materiale, dispose che i pani di Salemi fossero esposti nel suo museo. Né mancarono i riconoscimenti delle istituzioni negli anni Settanta e negli anni Ottanta e la partecipazione ad eventi di proiezione internazionale in cui i pani di Salemi ebbero ruoli di primo piano, non ultima la manifestazione “Memoires des lycées et colléges” a Parigi promossa dai Ministeri della Cultura Italiano e Francese in collaborazione con il Teatro Autonomo di Roma. Fu proprio sull’onda e nel pieno di quella felice stagione della “scoperta” dei pani di Salemi, che insieme a Franco Lombardo, Willy La Farina, Mario Columba, eccellenti appassionati di fotografia del “Laboratorio Immagine”, misi in atto il progetto di una multivision, di cui curai il testo e il coordinamento artistico, con il sostegno e la promozione dell’amministrazione comunale di Salemi. Anche in questo caso non si fecero attendere riconoscimenti prestigiosi, fra i quali la targa d’argento alla “Settimana del film Antropologico” di Gibellina (1983).

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Salemi, Altare di San Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

Di questo documentario per immagini, oggi restaurato e riversato in dvd dopo essere stato proiettato per quasi trent’anni negli spazi espositivi dei pani di San Giuseppe, nonché in numerose fiere nazionali e internazionali del turismo, riporto il testo riguardante tutto l’arco dell’anno solare, come atto di omaggio ad una tradizione unica per estensione calendariale in riferimento alle diverse occasioni devozionali e per qualità fattuale:

 «[...] Il 3 febbraio di ogni anno, da tempo immemorabile, le viuzze del Rabato, una delle più antiche borgate di Salemi, si popolano di uomini, donne e bambini diretti alla chiesa di San Biagio: è la prima festa dei pani, con cui si apre un ciclo di ricorrenze che copre l’intero arco dell’anno. Antico rito pagano di carattere propiziatorio successivamente adattato al culto cristiano, la festa si ricollega alla tradizione del santo protettore della gola ed è caratterizzata da due forme tipiche di pani: li cudduredda, piccoli pani rotondi che rappresentano appunto la gola e ai quali si attribuiscono virtù terapeutiche, e li cavadduzzi, a ricordo della grazia ricevuta nel 1542 in occasione di una memorabile invasione di cavallette.

I preparativi, coordinati da un comitato speciale, hanno inizio una settimana prima della festa del santo e vedono la partecipazione entusiastica di uomini, donne e bambini.

Nel corso degli anni, con i progressivi apporti della fantasia popolare al nucleo primitivo della manifestazione, la produzione dei pani si è arricchita di una notevole varietà di forme: le più diffuse, espressione del rito religioso abituale, sono la mano (la “manina di san Brasi”) e il bastone fiorito a una delle estremità, evidente segno propiziatorio di abbondanza.

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Salemi, Cavadduzzi di san Brasi

Il 3 febbraio, giorno della festa, i pani vengono benedetti dal prete e distribuiti ai fedeli. Con l’avvicinarsi della primavera, che segna l’inizio di un nuovo ciclo stagionale, i pani, simboli propiziatori della bella stagione, tornano nuovamente in primo piano, questa volta nelle borgate e nei quartieri limitrofi.

La prima occasione per inaugurare il calendario delle feste è il 19 marzo, giorno in cui si celebra il più famoso dei riti connessi alla tradizione dei pani: la “cena di san Giuseppe”, banchetto offerto dai devoti a un gruppo di bambini simboleggianti la Sacra Famiglia.

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Salemi, Pani di san Giuseppe

I preparativi della cerimonia, molto più complessa di quella di san Biagio, si protraggono per otto giorni. La prima fase, costituita dalla preparazione dei pani, si svolge nella casa del devoto, ove avranno luogo anche le fasi successive. I pani presentano una considerevole varietà di forme, fra le quali primeggiano i pesci, particolarmente diffusi nella tradizione cristiana a causa dei miracoli direttamente connessi alla storia di Gesù.

Nella scelta dei simboli è tuttavia evidente la sopravvivenza di una tradizione più antica, che si richiama a certi riti agresti d’epoca precristiana e si integra con il simbolismo celeste, rappresentato dalle immagini del sole, della luna e della sfera. La raffigurazione di animali e vegetali, in particolare, non sembra essersi uniformata esclusivamente al rito cristiano, poiché vi si riscontra una netta prevalenza di elementi pagani. Si pensi, ad esempio, al pavone, simbolo della bellezza, o all’aquila, simbolo della potenza, o ancora al cavallo, interpretato essenzialmente come elemento estetico e come animale da lavoro. Fanno invece eccezione la rosa, considerata il fiore della Madonna, il giglio, simbolo della purezza cristiana, e l’agnello, riferimento pasquale.

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Salemi, Altare di San Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

Le forme religiose tradizionali più diffuse sono naturalmente quelle relative agli arnesi da lavoro del santo falegname (tenaglie, martello, chiodi, sega), e altre più varie riproducenti il sacro aratro [...].

Quando la fabbricazione dei pani è quasi ultimata, inizia la preparazione degli altari, lavoro svolto esclusivamente dagli uomini. Il materiale utilizzato per erigere l’armatura del tempietto viene interamente ricoperto di rami di mirto e di alloro, elementi ornamentali ma anche simboli dotati di virtù propiziatorie. In questa fase dei preparativi, il lavoro delle donne e quello degli uomini confluiscono in una straordinaria sintesi. Ultimato l’altare, si provvede infatti a decorarne il rivestimento di mirto e di alloro con arance e limoni frammisti ad alcuni piccoli pani appesi all’armatura con fili di cotone.

Al di là degli evidenti segni di una certa cultura popolare, la decorazione tradisce anche l’influenza di modelli più elaborati. In tal senso, Francesco Venezia rileverebbe l’impronta della cultura rinascimentale, non solo nell’uso di ghirlande adorne di frutta ma anche nella presenza dominante del simbolismo pagano; la Camera della Badessa di Correggio a Parma, gli affreschi di Mantegna e la Rotonda di Vasari agli Uffizi potrebbero costituire un esempio che comprova questo punto di vista.

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Salemi, Altare di San Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

Il numero dei pani esposti sull’altare corrisponde a quello dei “santi” invitati al banchetto. In base alla tradizione, il devoto può infatti invitare, a seconda delle sue possibilità economiche e delle caratteristiche del voto formulato, tre oppure sei bambini, rappresentanti rispettivamente una o due Sacre Famiglie (la seconda essendo quella composta da Maria, sant’Anna e san Gioacchino). Questi personaggi sono chiamati comunemente “i santi” o i virgineddi (i fanciulli).

I giorni immediatamente precedenti la festa sono dedicati all’attività più impegnativa: la preparazione delle vivande. La tradizione vuole che vi siano tre o sei porzioni di ogni piatto, a seconda del numero dei virgineddi, e l’intero banchetto può contare fino a 101 portate. La varietà delle vivande corrisponde a quella delle forme di pane, e costituisce una vera e propria sintesi di quanto offre la stagione, ad esclusione naturalmente della carne, di cui la liturgia ufficiale proibisce il consumo durante la Quaresima.

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Salemi, Pane di San Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

Le donne si affaccendano ai fornelli per due giorni consecutivi, impegnandosi fino all’estremo limite delle loro forze nella preparazione del piatto rituale. Taluni aspetti di queste manifestazioni corrispondono infatti a un adattamento cristiano di certe forme pagane di esibizionismo psicofisico, intese a garantire alla terra fertilità e ricchezza [...].

II 19 marzo, dopo la benedizione dell’altare, i virgineddi si preparano al banchetto. Quella di san Giuseppe non è soltanto la festa del pane, del raccolto, della primavera e dei lavoratori, ma anche la festa della famiglia. Proponendo un’immagine vivente della Sacra Famiglia, i devoti ritualizzano infatti un momento quotidiano fondamentale nelle tradizioni e la cultura popolari: quello della famiglia riunita, garante dell’equilibrio della vita e della continuità del lavoro. Ogni vivanda servita è annunciata dal grido rituale “Viva san Giuseppe”, sottolineato da un colpo di fucile. L’usanza degli spari, o almeno quella di produrre rumori, deriva probabilmente da un antico rito inteso a scongiurare la cattiva sorte.

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Salemi, Pane di san Giuseppe (ph. Proloco Salemi)

I virgineddi dividono il cibo con gli astanti, affinché tutti possano usufruire della grazia di cui essi stessi beneficiano. È questo un gesto di offerta d’ispirazione cristiana, e insieme un rito propiziatorio atto a procurare bene e abbondanza. Si assiste poi a un ininterrotto pellegrinaggio di devoti, venuti a prendere parte al banchetto dei virgineddi. Durante e dopo la cena, uomini e donne sfilano dinanzi ai vari altari cantando le parti di san Giuseppe, monologhi in forma poetica scanditi secondo un preciso ritmo [...].

Prima della lunga pausa estiva, la tradizione di Salemi prosegue con il rito dei pani di sant’Antonio, che si celebra il 13 giugno.

Anche la ricorrenza del 2 novembre è caratterizzata dalla presenza di pani tipici, dalla forma particolare raffigurante le mani dei morti; in passato, essi venivano offerti ai bambini dell’orfanotrofio, ma anche ai poveri e ai mendicanti che in quell’occasione usavano schierarsi lungo la strada che conduce al cimitero. È questo il penultimo appuntamento annuale della straordinaria tradizione di Salemi; il lungo ciclo di ricorrenze si conclude l’11 novembre, giorno di sant’Elisabetta, con la distribuzione di piccoli pani ai fedeli riuniti in chiesa [...]».

11La memoria dei “Pani dei Santi” a Salemi di quegli anni Ottanta, si conclude qui. Oggi a quella visione pionieristica è seguita una dimensione di grande interesse turistico che rende omaggio a tanta tradizione. In particolare nei giorni di San Giuseppe quel territorio è meta di migliaia di visitatori che, come nuovi pastori al presepe, scoprono le meraviglie di una città d’arte e di una sapienza contadino-artigiana rimasta intatta per secoli e sempre più orientata verso prospettive di lunga durata.

La mia certezza è pertanto che il pane dei Santi, per un ciclico ritorno, affermerà sempre il mito di una città bellissima immersa in un paesaggio agreste che lascia nel cuore e nella mente ricordi forti anche a chi ha fatto della ricerca delle realtà culturali territoriali la propria professione.

Dialoghi Mediterranei, n. 42, marzo 2020
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Giovanni Isgrò, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Palermo, è autore e regista di teatralizzazioni urbane. Ha vinto il Premio Nazionale di Saggistica Dannunziana (1994) e il premio Pirandello per la saggistica teatrale (1997). I suoi ambiti di ricerca per i quali ha pubblicato numerosi saggi sono: Storia del Teatro e dello Spettacolo in Sicilia, lo spettacolo Barocco, la cultura materiale del teatro, la Drammatica Sacra in Europa, Il teatro e lo spettacolo in Italia nella prima metà del Novecento, il Teatro Gesuitico in Europa, nel centro e sud America e in Giappone. L’avventura scenica dei gesuiti in Giappone è il titolo dell’ultima sua pubblicazione.

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