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Per un atlante del sacro. La ricerca di Melo Minnella

 

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di Antonino Cusumano 

Non c’è probabilmente nulla meglio della fotografia – forse ancor più del disegno – che possa rappresentare le posture, le dinamiche, le tecniche del corpo. Non c’è probabilmente nulla meglio della preghiera che possa interpretare, incarnare, ‘incorporare’ l’universalità dell’aspirazione dell’uomo al sacro. La preghiera è iscritta nel corpo, muove da un desiderio, una domanda, una riconoscenza, una penitenza, una grazia, una speranza, l’affidamento assoluto e incondizionato ad una potenza che conforta, rassicura e supplisce la finitezza umana. Anche senza parole, la preghiera è sillaba muta che materializza, al livello più intimo e universale nei segni, nei gesti e nelle movenze, l’istanza eminentemente dialogica del nostro rapporto con il dio, con gli dèi, con le presenze di un mondo spirituale, con il mistero della vita e della morte.

Mussomeli, Rosario vespertino, 1963 (ph. Melo Minnella)

Mussomeli, Rosario vespertino, 1963 (ph. Melo Minnella)

Guatemala, Santiago, 2011 (ph. Melo Minnella)

Guatemala, Santiago, 2011 (ph. Melo Minnella)

La preghiera, in quanto ricerca, interrogazione, colloquio, ha un lessico “elementarmente umano”, una sintassi riconoscibile entro codificati schemi tecnici e prossemici. Del linguaggio della religione è forma ed espressione più liberamente affrancata dai dogmi e dalle identità teologiche. Tra i riti del sacro è sicuramente quello più semplice e più diffuso, più popolare e più universale.

Egitto, Il Cairo, Grande Moschea, 1973 (ph. Melo Minnella)

Egitto, Il Cairo, Grande Moschea, 1973 (ph. Melo Minnella)

Vietnam, Tay Ninh, Fedeli del Caodaismo nel tempio di Cao Dai, 1999 (ph. Melo Minnella)

Vietnam, Tay Ninh, Fedeli del Caodaismo nel tempio di Cao Dai, 1999 (ph. Melo Minnella)

Appartiene a tutte le fedi e a tutti i culti, è fatto costitutivo delle culture degli uomini, consustanziale a tutte le diverse mozioni e tradizioni della spiritualità. Se è vero – come afferma Paolo di Tarso – che «la fede è certezza delle cose che si sperano e dimostrazione di quelle che non si vedono», la preghiera è in sé testimonianza di speranza, che accompagna fedelmente la vita dei credenti ma può essere partecipata anche da laici, agnostici e perfino atei. Del resto, distinguere ciò che si definisce sacro e ciò che si fa in nome del sacro è probabilmente ozioso e fazioso.

Thainlandia, Chiang Ray, 2007 (ph. Melo Minnella)

Thailandia, Chiang Ray, 2007 (ph. Melo Minnella)

Sri Lamka, Kelanya, 2012 (ph. Melo Minnella)

Sri Lanka, Kelanya, 2012 (ph. Melo Minnella)

Marocco, Fez, 1989 (ph. Melo Minnella)

Marocco, Fez, 1989 (ph. Melo Minnella)

Vietnam, Tay Ninh, tempio di Cao Dai, 1999 (ph. Melo Minnella

Vietnam, Tay Ninh, tempio di Cao Dai, 1999 (ph. Melo Minnella

Sia invocazione ad un’entità superiore o appello alla propria coscienza, abbandono mistico o silenziosa meditazione, solitario e individuale raccoglimento o collettiva fraterna condivisione, pregare è esperienza totalizzante e polisemica, atto esteriore di una tensione interiore, di un moto sentimentale, di una sollecitazione simbolica. Prostrati o genuflessi, inchinati o ritti in piedi, a mani giunte o alzate, con gli occhi chiusi o volti al cielo, in solitudine o in compagnia, leggendo le sacre scritture, le sure, i libri di orazione, o danzando come fanno i dervisci, gli oranti parlano lingue diverse, praticano religioni diverse, ma sussurrano, supplicano, formulano, invocano o semplicemente atteggiano il loro corpo alla preghiera: così è presso tutti i popoli di tutti continenti.

Birmania, Yangoon, Shwedagon Pagoda, 2006 (ph. Melo Minnella)

Birmania, Yangoon, Shwedagon Pagoda, 2006 (ph. Melo Minnella)

Iran, Yazd, moschea, 1992 (ph. Melo Minnella)

Iran, Yazd, moschea, 1992 (ph. Melo Minnella)

Sfogliando il libro fotografico di Melo Minnella, Un arcobaleno di preghiere (Ernesto di Lorenzo editore, 2021), con un’intensa prefazione del teologo Enzo Bianchi e una nota dell’editore, si assume immediata consapevolezza delle connessioni che intorno al pregare rendono evidenti le invarianze e le analogie nella pluralità dei modi e dei mondi culturali. Dall’India al Messico, dalla Cina al Marocco, dal Vietnam all’Iran, dall’Egitto al Laos, al Nepal, al Guatemala e infine alla Sicilia che sembra essere misura di implicito riferimento e di lieve contrappunto in questo amplissimo atlante di luoghi, soggetti e paesaggi.

Sri Lanka, Kelaniya, 2012 (ph. Melo Minnella)

Sri Lanka, Kelaniya, 2012 (ph. Melo Minnella)

Laos, Vientiane, 2007 (ph. Melo Minnella)

Laos, Vientiane, 2007 (ph. Melo Minnella)

Non diversamente dall’antropologo che ricerca e studia le differenze per risalire alle profonde somiglianze e alle permanenze sottese degli universali culturali, il fotografo che ha viaggiato in ogni angolo del pianeta, con particolare attenzione per i Sud del mondo, descrive una straordinaria mappa delle molteplici varianti del pregare per ricondurle e ricondurci contestualmente all’unità e unicità del genere umano, intrecciando – come insegnava Antonino Buttitta, di cui Melo è stato un caro amico – «i fili delle diversità culturali nell’unico ordito della vita umana, dal momento che l’uomo è umano in quanto parte di un tutto, ma la sua umanità consiste nell’essere un tutto in una parte».

India, Mela di Puskar, Bagno lustrale nel lago sacro, 1989 (ph. Melo Minnella)

India, Mela di Puskar, Bagno lustrale nel lago sacro, 1989 (ph. Melo Minnella)

Egitto, Il Cairo, Rito vudu, 1973 (ph. Melo Minnella)

Egitto, Il Cairo, Rito vudu, 1973 (ph. Melo Minnella)

Tra le 180 fotografie raccolte nel volume in alcune giganteggiano i simulacri, in altre i primi piani dei devoti, in molte sono protagonisti l’acqua lustrale, il fuoco delle candele e il fumo dell’incenso, i fiori e le offerte votive, le innumeri fogge dei costumi colorati, delle decorazioni, delle acconciature e dei rosari di legno, di corda, di osso o di avorio da sgranare. Tutti gli scatti raccontano di un eguale anelito di spiritualità, di un’aura di sacralità, di una comune condizione di sospensione, di dislocazione, di trascendimento, di fiduciosa attesa.

Birmania, Kyaklalone, il Buddha più grande del mondo, 2006 (ph. Melo Minnella)

Birmania, Kyaklalone, il Buddha più grande del mondo, 2006 (ph. Melo Minnella)

Nepal, Boudhnath, il più grande Stupa del Paese, 1977 (ph. Melo Minnella)

Nepal, Boudhnath, il più grande Stupa del Paese, 1977 (ph. Melo Minnella)

Uno spazio e un tempo liminari che prescindono dalle appartenenze etniche e confessionali. Il corpo del fotografo sembra restare sulla soglia di questa realtà “altra”, ne ha rispetto e pudore, in bilico dentro quel magico e stupefatto equilibrio di relazioni ed emozioni creato dalla preghiera. Nella giusta distanza tra l’occhio che vede e la mano che preme il clic sta la qualità della fotografia che vuole mostrare e non dimostrare, testimoniare e non giudicare.  

Birmania, Yangon Shwedagon, Pagoda, 1999 (ph, Melo Minnella)

Birmania, Yangon Shwedagon, Pagoda, 1999 (ph, Melo Minnella)

India, Bombay, Tempio Zoroastriano, 1977 (ph. Melo Minnella)

India, Bombay, Tempio Zoroastriano, 1977 (ph. Melo Minnella)

Melo Minnella, che del paradigma antropologico del viaggiare ha adottato vocazione, passione e strategie, è un antropologo che scrive per fotogrammi, da sempre attento osservatore delle tradizioni e delle contraddizioni delle culture, un siciliano che ha fatto dell’Isola il metaforico viatico nell’apprendistato alla conoscenza del mondo. 

Cina, Shangai, 1991 (ph. Melo Minnella)

Cina, Shangai, 1991 (ph. Melo Minnella)

Indonesia, Bali, 1987 (ph. Melo Minnella)

Indonesia, Bali, 1987 (ph. Melo Minnella)

In questo peregrinare il sacro è dimensione culturale ed esistenziale che ha orientato e permeato il suo sguardo, il suo lungo ricercare tra gli uomini le ragioni e le interrogazioni etiche della vita. Si pensi alla preziosa documentazione raccolta sulle feste, sui riti, sulle diverse e varie forme della religiosità e cerimonialità popolare. Ma si consideri anche l’analitica ricognizione che ha condotto sui luoghi del lavoro contadino, sulla bellezza di certi spazi urbani e delle contrade più appartate, sulla monumentalità delle civiltà antiche.

Sicilia, Paternò, Edicola votiva, 1980 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Paternò, Edicola votiva, 1980 (ph. Melo Minnella)

Birmania, Yangoon Shwedagon, Pagoda, 1999 (ph. Melo Minnella)

Birmania, Yangoon Shwedagon, Pagoda, 1999 (ph. Melo Minnella)

Prima di questo libro sulla preghiera, Melo Minnella ha pubblicato tre volumi, maturati all’interno del medesimo progetto editoriale e dedicati a temi eticamente sensibili, quali l’infanzia (Bambini, l’altra faccia del mondo, 2009), l’acqua (Lo stupore dell’acqua, 2012) e il gioco (A ruota libera, 2014). Si tratta di un generoso e apprezzabile impegno su proposte culturali di interesse civico e pubblico accompagnate da una speciale attenzione alla qualità formale dei libri, ai valori della bellezza e alla cura nella eleganza nella fattura a stampa di queste originali antologie di immagini che trasversalmente colgono alle diverse latitudini i tratti e le comuni identità della vita degli uomini nei contesti geografici e culturali più lontani e diversi. Un continuo e ininterrotto indagare del fotografo, nel segno della pietas e della sympatheiasulle affinità e le interdipendenze che legano popoli e individui al di là dei confini e delle frontiere che escludono e separano.

Birmania, Yangoon Chaukhtatgyi, Pagoda, 1999 (ph. Melo Minnella)

Birmania, Yangoon Chaukhtatgyi, Pagoda, 1999 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Marsala, Giovedì Santo, 1971 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Marsala, Giovedì Santo, 1971 (ph. Melo Minnella)

Melo Minnella è oggi il decano dei fotografi siciliani, ha attraversato il Novecento con il suo sguardo empatico e immersivo nel mondo umano e culturale dell’Isola e da lì ha percorso in lungo e in largo continenti e civiltà. Con lui ricostruiamo e ripensiamo la sua biografia intellettuale, la sua formazione professionale, il suo itinerario di instancabile viaggiatore e narratore con la macchina fotografica.

Sicilia, Altavilla Milicia, Ex voto per la Madonna, 2002 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Altavilla Milicia, Ex voto per la Madonna, 2002 (ph. Melo Minnella)

Tutto è cominciato a Mussomeli. I grandi fotografi siciliani sono nati in piccoli centri: Ferdinando Scianna a Bagheria, Calogero Cascio a Sciacca, Giuseppe Leone a Comiso. È a Mussomeli che hai scoperto la fotografia, quando per camera scura ti infilavi sotto il letto per stampare le foto?

«Tredicenne frequentavo un amico carissimo che aveva le mie stesse passioni. Nella sua bella casa troviamo, in soffitta, un kit, oramai dimenticato, di prodotti per la fotografia. Carta e prodotti chimici scaduti da almeno cinquanta anni, torchietti e vecchie macchine fotografiche a soffietto e altro. Ci mettiamo all’opera e dopo vari tentativi e ore di fervida attesa, riusciamo, con una soluzione di acqua e sale, a tirare fuori la prima immagine fotografica. Il ricordo è di una fotografia a metà strada fra il colore e il bianconero. Trasformiamo poi con marchingegni vari una delle macchine a soffietto in un sofisticato ingranditore. Tutto funzionante e nascita di due nuovi fotografi! Correva l’anno santo 1950. In seguito, Giovanni diventa professore ordinario di Chimica Industriale dell’Università di Milano e Melo Minnella fotografo a Palermo. Continuiamo a scambiarci le fotografie».

Sicilia, Petralia Sottana, Cristo di Bilìci, 1990 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Petralia Sottana, Cristo di Bilìci, 1990 (ph. Melo Minnella)

Quando hai comprato la tua prima macchina fotografica?

«La Zeiss Icoflex è il regalo paterno per il diploma conseguito nel 1957 ed è una biottica 6×6 della stessa famiglia, per intenderci, della Rollei. Formato quadrato quindi, che in quel periodo, assieme alla Hasselblad, dominava il mercato. La dipendenza dalla Icoflex è durata solo qualche anno perché per il genere di fotografia che cominciai a praticare con la conoscenza di Enzo Sellerio, era indispensabile passare al formato 35 mm.».

Sicilia, Alcamo, Edicola sacra,1986 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Alcamo, Edicola sacra,1986 (ph. Melo Minnella)

Vuoi raccontare il tuo primo incontro con Enzo Sellerio? Cosa ha rappresentato per te stargli accanto? Che ricordo ne hai?

«Le frequentazioni con Enzo Sellerio cominciarono nell’autunno del 1957 quando mi iscrissi al corso di laurea in Economia e Commercio. Sellerio era assistente di Franco Restivo, titolare della cattedra di Diritto Costituzionale. In quel periodo la rivista svizzera DU aveva commissionato a Sellerio un numero monografico sulla città di Palermo. Perfetta occasione per poter frequentare quotidianamente l’amico fotografo e carpire i segreti del perfetto reportage. Sfruttai anche la possibilità di conoscere altri importanti fotografi, per esempio il bravissimo Lillo Cascio, originario di Sciacca, che per primo esplorò il meraviglioso mondo orientale. La sua professionalità lo portò in seguito alla creazione di una casa editrice specializzata nella pubblicazione di vari periodici dedicati allo sport».

Sicilia, Geraci Siculo, Battienti del Crocifisso, 1986 (ph. Melo Minnella

Sicilia, Geraci Siculo, Battienti del Crocifisso, 1986 (ph. Melo Minnella

Molti siciliani e molti fotografi sono emigrati a Milano anche per essere più vicini alle agenzie e alle redazioni delle riviste. Anche tu hai fatto questa esperienza? Vuoi raccontare la tua collaborazione con Il Mondo di Pannunzio?

«Le esperienze milanesi cominciarono con le collaborazioni con alcuni settimanali e riviste di settore. Il settimanale Tempo Illustrato mi commissionò un servizio sui Gattopardi siciliani, con un bel testo di Corrado Stajano. Ebbe un notevole successo e fu spalmato in due numeri della rivista. Poi copertine della rivista Domus di Gio Ponti e altri contatti. Ma il diavolo ci ha messo la coda. Un appuntamento con un carissimo amico svanì nel nulla di una giornata di nebbia padana. A pochi metri uno dall’altro non riuscimmo ad incontrarci. Fellini, qualche anno dopo, ripropose in un bel film una situazione simile, la beffa di un mancato incontro e di un dialogo immerso nella nebbia. Ad ogni buon conto, l’indomani mattina, cavalcata la mia fida 500, me la filai verso il sud. Per quanto riguarda Il Mondo di Pannunzio ogni fotografo aveva sperimentato un suo trucco per riuscire a pubblicare quante più foto possibili. Il mio primo invio l’ho limitato a dieci fotografie. Furono tutte selezionate. Cominciò così un divertente sfottò nei miei confronti e anche nei confronti della segretaria di redazione».

Non ti ha mai interessato la cronaca nera? Fotografare i fatti della vita criminale in città? Documentare e denunciare le ingiustizie, le storture, le prepotenze?

«La cronaca, o la fotografia di cronaca, non mi ha mai interessato. Il mio carattere mite mi ha sempre impedito di dipanare situazioni che richiedono caratteri forti e risoluti. Non mi pento di aver sempre tenuto lontano occasioni di scoop che mi avrebbero forse premiato nell’avanzamento di carriera. Ora, più che mai, sono convinto, che la cronaca è fatta di notizie terribili, ancor più terribilmente propagandate oggi dai telefonini che a loro volta hanno massacrato gli schermi televisivi con trasmissioni di immagini di violenza molto spesso create e rilanciate sui social da gioventù inebetita e persa». 

Sicilia, Militello in Val di Catania, L'offerta dei bimbi, 1996 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Militello in Val di Catania, L’offerta dei bimbi, 1996 (ph. Melo Minnella)

Quando e da dove nasce il tuo interesse per l’arte e soprattutto per quella popolare, e la passione per il collezionismo?

«Amo definirmi un “preistorico” e questo spiega molte cose e soprattutto l’appartenenza ad una zona della Sicilia costellata da stazioni dell’età del bronzo di grande rilievo come Polizzello o Raffe. A Polizzello. ancora ragazzino, accompagnavo una mia zia per la trebbiatura del grano e potevo fantasticare che proprio lì, dove insisteva l’aia per la “pesatura” fatta dagli animali, poteva esserci sepolto un bronzetto o magari un gioiellino di 4.000 anni fa. Saltando di pala in frasca, mi piace ricordare un episodio che un po’ di anni fa, forse nel 1995, nello Yemen, nel Regno della Regina di Saba, mi diede delle emozioni. Nel bel mezzo del grande deserto che bisognava attraversare, la carovana di fuoristrada si blocca e costringe gli escursionisti a scendere dai mezzi perché una montagnola di sabbia rendeva pericoloso il procedere. Assieme a mia moglie ci incamminiamo per uscire dalla vallata proibita. Ero molto incuriosito da un po’ di terriccio che si era formato in quel cratere di sabbia. Cosa piuttosto anomala in un territorio che per centinaia di chilometri non conosceva presenza umana. “Guarda cosa ho trovato”, è la voce di mia moglie che mi segue a qualche metro di distanza. Forse mi sbeffeggiava perché non ero riuscito a trovare una selce, meravigliosamente lavorata di almeno 6.000 anni fa! D’altra parte, si spiega benissimo come un preistorico sia particolarmente portato ad amare l’arte popolare. La maggior parte della mia vita di collezionista incallito è stato un rincorrere oggetti di uso quotidiano, per il lavoro, per le funzioni devozionali, per la pastorizia, per la tessitura e così di seguito. Mia moglie mi ha facilitato e condiviso questa passione per cui pensiamo e speriamo di far nascere, quanto prima, un museo molto particolare, possibilmente a Mussomeli, in uno dei luoghi della mia frequentazione giovanile. Sono, certo, un appassionato collezionista. Mi piacciono un sacco di cose e, naturalmente mi piacerebbe possederle. Escludendo, per ovvi motivi, la pittura rinascimentale, mi diletto a comprare, ogni tanto, qualche moderno. Odio Warhol e tutti i suoi seguaci. Qualche bronzetto di artisti siciliani e qualche oggetto liberty. Amo molto anche i vetri di produzione liberty e decò. La collezione che più amo è costituita da una piccola raccolta di conocchie ottocentesche di fattura nebroidea o calabrese silana, ma poi anche reperti legati alla pastorizia, per esempio bicchieri di corno incisi, o zucche scolpite e decorate. Ma le collezioni più importanti sono quelle delle pitture popolari su vetro, le cere devozionali, le grandi conchiglie incise con scene sacre e, dulcis in fundo, una eccezionale raccolta di cartelloni dell’opera dei pupi».

Sicilia, Villarosa, Mercoledì Santo, 2007 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Villarosa, Mercoledì Santo, 2007 (ph. Melo Minnella)

A quando risale il tuo incontro con Sciascia che ha definito la tua fotografia “un attimo di irripetibile equilibrio tra il fatto e il sentimento, tra il contenuto e la forma”?

«Dopo il trasferimento, nel 1967, della famiglia da Caltanissetta, Sciascia porta una ventata di nuovo e vivace interesse verso la cultura. I luoghi storici che in quel momento polarizzavano e attiravano gli artisti erano: la libreria di Fausto Flaccovio; la galleria Arte al Borgo di Maurilio Catalano e Raffaello Piraino; la galleria La Tavolozza di Vivi Caruso. Se volevi incontrare Leonardo Sciascia bastava recarsi in questi luoghi, nel tardo pomeriggio e sicuramente entravi in contatto con un cenacolo di artisti molto interessante. Questo avveniva pressappoco tra gli anni 1968 e il 1980».

Sicilia, Marsala, Le Veroniche del Giovedì Santo, 2017 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Marsala, Le Veroniche del Giovedì Santo, 2017 (ph. Melo Minnella)

Un altro incontro importante è stato forse anche quello con Antonino Buttitta che ha scritto di te come di un poeta di immagini, signore della memoria. Come l’hai conosciuto? E quale ricordo ne hai?

«Nino Buttitta ha movimentato per molti anni la scena culturale siciliana. Un vulcano sempre in ebollizione che ti costringeva a lavorare continuamente sui vari campi della cultura popolare, dalle feste religiose ai carretti, alla tradizione dei cartelloni dell’Opera dei Pupi, agli ex voto e alla pittura su vetro. Nino Buttitta ma anche, per restare in famiglia, Elsa Buttitta, il figlio Ninuzzo anche lui bravissimo antropologo e infine il grande poeta Ignazio, sono stati e sono amabili compagni di lavoro ma anche e soprattutto amici carissimi».

Il tema delle feste è centrale nella tua produzione. Quando e quale festa hai fotografato per la prima volta? E perché privilegi le forme più diverse della ritualità?

«Le feste sono state per lungo tempo una delle mie principali fissazioni. Ne ho fotografate moltissime, anche non siciliane. Mi sono data una calmata con l’arrivo e il protrarsi del Covid, ma anche con l’incedere della vecchiaia e problemi relativi. Le più interessanti, in linea di massima, sono quelle legate alla Settimana Santa. Le più fotogeniche forse le siciliane, ma naturalmente anche le spagnole e quelle guatemalteche. Ho notato che, con la globalizzazione dei media, le varie congregazioni tentano l’innesto di costumi che nulla hanno da spartire con la cultura locale, molte forme cerimoniali sono cambiate ma alcuni riti restano tuttavia immutati. Naturalmente la prima festa che ho fotografato nel 1958 è stata il Venerdì Santo di Mussomeli, anno che coincide con l’arrivo della Icoflex ma anche con la consapevolezza che la Settimana Santa del paese natio è e resta di grande fascino».

Sicilia, Trapani, Martedì Santo, 2007 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Trapani, Martedì Santo, 2007 (ph. Melo Minnella)

Hai fermato nei tuoi fotogrammi gli ultimi bagliori della Sicilia contadina tra gli anni 50 e 60. Attraverso le tue immagini sulla Sicilia hai contribuito a plasmare l’immagine dell’Isola nel mondo. L’hai osservata dietro il tuo obiettivo per più di mezzo secolo. Come è cambiata negli anni, come hai vissuto queste mutazioni?

«Nostalgia per le fotografie del mondo contadino di mezzo secolo fa? Moltissima, ma mi rendo conto che con l’avvento della motorizzazione molti degli elementi che rendevano quel mondo affascinante sono spariti, a partire dagli animali e dagli incontri conviviali. Da qui la decisione di andare a cercare altrove quello che era oramai un rimpianto continuo. Quella Sicilia che avevo fotografato non esisteva più, era definitivamente tramontata, anche se resisteva negli aspetti simbolici di certi riti residuali, rinnovati e rifunzionalizzati».    

Sicilia, Palermo, Reliquiario di Santa Rosalia, 2015 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Palermo, Reliquiario di Santa Rosalia, 2015 (ph. Melo Minnella)

Hai molto viaggiato e molto fotografato. Come mai questo tuo particolare interesse per i Sud del mondo? Per l’India? Per lo Yemen che hai fotografato nelle sue bellezze prima della devastazione della guerra? Vi hai cercato le affinità e le interdipendenze che legano popoli e individui al di là dei confini geografici e culturali?

«Viaggiare è stata la passione giovanile. Le mete, quasi sempre, erano dettate dalla curiosità verso il modo di vivere delle popolazioni visitate e naturalmente verso l’architettura e la gestione del paesaggio. Un viaggio nei Paesi dell’Oriente vale una vita e per fortuna ho vissuto molte vite! Tra gli splendori dei palazzi dei maharaja del Rajastan e i palazzi di Sanaa dello Yemen non so cosa scegliere. Lascerei il responso a qualche bravo architetto, Ma non disdegnerei di ritornare nella splendida Birmania, ricca di templi e gente laboriosa e sorridente. Nel conoscere e documentare mondi anche lontani ho trovato certe originalità e differenze ma anche molte analogie e corrispondenze. Dal gioco dei bambini, che hanno ovunque la stessa grazia e innocenza, a certe cerimonie conviviali, a taluni modi di portare carichi sul capo. Ho scoperto questa cosa curiosa che mi ha affascinato: in molti dei Paesi che ho visitato, si lavora sì con le braccia ma, a volte, ancor più con la testa. Da più di vent’anni ho creato un notevole archivio intitolato “Emicranie”. Ho immortalato migliaia di persone che, con molta grazia e quasi sempre sorridenti, portano sul capo il loro fardello, con l’eleganza di una sfilata di moda».

Sicilia, Troina, I rami di San Silvestro, 1992 (ph. Melo Minnella)

Sicilia, Troina, I rami di San Silvestro, 1992 (ph. Melo Minnella)

Col digitale siamo diventati tutti fotografi. Come hai vissuto il passaggio al digitale? Come è cambiato il mestiere e come vedi il futuro della fotografia?

«Il digitale, tanto amato e, forse, tanto odiato, ha avuto tanti meriti, e certamente ha risolto tanti problemi. Il troppo però storpia e penso che fra qualche anno il digitaltelefonino sarà la peste che ammorberà le nostre menti».

Quest’ultimo libro sulle preghiere fa parte di un preciso ambizioso progetto editoriale, elaborato con Ernesto Di Lorenzo editore di Alcamo. Vuoi parlarne?

«Il libro sulla “preghiera” nasce dalla rielaborazione del mio progetto incentrato sul buddhismo, tema a me molto caro. Allargando la mia visione ad altre religioni forse avrei soddisfatto molte più curiosità, anche di paesaggio. Ad occhio e croce ho pubblicato più di cento libri. Di alcuni non mi ricordo quasi niente. Sono legato al mio primo libro Sicilia negli occhi del 1972 perché contiene le mie prime fotografie interessanti e perché è presentato da una bella introduzione di Leonardo Sciascia. La serie di quattro libri pubblicati con l’editore Ernesto di Lorenzo mi è particolarmente cara perché mi ha permesso di mostrare una parte del mondo nella sua umanità e nel contesto urbanistico e paesaggistico».

Trapani, I Misteri, 1988 (ph. Melo Minnella)

Trapani, I Misteri, 1988 (ph. Melo Minnella)

C’è una fotografia in cui ti riconosci più compiutamente, alla quale sei particolarmente legato perché magari rappresenta significati che meglio identificano e riassumono il senso del tuo lavoro? E c’è infine il rammarico di qualche immagine che non hai colto, di qualche scatto che non hai eseguito?

«Forse tra milioni di fotografie scattate quella più curiosa e forse paradossalmente più significativa del fascino originale delle tradizioni popolari, quella che mi viene in mente l’ho realizzata a Trapani, credo nel 1988, ad una bambina vestita da Addolorata, nell’istante in cui sta per fare scoppiare con la gomma da masticare un palloncino sulla bocca. Un momento che rompe la solennità del rito e ne riafferma la vitalità. C’è una fotografia poi che ogni tanto mi tormenta specialmente nei miei sogni. È la fotografia che non sono riuscito a scattare perché privo, in quel momento, di una macchina fotografica. Palermo, rione Acqua Santa, nei pressi di Villa Igiea, anni 60. Da un vicolo esce quasi in processione una famigliola. La mamma tiene per mano due bambini e mostra un bel pancione di incinta. Segue il marito con sulle spalle la culla del prossimo nascituro. Tutto qui, anche la rabbia di non aver fatto forse la mia più bella fotografia».

Palermo, Festino di Santa Rosalia, 2009 (ph. Melo Minnella)

Palermo, Festino di Santa Rosalia, 2009 (ph. Melo Minnella)

Per Melo fotografare non è mai stato compiere incursioni e irruzioni, ma piuttosto indugiare in un passo paziente di attesa, come in una navigazione che seconda le onde del mare, le anse dei fiumi, le rotte e le vite degli uomini, il periplo delle opere e dei giorni, inventariando volti, storie e paesi, gesti individuali della quotidianità e riti collettivi delle feste. In questo suo viaggiare nel mondo frastagliato e complesso delle culture umane per ricercare le invarianze e le permanenze laddove in prima approssimazione sono visibili solo le differenze, Minnella traduce in immagini esemplari il paradigma teorico-metodologico che resta alla radice di ogni antropologia. E trova nel sacro, nelle diverse morfologie delle religioni confessionali e delle religiosità popolari, la trama esistenziale su cui si fonda il tessuto connettivo dell’umanità, la componente e l’esperienza universale – si chiami il numinoso, lo spirituale, il mito o l’immaginario – che trascendono istituzioni e prescrizioni, appartenenze e affiliazioni. Il modo più intimo e più comune, che attraversa latitudini e continenti, di parlare a dio piuttosto che parlare di dio.

Dialoghi Mediterranei, n. 57, settembre 2022

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Antonino Cusumano, ha insegnato nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici presso l’Università degli Studi di Palermo. La sua pubblicazione, Il ritorno infelice, edita da Sellerio nel 1976, rappresenta la prima indagine condotta in Sicilia sull’immigrazione straniera. Sullo stesso argomento ha scritto un rapporto edito dal Cresm nel 2000, Cittadini senza cittadinanza, nonché numerosi altri saggi e articoli su riviste specializzate e volumi collettanei. Ha dedicato particolare attenzione anche ai temi dell’arte popolare, della cultura materiale e della museografia. È autore di diversi studi. Nel 2015 ha curato un libro-intervista ad Antonino Buttitta, Orizzonti della memoria (De Lorenzo editore)La sua ultima pubblicazione, Per fili e per segni. Un percorso di ricerca, è stata edita dal Museo Pasqualino di Palermo (2020).

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