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Il mercante e la Natura. Raccontare il cambiamento climatico

ghosh-lisola-dei-fucili-copertinadi Rosario M. Atria

Ogni parola rivela un mondo, nasconde un’avventura, dischiude un altrove da raccontare. Con L’isola dei fucili [1], sua ultima prova narrativa, Amitav Ghosh [2] ci invita a compiere un viaggio di scoperta e, per certi versi, riscoperta e riappropriazione di un legame necessario alla nostra stessa sopravvivenza, ma – ahinoi – impietosamente violato: quello con la Natura di cui siamo parte, con la Madre Terra che ci ha generato [3].

Conducendoci in giro per il globo terracqueo, tra città di ieri e di oggi, attraverso le maglie di un presente incerto e precario che si riannoda al passato, Ghosh ci porta a sperimentare quella che lui stesso ha definito, alcuni anni addietro, la grande cecità [4]: la nostra incapacità di registrare e comprendere i cambiamenti climatici in atto; l’inadeguatezza nel proporre soluzioni valide ad assicurare la salvaguardia degli equilibri naturali e perfino la possibilità futura di un’autentica vita umana sulla Terra; il fallimento nell’immaginare e costruire un domani sostenibile [5].

Ecco che la parola bundook (= arma da fuoco, fucile), attorno a cui si dipana l’ordito romanzesco, diventa paradigmatica dell’irresponsabile azione esercitata dall’uomo sull’ambiente in nome del profitto: un crimine, un abominio, una carneficina contro cui la letteratura, da sempre terreno privilegiato della resistenza e della denuncia, non ha opposto in modo sistemico le proprie forze.

Pochi gli scrittori che hanno scelto di ingaggiare un’aspra battaglia di sensibilizzazione e civiltà: impresa certo ardua, tuttavia irrinunciabile e, soprattutto, non ulteriormente demandabile. Su questo difetto di prosa, Ghosh ha richiamato in passato più volte l’attenzione: «Quando il tema del cambiamento climatico fa capolino […], si tratta quasi sempre di saggistica; difficile che in tale orizzonte compaiano romanzi e racconti» [6]. Non certo una coincidenza per l’Autore, il quale si spinge ad azzardare che «la sola menzione dell’argomento basta a relegare un romanzo o un racconto nel campo della fantascienza» [7].

Ma va registrata, se possibile, un’indifferenza più generale: la cultura contemporanea nel suo complesso, tanto attraverso il linguaggio delle arti quanto mediante gli strumenti delle scienze umane, fatica a rappresentare il cambiamento climatico. Frattanto, la società del consumo e del marketing promuove a tamburo battente desideri legati al modello economico che si impernia sull’utilizzo dei combustibili fossili: un messaggio «intimamente legato alla più ampia storia dell’imperialismo e del capitalismo che hanno plasmato il mondo» [8].

Non resta che ammettere che i nostri stessi stili di vita ci rendono non solo vittime delle manipolazioni e delle seduzioni esercitate dalla pubblicità, ma complici degli occultamenti messi in atto dalla cultura dominante. In futuro, avverte Ghosh, «i lettori e i frequentatori di musei si rivolgeranno all’arte e alla letteratura della nostra epoca cercandovi innanzitutto tracce e segni premonitori del mondo alterato che avranno ricevuto in eredità. E non trovandone, cosa potranno, cosa dovranno fare, se non concludere che nella nostra epoca arte e letteratura venivano praticate perlopiù in modo da nascondere la realtà cui si andava incontro?» [9].

3Da questa domanda nasce l’urgenza di percorrere nuovi sentieri narrativi. Fermamente deciso a sottrarsi alla schiera dei conniventi, convinto che nell’era del surriscaldamento globale il nostro sia un universo fatto «di tenaci e ineludibili continuità» [10], nel senso che tutte le realtà sono interconnesse e ciò che accade a livello locale ha ripercussioni immediate a livello globale, Amitav Ghosh si lancia in una sfida non priva di difficoltà: raccontare la guerra tra profitto e Natura.

Procedendo acriticamente (o fraudolentemente) lungo il sentiero di un progresso sbandierato come giusto e inevitabile dall’ideologia capitalista, anche per effetto di ripetute manipolazioni massmediatiche, l’uomo ha violentato il Pianeta senza premurarsi di stimare il costo da pagare [11]. La logica imperante del mercimonio ha agito (e continua a farlo) entro un orizzonte asfittico di pensiero, incapace di rispettare il presente e le attuali generazioni, incapace di guardare al futuro e di concepire un vincolo di solidarietà con quelle che verranno dopo: così, ogni progresso si ottiene al prezzo di «rendere il mondo più invivibile» [12].

È l’avvertimento di tanti osservatori preoccupati del destino della nostra casa comune, non ultimo Papa Francesco [13]. È il monito di Ghosh che, con L’Isola dei fucili, si conferma prosatore di talento e intellettuale incendiario, come suggerisce il titolo di un suo noto scritto di taglio giornalistico apparso nel 2006 [14]: da esperto antropologo e narratore navigato, con mirabile agilità di scrittura, crea un intreccio avventuroso e avvincente basato sul mistero, dimostra una comprensione profonda delle dinamiche geopolitiche ed ecologiche, proponendo una riflessione acuta e pungente ad ampio spettro sulle conseguenze ambientali e sociali innescate dal cambiamento climatico, in particolare sui flussi migratori [15].

Con grande abilità, dopo il successo dei romanzi che rientrano nella «Trilogia dell’Ibis» [16], va a caccia di grovigli storici e concatenazioni, trasforma le coincidenze in occasioni d’inchiesta [17], esplora le sottili trame concettuali della lingua bangla e si addentra nel folklore di un’ampia area territoriale dell’Asia, oltremodo prolifica di narrazioni, per riemergere con una leggenda sorprendente: quella del mercante di fucili, Bunduki Sadagar, che fugge al di là del mare, dopo essersi inimicato la dea Manasa Devi, signora dei serpenti e di ogni altra creatura velenosa.

Una storia che ricorda l’Odissea per le peregrinazioni cui è costretto il protagonista, alle prese con forze assai più potenti di lui, ora divine ora terrene [18]. Ma se il viaggio dell’Ulisse omerico si conclude con l’approdo alla sua Itaca e il ricongiungimento alla famiglia, di diverso segno è la vicenda del mercante. Dopo esser scampato ad alluvioni, carestie e calamità d’ogni sorta, l’uomo spera invano di trovar tregua sull’Isola dei fucili, dove si credeva non esistessero i serpenti. La dea lo raggiunge anche lì e lo perseguita, inducendolo ad un’altra rocambolesca fuga. Bunduki Sadagar finisce tra le grinfie dei pirati, che lo deportano sull’Isola delle catene per venderlo come schiavo. Disperato il mercante, che inizialmente s’era rifiutato di adorare la potente divinità, finisce per prostrarsi al suo culto e s’impegna a costruire per lei un dhaam, un tempio nel Golfo del Bengala, nel vasto delta formato dalla confluenza dei fiumi Gange, Brahmaputra e Meghna, nel cuore della più estesa foresta di mangrovie del mondo.

Questa la versione più nota di un racconto le cui origini risalgono ai primordi della memoria bengali e che annovera numerose varianti locali, con grande persistenza nel tempo. Nei secoli, a seguito di successive ondate narrative, gli intrecci sono sempre soggetti a rivisitazioni e integrazioni; i personaggi stessi possono acquisire altre caratterizzazioni e perfino nuovi appellativi. Così accade alla leggenda del mercante di fucili, che – nei suoi cicli di vita – si eclissa per secoli, per poi riapparire con nuovo vigore e ulteriori, significative sfaccettature.

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Mangrovie delle Sundabans

Una di queste ha a che fare appunto con l’erezione di un edificio sacro, segno tangibile della assicurata devozione alla Dea, nelle Sundarban, «la frontiera dove il commercio e la natura selvaggia si guardano negli occhi, il punto esatto in cui viene combattuta la guerra tra profitto e Natura» [19]. Un ecosistema complesso quello ricostruito ne L’Isola dei fucili: non scenario di fondo, ma parte integrante di una narrazione dalla molte sfumature. Né potrebbe essere altrimenti per gli intenti perseguiti da Ghosh. Un cuore verde di enorme importanza sia in termini di biodiversità che come naturale protezione contro i cicloni che atterriscono le popolazioni locali. Purtroppo, anche un’area particolarmente vulnerabile, che rischia di essere sommersa per effetto di cambiamenti climatici che appaiono irreversibili. E che, a chi la attraversa, si presenta minacciata dalla sovrappopolazione, contaminata dall’inquinamento causato dal traffico mercantile e dagli insediamenti industriali, sventrata dalla deforestazione dissennata e selvaggia cui è stata sottoposta in nome di lucrosi guadagni [20].

i-misteri-della-jungla-nera-di-emilio-salgari-1973-vallardi-illustrato-maggi-311555097913-500x710Già scelta da Ghosh come ambientazione per Il paese delle maree [21], nonché luogo entro cui si sviluppava una parte della trama de I misteri della jungla nera di Emilio Salgari [22], questa regione resta tra le più importanti riserve naturali e faunistiche del pianeta. Le acque che la devastano e progressivamente la conquistano sono le medesime che stanno invadendo Miami Beach, le stesse che minacciano Venezia, dove la laguna pericolosamente deborda sommergendo calli e cortili. Nel mondo globale, i confini dello stato-nazione sfidano ed eccedono l’idea di “luogo” come spazio circoscritto: «Il cambiamento climatico ha rovesciato l’ordine temporale della modernità», annota lo scrittore indiano nel saggio La grande cecità [23].

Sono lontani i secoli della razionalità strumentale di matrice anglosassone e della ragione progettuale di origine illuministica e idealistica. Non c’è umana pietà per l’ordine e il diritto naturali, così come per il bene comune e il bello. L’umanità percorre adesso la via del regresso: e potrebbe avviarsi ad una delle più immani tragedie dalla sua comparsa sulla Terra. In un passaggio di estremo interesse, Ghosh istituisce una relazione fra gli effetti del surriscaldamento globale e l’evidenza che una delle lingue più parlate a Venezia sia il bengali: «[…] gli uomini che gestiscono le pittoresche bancarelle di frutta e verdura o cuociono le pizze, o addirittura suonano la fisarmonica, sono perlopiù bangladesi, molti di loro costretti dallo stesso fenomeno che ora minaccia la loro città d’adozione, l’innalzarsi del livello dei mari» [24].

Venezia, luogo in cui Shakespeare ha ambientato la storia del Mercante Shylock e di Otello [25]. Venezia, dove le teredini, tra le più temibili specie xilofaghe marine [26], stanno erodendo le fondamenta di legno su cui molta parte della città è edificata. Venezia, crocevia di mercanti e di migranti, è una delle tappe di viaggio di Deen Datta, il «libraio antiquario» [27] che impariamo a conoscere sin dalle prime pagine de L’Isola dei fucili: «esperto di folklore bengali», dopo aver attraversato una stagione assai complicata della propria storia personale, si ritrova ad esser attratto dal richiamo magnetico della leggenda di Bunduki Sadagar [28]. Un po’ per caso, un po’ per destino: perché certe storie scandiscono il tempo dell’esistenza, fungendo in un certo senso da riti di passaggio. Dinu (questo il nomignolo che lo radica ai luoghi natii e dell’infanzia) non esita a lanciarsi alla ricerca di una spiegazione per i simboli rinvenuti nel tempio eretto al di là dei mari.

Una mano a dipanare l’intricata matassa gliela fornisce una studiosa veneziana, secondo cui l’universo può parlarci solo per mezzo delle storie: l’erezione del tempio risalirebbe al Seicento, correlata ad una fase particolarmente critica della “piccola era glaciale” [29].

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Dal Bangladesh a Venezia

Dietro la simbologia, si adombra così la reale vicenda del mercante, con le vicissitudini causate dall’impatto del clima sulle vite degli uomini. Per raggiungere il Mediterraneo, egli aveva attraversato l’Egitto, ma s’era scontrato con una terribile crisi economica dovuta ad una infausta siccità: dinanzi a tanta devastazione, a tanta povertà, impossibile fare affari. S’era spinto così verso la Turchia, per far ancora esperienza diretta dei nefasti effetti che le alterazioni climatiche esercitano sulle società: ad Istanbul, erano divampati incendi e la responsabilità era stata addebitata agli ebrei, che in massa avevano cercato miglior fortuna altrove e, grazie ad un provvedimento emanato dalla Repubblica Veneziana nel 1516, s’erano stabiliti nel ghetto della città, posto in un’isola separata dalle altre.

Lì, «pur vivendo segregati, gli ebrei di Venezia erano più al sicuro e più liberi che in qualunque altro luogo del mondo cristiano» [30]. Lì, in una realtà decisamente cosmopolita, il mercante aveva trovato il centro ideale per i suoi commerci.  Il ghetto diventa così il correlativo dell’Isola dentro l’isola, che insieme accoglie ed esclude, dove Natura e profitto coesistono fronteggiandosi; e l’itinerario che al ghetto conduce si fa immagine del dramma umanitario che investe i migranti di ieri e di oggi.

Ghosh ci consegna un romanzo mirabile per significati umani e implicazioni antropologiche. Mentre in molti ancora si chiedono se la bellezza potrà salvare il mondo, lo scrittore di Calcutta indica la rotta: «Lo vedi quante gradazioni di colore ci sono nell’acqua?», chiede Piya a Datta [31]. Scrutare il mondo con occhi colmi di meraviglia: ecco la Bellezza che potrà salvarlo. Perché ogni aspetto della Natura, a considerarlo con sguardo vergine, proprio come accade con le parole, rivela un mondo altro, spalanca un’avventura da intraprendere, cela un altrove da raccontare:

«[…] quando i miei occhi si furono abituati a scrutare l’acqua, riuscii a scorgere gorghi, mulinelli, nastri, scie e molti tipi di increspature. Erano altrettanti segni, disse Piya, delle innumerevoli correnti che quel singolo corso d’acqua conteneva. Ognuna differiva in svariati modi dalle altre, e comprendeva una specifica misceli di micro-alimenti. In pratica ognuna costitutiva una piccola nicchia ecologica, tenuta in sospensione dal fluire dell’acqua, come un palloncino trasportato dal vento. Ne risultava una stupefacente proliferazione di vita, in una miriade di forme» [32].

Stupirsi della vita nelle sue molteplici e imprevedibili forme, adorarle e proteggerle è, in ultimo, il segreto che questa storia contiene: così il tempio da erigere ogni giorno alla Grande Madre per la sua protervia non è che un segno ideale di gratitudine, una scelta di appartenenza all’ordine naturale e di sottrazione all’imperio del dio denaro, che tutto corrompe e corrode.

Dialoghi Mediterranei, n. 45, settembre 2020
Note
[1] A. Ghosh, Gun Island, 2019; ed. it. L’Isola dei fucili (un romanzo), trad. di A. Nadotti e N. Gobetti, Vicenza, Neri Pozza, 2019.
[2] Nato a Calcutta nel 1956, Ghosh ha studiato ad Oxford, vive tra Goa e New York ed è considerato uno dei più importanti scrittori indiani contemporanei di lingua inglese. Per lungo tempo ha insegnato scrittura creativa alla Columbia University ed è stato corrispondente del New Yorker. Ricca la sua produzione narrativa che annovera, oltre ai più recenti romanzi del “ciclo dell’Ibis” (infra: nota 16), titoli di successo quali: The Circle of Reason, 1986 (ed. it. Il cerchio della ragione, trad. di V. Mantovani, Milano, Garzanti, 1986); The Shadow Lines, 1988 (ed. it. Le linee d’ombra, trad. di A. Nadotti, Torino, Einaudi, 1990); In an Antique Land, 1992 (ed. it. Lo schiavo del manoscritto, trad. di A. Nadotti, Torino, Einaudi, 1993); The Calcutta Chromosome, 1995 (ed. it. Il cromosoma Calcutta, trad. di A. Nadotti, Torino, Einaudi, 1996); The Glass Palace, 2000 (ed. it. Il Palazzo degli specchi, trad. di A. Nadotti, Torino, Einaudi, 2001); The Hungry Tide, 2004 (ed. it. Il paese delle maree, trad. di A. Nadotti, Vicenza, Neri Pozza, 2005).
[3] «Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa», cantava Francesco d’Assisi otto secoli or sono nel Cantico delle creature (1224 ca.), opera fondativa della tradizione letteraria italiana. Laudato si’ recita il testo della lettera enciclica, con cui Papa Francesco rilancia la questione relativa all’interconnessione tra crisi ambientale planetaria e crisi sociale dell’umanità (infra: nota 13).
[4] A. Ghosh, The Great Derangement. Climate Change and the Unthinkable, 2016; ed. it. La grande cecità. Il cambiamento climatico e l’impensabile, trad. di A. Nadotti e N. Gobetti, Vicenza, Neri Pozza, 2017.
[5] Cfr. H. Jonas, Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, a cura di P.P. Portinaro, Torino, Einaudi, 1990. Il pensiero ambientalista ha trovato la sua fondazione filosofica nell’urgenza della riflessione proposta da Jonas. La responsabilità, costituendo il principio fondante dell’etica, pertiene alla consapevole assunzione delle conseguenze dell’agire umano e impone la necessità di un ragionamento ‘a monte’, con stringenti valutazioni circa l’esito generato dal suo dispiegarsi, in forma contrastiva peraltro all’eccedenza del potere.
[6] A. Ghosh, La grande cecità, cit.: 14. Ne è un esempio Arundathi Roy, ambientalista e attivista che, nei suoi scritti sull’argomento, preferisce far ricorso a forme non narrative.
[7] Ibid. Tra le eccezioni degne di nota, da segnalare i romanzi di I. McEwan, Solar, 2010 (ed. it. Solar, trad. di S. Basso, Torino, Einaudi, 2010) e B. Kingsolver, Flight Behavior, 2012 (ed. it. La collina delle farfalle, trad. di M. Ortello, Vicenza, Neri Pozza, 2013).
[8] A. Ghosh, La grande cecità, cit.: 17.
[9] Ivi: 18.
[10] Ivi: 71.
[11] L’attenzione etica verso gli esiti dell’agire coinvolge non soltanto la contemporaneità dei rapporti interpersonali, ma – nell’imperativo morale dell’ampliamento del raggio di esperienza – il non ancora, il futuribile del nostro mondo, cui è relato – inestricabilmente – il destino dell’umanità. Cfr. U. Curi, Il problema della responsabilità, in G. Marramao (a cura di), Le sfide della responsabilità, «Paradigmi. Rivista di critica filosofica», 1/2010; M.A. Foddai, Agire eticamente. Jonas e le nuove responsabilità, Napoli, Jovene, 2017; U. Kocher (a cura di), Educare allo sviluppo sostenibile. Pensare il futuro, agire oggi, Trento, Erickson, 2017.
[12] F. Moretti, Il borghese. Tra storia e letteratura, trad. di G. Scocchera, Torino, Einaudi, 2017: 74.
[13] Nella sua seconda lettera enciclica, il Pontefice ha voluto richiamare l’attenzione sulla portata della crisi ecologica, «conseguenza drammatica dell’attività incontrollata dell’essere umano», intento ad uno «sfruttamento sconsiderato della natura», al punto da rischiare di distruggerla, finendo «vittima di siffatta degradazione» (Laudato si’. Lettera enciclica del santo padre Francesco sulla cura della casa comune, Città del Vaticano, 24 maggio 2015, artt. 4-5). Evidenziando la degenerazione dell’antropocentrismo moderno, ha invitato i potenti della Terra ad «eliminare le cause strutturali delle disfunzioni dell’economia mondiale» e a «correggere i modelli di crescita che sembrano incapaci di garantire il rispetto dell’ambiente» (art. 6). Cfr. G. Pucci, La rivoluzione integrale. Idee e proposte ispirate all’ecologia integrale dell’enciclica Laudato si’, Firenze, Libreria Editrice Fiorentina, 2017; H.M. Yáñez (a cura di), Laudato sì. Linee di lettura interdisciplinari per la cura della casa comune, Roma, Gregorian & Biblical Press, 2017; G. Alcamo (a cura di), Educare all’umanesimo solidale per nuovi stili di vita, Milano, Paoline, 2018.
[14] A. Ghosh, Incendiary Circumstances. A Chronicle of the Turmoil of Our Times, 2006; ed. it. Circostanze incendiarie. Cronaca del mondo che viene, trad. di A. Nadotti, Vicenza, Neri Pozza, 2006.
[15] Numerosi i contributi a riguardo: V. Raisson, 2033. Atlas des futurs du monde, 2010 (ed. it. Atlante dei futuri del mondo. Migrazioni, agricoltura, acqua, clima, trad. di E. Giovanelli, Bra, Slow Food, 2012); G. Mastrojeni – A. Pasini, Effetto serra, effetto guerra, Milano, Chiarelettere, 2017; F. Perrini, Cambiamenti climatici e migrazioni forzate. Verso una tutela internazionale dei migranti ambientali, Napoli, Editoriale Scientifica, 2018; F. Santolini, Profughi del clima. Chi sono, da dove vengono, dove andranno, prefaz. di M. Impagliazzo, postfaz. di G. Massolo. Soveria Mannelli, Rubbettino, 2019. Non va dimenticato, infine, il richiamo alla necessità di un coraggioso e diffuso impegno a salvaguardia dell’ambiente e dei diritti promosso da C. Rackete con Handeln statt hoffen. Aufruf an die letzte Generation, 2019 (ed. it. Il mondo che vogliamo. Appello all’ultima generazione, con la collaboraz. di A. Weiss, prefaz. di H. Oumarou Ibrahim, trad. di S. Beretta, P. Rumi, C. Ujka, Milano, Garzanti, 2019). Chi legge, ricorderà che Carola Rackete è assurta alle cronache nostrane e internazionali nel giugno 2019, quando – al comando della nave da salvataggio Sea-Watch 3, con a bordo una cinquantina di migranti salvati nel Mediterraneo al largo delle coste iberiche – ha forzato la chiusura del porto di Lampedusa, venendo arrestata dopo l’ormeggio dalle autorità italiane e vedendosi contestati i reati di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina e resistenza a navi da guerra.
[16] A. Ghosh, Sea of Poppies, 2008 (ed. it. Mare di papaveri, trad. di A. Nadotti e N. Gobetti, Vicenza, Neri Pozza, 2008); River of Smoke, 2011 (ed. it. Il fiume dell’oppio, trad. di A. Nadotti e N. Gobetti, Vicenza, Neri Pozza, 2011); Flood of Fire, 2015 (ed. it. Diluvio di fuoco, trad. di A. Nadotti e N. Gobetti, Vicenza, Neri Pozza, 2015). Si noti che alcune delle tessere (luoghi, temi e figure) che compongono l’architettura de L’Isola dei fucili si possono ritrovare in questi romanzi: il primo volume della Trilogia portava il lettore tra le piantagioni e le fabbriche di oppio del Bihar, poi nella città di Calcutta, quindi tra le acque dell’Oceano Indiano, a bordo della Ibis, la goletta a due alberi diretta alle isole Mauritius con il suo variegato universo umano fatto di schiavi e migranti. Nel secondo volume, la narrazione si concentrava sulla figura di Seth Bahram, mercante d’oppio di famiglia parsi, impegnato a contrastare il blocco delle transazioni economiche imposto dalle autorità cinesi nel 1839. Nel terzo e ultimo atto, il lettore si ritrova nel mezzo delle operazioni militari che riguardarono la Prima guerra dell’oppio, conclusasi con il Trattato di Nanchino, per effetto del quale i britannici ottennero l’apertura di snodi strategici, come i porti di Canton e Shanghai, il libero accesso all’oppio con basse tariffe doganali e strapparono Hong Kong alla Cina.
[17] Un’indagine intellettuale, provocatoria e demistificatoria, nell’intento di afferrare una superiore verità.
[18] Cfr. U. Hölscher, L’Odissea. Epos tra fiaba e romanzo, Firenze, Le Lettere, 1991; P. Boitani, L’ombra di Ulisse. Figure di un mito, Bologna, Il Mulino, 1992; Id., Sulle orme di Ulisse, Bologna, Il Mulino, 1998.
[19] A. Ghosh, L’Isola dei fucili, cit.: 15.
[20] Cfr. A.K. Mandal – N.C. Nandi, Fauna of Sundarban mangrove ecosystem, West Bengal, India, Calcutta, Zoological Survey of India, 1989; World Wildlife Fund, Sundarbans Mangroves, online at https://www.worldwildlife.org/ecoregions/im1406.
[21] Il romanzo, pubblicato in lingua originale nel 2004 con il titolo The Hungry Tide, narra le vicende di Piya (biologa marina di origini bengalesi, cresciuta negli Stati Uniti), Kanai (interprete poliglotta di Calcutta) e Fokir (umile pescatore bengalese). I destini di questi personaggi si intrecciano nello scenario delle Sundarban, dove i confini tra acqua dolce e salata, fiumi e mare, terra e acqua vengono quotidianamente alterati dal ritmo delle maree. Per scrivere il romanzo, Ghosh si è documentato sul campo, viaggiando nel paese delle maree con Annu Jalais (antropologa ambientale, docente presso la Jawaharial Nehru University di Nuova Delhi): un’esperienza grazie alla quale ha avuto modo di acquisire importanti elementi di valutazione sugli squilibri ecologici determinatisi in quell’area, aspetti ulteriormente approfonditi per la stesura de L’Isola dei fucili.
[22] E. Salgari, I misteri della jungla nera, Genova, Donath, 1895. Il romanzo, tra i più noti del genere d’avventura, appartenente al cosiddetto “ciclo indo-malese”, era apparso in appendice al quotidiano “Il Telegrafo di Livorno” con il titolo Gli strangolatori del Gange nel 1887, quindi su “La Provincia di Vicenza”, tra l’agosto 1893 e il novembre 1894, come Gli amori di un selvaggio.
[23] A. Ghosh, La grande cecità, cit.: 72.
[24] Ibid.
[25] W. Shakespeare, The Merchant of Venice or The Jew of Venice, 1596-1598; Id., The Tragedy of Othello, the Moor of Venice, 1603.
[26] La crescente presenza in laguna delle teredini, alla luce anche dei più recenti studi, va ricondotta proprio all’innalzamento della temperatura delle acque: cfr., tra gli altri, gli studi di R.G. Pearson – T.P. Dawson, Predicting the impacts of climate change on the distribution of species: are bioclimate envelopes useful?, in « Global Ecology and Biogeography», 12, 2003: 361-371; e di L.M. Borges – L.M. Merckelbach – Í. Sampaio – S.M. Cragg, Diversity, environmental requirements, and biogeography of bivalve wood-borers (Teredinidae) in European coastal waters, in «Frontiers in Zoology», 11 (2014); online at https://doi.org/10.1186/1742-9994-11-13.
[27] A. Ghosh, L’Isola dei fucili, cit.: 10.
[28] Ivi: 11.
[29] Cfr. Ph. Blom, Die Welt aus den Angeln. Eine Geschichte der Kleinen Eiszeit von 1570 bis 1700, 2018 (ed. it. Il primo inverno. La piccola era glaciale e l’inizio della modernità europea, 1570-1700, Venezia, Marsilio, 2018). Preceduta da un lungo periodo di temperature relativamente elevate chiamato “periodo caldo medievale”, la “piccola era glaciale” si caratterizzò per un graduale avanzamento dei ghiacciai, la cui massima estensione fu toccata intorno alla metà del XIX secolo. Poi le temperature tornarono ad aumentare, determinando una nuova riduzione della massa dei ghiacci. Di fatto, da allora il Pianeta attraversa una fase di riscaldamento, aggravata da fattori umani responsabili dell’effetto serra.
[30] A. Ghosh, L’Isola dei fucili, cit.: 165.
[31] Ivi: 112.
[32] Ibid.

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Rosario M. Atria, dopo la laurea magistrale con lode in Letteratura all’Università “La Sapienza” di Roma, ha conseguito il dottorato di ricerca in Italianistica presso l’Università di Palermo. Dal 2014 è, presso lo stesso ateneo, cultore di Letteratura italiana. Autore di studi sulla poesia italiana del Due-Trecento, sul romanzo storico, sulla lirica leopardiana, sulla narrativa del secondo Novecento e del Duemila, si interessa anche di storia e letteratura archeologica della Sicilia e di questioni mediterranee. Dal 2017 è Presidente della Società Dante Alighieri di Castelvetrano e promotore di molteplici attività culturali. Ha redatto diverse voci per il Dizionario enciclopedico dei pensatori e dei teologi di Sicilia. Dalle origini al sec. XVIII, edito nel 2018 in dodici volumi, a cura di F. Armetta, per i tipi dell’editore Sciascia. Tra il 2018 e il 2020 ha curato, insieme a I.T. Ginevra, per la collana “Gli Introvabili” de I Buoni Cugini Editori, la pubblicazione di diversi romanzi storici. Dal 2019 è direttore per Lithos, insieme a G.L. Bonanno e F.S. Calcara, ed editor-in-chief di «Tρισκελής. Collana mediterranea di storia, letteratura e varia umanistica», progetto editoriale che ha contribuito a fondare.

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