di Antonella Selva
Sopra i Ponti, soggetto politico tra Bologna e il Marocco
Il 15 luglio 2020 saranno 25 anni dalla fondazione di Sopra i ponti, storica associazione bolognese della diaspora marocchina. È nata nel 1995 dalla collaborazione di un gruppo di “ospiti” (venivano chiamato così) marocchini di un Centro di prima accoglienza comunale per lavoratori migranti e un gruppo di cittadini “bianchi” con una storia di attivismo politico nelle file della nuova sinistra. Il Centro in questione, in via della Cooperazione 2, consistente in una ventina di container da cantiere che ospitavano oltre cento uomini, faceva parte del piano comunale di prima accoglienza (che però non vide mai la seconda e fu abbandonato 13 anni dopo). Sorgeva all’estrema periferia nord, nel quartiere residenziale “Croce coperta” allora in costruzione. A est della direttrice stradale erano già le prime palazzine, a ovest, in un’area artigianale in via di dismissione, i container dei migranti. Nel mezzo, via dell’Arcoveggio segnava il confine tra due mondi non comunicanti, divisi da una barriera invisibile ma invalicabile.
Rompere quella specie di muro di vetro fu l’obiettivo iniziale di alcuni militanti residenti in zona, che si avventuravano nel Centro di accoglienza – me compresa – come gli esploratori inglesi di fine Ottocento nella giungla dell’Africa nera. Non trovarono leoni, ma giovani operai che dopo la sanatoria Martelli (Legge 39/90) avevano risalito lo stivale dalle precarie sistemazioni irregolari nel Meridione per cercare lavoro nelle aree industriali del Nord. L’allora fiorente distretto meccanico bolognese li assorbì senza fatica nelle fabbriche dell’hinterland, ma accoglierli nel tessuto sociale della città era un altro paio di maniche: il nome dell’associazione vuole ricordare infatti il soggiorno sotto il ponte (sulla ferrovia) di via S. Donato che per molti di loro era stata una tappa obbligata in quei primi anni ‘90.
Le prime attività svolte all’interno del centro furono culturali: cineforum, pionieristici corsi di informatica e cene marocchine per conoscersi. Soprattutto l’aiuto nella ricerca della casa, principale bisogno del momento (diversi ospiti finirono per abitare lì per tutti i 13 anni in cui le baracche rimasero in piedi!), per partecipare ai bandi per le case popolari e altri servizi di “segretariato sociale”.
Con l’arrivo massiccio delle famiglie, nella seconda metà degli anni ‘90, i bisogni si differenziarono: serviva la mediazione linguistica nelle scuole e le famiglie desideravano un sostegno alla lingua araba per i propri figli nel tentativo di mantenere una connessione con la propria posterità. Il bisogno era talmente diffuso che nei primi anni 2000 presso il Centro interculturale Zonarelli si moltiplicarono esperienze autogestite di corsi di lingue d’origine per bambini: oltre all’arabo, proposto ormai da diverse associazioni, tamil, igbo, wolof, tigrino, amarico, russo, ceco, polacco. Sopra i ponti guidò il coordinamento di queste esperienze e crediamo che tale lavoro di rete sia stato importante per dare riconoscimento culturale e politico ai migranti e alle loro istanze. Una costante della nostra attività è infatti il tentativo di costruire spazi e strumenti che permettano agli stranieri di auto-rappresentarsi, partendo dal loro punto di vista, ma cerchiamo di farlo anche coinvolgendo attori del mondo culturale come testimoniato ad esempio dal libro, esito di un laboratorio di narrazione a fumetti, Il mio viaggio fino a te, e promovendo occasioni d’incontro a partire dai temi significativi per i migranti, come la festa dell’Aid al Adha per tutti, che abbiamo fatto per dieci anni.
La scoperta della cooperazione allo sviluppo
Tra il 2004 e il 2006 circa la relativa stabilizzazione della diaspora marocchina permetteva di ricominciare a guardare al Paese d’origine in un logica di “restituzione”. Stante la prospettiva marcatamente collettiva e interessata alla trasformazione sociale della nostra Associazione e in particolare del suo leader storico, Mohamed Rafia Boukhbiza, tale tendenza sfociò in un interesse per la cooperazione allo sviluppo. Ma fu solo nel 2008 che prese forma il primo vero e proprio progetto di cooperazione, grazie, soprattutto, al supporto dell’Associazione Mani di Parma che mise a disposizione la sua importante esperienza. Nel 2008 la Regione Emilia-Romagna aprì il suo bando per la cooperazione decentrata alle associazioni di migranti e partecipammo, ottenendo un finanziamento. Il progetto “Dal deserto all’oceano” puntava alla valorizzazione turistica di alcuni villaggi del sud del Marocco (regione Souss-Massa) da cui provenivano diversi nostri soci. Si trattò della prima e unica volta in cui un’associazione di migranti ha ottenuto direttamente un finanziamento per la cooperazione decentrata della nostra regione: successivamente, infatti, la crisi economica determinò una generale riduzione dei fondi alla cooperazione decentrata e una conseguente chiusura degli spiragli di sperimentazione che si erano aperti nella gestione, ritornando a premiare il “sistema” delle Ong locali, quali imprese accreditate del settore.
La Regione, in verità, continuò a puntare, almeno a parole, sulla partecipazione dei migranti, ma, considerati i requisiti richiesti, che di fatto tagliavano fuori le piccole realtà di outsider come la nostra, l’unica forma di partecipazione possibile era nella veste subalterna di partner di una Ong titolare di progetto. Tentammo per alcuni anni quella strada, prima di abbandonarla a causa della sensazione di essere un partner tollerato solo per compiacere i desiderata della Regione, in assenza di una reale volontà di comprendere il punto di vista dei migranti e di riconoscere ad essi delle potenzialità complementari a quelle dei “professionisti della cooperazione”. Dobbiamo tuttavia riconoscere che alcune esperienze di partenariato con una Ong calabrese sono state molto più positive e basate su una relazione più paritaria rispettosa.
Fu in quegli anni che imparammo a conoscere e a riconoscerci nel modello del “cosviluppo”, ben rappresentato dalla pionieristica organizzazione franco-marocchina Migrations&Développement, nata nel 1986.
Il Turismo come risorsa per uno sviluppo sostenibile
Tutto cominciò con un viaggio ormai entrato nella leggenda: nel gennaio 2008 portammo in Marocco, destinazione Smira, un villaggio nel comune di Foum Zguid, nelle aride colline dell’Anti Atlante, due autobus dismessi dall’ATC, l’Azienda di trasporto pubblico bolognese (ora Tper). L’operazione, gestita dal presidente Boukhbiza, era stata fortemente voluta dai nostri soci originari di quel villaggio in via di abbandono, affinché i ragazzi del villaggio potessero frequentare la scuola media ubicata nel capoluogo, a 14 Km di distanza.
Gli autobus azzurri partirono col traghetto da Genova e attraversarono tutto il Marocco, da Tangeri all’estremo sud. La spedizione fu seguita da una decina di amici italiani, tra cui la presidente di Mani di Parma, tutti rappresentativi di realtà culturali, associative e antirazziste e perfino da una piccola troupe di documentaristi parmensi. Ad ogni tappa – Casablanca, Marrakech, Aglou (Tiznit), Akka (Foum Zguid) –, venivamo accolti da associazioni segnalateci dai loro compaesani emigrati a Bologna, cominciando così a tessere l’embrione di una rete transcontinentale che ancora oggi innerva le nostre attività. Ogni associazione a sua volta inviava delegati ad unirsi alla spedizione cosicché, in pratica, i due bus arrivarono a pieno carico a destinazione, dove la variopinta ciurma fu accolta con tutti gli onori in una festa memorabile e – scavalcando visibilmente le autorità locali – consegnò all’associazione del villaggio i due mezzi in dono.
Strictu sensu, la spedizione fu un fallimento, perché gli autobus non accompagnarono mai neanche uno scolaro: infatti per organizzare un servizio di trasporto scolastico servono non solo i mezzi, ma anche le strade e qualcuno (solitamente il comune) che paghi gli autisti, il carburante e la manutenzione e qui non c’era nulla di tutto questo. Gli emigrati non avevano pensato a questi aspetti e alla fine gli autobus furono venduti a una società sportiva di Agadir. Ma la suggestività dei luoghi, il fascino delle tradizioni contadine ancora vitali e soprattutto il calore dell’accoglienza ricevuta e la speranza percepita negli occhi della gente, parlavano inequivocabilmente di una potenzialità turistica straordinaria.
In quell’anno quindi Mohamed Rafia Boukhbiza organizzò e accompagnò due gruppi di amici a visitare quegli stessi luoghi confermando ogni volta la magia dell’incontro, cosicché decidemmo di prendere contatti con l’agenzia di turismo responsabile Coop Viaggi e Miraggi onlus che poi è diventata il nostro partner storico. Nel 2012 un ospite d’eccezione, il regista bolognese Pietro Floridia, ha ripercorso l’itinerario in un viaggio esperienziale animato da laboratori teatrali, che ha raccontato nel suo libro Teatro in viaggio.
Il Turismo Responsabile
Negli ultimi anni si parla molto di Turismo Responsabile (TR), ma non è facile darne un definizione precisa ed esaustiva. Wikipedia elenca i seguenti sei criteri che aiutano a situarlo:
- rispetto e salvaguardia dell’ambiente e in particolare dell’ecosistema, della biodiversità, con minimizzazione dell’impatto ambientale delle strutture e delle attività legate al turismo;
- rispetto e salvaguardia della cultura tradizionale delle popolazioni locali;
- requisito di consenso informato da parte di tali popolazioni sulle attività intraprese a scopo turistico;
- dove possibile, partecipazione attiva delle popolazioni locali nella gestione delle imprese ecoturistiche;
- condivisione di un’esperienza più completa per il turista grazie al rapporto diretto con la comunità locale e a una migliore conoscenza della sua cultura.
- in ogni caso, condivisione con esse dei benefici socio-economici derivanti dal turismo.
In buona sostanza il TR, nato dalla consapevolezza dello squilibrio negli scambi tra nord e sud del mondo promossa dal movimento del commercio equo, si propone come una pratica che punta sulla relazione tra persone e territori e cerca di evitare o ridurre al minimo gli aspetti di consumo (di territori, ecosistemi, culture). È evidente poi quanto strettamente tali criteri siano intrecciati con gli obiettivi di sostenibilità dell’agenda 2030, quando parlano di tutela dell’ambiente, dignità del lavoro e parità di genere.
Ma se sulla teoria sono tutti d’accordo, è evidente che i problemi sorgono quando si tratta di metterla in pratica. Dal nostro canto, l’adesione ai princìpi si concretizza in uno stile di viaggio e in alcune pratiche precise: i gruppi di viaggiatori sono sempre piccoli, orientativamente sotto le dieci persone, altrimenti è impossibile favorire la relazione; i viaggiatori vengono preparati con una riunione pre-viaggio e sono sempre accompagnati da un mediatore culturale locale che facilita il dialogo; si promuove il soggiorno “in famiglia” quando possibile, e in alternativa si scelgono strutture ricettive piccole, di proprietà rigorosamente locale, possibilmente sensibili agli aspetti di impatto ambientale per quanto riguarda la gestione dei rifiuti e il ciclo dell’acqua; per i trasporti interni si scelgono aziende locali o trasporti pubblici; anche le comunità di villaggio che accolgono i viaggiatori non sono lasciate sole nell’impatto con il visitatore straniero ma vengono formate sia per quanto riguarda gli standard alberghieri sia per gli aspetti culturali; gli itinerari prevedono incontri di conoscenza con micro-progetti di sviluppo locale come le cooperative femminili artigianali e agroalimentari e i viaggiatori vengono incoraggiati a fare acquisti presso di loro anziché nei bazar commerciali dei centri cittadini.
È chiaro però che molti aspetti problematici rimangono, a partire dall’utilizzo quasi inevitabile dei voli aerei internazionali per finire con l’uso dell’acqua minerale in plastica, necessario per prevenire possibili disturbi intestinali.
Ma la problematica più grande è lo spettro del greenwashing, ossia l’utilizzo strumentale dei temi ambientali per fare business. Il Marocco è sicuramente all’avanguardia sul terreno dell’eco-turismo: sul fronte privato si assiste a un aumento vorticoso dell’offerta di strutture e pacchetti che puntano sull’interesse naturalistico (ad esempio il bordo marocchino del grande Sahara è ormai costellato di bivacchi e eco-lodge che vendono nottate sotto le stelle e escursioni tra le dune con la densità dei “bagni” sulla costa romagnola!) e parallelamente dal fronte statale viene un forte incoraggiamento in termini di incentivi fiscali e promozione, ma non è sempre tutto oro quello che luccica: noi constatiamo che l’eco-turismo viene spesso scelto come scorciatoia per scavarsi una nicchia di mercato, non per una reale sensibilità ambientale.
La cooperativa Asdikae bila Houdoud (Amici senza Frontiere)
Nel febbraio 2018, a dieci anni tondi da quel primo leggendario viaggio in autobus (sottolineo le date perché si possa apprezzare quanto tempo richiedano questi processi, che possiamo considerare di trasformazione sociale), dal connubio tra Sopra i ponti e ViaggieMiraggi è nata la coop Asdikae bila Houdoud (Amici senza Frontiere), nel corso di un progetto di sviluppo turistico e di commercio equo portato avanti insieme alla Ong calabrese GAO Cooperazione internazionale.
La cooperativa, di diritto marocchino, nasce con l’obiettivo di gestire operativamente le attività di TR in Marocco. Aggrega infatti inizialmente il gruppo dei mediatori culturali, persone con una storia di migrazione in Italia che accompagnano i viaggiatori mettendo a frutto le competenze apprese all’estero, soprattutto la lingua italiana e la conoscenza della mentalità e dei pregiudizi del pubblico italiano, e comincia ad internazionalizzare le attività di prenotazione dei soggiorni, poi di programmazione degli itinerari e infine di formazione delle comunità rurali che fanno accoglienza, attività in precedenza svolte da personale di ViaggieMiraggi, in parte da remoto e in parte attraverso missioni ad hoc, in genere nel quadro di progetti.
Nel 2019 si apre al pubblico francese grazie al partenariato con l’agenzia parigina di turismo responsabile Double Sens nel quadro di un progetto di cosviluppo premiato dall’OIM, ingloba alcuni/e mediatori e mediatrici per la lingua francese, passaggio cruciale per aumentare sensibilmente le presenze (da meno di 100 nel 2018 a più di 250 nel 2019) e investe tempo e denaro nella valorizzazione dei prodotti agroalimentari d’eccellenza delle piccole cooperative della rete, in particolare il celebre olio di argan, attività-corollario del TR, a cui Sopra i ponti aveva sempre prestato attenzione, ma come ente non profit non aveva mai potuto realmente sviluppare. La cooperativa si pone quindi come cerniera tra il mondo rurale del Marocco, custode di importanti tesori culturali, ambientali e di saperi, ma penalizzato dall’isolamento. L’emergenza pandemica ha ovviamente interrotto il percorso di crescita, ma le potenzialità legate alla valorizzazione virtuosa del Marocco rurale rimangono.
La diplomazia dal basso della diaspora
Molto si potrebbe aggiungere dell’evoluzione delle attività a Bologna, con i corsi di arabo per bambini e di italiano per le mamme e lo sportello di tutela dei diritti, ma mi sembra significativo concludere questo lungo racconto con l’episodio che più di tutti evidenzia la parabola percorsa dal lontano inizio “sotto il ponte di S. Donato”: l’incontro dei sindaci di Bologna e di Meknes, Virginio Merola e Abdellah Bouanou, avvenuto nella città imperiale marocchina il 14 dicembre scorso.
L’incontro era finalizzato ad attivare un gemellaggio tra le due città e incluso dal comune di Bologna nel progetto di cooperazione decentrata Medvilles di cui è capofila, nell’ambito della propria politica di relazioni mediterranee, ma gli uffici comunali avevano difficoltà a mettersi in comunicazione con la controparte marocchina, poco abituata ai rapporti internazionali. Se il contatto, dopo mesi di tentativi, ha avuto successo è stato solo grazie al ruolo di facilitazione svolto dai migranti di Sopra i ponti, ormai partner ufficiale del proprio comune, che si sono attivati per presentare la proposta agli amministratori di Meknes come veri e propri ambasciatori dal basso.
Credo che questa immagine illustri bene le potenzialità della diaspora, in cui la nostra Associazione ha sempre creduto anche quando intorno a sé incontrava più pregiudizi che conferme.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
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Antonella Selva, socia fondatrice e membro del comitato direttivo di Sopra i ponti, ha collaborato alle trasmissioni di informazione della emittente locale Radio Città 103 (oggi Radio città Fujiko) dal 1989 al 1997, è stata consigliera comunale a Bologna dal 1992 al 1999 per Rifondazione comunista. Dalla fine degli anni 80 si interessa al tema dell’immigrazione e partecipa al movimento antirazzista e pacifista. Approfondisce la conoscenza degli squilibri nord-sud con viaggi di conoscenza e cooperazione in Nicaragua (1992 e ’93), marcia della pace a Sarajevo del beati costruttori di pace (dicembre 1992), Iraq (1993), Palestina (1990, 1994), Kurdistan (1994), Libia (1995). Lavora come impiegata presso la Ausl di Bologna e scrive e disegna fumetti: ha pubblicato due graphic novel (Femministe, 2015, e Cronache dalle periferie dell’impero, 2018) e due racconti brevi a fumetti contenuti in pubblicazioni collettanee (Alla ricerca della sua terra, 2012, e Come il Titanic, 2013).
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