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Una Sicilia in divenire nello sguardo di Piovene

 

9788845293436_0_536_0_75di Antonino Cangemi

Una Sicilia in divenire, quella degli anni Cinquanta, pronta a girare le spalle al passato e ad abbracciare il futuro. Così l’Isola appare a Guido Piovene quando nel 1956 la visita, percorrendola in lungo e in largo con l’acume del sociologo, la curiosità dello scrittore, il puntiglio del cronista e il gusto dell’esteta. Lo scrittore e giornalista (al ‹‹Corriere›› divise la stanza con Montanelli e Montale) vicentino, premio Strega nel 1970 col romanzo Stelle fredde, dal 1953 al 1956 attraversò tutta la Penisola, partendo da Bolzano, per conto di Radio uno.  Di quel tour rimangono le registrazioni della sua voce alla radio e, soprattutto, Viaggio in Italia, un voluminoso libro più volte edito che rimane ancor oggi un impareggiabile reportage giornalistico. Nelle più di 870 pagine (nei tascabili di Baldini Castoldi Dalai) ben 76 sono dedicate alla Sicilia che, ai suoi occhi, tra le regioni di un Sud tuttora in bilico tra ataviche miserie e nuovi orizzonti, è quella che più incarna l’ansia di cambiamento.

Il suo viaggio in Sicilia comincia da Messina, che definisce ‹‹brillante, graziosa e vivace›› grazie alle ricostruzioni dopo i devastanti terremoti dettate dalle leggi antisismiche che l’hanno resa ‹‹ariosa›› e ‹‹spaziosa››. Dei suoi monumenti l’incuriosisce il Duomo e il campanile con il suo stupefacente orologio meccanico che gli rivela la ‹‹predisposizione all’americanismo››, e cioè al sensazionale, esistente in Sicilia.

Taormina, anni 50

Taormina, anni 50

Dopo avere ammirato Taormina (‹‹si hanno giorni a Taormina nei quali la luce dorata e il paesaggio senza pecche infondono anche in chi li guarda un orgoglioso sentimento di sublimazione…››), il santuario di Tindari, i mosaici della Cattedrale di Cefalù, Piovene giunge a Palermo. È Palermo la città più di tutte ‹‹in cambiamento››, tanto da chiedersi ‹‹come sarà tra una cinquantina d’anni››. ‹‹Un serbatoio di fantasia››, Palermo, nella sua anima araba, come diventerà quando, l’estro congiungendosi con la tecnica, metterà in atto le potenzialità inespresse? Quell’immenso patrimonio di palazzi settecenteschi trasandati rifiorirà nella sua ‹‹potenza signorile›› tramite un accorta operazione di restauro? Costruzioni moderne e grattacieli convivranno con l’architettura arabo-normanna e barocca?

A Palermo, il teatro dei pupi gli appare in declino ma espressione del carattere sanguigno di certa sicilianità riscontrabile nella parte occidentale e ‹‹il ciclo di re Artù diventa la proiezione della mafia››.

Palermo, anni 50

Palermo, anni 50

Palermo è il centro politico della Sicilia, sede del governo e dell’Assemblea della Regione, ‹‹organo giovane, confuso, iperbolico, ma vitale…›› che ‹‹ha ereditato perfino la tendenza fastosa della Sicilia››. È una Regione animata da importanti propositi, come gli rivela un politico con cui s’intrattiene. Alcune riforme sono già state avviate, come quella agraria, altre sono in cantiere o stanno per decollare, e si punta sul turismo e su una industrializzazione che sfrutti le risorse dell’Isola. ‹‹Il mutamento delle cose è veloce, ma quello dei caratteri lo è maggiormente. Prima il siciliano trovava compenso alla sua povertà in una fantasia di regalità pittoresca. Ora mette in disparte la regalità isolana, e smania di entrare nel circolo della vita delle regioni tecnicamente progredite››, così gli parla un politico siciliano (Giuseppe Alessi, in quell’anno a capo della Giunta?).

Piovene affronta anche la spinosa questione della mafia che circoscrive solo a Palermo, Agrigento e Trapani (‹‹il Siracusano, il Catanese e il Messinese ne risultano quasi immuni››). La mafia è legata all’agricoltura e al latifondo e con la riforma agraria, colpendosi quest’ultimo, potrebbe risentirne. La mafia, per Piovene, può essere debellata ‹‹col progresso sociale›› e, nel suo nesso con la cattiva politica, ‹‹quando tutti i siciliani saranno divisi secondo opinioni politiche, non secondo clientele››. 

Catania, anni 50

Catania, anni 50

In una Sicilia che guarda al Nord, Catania, ‹‹mescolanza tra Milano e Marsiglia››, è al primo posto per spirito e iniziative imprenditoriali. La via Etnea, piena di negozi tra i più eleganti d’Italia, ‹‹fa pensare perfino a Broadway››. La gente che vi si affolla è vestita alla moda e fa discorsi che a Palermo è raro sentire: parla d’affari come in una città del Nord. A Catania, a differenza che a Palermo, si è andata formando una borghesia laboriosa e dinamica. Nel Catanese sorgono industrie e lungo le coste agrumeti in cui prevale la coltura degli aranci (mentre alla Conca d’Oro primeggiano i limoneti). L’Etna vi fa da sfondo: se Vesuvio ‹‹ha un andamento regolare, abitudinario››, il vulcano siciliano ‹‹è imprevedibile›› e ‹‹intimidisce››.

Siracusa fa scoprire una ‹‹Sicilia più tranquilla››. È uno dei centri archeologici di maggiore richiamo ed evoca miti e leggende dell’antichità classica. Sul Duomo, al centro dell’isola di Ortigia, Piovene scrive: ‹‹È l’esempio più straordinario e suggestivo ch’io ricordi di antico tempio divenuto chiesa cristiana››. A Siracusa si moltiplicano gli scavi archeologici e il sovrintendente s’imbatte nei frequenti conflitti tra Stato e Regione che rallentano i lavori come anche deve fare i conti, da un lato, con l’esiguità di fondi per l’ordinaria amministrazione e, dall’altro, col flusso di denaro per restauri da gestire.

Pure il Siracusano, come il Catanese, è investito da rilevanti iniziative economiche: sono sorti due nuovi cementifici, una centrale dell’ortofrutticola e la raffineria di Augusta ‹‹è tra le più moderne non soltanto in Italia››.

siracusa-corso-umberto-e-palazzo-inail-anni-50Da cultore di architettura, l’autore di Lettere di una novizia ammira il barocco di Noto: ‹‹È un barocco diverso da tutti, che si sposa al palmiglio, assimila la pietra al pennacchio ed al ciuffo, pregno di elementi arabi e di elementi bizantini, tutto fantasia e sangue, senza un momento di freddezza››.

Ragusa, che si affaccia in un paesaggio che assomiglia a quello della Terra Santa, è ‹‹una tra le più belle cittadine della Sicilia››. Da un lato vi è la città antica, l’aristocratica Ragusa Ibla in cui ‹‹gli intermezzi barocchi portano una nota estrosa, un respiro, una breve fuga dal sublime al capriccioso››, dall’altro la città moderna, vivace e intraprendente, specie da quando è stato scoperto il petrolio, sebbene rimanga la necessità di sfruttarlo come si deve risolvendo i problemi del trasporto e realizzando industrie locali.

Gela, anni 50 (ph. Giuseppe Leone)

Gela, anni 50 (ph. Giuseppe Leone)

A Gela Piovene è colpito dal ‹‹più bel muro trasmessoci dall’antichità›› e nel museo, non ancora aperto al pubblico, incontra un singolare archeologo, il romeno Adamestano, da tutti conosciuto come Don Bastiano. Don Bastiano ha un solo interesse: gli scavi, vive per essi, dormendo dove capita e mangiando cibi in scatola e cipolla. Prima lavorava a Piazza Armerina e bivaccava tra i resti archeologici fino a quando non gli hanno regalato una tenda. Si racconta che un contadino, prendendolo a cuore, per ripararsi gli aveva ceduto il casotto del proprio maiale che, per vendetta, vi fece irruzione sbranando i suoi vestiti e la sua biancheria. A Gela Don Bastiano dorme in un angolo del museo. Don Bastiano gli espone la sua tesi sui siciliani afflitti da megalomania. In Grecia non si sarebbero mai sognati di realizzare complessi archeologici grandiosi come quelli di Selinunte e Agrigento né avrebbero mai collocato 50 vasi in una sola tomba. La Sicilia è ‹‹la terra del ricco e del colossale››, come l’America lo è oggi per noi, con un gusto per la magnificenza e l’eccesso, manifestato successivamente nel barocchismo.

A Piazza Armerina un’altra perla dell’Isola: la Villa del Casale con i suoi mosaici romani ‹‹eseguiti probabilmente da maestranze africane importate››. La loro protezione dalle intemperie atmosferiche, i mosaici essendo esposti all’aperto, pone uno dei più grossi problemi alla sovrintendenza di Siracusa.

Sicilia, area interna, anni 50 (ph. Rudolph Pettalozzi)

Sicilia, area interna, anni 50 (ph. Rudolph Pettalozzi)

Piovene prosegue il suo tour nella Sicilia interna, quella più povera, meno fertile e più rocciosa. Anche qui, come a Palermo e nel Palermitano, prevale il latifondo e il latifondo richiama la mafia. È la Sicilia dello zolfo di cui Caltanissetta, sede del Distretto Minerario, costituisce il cuore pulsante. Pure l’Agrigentino è terra di zolfatare e fa parte della Sicilia col più alto tasso di disoccupazione e con l’agricoltura latifondista più arretrata. Piovene analizza le ragioni della crisi dello sfruttamento dei giacimenti di zolfo: i proprietari delle miniere, o almeno alcuni di loro con cui Piovene s’intrattiene, sono consapevoli della necessità di modernizzarle e di renderle competitive, ma vi si frappongono tanti ostacoli.

Nell’ultima parte del capitolo dedicato alla Sicilia, Piovene si sofferma prima sui templi di Agrigento e Selinunte e poi su Trapani e la sua provincia. È più bella Agrigento o Selinunte? Comparazione oziosa per Piovene che comunque mette in risalto la suggestione romantica dei templi selinuntini (allora non era stato ancora ricostruito il tempio E) che si presentano come un ammasso di rovine sulla sabbia non contaminate da paesaggi urbani moderni: ‹‹Unico non imminente pericolo la spiaggia balneare di Marinella, ancora embrionale e fuori del quadro››.

Il complesso archeologico di Agrigento gli stimola altre riflessioni sulla delicatezza delle funzioni esercitate dai sovrintendenti nei quali ‹‹il carattere è necessario…almeno quanto la dottrina››. Il sovrintendente di Agrigento si è dovuto battere contro la costruzione di una centrale del latte tra i templi e altre aggressioni sono dietro l’angolo: i tentativi di speculazione edilizia da parte dei privati. È questa un’intuizione che precorre i tempi: negli anni ’80 Vincenzo Tusa riesce a opporsi a un faraonico e pericoloso progetto edilizio dei Salvo di Salemi – che avrebbe devastato l’area archeologica – facendo erigere una duna a protezione dei templi e delle superfici adiacenti.

Trapani, 1956

Trapani, 1956

Trapani ha un fascino tutto proprio per le saline ‹‹che dànno il tremolìo d’un miraggio››, l’Erice che la sovrasta, le isole Egadi che la circondano. Il monumento più notevole è il santuario dell’Annunziata in cui si mescolano diversi stili: moresco, normanno, gotico, rinascimentale. Nel museo Pepoli, oltre a un pregiatissimo dipinto di Tiziano, i presepi e le lavorazioni di corallo.

La provincia di Trapani vive di agricoltura e pesca ma vi si cominciano a insediare le industrie. La coltura predominante è quella della vite anche se il solo vino prodotto con lavorazioni industriali è il Marsala grazie agli inglesi che nel ‘700 realizzarono i primi insediamenti. A Castelvetrano e nei suoi dintorni si producono le migliori olive siciliane e Mazara del Vallo ‹‹è uno dei massimi centri pescherecci italiani››.

Piovene descrive con la maestria dello scrittore la ‹‹mattanza›› coi suoi rituali sanguinosi accompagnati da invocazioni religiose e con la lente del sociologo esamina la crisi della pesca e delle saline indicando i rimedi e i progetti in cantiere.

A conclusione del suo reportage si lascia sfuggire una considerazione dalla quale traspare tutto l’incanto che la Sicilia gli suscita: ‹‹Si vorrebbe essere venuti quaggiù come uno straniero, un viaggiatore distaccato, per vedere nella Sicilia solo una tra le più belle terre del mondo››.

A rileggere oggi le pagine di Piovene sulla Sicilia, a distanza di più di 60 anni da quando furono scritte, affiora l’amarezza per quel che sarebbe potuto e dovuto verificarsi e non si è verificato, per quel ‹‹divenire›› che si è arenato per tanti motivi, non ultimi gli sperperi e le cattive amministrazioni di una Regione ‹‹…organo confuso, iperbolico›› e per nulla ‹‹vitale››.     

Dialoghi Mediterranei, n. 56, luglio 2022

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Antonino Cangemi, dirigente alla Regione Siciliana, attualmente è preposto all’ufficio che si occupa della formazione del personale. Ha pubblicato, per l’ente presso cui opera, alcune monografie, tra le quali Semplificazione del linguaggio dei testi amministrativi e Mobbing: conoscerlo per contrastarlo; a quattro mani con Antonio La Spina, ordinario di Sociologia alla Luiss di Roma, Comunicazione pubblica e burocrazia (Franco Angeli, 2009). Ha scritto le sillogi di poesie I soliloqui del passista (Zona, 2009), dedicata alla storia del ciclismo dai pionieri ai nostri giorni, e Il bacio delle formiche (LietoColle, 2015), e i pamphlet umoristici Siculospremuta (D. Flaccovio, 2011) e Beddamatri Palermo! (Di Girolamo, 2013). Più recentemente D’amore in Sicilia (D. Flaccovio, 2015), una raccolta di storie d’amore di siciliani noti e, da ultimo, Miseria e nobiltà in Sicilia (Navarra, 2019). Collabora col Giornale di Sicilia e col quotidiano La ragione.

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