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Una comunità, la mafia e i media

Castelvetrano manifestazione degli studenti

Castelvetrano, manifestazione degli studenti

di Francesco Saverio Calcara

A che serve dire, anche e soprattutto dopo la cattura del superlatitante, che non è giusto infilare nel tritacarne mediatico tutta una comunità (due, se si vuole, quella di Castelvetrano e quella di Campobello) tacciata di essere omertosa, reticente, quando non chiaramente collusa con la mafia? Mentre emergono inquietanti interrogativi sulle coperture ad altissimo livello di cui Messina Denaro avrebbe goduto, i media continuano a inseguire ingenue vecchine da umiliare o rimbambiti con coppola d’ordinanza, appositamente ricercati sempre negli stessi posti e sempre nei soliti bar, da cui farsi ripetere il solito mantra su Cosa Nostra e sul mito del buon Matteo.

Al contrario, nessuno si accorgeva dei cittadini, fra cui tantissimi giovani, che sfilavano a Castelvetrano, in tempi non sospetti, quando il latitante era ancora tale e di conseguenza potente e pericoloso, condannando certamente la mafia (“Sono castelvetranese e non sono mafioso”) ma protestando anche contro chi si accaniva su una città lasciata nel più totale abbandono, privata dei servizi essenziali (quelli sanitari, in primis), mortificata da un commissariamento di cui ancora oggi non si conoscono le ragioni, sottoposta a un dissesto finanziario che poteva forse essere evitato, dove centinaia di lavoratori hanno sperimentato il dramma della disoccupazione conseguente al fallimento delle imprese confiscate giustamente ai mafiosi ma amministrate in modo disastroso dallo Stato.

Ed ecco che un minuto dopo la notizia, per noi liberatoria, della cattura del boss, si è scatenata l’antimafia da salotto, quella che porta in processione gli eroi morti ammazzati a mo’ di trofeo e si prepara a celebrarne di nuovi. Perché in fin dei conti ciò che conta è realizzare una grande parata, cui possano presenziare ben vestiti e sempre pronti a regalarci una faccia da circostanza, esperti e opinionisti in servizio permanente effettivo, tanti professoroni accigliati e col ditino alzato, che sanno e giudicano tutto e tutti.

Fra questi, emblematica, l’inviata in impermeabile giallo e bassotto al seguito. A me non è piaciuto che la Petix sia ritornata a Castelvetrano e poi a Campobello col famigerato cartello, a chiedere alla gente per strada di farsi un selfie dimostrativo. E adesso tento di spiegare perché, se l’avessi incontrata, nemmeno io avrei acconsentito a farmi immortalare con lei, anche se, bontà sua, questa volta non siamo stati del tutto bocciati, ma, per così dire, rimandati a settembre. 

Le avrei ricordato innanzitutto che quella frase – la mafia fa schifo – campeggiava a Palermo in centinaia di manifesti commissionati da un presidente di regione che poi si fece qualche annetto di galera per concorso esterno con la criminalità organizzata. Le avrei detto poi che non si può venire nella mia città a fare la maestrina che costringe il discolo scolaretto a scrivere cento volte sul quaderno una frase edificante per dimostrare di essersi pentito e di voler tornare a fare il buono.

Avrei cercato di farle capire che né io né la stragrande maggioranza dei miei concittadini abbiamo nulla da farci perdonare, le avrei ricordato che, come detto, in molte occasioni in tanti abbiamo sfilato per le vie della nostra città e abbiamo gridato chiaramente il nostro no alla criminalità organizzata; in tanti ci siamo spesi nelle scuole nei progetti di educazione alla legalità; in tanti abbiamo avviato iniziative, laboratori, incontri allo scopo di affermare e fare crescere una sensibilità che mi piace definire di cittadinanza attiva, in un contesto dove molte vecchie incrostazioni certamente  permangono, ma nel quale tanti nuovi fermenti – come del resto in tutta la Sicilia dopo la stagione delle stragi – affiorano e si affermano.

Castelvetrano manifestazione degli studenti

Castelvetrano, manifestazione degli studenti

Peccato che allora né lei né tutti gli altri esponenti della grande stampa nazionale, che in questi giorni ci stanno massacrando, ci hanno degnato di un minimo di considerazione. Le avrei detto che, in ogni caso, non basta una foto per affermare la propria onestà, come non bastò a Riina la dichiarazione, resa davanti ai giudici, di essere un semplice agricoltore e non il capo di Cosa Nostra. Le avrei ricordato che l’antimafia si fa con i comportamenti, con i fatti concreti e non con le goliardate demagogiche e che, in ogni caso, lei, assieme a tanti altri, stavano nel posto sbagliato.

Ma davvero si può pensare che Castelvetrano sia la capitale della mafia, i cui abitanti vanno dunque trascinati sulla pietra del vituperio nazionale, a cui chiedere pubbliche, solenni, continue e telematiche attestazioni di fede legalitaria? 

Nell’era del villaggio globale, non è grottesco venire a cercare a Castelvetrano (o a Campobello) la “cappa” della mafia, quando oggi gli interessi di Cosa Nostra sono legati ai grandi traffici del riciclaggio, della droga, delle armi, dei clandestini, dei videogiochi, delle valute elettroniche, pare anche dell’eolico – quei “parchi” che hanno massacrato il nostro territorio – “affari” che si gestiscono per via telematica e che hanno probabilmente la loro sede nelle capitali della grande finanza?

Forse la Petix (o chi per lei) avrebbe dovuto chiedere la foto sotto altri palazzi e a gente incravattata e con grisaglie firmate, piuttosto che continuare nel patetico esercizio di scovare l’omertoso con la coppola o l’imbecille di turno, che ingenuamente o stupidamente si prestano alla trappola mediatica.

Stefania Petix a Castelvetrano

Stefania Petix a Castelvetrano

Diciamolo chiaramente, una volta per tutte: essere la patria dell’ex grande latitante non significa niente, come niente significa dire di essere la patria di Giovanni Gentile, o vantare i nostri monumenti, il paesaggio, Selinunte, Triscina e via ripetendo. Non serve a nulla, neppure, proclamare di essere persone per bene e farsi fotografare con un cartello al collo – lo dico con tutto il rispetto per chi lo ha fatto e le cui motivazioni comprendo – perché, nel nostro caso, nemmeno l’onestà personale è più sufficiente.

In una comunità avvilita, bersagliata e mortificata in ogni modo, occorre una forte ripresa della politica, che sia davvero strumento di selezione di una classe dirigente la migliore possibile e non tavolo di spartizione d’incarichi e prebende; una ripresa che passa inevitabilmente da una sorta di rivoluzione culturale alla quale le energie migliori di questa città non possono sottrarsi; una rivoluzione che lo Stato, in tutte le sue articolazioni, deve favorire e non ostacolare, giacché occorre seguire una delle idee fondamentali di Giovanni Falcone, quella per cui la mafia va combattuta innanzitutto sul piano culturale e del costume

Questo e altro ho cercato di argomentare ai vari inviati che ho incontrato; ma, ovviamente, parlando io un passabile italiano, e argomentando fuori dalla vulgata, le mie interviste, come già in passato, sono state inesorabilmente cassate. Francamente non mi aspettavo altro. 

Dialoghi Mediterranei, n. 60, marzo 2023

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Francesco Saverio Calcara, nato a Palermo, vive ed opera a Castelvetrano. Laureato in filosofia alla Cattolica di Milano, è docente emerito nei licei statali. Più volte assessore e consigliere comunale, ha riordinato gli archivi, storico e notarile, di Castelvetrano, ha contribuito alla ridefinizione della toponomastica cittadina, ed è impegnato in varie iniziative volte alla salvaguardia del patrimonio storico-artistico del territorio. Cavaliere costantiniano e accademico selinuntino, ha ottenuto svariati riconoscimenti ed è autore di diverse pubblicazioni di carattere storico e letterario, riguardanti la Sicilia e Castelvetrano in particolare, tra le quali si segnalano: Politica, società̀, economia a Castelvetrano tra XVIII e XX secolo (2005); La chiesa e il convento di San Domenico, con A. Giardina e V. Napoli (2015); Odissea di un reperto singolare. L’Efebo di Selinunte, con G.L. Bonanno (2019); La città palmosa. Una storia di Castelvetrano. II – Dalla guerra di successione spagnola (1701-1714) alla relegazione di Maria Carolina (1813), con A. Giardina, V. Napoli (2021).

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