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San Giorgio, antico patrono del Mediterraneo?

Icona di san Giorgio martire, Reggio Calabria

Icona di san Giorgio martire, Reggio Calabria

di Stefania Morreale

Il culto di San Giorgio è uno dei culti più diffusi all’interno di tutto il mondo cristiano, sia esso cattolico o ortodosso, e di quello musulmano. È una figura che rappresenta bene le mescolanze e le ibridazioni presenti nel Mediterraneo e può essere considerata un esemplare tramite tra religioni. Se per i cristiani si identifica nell’eroico guerriero guidato da Dio, capace di morire per tre volte e per tre volte risorgere, per i musulmani è Al-Khadr, ovvero il profeta verde, che compare nella sura XVIII in aiuto di Mosè.

San Giorgio è un personaggio misterioso, di cui si conosce veramente poco: nato intorno al 280 in Cappodocia, da padre persiano e madre cappadoce, viene educato alla religione cristiana. Si distingue presto per il suo valore e la sua forza nel combattimento e si arruola nell’esercito di Diocleziano in Palestina. Le politiche anticristiane dell’Imperatore però lo perseguiteranno, costringendolo a torture e prigionie. Proprio in questo contesto il santo sperimenterà un rapporto più intimo con Dio, conoscerà la morte e la resurrezione e compirà miracoli. La sua morte è fissata il 23 aprile (secondo il calendario giuliano) o il 6 maggio (secondo il calendario gregoriano) a Nicomedia e il suo sepolcro si trova a Lydda, in Israele. Durante il Medio Evo, più precisamente al tempo delle prime crociate, il santo diventa inoltre il protagonista della ormai celeberrima leggenda conosciuta come “San Giorgio e il drago”, in cui incarna il valore del bene assoluto che, affidandosi a Dio, sconfigge il male. Così dice la leggenda:

In una città della Libia vi era uno stagno tanto vasto da ospitare un drago, il quale col suo fiato poteva uccidere tutte le persone che incontrava; per placarlo, la popolazione locale inviava ogni giorno due pecore, ma quando gli ovini cominciarono a scarseggiare, gli mandarono una pecora ed un giovane scelto a sorte.
Un giorno fu estratta la figlia del re e il padre offrì il suo patrimonio e metà del regno, ma dopo otto giorni di ribellione da parte degli abitanti, il sovrano fu costretto a cedere e la principessa si avviò verso lo stagno.
In quel momento passò di lì il cavaliere Giorgio, che tranquillizzò la giovane e promise di intervenire per evitarle la morte. Non appena il drago emerse dalle acque, il cavaliere lo trafisse con la sua lancia e chiese alla principessa di avvolgere la sua cintura al collo del mostro, che iniziò a seguirla docile come un cagnolino. Non appena arrivati in città, gli abitanti osservavano atterriti la scena, ma il santo li tranquillizzò dicendo di non aver timore perché Dio lo aveva mandato per liberarli dal drago e, se avessero abbracciato la fede in Cristo, avrebbero ricevuto il battesimo e il mostro sarebbe stato ucciso. Allora il re e la popolazione si convertirono e il cavaliere uccise il drago e lo fece portare fuori dalla città trascinato da quattro paia di buoi. 

Varianti della leggenda parlano di dolcetti ricoperti da petali del fiore di sambuco usati come diversivo contro il mostro, o anche di roseti nati dal sangue del drago trafitto da San Giorgio.

La festa del santo viene celebrata il 23 aprile o il 6 maggio, a seconda dei calendari, ma esiste una regola ferrea che impedisce di celebrare la festa se questa precede la Pasqua. At Stavri Çipi, prete ortodosso albanese, spiega il perchè:

«Sarebbe impossibile per noi festeggiare San Giorgio prima di Pasqua, perchè questo implicherebbe il fatto di festeggiare durante la Quaresima. Così, se Pasqua cade dopo il 23 aprile, per alcuni, o il 6 maggio, per altri, siamo costretti a posticipare i festeggiamenti per il Santo» [1].
Paolo Uccello, san Giorgio e il drago, 1456

Paolo Uccello, San Giorgio e il drago, 1456

Il giorno di San Giorgio prevede momenti collettivi in cui mangiare, festeggiare e stare a contatto con la natura. Frequenti sono i pic-nic organizzati in onore del santo e la raccolta dei fiori di campo.  San Giorgio, come detto, rappresenta il santo del mediterraneo per eccellenza e riuniusce diverse confessioni religiose; questo fenomeno dà vita ai cosiddetti “santuari ambigui” che un tempo erano frequenti in tutto il Mediterraneo.

«Hasluck definisce  “santuari ambigui”  quelli che sono  “rivendicati e frequentati da entrambe le religioni”; a suo parere rappresentano uno “stadio di transizione  tra cristianesimo e bektashismo” e si trovano in località in cui in passato la popolazione era stata convertita» [2].

Non ci sono dati sufficienti per confermare l’ipotesi di Hasluck, infatti non necessariamente l’ibridazione confessionale indica un momento di transizione da una religione ad un’altra. Semplicemente queste figure sacre venerate trascendevano le appartenenze religiose e sociali.

La giornata di San Giorgio rappresenta un momento di condivisione tra confessioni religiose differenti e i fedeli, incuranti dell’appartenenza religiosa, si trasformano in una

«communitas, ponendosi fuori dalla società, in uno stato di liminalità in cui le regole della vita quotidiana sono in qualche modo sospese, rovesciate, uno stato che Turner ha definito anche “antistruttura”. La communitas appare quando gli individui [...] tessono legami comunitari intorno a pratiche di culto» [3]. 

In questo senso San Giorgio diventa il santo protettore della comunità, comprensiva di tutti gli abitanti, indipendentemente dalla loro fede religiosa, e si trasforma in collettore culturale e collante sociale in grado di favorire integrazione e solidarietà.

«Ci troviamo nel cuore dell’ambiguità del santo: chi protegge? O piuttosto, che cosa protegge? Né la comunità in quanto gruppo religioso esclusivo, né l’identità etnoreligiosa; sembra schierarsi piuttosto dalla parte del sincretismo, della mescolanza, della non esclusione, oppure della vita ai margini delle istituzioni e del potere ufficiale. E, in questo modo, si pone come protettore della comunità locale, dell’insieme degli abitanti di un territorio, in una continuità culturale con i grandi santi bizantini, la cui principale caratteristica era il radicamento locale intorno a un culto che li ha resi celebri e quindi efficaci»[4].

Tra la comunità turca dei bektashi San Giorgio è conosciuto con il nome di Hidrellez. Il nome deriva probabilmente dall’unione di due personaggi: Hidr, divinità preislamica della vegetazione, ed Elia, associato al sole. La sua festa si celebra il 6 maggio e il suo arrivo coincide con l’inizio della Primavera. Che il culto di San Giorgio derivi da culti pagani sembra essere confermato da una possibile interpretazione della leggenda aurea del santo, secondo la quale il Santo altri non è che la Primavera, mentre il Drago rappresenterebbe l’Inverno che divora bestiame e giovani fanciulli. Anche le varianti che parlano del fiore del sambuco e del roseto, avvalorano questa chiave interpretativa. Inoltre il personaggio presente nel Corano, Al-Khadr, il profeta verde, è indissolubilmente legato alla fertilità della vegetazione e la sua festa cade il 23 aprile e viene chiamata Festa di Lydda. I suoi santuari in Palestina sembrano essere situati esattamente in siti venerati dai crociati.  Lo stesso nome, Giorgio, proviene dal greco e significa agricoltore, colui che è legato alla terra [5].

 Khidr and Elijah, da un antico manoscritto persiano

Khidr and Elijah, da un antico manoscritto persiano

In Turchia, più precisamente nell’isola di Büyükada, la festa di San Giorgio è molto sentita e viene celebrata con un pellegrinaggio inter-religioso tra cattolici, ortodossi, musulmani e aleviti, alla chiesa ortodossa dedicata al Santo. Il 6 Maggio è una ricorrenza importante anche tra i Rom: è il Gurgevdan, giorno di San Giorgio. È una festa, anche questa volta, strettamente legata alla Primavera; all’alba le donne si lavano con acqua di sorgente e strofinano sul proprio corpo dei fiori e uova, come rituale di fertilità e salute. Una celebrazione simile è possibile ritrovarla in Serbia, il giorno di Đurđevdan che cade il 6 Maggio. In Kosovo, lo stesso giorno, migliaia di pellegrini di diverse fedi religiose si recano alla Roccia di Drahvco, luogo in cui, secondo le leggende popolari, si fermò un assetato e ferito San Giorgio dopo una lunga battaglia, insieme al suo cavallo. La leggenda vuole che l’animale, battendo gli zoccoli sulla roccia nera, ne fece sgorgare dell’acqua che li dissetò. Anche in Palestina, in un villaggio chiamato Al-Khader (come il profeta assimilabile a San Giorgio), si festeggia l’arrivo della Primavera con il sacrificio di un agnello e la raccolta di fiori di campo [6]. La metafora del bene, rappresentato da un eroe portatore di luce, che lotta contro il male, rappresentato da un drago portatore di tenebre, è presente anche nell’antica mitologia zorohastriana in Iran e si palesa chiaramente durante il Chaharshanbe Suri, la festa del fuoco, in cui si festeggia con falò e canti la fine dell’inverno e l’arrivo della Primavera [7]. San Giorgio sembra comparire anche tra le religioni para-sincretiche afro-americane, all’interno del mondo delle semidivinità Orisha, dove è identificato con Ogun, signore del fuoco, della caccia e naturalmente dell’agricoltura [8].

Piana degli Albanesi, la processione di San Giorgio

Piana degli Albanesi, la processione di San Giorgio

La festa di San Giorgio a Piana degli Albanesi

Piana degli Albanesi, in provincia di Palermo, rappresenta una delle più importanti comunità di arbëreshë in Sicilia. Il paese, nato a metà del XV secolo, è fortemente devoto a San Giorgio e la processione in onore del santo, il 23 aprile, è un avvenimento importante che coinvolge tutta la cittadinanza. Oltre che a una dimensione spirituale, l’evento favorisce coesione e solidarietà sociale e rimarca l’importanza delle strutture socio-culturali.

«È attraverso le feste che gli individui riproducono e riaffermano la propria identità, tanto individuale quanto collettiva, nella ricapitolazione dei valori  ideologici che la sostanziano e nella ripetizione  delle pratiche cerimoniali che la ostentano. È attraverso il discorso esplicitato dai simboli rituali che vengono rimesse in discussione, per essere periodicamente riconfermate, le categorie attraverso le quali gli uomini percepiscono la realtà, ribaditi i fondamenti su cui poggiano le strutture della società e le leggi che governano l’ordine naturale» [9].   

I festeggiamenti del santo patrono tengono occupati gli abitanti del paese per dieci giorni; già dal 14 aprile infatti si comincia una novena in onore di San Giorgio, e l’aria di festa è tangibile per tutta Piana. Nei tre giorni precedenti alla processione diverse sono le manifestazioni religiose e culturali che servono da preparazione al grande evento: un gruppo musicale arbëreshë si esibisce dentro la chiesa di San Giorgio, viene allestita la mostra dei mezzi agricoli e industriali, sfilano i cavalli che in seguito saranno benedetti e la giornata si conclude con uno spettacolo equestre.

È appena il caso di ribadire la presenza di elementi che sottolineano il rapporto uomo/agricoltura all’interno di questo periodo di festa: la benedizione di cavalli e la mostra di mezzi agricoli non fa che confermare la chiara correlazione che esiste tra il mondo contadino e quello sacro legato a San Giorgio. La cittadinanza è partecipe e vive il periodo di festa attivamente, collaborando alla realizzazione delle attività proposte. Ognuno degli abitanti sembra essere lieto di dare il proprio contributo e collabora inconsapevolmente a quel processo di ri-affermazione dell’ordine e dei ruoli sociali che si esplica nello svolgimento di prestazioni già definite per ogni gruppo sociale. Così le donne si occuperanno in maggior misura di preparare cibi tradizionali, i bambini parteciperanno ai giochi proposti, gli uomini saranno dediti dell’allestimento della rassegna dei mezzi agricoli e della preparazione dei giochi pirotecnici. I più devoti e i sacerdoti si dedicheranno alla preparazione della statua del santo e alle preghiere da recitare [10].

Il giorno della festa si apre con l’alborata e prosegue con funzioni liturgiche e performance della banda per il paese. Nel tardo pomeriggio i devoti si radunano davanti alla chiesa in cui è posta la reliquia e la statua del santo a cavallo e attendono l’inizio della processione. Una riflessione va dedicata alle spiccate similarità tra il Santo e l’eroe nazionale albanese Giorgio Kastriota Skanderbeg. Oltre al nome, entrambi i personaggi condividono caratteristiche fisiche e spirituali peculiari. Per quanto riguarda l’iconografia è possibile notare che sia il santo sia l’eroe vengono quasi sempre raffigurati a cavallo, con indosso una armatura militare e un mantello rosso, brandendo una spada la cui elsa era forgiata a forma di drago (nel caso di Skanderbeg) o una lancia (nel caso di San Giorgio). Inoltre sull’elmo del condottiero albanese c’era l’effige di una capra, animale strettamente legato alla pastorizia e alla terra.

Piana degli Albanesi in festa

Piana degli Albanesi in festa

Le notevoli doti guerriere e una spiccata devozione religiosa sono distintive delle due figure, così come i dolori e le sofferenze provate durante la vita. Sia San Giorgio che Skanderbeg incarnano il bene, nella sua accezione più assoluta, in perenne lotta contro il male, disposto a sacrificare se stesso per una giusta causa. Una volta preparata la statua l’eccitazione è palpabile e l’attesa viene ingannata con forti grida e canti, tutti in lingua arbëreshë, in onore di San Giorgio, insieme a scoppi di mortaretti, scampanii e musiche festose eseguite dalla banda del paese. Tutta la cittadinanza è coinvolta, ma in particolare  il Comitato di San Giorgio, composto da uomini che per tradizione non superano i ventisei anni, ha il compito di trasportare la statua equestre per le caratteristiche vie del paese, facendola oscillare ritmicamente in modo da simulare una danza. È al Comitato che spetta l’organizzazione della festa e per questi giovani uomini il lavoro comincia molto prima del mese di aprile. Far parte del Comitato rappresenta un grande onore e una importante responsabilità e garantisce l’acquisizione di uno status particolare rispetto agli altri abitanti della comunità. Gli  uomini del Comitato di San Giorgio sono vestiti tutti allo stesso modo, in maniera distintiva, con un abito scuro e una cravatta rossa.

«I movimenti, solo apparentemente incontrollati e in realtà codificati dalla tradizione, di danze e corse si presentano dunque, in tutte evidenza, come espressioni di energia vitale [...] Non a caso sono tradizionalmente i giovani maschi non coniugati, il nerbo della comunità, carichi di energie non altrimenti espresse, a correre e ballare per le strade dell’abitato [...] Ovunque abbia luogo, la danza della vara ha per protagonisti i giovani ed è accompagnata da simboli rituali che fanno evidente riferimento alla rigenerazione e alla fertilità della natura, alla ciclica rifondazione del cosmo» [11].
Piana degli Albanesi, la festa di San Giorgio

Piana degli Albanesi, la festa di San Giorgio

Il fercolo danza per rigenerare spazio e tempo, per permettere ai giovani uomini del paese di rilasciare una sorta di energia “erotica” strettamente legata alla fertilità vegetale. Il richiamo al mondo arboreo è sottolineato anche dagli addobbi riservati alla statua, che è decorata con notevoli quantità di fiori, in particolare rose. Molte sono le donne che durante la processione indossano i costumi e le acconciature tradizionali.

È un momento di grande festa e preghiera che unisce la comunità attorno al proprio patrono. La ripetizione, anno dopo anno, degli stessi eventi, delle stesse dinamiche, è funzionale alla coesione della comunità, permette di sospendere 

«il frazionamento reale o ideale del paese e dei suoi abitanti. La processione è momento di coesione e solidarietà all’interno della quale dal clero alle autorità civili, al priore della confraternita, all’ultimo dei fedeli, ciascuno è chiamato a fare la propria parte, a essere attore del rito [...] Nel ripetere ogni anno gli stessi gesti i fedeli rifondano la propria comunità, riconfermando nel contempo la propria appartenenza ad essa» [12].

La processione si conclude intorno alle ventitre, momento in cui il santo rientra in chiesa. A  mezzanotte circa cominciano gli attesissimi giochi pirotecnici. I fuochi d’artificio sono un elemento classico delle feste di paese e hanno la duplice funzione di espellere le forze negative e propiziare l’avvento del bene. Nella loro accezione più apotropaica, dunque, risultano essere di capitale importanza per la riuscita della festa.

«I fuochi pirotecnici sono sempre una componente essenziale dello spazio-tempo festivo. Essi, con le loro esplosioni, segnalano e qualificano gli episodi rituali animandoli e scandendone lo svolgimento, sottolineandone i momenti apicali, fungendo da indicatori di limiti spaziali e temporali. Limiti che sono sia metafisici che fisici» [13].

La festa di San Giorgio a Piana degli Albanesi si conclude il giorno successivo alla processione, momento in cui si esibiscono band locali e si partecipa ai giochi di memoria medievale. Piana torna così al tempo ordinario che era stato violentemente interrotto dal periodo festivo. La comunità si percepisce come più compatta e solidale, i pericoli di devianze e sovvertimenti dell’ordine sono arginati e come, ogni anno, non resta che ringraziare San Giorgio.

Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
Note
[1] Intervista condotta nel giugno del 2016
[2] Couroucli M., 2013,  “San Giorgio l’anatolico, signore delle frontiere”,  in Albera D., Couroucli M., I luoghi sacri ai monoteismi. Tra cristianesimo, ebraismo e islam, Morcelliana, Brescia: 141
[3] Ibidem: 129
[4] Ibidem: 147
[5] Ibidem
[6] Queste informazioni sono state estratta dall’intervista condotta con At Stavri Çipi
[7] Cristoforetti S., 2002, Il Natale della luce in Iran. Il SADA tra Baghdad e Bukhara tra il IX e il XII secolo, Milano, Mimesis Edizioni
[8] Nadali G., 2003, Strano ma sacro. Enciclopedia delle curiosità religiose, Milano, Lampi di stampa
[9] Lanternari V., 1983,  Festa, carisma, apocalisse, Palermo, Sellerio
[10] Una preghiera locale assai diffusa così recita: San Giorgio Cavaleri,/ vui a cavaddu e io a peri/ vui c’andastivu a lu livanti/ vui ca vinistivu a lu punenti/ sta grazia m’at ’a fari/ entru nenti./ Si è si, m’at ’a fari nzunnari /chiesa parata, vigna caricata o tavula cunzata./Si è no, m’at ’a fari nzunnari/ acqua currenti o focu ardenti.
 [11] Buttitta I., 2002,  La memoria lunga. Simboli e riti della religiosità tradizionale, Meltemi, Roma: 112-113
[12] Ibidem: 215-217
[13] Ibidem: 165
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Stefania Morreale, ha conseguito il Diploma di Laurea di Primo Livello in Comunicazione Interculturale presso l’Università degli Studi di Torino (2012) e, nella stessa sede, il Diploma di Laurea Magistrale in Antropologia culturale ed Etnologia (2015). È vice-presidente dell’Associazione Italo-Albanese, impegnata a promuovere politiche di cooperazione e scambi culturali tra Italia e Albania. È redattrice di Magazine Mediazione Interculturale.

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