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Religioni nella città plurale

23232di Francesco Gianola Bazzini [*]

Ormai più della metà della popolazione mondiale vive nelle città, centri veri e propri, o in aree urbanizzate. La crescita demografica nelle realtà urbane ha visto infatti nei decenni a cavallo del XX e XXI secolo una crescita esponenziale. Diverse le cause; da un lato il maggior appeal sia nella qualità della vita dovuta ai maggiori servizi, sia per le opportunità economiche che la città offre rispetto alle campagne anche alle popolazioni autoctone, dall’altro il fenomeno delle migrazioni transnazionali che si sono orientate per le medesime ragioni più verso i centri abitati che verso le zone rurali.

La città da realtà tutto sommato omogenea si è andata via via trasformando in realtà plurale. La religione è sicuramente il fenomeno più evidente di questo processo. La crescente secolarizzazione della società occidentale sempre più omologata su valori materiali, si è in un certo qual modo rivelata un foglio bianco in cui le nuove realtà etniche, culturali e religiose spesso più legate alla tradizione e alla spiritualità, hanno evidenziato a tinte forti la loro presenza, riscrivendo l’agenda delle priorità legate alla convivenza. Religione, anzi religioni come nuovo elemento di pluralità nella città. Il legame che la religione svolge quale collante identitario nei luoghi di approdo, porta i fedeli a ripresentare le proprie tradizioni, i propri riti e i propri costumi per sottolineare, anche inconsapevolmente, la propria identità. Di converso, ed è fenomeno meno evidente ma in crescita, le popolazioni autoctone riscoprono elementi della propria cultura e della propria fede. Un primo effetto quindi che le nuove identità hanno prodotto è la riscoperta di parte delle proprie radici nei residenti tradizionali.

Con uno sguardo rivolto alla realtà europea appare oggi evidente che vi è all’interno del Vecchio Continente la compresenza di diverse confessioni. La religione cristiana rimane maggioritaria pur se divisa tra le diverse linee di frattura che i numerosi scismi hanno determinato. Oggi però una parte della popolazione europea si professa induista, buddista, musulmana, permangono inoltre, nonostante la Shoah, consistenti nuclei ebraici. Il mutato quadro, in senso multiculturale, ci porta a dover rivedere l’approccio relazionale. L’esigenza di una maggiore e approfondita conoscenza comporta rapporti che si svolgono su di un piano diretto: nella città, nel singolo quartiere, nelle numerose attività commerciali gestite dai nuovi “cittadini” e negli stessi edifici abitativi.

Nello specifico in Italia e in particolare nelle città il profilo delle comunità risulta essere molteplice. Va quindi rivista l’immagine del Paese come unilateralmente cattolico. Il quadro delle confessioni religiose presenti in Italia appare infatti assai complesso, ed è frutto di un processo che inizia negli ultimi decenni del secolo scorso. Un processo, sviluppatosi in modo esponenziale, che in una prima fase riguarda soprattutto la direzione nord-sud con riferimento al Nord Africa, Africa subsahariana e Asia; in una fase successiva, in seguito al crollo dei regimi del blocco sovietico e l’ingresso di alcuni Paesi di quell’area nell’Unione Europea, i flussi migratori si intensificano in direzione est-ovest. Abbiamo pertanto una prima fase in cui la presenza religiosa cresciuta maggiormente è quella islamica, e una seconda fase quando prevalente è l’arrivo di immigrati di fede ortodossa.

Oggi si può affermare che i flussi migratori si sono stabilizzati rispetto alle diverse direzioni tali da coinvolgere ormai un quadro geografico molto più ampio che si spinge verso l’Estremo Oriente a est e verso il Sud America a ovest. Le molteplici presenze religiose hanno modificato sotto questo profilo il panorama sociale del nostro Paese: numerose le presenze delle comunità musulmane, unitamente ad un crescente afflusso di fedeli Sikh, Indu, Buddisti, Ortodossi dei patriarcati russi rumeni o di Costantinopoli ed inoltre fedeli delle Chiese pentecostali, cattoliche e animiste provenienti dai Paesi del Golfo di Guinea, unitamente alle presenze storiche di Valdesi, Testimoni di Geova ed Ebrei.

Roma, Quartiere Tor Pignattara (ph. Ilaria Moretti)

Roma, Quartiere Tor Pignattara (ph. Ilaria Moretti)

La città

Proprio nella città emerge un quadro eterogeneo dal punto di vista etnico, religioso e culturale. I nuovi spazi, così come oggi ci appaiono, favoriscono incontri ma anche contrasti fra le diverse comunità e comportano la progettazione di nuovi modelli di convivenza. Le modalità relazionali, unitamente ai costumi, al cibo, allo svolgersi delle pratiche religiose e alla progettazione architettonica degli spazi ad esse destinati presuppone una visione futura del tessuto urbano che deve essere il frutto di un processo interattivo e non integrativo, dal momento che non è più pensabile l’imposizione del modello unico. Dobbiamo prendere atto che esistono due tipi di approccio nelle relazioni intracomunitarie ed interetniche. Il primo lo si può definire immobile e immodificabile limitandosi a fotografare l’esistente con comunità chiuse e scarsissima capacità relazionale; il secondo dinamico e flessibile, in cui preso atto dell’esistente le antitesi vengono riportate a sintesi e ciascun elemento di confronto diventa un utile strumento per progettare il futuro, non solo materiale, degli spazi e delle relazioni.

Su questo piano assume un valore importantissimo il dialogo interreligioso che non può naturalmente se non superficialmente svolgersi su di un piano dogmatico, ma che deve invece focalizzarsi sui temi della coesione sociale, della partecipazione alla vita pubblica, della condivisione degli spazi, pena il perpetrarsi di ghetti in quartieri periferici degradati dove più facilmente si manifestano fenomeni identitari estremi e distruttivi. Indispensabile inoltre è il ruolo degli enti locali che, valorizzando le comunità di fede, creano le premesse, attraverso l’istituzione di organismi intermedi, per un dialogo costruttivo sul piano sociale e per la realizzazione di servizi alla portata per tutti, favorendo con il confronto la partecipazione allo spazio “pubblico”, fondamentale per ogni democrazia complessa. Il coinvolgimento delle diverse comunità è indispensabile per la cooperazione in diversi campi a partire dalla scuola, dalle strutture sanitarie e nelle carceri.

Come si delinea allo stato attuale la convivenza delle religioni nella nostra società ed in particolare nelle città, considerando che il fattore temporale delle migrazioni e la molteplicità etnica delle medesime influiscono in maniera non secondaria con riferimento all’interazione e al formarsi delle seconde generazioni e in un futuro, che è già attualità, delle terze generazioni? In generale possiamo affermare che chi professa un credo non appartenente alle radici giudaico-cristiane è portatore di culture molto diverse da quelle occidentali tradizionali, ciò determina un impatto e possibili ostacoli con gli ordinamenti giuridici dei Paesi di approdo. E questo è tanto più vero per chi proviene da Paesi in cui religioni, politica e Stato sono un tutt’uno difficilmente scindibile.

I cristiani non cattolici al contrario non manifestano particolare senso di esclusione. Non ci sono infatti prescrizioni molto differenziate in tema di etica, alimentazione, abbigliamento, simbologia, tali da creare problemi nell’utilizzo di strutture pubbliche, come le scuole ad esempio. Una sensazione di generale accettazione prevale sia come cittadini che come fedeli. L’appartenenza ad una religione dalle radici cristiane aiuta a creare affidamento e ad attenuare eventuali pregiudizi derivanti dalla propria provenienza geografica quali Romania, Moldavia, Nigeria ad esempio. Ciò non significa l’assenza di problematiche anche in riferimento ai fedeli dalle comuni radici, i cui Paesi di origine hanno conosciuto regimi politici assai diversi che hanno influenzato sia da un punto di vista valoriale che economico il proprio vissuto.

Un comune elemento che va considerato è che in un contesto profondamente globalizzato, in cui l’appartenenza nazionale d’origine si va sempre più sfumando, la religione diventa elemento marcatamente identitario. Va detto infatti, che se le origini etnico-nazionali danno vita a realtà in cui prevale la lingua o il dialetto unitamente agli usi e consuetudini originari, al contrario l’appartenenza religiosa produce il superamento delle divisioni e delle diffidenze che si manifestavano nei e tra i luoghi di provenienza. La fede comune unisce nella patria di adozione e questo avviene in particolare nei luoghi di culto.

Roma, Ghetto ebraico

Roma, Ghetto ebraico

I luoghi di culto

I luoghi di culto sono un importante elemento di aggregazione, intorno e all’interno di essi nascono attività di educazione, di svago e di solidarietà coinvolgendo singoli o intere famiglie in un’appartenenza ad una comunità più ampia rispetto a quella originaria dove si partecipa attivamente sia nel dare che nell’avere. Sono inoltre luoghi di scambio di informazioni in relazione alle opportunità lavorative e ai servizi e ai diritti di cui ci si può valere. Sono in ultima analisi porte aperte alle cui energie si deve attingere per un armonico sviluppo della società futura.

D’altro canto, le pratiche religiose che si svolgono al loro interno unitamente alle modalità di predicazione, le pratiche di iniziazione o l’ostentazione di simboli religiosi, creano perplessità nei residenti tradizionali. Lo stesso dicasi per l’architettura di alcuni luoghi di culto. Questi elementi determinano ostacoli a volte fisici e a volte meno fisicamente visibili ma altrettanto percepibili. Elementi che nei contesti di origine sono visti dal visitatore occidentale con simpatia, diventano nella propria realtà territoriale fattori di preoccupazione. Questo atteggiamento di sospetto e diffidenza, che spesso anche le istituzioni locali fanno proprio, unitamente a una legislazione poco trasparente, nonostante i principi costituzionali, relega questi luoghi di preghiera in edifici non adatti al limite della decenza, facendo apparire le comunità che le frequentano in una luce sinistra, che in realtà non le appartiene. Il diritto al luogo di culto è non solo dovuto al fine di poter praticare la propria fede ma è una condizione ineludibile di parificazione sociale e di riconoscimento civico.  

Roma, Centro islamico

Roma, Centro islamico

I luoghi di culto problematiche giuridiche

Merita qualche considerazione la problematica relativa al diritto ai luoghi di culto nel nostro ordinamento, perché le singole religioni sono pienamente presenti se viene garantito il diritto di professarle. Il diritto al luogo di culto è garantito dagli articoli 2, 8 e 19 della nostra Costituzione. Con la nascita delle Regioni la materia è stata nel concreto ad esse delegata. Le normative regionali in linea di massima attribuiscono fondi e autorizzazioni alle religioni che hanno un’intesa con lo Stato italiano. Molto spesso il permesso di costruire viene negato con motivi di ordine pubblico o infrastrutturali. Sui principi contenuti nella “Legge Fondamentale”, la Corte Costituzionale si è pronunciata in più di un’occasione. Riporto a titolo esemplificativo una sua pronuncia nel merito in relazione ad una legge regionale lombarda. 

Corte Costituzionale, sentenza  23 febbraio 2016 n. 63   È costituzionalmente illegittimo l’art. 70 commi 2 bis lettera a) b) e comma 2 quater della legge Regionale Lombarda n. 2/2015 nella parte in cui introduce condizioni differenziate per la realizzazione di edifici di culto per le confessioni religiose che non hanno stipulato un accordo o un’intesa con lo Stato; tale differente trattamento è incostituzionale sia perché costituisce una illegittima limitazione della libertà di religione garantita dagli artt. 8 comma 1 e 19 Cost. , sia perché le questioni inerenti il rapporto con le confessioni religiose rientrano nella competenza esclusiva dello Stato ex art. 117 comma 2 let c) Cost.
È costituzionalmente illegittimo l’art. 72 commi 4 e 7 lett e) della legge Regionale Lombarda n. 2/2015 nella parte in cui impone, per la realizzazione di nuovi luoghi di culto, il previo parere delle autorità di pubblica sicurezza e la predisposizione di sistemi di videosorveglianza; si tratta infatti di disposizioni che incidono sulla materia dell’ordine pubblico e sicurezza, di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 2, lett h).

Nonostante le diverse pronunce della Suprema Corte, in linea con quella riportata, il legislatore non ha ancora messo mano alla definizione delle competenze che consenta di sgomberare il campo da linee confliggenti. Accade che, soprattutto in vicinanza di scadenze elettorali, prevalga un atteggiamento più rigido in relazione alla costruzione di edifici adibiti a luoghi di culto o al cambio di destinazione di strutture esistenti per raggiungere il medesimo fine. Il caso recente di Parma, dove è stato chiuso Il Centro di Cultura Islamica, con la motivazione che si svolgevano riti di preghiera, è sintomatico, se si considera che nella città non esistono luoghi alternativi adibiti a questo scopo. Il problema tocca in particolare quelle confessioni prive di intesa con lo Stato italiano, come Musulmani, Sikh, Ortodossi ucraini e rumeni e Testimoni di Geova. Inoltre l’aver ricondotto la materia dei luoghi di culto nell’ambito delle opere di urbanizzazione secondaria, ha delegato alle Regioni la competenza. Le stesse naturalmente si muovono in linea con la propria sensibilità politica con una evidente disparità tra le diverse zone del Paese.

221009210__54281127Questioni aperte

Riportandoci su di un piano di problematiche più specifiche, si è cercato di cogliere attraverso il dialogo, la conoscenza dei singoli e di alcune comunità, di fede diversa da quella cattolica, ma soprattutto con le sensazioni che la frequentazione ci porta a cogliere, quali aspettative e desiderio di essere parte viva e attiva emergono.  L’approccio non è sempre agevole, se si considera che l’elemento religioso non è l’unico che va considerato, ma che subentrano altri fattori come la provenienza territoriale, l’appartenenza etnica, fattori inerenti la biografia e la storia dei singoli, l’essere di prima o seconda generazione o l’essere più o meno praticante o in un certo qual modo secolarizzato. Ciò che appare evidente è la notevole differenza tra religioni e all’interno delle stesse. I bisogni o il senso di discriminazione è assai diverso, tra cristiani largamente intesi e altre religioni, non solo ma le religioni di recente impianto soffrono maggiormente il senso di indifferenza se non di diffidenza. Come elemento comune va inoltre considerato che le religioni nei processi migratori subiscono evoluzioni condizionate dalle culture di approdo e ciò non avviene in modo univoco. Opinione condivisa generalmente da tutte le comunità è che la pratica religiosa, specie se esistono strutture deputate quali luoghi di culto o di incontro, riveste un importante funzione unificante e elemento di identità specialmente per i suoi membri praticanti e per le loro famiglie.

Un’aspettativa generale, sottolineata dai rappresentanti delle diverse confessioni, è il maggior spazio e le più puntuali informazioni che la scuola dovrebbe dare su tutte le religioni. Il tema è ormai se non antico, datato ma attualissimo. Oggi è previsto solamente l’insegnamento della religione cattolica oppure la materia alternativa per cosiddetti non avvalentesi, materia dal contenuto più vario a seconda dell’istituto e dei docenti disponibili. Si ignora il quadro così mutato in questi decenni che reclama da anni un insegnamento almeno della storia delle diverse religioni: così da fornire un quadro conoscitivo equanime e comunque utile affinché i giovani si possano muovere agevolmente in un contesto plurale e interculturale.

A questo proposito ci viene confidato che i genitori spesso non mandano i propri figli a frequentare l’ora di religione in quanto, per il fatto che si parli solo di religione cattolica, temono ci sia il tentativo di influenzare il credo dei loro bambini; per questo si sceglie l’opzione dell’ora alternativa. Alla domanda: quali valori credi che la tua religione e la tua cultura potrebbero portare per contribuire a creare la società del futuro, che non può nascere dall’integrazione in un unico modello ma dall’interazione delle diverse sensibilità, tradizioni ed esperienze di fede (insomma in un percorso da costruire insieme)?  Domanda cruciale. Una delle risposte fornite coralmente dagli appartenenti alle diverse confessioni religiose è in generale l’offerta alla nostra società occidentale, individualistica e spiritualmente impoverita, di valori quali la famiglia – la comunità – la solidarietà – la prossimità – la comprensione e il dialogo. Il tema quindi, aggiungerei in una duplice chiave sintetica, dell’empatia e dell’ascolto. Giudizio assai caro a Papa Francesco, sottolineato esplicitamente nell’enciclica “Fratelli Tutti”.

Con riferimento alla Chiesa Cattolica, si pone invece una sorta di esplicita domanda.  La convivenza con fedi e culture diverse, è fonte di un possibile arricchimento, come spesso sottolinea Papa Francesco, o è motivo di preoccupazione e diffidenza dovute alle pur evidenti differenze rispetto alla modernità e alla laicità delle istituzioni?  La risposta che implicitamente ho ricavato è di questo tenore: l’apporto della cultura cattolica è specifico, nel senso che essa si è evoluta in materia grazie all’evento storico del Concilio Vaticano Secondo. Una rilettura storica del cristianesimo potrebbe fare riaffiorare aperture ben più antiche al pluralismo come valore in sé e alla inculturazione quale via obbligata per la pastorale e la stessa evangelizzazione.

Ma finalmente, con gli ultimi pontificati e in specie con quest’ultimo di Francesco, la svolta è irreversibile: il dialogo considerato non una opzione discrezionale bensì un vincolo; la laicità come uno spazio di libertà per la Chiesa; la ricerca dell’unità dei cristiani in chiave ecumenica come una benedizione; la vocazione all’unità del genere umano come un mandato della stessa Creazione. Sussistono oggi tutte le condizioni perché la componente cattolica recuperi appieno il suo carattere universalistico ed olistico (visione generale di tutti gli elementi in campo) come nelle sue origini.

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
[*] Ringrazio per questo mio contributo: Luciano Mazzoni Benoni Presidente del “Forum Interreligioso di Parma” e Alessandro Bonardi, Coordinatore Nazionale della “Stanza del Silenzio e dei Culti”, per le osservazioni e le riflessioni che mi hanno fornito in ragione del loro concreto impegno sul territorio. 

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Francesco Gianola Bazzini, dottore in Giurisprudenza e in Relazioni Internazionali, è mediatore in ambito giuridico, consigliere del Centro Interdipartimentale Ricerca Sociale dell’Università di Parma, studioso di Sociologia delle Religioni e dell’Islam politico moderno; ha svolto seminari didattici presso due corsi di studio della stessa Università e attività divulgativa presso diverse realtà politico-culturali.  

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