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Italia – Germania, modello di amicizia tra popoli

161363-sddi Laura Garavini

Introduzione

Era la notte del 23 marzo 2020. Da Bergamo si alzava un aereo diretto a Lipsia con a bordo due pazienti italiani. Il primo di tanti voli che, da quella data in poi, avrebbero trasportato 44 pazienti bergamaschi affetti da Covid negli ospedali delle regioni tedesche.

Nei giorni di peggiore contagiosità, infatti, l’Ambasciata di Germania a Roma riuscì a prevedere un vero e proprio ponte aereo, collaborando costantemente con il Dipartimento della Protezione Civile, l’ospedale Giovanni XXIII di Bergamo e le varie autorità e cliniche tedesche. Così da trasportare i pazienti alle strutture ospedaliere di varie città tedesche – tra cui Lipsia, Dresda, Colonia, Bonn, Bochum, Essen, Norimberga, Erlangen e Wuerzburg.

I malati di covid italiani, che non potevano essere ricoverati presso le nostre strutture sanitarie, tutte al collasso, furono accolti nei reparti di cura intensiva di diversi ospedali in Sassonia, Baviera e NordReno-Vestfalia, nelle cliniche della Croce Rossa tedesca della Renania Palatinato e negli ospedali militari di Amburgo e Renania Palatinato. I collegamenti sono stati realizzati attraverso il supporto dell’esercito federale, Bundeswehr, dell’aeronautica militare e del trasporto privato. I costi dei trasporti e dei ricoveri ospedalieri di tutti i pazienti italiani sono stati interamente coperti dalla Repubblica Federale Tedesca.

Basterebbe questa storia, così significativa, per esprimere la dimensione del livello di amicizia raggiunto tra i nostri due Paesi, Italia e Germania. Ed io ho voluto iniziare la mia riflessione sui rapporti italo-tedeschi proprio da questo episodio perché ritengo che sia emblematico della fratellanza tra i nostri due popoli. Un sentimento che nasce da radici storiche condivise e da un comune senso di appartenenza all’Europa, come pure da questioni di natura sociologica e culturale. Ed è indubbio che la consistente presenza della nostra comunità italiana in Germania, soprattutto a partire dagli anni del boom economico, ha contribuito allo sviluppo di consolidati rapporti tra i nostri due popoli.

All’inizio non deve essere stato facile: pregiudizi, dubbi, paure. Da ambo le parti. E poi dure condizioni di lavoro, clima rigido, cielo grigio, suoceri scettici, malinconia. Eppure ha funzionato. Gran parte dei nostri italiani, delle prime generazioni, sono riusciti ad integrarsi nel tessuto economico, produttivo e sociale della Germania. Dal Dopoguerra ad oggi tanta strada è stata fatta. Anche se i nostri connazionali continuano ad emigrare, e a scegliere Berlino o Monaco come destinazione, l’identikit di chi parte è profondamente mutato nel tempo. Così come è mutata la società tedesca. Ma il legame tra Italia e Germania é cresciuto nel tempo ed é certamente ottimo.

Partenze di italiani per la Germania (anni Sessanta)

Partenze di italiani per la Germania (anni Sessanta)

Comunità italo-tedesca tra passato e presente

Insieme alla Svizzera la Germania, dalla seconda metà del Novecento, rappresenta il più consistente polo di attrazione degli emigranti italiani in Europa. Ossia da quando, su iniziativa tedesca, venne firmato l’accordo bilaterale di lavoro tra Italia e Germania nel 1955. La Germania infatti, distrutta dalla guerra ed impoverita dalla perdita di tante giovani vite, aveva urgente bisogno di manodopera per ricostruire il Paese. Stilò così accordi bilaterali per l’immigrazione di lavoratori con numerosi Paesi. Il primo fu quello con l’Italia, in virtù del quale oltre 4 milioni di connazionali, tra il 1955 e fine secolo, si recarono in Germania per ragioni di lavoro. Due milioni nei soli anni sessanta. Quell’accordo prevedeva però un permesso di soggiorno limitato a due anni. Per decenni infatti la Germania, governata dalla CDU, si rifiutò di ammettere di essere un Paese di immigrazione. Si arrivò addirittura a coniare un termine per indicare il fatto che questi immigrati non fossero destinati a restare: li si chiamò “Gastarbeiter”, cioè lavoratori ospiti, destinati a rientrare nei rispettivi Paesi di origine, una volta scaduti i termini dei contratti di lavoro.

Ecco che, nel corso degli anni, sono stati oltre 3 milioni e 650 mila gli italiani rimpatriati in Italia. Con un saldo di 430 mila persone rimaste. Se a questo dato si aggiungono i figli nati sul territorio tedesco, e i numerosi italiani che hanno ripreso ad emigrare massicciamente da dieci anni a questa parte, si raggiunge il numero degli attuali iscritti AIRE, che rappresentano ancora oggi una delle maggiori comunità italiane al mondo.

Solo che il fatto che la Germania non si riconoscesse come Paese di immigrazione ebbe come conseguenza il fatto che per decenni non si adottò alcuna misura per l’integrazione. Con pesanti effetti sul livello di integrazione, soprattutto scolastico, dei migranti. Si é dovuto aspettare fino agli anni Novanta per riscontrare passi avanti significativi nella politica tedesca sull’immigrazione. Il Presidente della Repubblica socialdemocratico Johannes Rau dichiarò la Germania Paese d’immigrazione. A riprova di come ritenesse l’immigrazione una questione sociale e non di sicurezza interna. Negli anni della maggioranza rosso-verde, l’ordinamento giuridico tedesco conobbe importanti novità. Nel 2000 veniva approvata la nuova legge sulla cittadinanza, che facilitava la naturalizzazione degli immigrati riconoscendo automaticamente la cittadinanza tedesca ai bambini nati nel territorio tedesco. Nel 2004 era la volta della Legge per l’immigrazione (Zuwanderungsgesetz), una legge con regole chiare e trasparenti. I nuovi ingressi restavano difficili e venivano rafforzate le misure contro l’immigrazione clandestina, che diventava reato. Ma allo stesso tempo nasceva una commissione indipendente per l’immigrazione, con il finanziamento di numerosi progetti per l’integrazione, e la previsione di una programmazione dei flussi, con la quale individuare le qualifiche e le specializzazioni che rispondessero al meglio al fabbisogno di lavoro del sistema produttivo tedesco.

Per annullare le disuguaglianze, però, bisognerà attendere il trattato di Lisbona nel 2009. Come in molti altri settori, infatti, anche su quello migratorio e sulla fine delle discriminazioni è stato dirimente il ruolo dell’Europa e la nascita di una comunità unita tra Stati. Pensiamo alle differenze che sono state abolite grazie alla giurisdizione e legislazione europea. Ad esempio, negli anni Settanta era impensabile che un cittadino italiano in Germania si arruolasse nella polizia. Oggi invece, grazie alla legislazione europea, la gran parte degli elementi discriminatori sono stati rimossi. Attualmente un cittadino italiano può accedere a tutte le funzioni e posizioni nella società tedesca. Questo induce diversi italiani a non prendere la cittadinanza tedesca. Credono di non averne bisogno, ma commettono un errore. Perché in questo modo trascurano l’esercizio dei diritti politici. Mentre sarebbe importante che la nostra comunità, ormai integrata, fosse maggiormente protagonista e motore del cambiamento nel Paese di arrivo.

A partire dal 2008, negli anni della crisi economica, i movimenti dall’Italia verso la Germania hanno ripreso ad aumentare, fino a raggiungere un livello paragonabile a quello della seconda metà degli anni ’70. La Germania è ancora una volta la meta preferita dagli italiani. Se si considerano solo i Paesi dell’Europa, l’Italia resta sempre al primo posto in quanto a numero di cittadini che si iscrivono nelle anagrafi dei comuni tedeschi. Oggi come allora si parte alla ricerca di migliori condizioni di vita e di maggiori opportunità. In entrambi i casi c’è un fattore che accumuna chi arriva sul territorio tedesco. La capacità di integrarsi ed affermarsi.

Ristorante italiano a Colonia

Ristorante italiano a Colonia

Italiani in Germania, una storia di successo

L’esperienza migratoria degli italiani in Germania ha permesso un evidente cambiamento di reddito e di condizioni di vita degli emigrati e una prospettiva previdenziale rassicurante. In più, la comunità che si è stabilmente insediata non è irrilevante nello specifico ambito dell’emigrazione italiana in Europa. Essa, inoltre, manifesta positivi segnali di integrazione, che consentono di parlare ormai di una presenza italiana non esclusivamente operaia, come per una lunga fase, ma articolata in funzioni sociali differenziate e più elevate. I migranti italiani hanno una media di permanenza sul territorio tedesco tra le più alte (25 anni); gli italiani che hanno assunto la cittadinanza tedesca sono ormai quasi 700 mila su un totale di quindici milioni di naturalizzati; un terzo circa dei residenti italiani in Germania è costituito da ragazzi nati nel Paese di accoglimento dei genitori.

Inoltre, esiste una rete di partecipazione alla vita democratica del Paese che si svolge attraverso i canali dei sindacati e delle forze politiche e che dà il senso di un positivo percorso di saldatura. In una fase di costante messa in discussione dei diritti fondamentali dei migranti e dei loro stessi diritti umani, avere un modello di riferimento contrassegnato da spirito di inclusione e da rapporti rispettosi non è una cosa da sottovalutare.

Dal 2010 la popolazione italiana residente negli Stati tedeschi è quindi tornata a crescere. La meta più ambita sono i Länder dell’ovest, centri di storico insediamento dei Gastarbeiter italiani. Un aspetto ricorrente nella storia dell’immigrazione italiana in Germania è la capacità di integrarsi, nonostante si trattasse di una comunità che era inizialmente arrivata su questo territorio per rimanerci poco tempo. Non solo i lavoratori-ospiti non se ne sono andati. Ma hanno messo radici. Si sono fatti strada nella società e nelle istituzioni, sia locali che nazionali, sui luoghi di lavoro, nei consigli di fabbrica e in quelli comunali. Altro che ospiti. Sono diventati parte integrante del tessuto produttivo tedesco.

Le vicende di quegli immigrati che, partiti dall’Italia come Gastarbeiter, hanno trovato in Germania il Paese in cui insediarsi stabilmente, rappresentano bene il paradigma di una comunità viva e vivace. Che ha saputo dare il meglio di sé nel Paese di arrivo. L’emigrazione di massa diretta dall’Italia alla Germania tra il 1955 e la metà degli anni Settanta, da cui proviene ancora oggi la maggioranza di italiani che risiede nel Paese, è un caso sui generis tra le migrazioni che si sviluppano in Europa nel secondo Novecento. Ciò è dipeso prevalentemente dal fatto che l’Italia aderiva alla Comunità europea, cosa che garantiva ai suoi cittadini autonomia di spostamento tra i due Paesi e una mobilità occupazionale sconosciuta ai migranti di altra provenienza.

Naturalmente, nel frattempo la realtà economica, sociale e culturale degli italiani in Germania è cambiata. Trainata dalle dinamiche dello sviluppo economico del tempo, l’emigrazione degli italiani originariamente ha trovato spazio soprattutto nel segmento secondario del mercato del lavoro. In seguito – in relazione anche a mutamenti macroeconomici – è cambiata la composizione occupazionale della forza lavoro, con una maggiore penetrazione nel settore terziario e con la transizione da parte di molti al lavoro autonomo. Su questo aspetto emerge un’immagine nitida: la ristorazione costituisce un settore d’elezione, che fa registrare un elevato picco di concentrazione. Si tratta di un ambito che offre tradizionalmente una risposta positiva all’imprenditorialità immigrata ma, nel caso italiano, possiamo parlare di un fenomeno molto esteso.

Volendo tracciare una linea di ampio raggio, possiamo vedere come il processo di integrazione delle nostre comunità subisce un’accelerazione dopo il 1965 quando, in coincidenza delle riunificazioni familiari, inizia anche ad intensificarsi l’attività associativa, soprattutto di tipo sindacale e patronale, orientata spesso verso l’assistenza alle famiglie. Parallelamente cominciano a declinare i flussi delle rimesse, una novità che indica il consolidamento di una vera e propria comunità italiana presente sul territorio.

Questa mutazione si accompagna anche ad altri cambiamenti di natura occupazionale, che innescano a catena vari step di integrazione. Quando, a partire dalla fine degli anni Sessanta, una quota di italiani si sposta dalla grande industria verso altri settori lavorativi, iniziano a comparire anche le prime esperienze in ambito imprenditoriale, concentrate soprattutto in un settore per noi tradizionale, quello della ristorazione. In questo modo quindi gli italiani iniziano ad essere non solo parte attiva, ma veri e propri protagonisti del tessuto produttivo nel Paese di arrivo. Parallelamente al lavoro autonomi, gli italiani si spostano anche dall’industria al settore terziario, seguendo quel processo di processo di terziarizzazione che interessa le grandi economie industriali dagli anni settanta in poi.

Con queste diverse stratificazioni si realizza l’integrazione italiana in Germania, fino ad arrivare alla situazione odierna. Quella che vede nel mercato del lavoro tedesco tre fasce principali. La prima è costituita dagli immigrati tradizionali, la cui presenza è ormai pluridecennale, ormai prossimi alla pensione e in gran parte impiegati nell’industria. La seconda dagli immigrati di seconda e di terza generazione, trasferitisi dopo per seguire la famiglia precedentemente immigrata oppure nati in Germania, che proprio in questo Paese hanno avuto il loro primo inserimento lavorativo. Si tratta di una categoria particolarmente significativa, perché è emblematica dei notevoli processi di mobilità sociale ascendente e intergenerazionale.

È proprio nei connazionali affermatisi a livello sociale e professionale e appartenenti in questa fascia, in queste persone nate da immigrati oppure emigrati loro stessi da piccoli, che assistiamo all’esempio di quanto la nostra comunità abbia avuto la capacità di crescere e integrarsi. Così come la Germania ha avuto la capacità e la volontà, a partire dagli anni Novanta, di mettere in campo politiche a favore dell’integrazione.

Infine, la terza categoria è costituita da lavoratori giovani ad alta formazione che decidono di partire perché faticano a trovare nel mercato del lavoro italiano un impiego che corrisponda alle loro ambizioni. Giovani ricercatori, scienziati, storici, accademici. Risorse impiegate nei settori di maggiore eccellenza, che sono in realtà parte di una più ampia comunità professionale internazionale.

Non sono pochi gli italiani pienamente affermati in Germania. Pensiamo a Giovanni di Lorenzo, direttore del più prestigioso settimanale tedesco, Die Zeit. Udo Di Fabio, giurista e magistrato, per dodici anni membro della corte costituzionale di Karlsruhe. O ancora il designer Luigi Colani. Nel mondo dello spettacolo, l’autrice cinematografica Angelina Maccarone premiata al Festival di Locarno, che insegna all’accademia del cinema e della televisione di Berlino. O Adriana Altaras, attrice e regista teatrale, vincitrice dell’Orso d’argento alla Berlinale. Tra gli sportivi, il calciatore del Bayern Monaco Diego Armando Contento, nato a Monaco da una famiglia di immigrati napoletani.

Franco Garippo

Franco Garippo

La storia degli italiani in Germania è fatta di successi personali e generazionali. È emblematico ad esempio il caso di Franco Garippo. Originario di Palomonte, nel salernitano, dove ha vissuto e studiato per poi trasferirsi in Germania, Garippo ha iniziato a lavorare alla Volkswagen nel 1976 alla catena di montaggio come operaio e poi ha iniziato l’attività sindacale: nel 1984 è stato eletto membro della commissione interna dell’azienda. Stella al Merito del lavoro della Repubblica Italiana, sindaco del quartiere di Kästorf-Sandkamp, consigliere comunale di Wolfsburg, sindacalista, membro del consiglio aziendale della Volkswagen dove è anche responsabile della formazione dei giovani in fabbrica, Garippo racchiude in sé il concetto stesso di integrazione.

Ed è ancora dalla Volkswagen che arriva un’altra bella storia di affermazione. Quella di Daniela Cavallo, figlia di Gastarbeiter, eletta a capo del Consiglio di fabbrica della Volkswagen. Prima donna responsabile dei 670 mila dipendenti della casa di Wolfsburg, in maggioranza iscritti alla IG Metall, il sindacato dei metallurgici, il più grande al mondo. «A casa si parlava calabrese. E tutte le sere i miei genitori accendevano la radio per ascoltare Radio Colonia», ha raccontato Daniela, intervistata subito dopo la sua nomina.

Sono storie come queste che ci raccontano quanto la nostra comunità sia esempio di integrazione e capacità di costituire un vero e proprio ponte tra due mondi. Il dialogo tra culture avviene anche, e soprattutto, così. Con i piccoli e quotidiani gesti di persone che quei due mondi li vivono e li animano.

Relazioni economiche e imprenditoriali

Al pari dell’amicizia tra i nostri due popoli, anche le relazioni industriali italotedesche hanno retto alla pandemia. Lo dimostrano i numeri delle imprese a controllo italiano in Germania e il loro contributo all’economia locale. Se si guarda agli investimenti esteri dei Paesi europei, secondo i dati Eurostat del 2020 la Germania rappresenta la seconda meta degli imprenditori italiani, con una quota del 10,8% sul fatturato totale realizzato dalle controllate estere italiane nel mondo. Naturalmente si tratta di dati in costante evoluzione, ma possiamo prenderli come chiave di lettura per interpretare la qualità del dialogo commerciale tra i nostri due Paesi. Nello specifico, infatti, sono 1.670 le aziende italiane che operano sul territorio tedesco, ossia il 7% del totale delle controllate estere italiane. La Lombardia è la prima regione di provenienza geografica delle imprese, seguita da Veneto, Emilia-Romagna, Piemonte e Trentino-Alto Adige.

Un mercato totale che dà lavoro a 104 mila addetti, creando quindi ricadute occupazionali dirette sul territorio tedesco. Si tratta di aziende che appartengono prevalentemente al mondo dei servizi, per il 61%, e per il restante 39% al manifatturiero. Dai dati sulle imprese italiane attive in Germania, emerge inoltre una dimensione media elevata rispetto a quelle che operano in altri Paesi. Si tratta infatti per il 44% di grandi imprese e il 20% di piccole. È interessante poi notare come la presenza imprenditoriale italiana sia caratterizzata da un elevato profilo strategico-competitivo, a conferma del contributo che la nostra presenza garantisce anche allo sviluppo del Paese ospitante. Se guardiamo al settore manifatturiero, infatti, le imprese italiane su suolo tedesco spiccano per una maggiore diffusione di aziende che detengono propri marchi, brevetti e certificazioni ambientali. In tutti e tre i casi, in Germania si registrano livelli sopra la media rispetto a quella delle aziende italiane in altri Paesi esteri.

Le relazioni economiche italo-tedesche naturalmente non si limitano alla presenza diretta di imprese italiane, ma sono in realtà ancor più intense se si considera il complesso intreccio di legami che caratterizza l’interscambio tra i nostri Paesi. Intreccio che rivela quanto i nostri due sistemi produttivi siano legati e interconnessi. L’Italia detiene, in particolare, una posizione di primato tra i fornitori della catena automotive, fiore all’occhiello del manifatturiero tedesco, con un apporto di valore aggiunto del 2,4% alla produzione tedesca di autoveicoli, davanti a Francia, Polonia e Cina. Il contributo italiano si presenta estremamente diversificato su diversi settori merceologici, in linea con l’eterogeneità della stessa economia produttiva tedesca, ma spicca soprattutto nella metalmeccanica, negli intermedi in gomma-plastica e nel tessile-pelletteria per l’automotive. Le aziende italiane in Germania, quindi, dimostrano una presenza basata sull’alta qualità e su un’integrazione strategica all’interno dello scenario tedesco.

Non solo automotive. Germania e Italia sono il motore manifatturiero dell’Unione europea. Dalle nostre fabbriche proviene circa metà della produzione industriale tedesca. Dalla meccanica ai mezzi di trasporto, siamo spesso un’unica catena del valore. Un segno tangibile dei vantaggi del mercato unico e dell’unione monetaria. La Germania rappresenta il primo partner commerciale per l’Italia. Nel 2020, gli scambi tra i due Paesi ammontavano a 116 miliardi di euro. Che, in parole concrete, vuol dire più di quanto valessero gli scambi dell’Italia con Stati Uniti e Cina messi insieme. La Germania commercia di più con la Lombardia che con tutta la Turchia. E l’Italia commercia più con la Baviera che con l’intera Polonia.

Da questi numeri si conferma la centralità della Germania nelle attività e negli investimenti delle imprese del nostro Paese. Forti di un rapporto consolidato di coproduzione con i partner tedeschi, le aziende italiane attive in Germania contribuiscono ad alimentare un ecosistema produttivo che genera valore sia per l’economia italiana che per quella tedesca, attraverso la qualità di prodotti e servizi. La Germania rimane la meta principale per gli investitori italiani. Parallelamente, spostandoci sul versante culturale, la maggior parte dei turisti che visitano l’Italia proviene dalla Germania, ha ricordato di recente Angela Merkel.

In questo modo l’Italia diventa un tassello fondamentale all’interno delle maggiori catene produttive tedesche e i dati sul commercio bilaterale ci dicono che il ruolo di primo piano dell’Italia per l’industria tedesca ha retto la prova della pandemia. Tra Germania e Italia esiste quindi un forte partenariato che porta benefici a entrambi. Oltre a un grande legame di amicizia e solidarietà. La nostra prosperità e il nostro benessere dipendono in larga parte dall’essere uniti. Anche per questo, i nostri due Paesi devono guardare insieme al futuro. E costruirlo sulla stessa strada condivisa.

italiani-di-germania-presentazione-libro-e-web-documentaryLa Germania post-Merkel e il suo ruolo nel futuro dell’Europa

Anche dopo l’uscita di Angela Merkel dalla scena politica tedesca la collocazione europea della Germania e la sua leadership sono fuori discussione, ma l’evoluzione futura dell’Unione dipenderà anche dagli sviluppi politici in altri Paesi, come Francia ed Italia. Dopo sedici anni di cancellierato di Angela Merkel, chi le succederà alla guida di uno dei primi Paesi dell’Unione Europea per peso economico e politico dovrà interfacciarsi con diverse sfide geopolitiche, istituzionali ed economiche. Dalla realizzazione di una Difesa comune nel contesto di una rafforzata autonomia strategica europea alle possibili decisioni in materia di comunitarizzazione delle politiche fiscali o di riforma del Patto di stabilità, ai rapporti con Russia e Cina. Temi riemersi all’ordine del giorno dell’agenda europea anche a seguito della riscoperta dell’importanza di politiche integrate, scaturita dalla doppia sfida sanitaria ed economica vissuta a causa della pandemia. Alcune delle soluzioni adottate, come ad esempio il piano di rilancio di Next Generation EU, potrebbero essere il primo passo verso una unificazione delle politiche estere nazionali.

Anche su questo fronte, Germania e Italia sono alleate, perché condividono lo stesso obiettivo strategico: il completamento del percorso di integrazione europea. Un’Europa più forte dal punto di vista diplomatico, economico, ed anche militare è il solo modo per avere un’Italia più forte e una Germania più forte. Italia e Germania possono collaborare insieme e sono pronte a farlo. Le relazioni italo-tedesche sono già ottime e strette. Non solo dal punto di vista sociale e culturale, ma anche da quello istituzionale. I Governi e i parlamenti di Germania e Italia intrattengono regolarmente un intenso scambio di opinioni, grazie ai numerosi incontri nel quadro di conferenze internazionali, dei gruppi di amicizia interparlamentare e in occasione dei Consigli Europei. Anche le relazioni tra i Capi di Stati sono ottime, basti pensare alla profonda amicizia che lega i due presidenti, Sergio Mattarella e Steinmeier. A questi rapporti si unisce poi il contributo vivace e attivo di Villa Vigoni, sul Lago di Como, il Centro Italo-Tedesco istituito appositamente per la cura dello scambio bilaterale, in cui si svolgono numerosi eventi su argomenti politici, economici, culturali e scientifici.

Italia e Germania condividono la stessa collocazione al centro dell’Europa e un’appartenenza convinta alla Nato e all’Unione europea. L’ampio interscambio commerciale e la varietà dei contatti tra i nostri due Paesi, dalla cultura al turismo, dall’economia all’industria, costituiscono una base preziosa. L’elaborazione da parte dei nostri due Governi di posizioni comuni nella politica europea – soprattutto ora che l’Italia ha una leadership fortemente europeista – può quindi concentrarsi su questioni di fondamentale importanza, come la politica migratoria europea oppure la politica europea di vicinanza e l’allargamento dell’Ue.

Dopo i drammi della pandemia é interesse comune procedere uniti su un percorso di sviluppo rapido e inclusivo. I temi del momento sono la sostenibilità, la digitalizzazione e l’interconnessione tra le nostre economie. Sono sfide che l’Unione europea ha deciso di affrontare con uno strumento innovativo: il Next Generation EU. Un programma che rappresenta un’opportunità unica per lo sviluppo dei nostri Paesi e per il rafforzamento dell’Unione. Anche qui, Italia e Germania sono di nuovo l’una al fianco dell’altra. Entrambi i nostri Paesi, infatti, hanno destinato circa il 40 per cento delle risorse dei rispettivi programmi alla transizione ecologica. Entrambi vogliamo accelerare l’impegno per la decarbonizzazione, per ridurre le emissioni e puntare su tecnologie all’avanguardia come l’idrogeno, su cui c’è una collaborazione strutturata a livello europeo. I tempi di questo processo devono essere ambiziosi, ma compatibili con le capacità di adattamento delle nostre economie.

Almeno un quinto dei fondi totali del programma Next Generation EU è poi destinato alla transizione digitale. Una sfida che entrambi i nostri Paesi stanno affrontando con l’obiettivo di rendere più facile la vita ai cittadini e aiutare le imprese a innovare. Modernizzando il settore pubblico, a partire da scuole e ospedali. E implementando una visione delle conoscenze digitali come strumento di mobilità sociale e di superamento delle diseguaglianze.

Il legame fra le nostre economie è quindi destinato a rafforzarsi proprio con il Next Generation Eu. Un esempio su tutti, gli Importanti Progetti di Comune Interesse Europeo, a cui l’Italia destina 1,5 miliardi nel Pnrr. Una fetta che comprende il progetto sulla microelettronica, che vede collaborare Italia e Germania nel settore strategico dei semiconduttori.

gli-italiani-in-germania-ministero-degli-affari-esteriConclusioni

Dalla grande esperienza migratoria tra Italia e Germania è possibile desumere a mio parere un insegnamento universale: l’immigrazione diventa fonte di ricchezza, umana ed economica, nel momento in cui si attua una politica di integrazione vera e convinta. Diversamente, finché si ostacola l’immigrazione o la si tratta come un fenomeno isolato e destinato a rimanere circoscritto nel tempo e nello spazio, si rischia di sprecare un’occasione di crescita che vale per entrambe le parti. Per chi arriva. E per il Paese che accoglie. La Germania lo ha capito nel momento in cui da una politica dei Gastarbeiter è passata ad una politica dell’integrazione. Inaugurando un percorso di crescita reciproca. Fino ad arrivare alla fase attuale, molto favorevole per le relazioni tra Italia e Germania. Oggi la sfida è rafforzare i nostri meccanismi di cooperazione all’interno dell’Unione europea. E lavorare insieme, nell’interesse dei cittadini e delle imprese.

Gli italiani in Germania si trovano al centro di questa occasione storica, con nuove sfide e opportunità da cogliere nel contesto europeo. Il percorso da Gastarbeiter a cittadini a pieno titolo del Paese di accoglienza consente loro di lavorare come soggetti attivi nella società di accoglienza e, allo stesso tempo, può offrire moltissimo al Paese di origine, in termini sociali, economici, di interscambio culturale e di integrazione europea. Cittadini italiani ben inseriti nella società tedesca sono i ponti ideali per favorire gli interscambi a tutti i livelli fra i due Paesi. Uno scambio che, mai come ora, si rivela cruciale.

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022

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Laura Garavini, emiliana di Vignola, nata in una famiglia di contadini, si è laureata in Scienze Politiche all’Università di Bologna, con il massimo dei voti. Residente in Germania da quasi trenta anni, ha insegnato all’Università di Kiel, per poi essere impegnata a Colonia in un progetto governativo per l’integrazione di giovani lavoratori italiani e diventare poi a Berlino, in ragione della sua vasta conoscenza della collettività, responsabile per la consulenza alle famiglie e ai pensionati. Nel 2007, a fronte al diffondersi a Berlino delle estorsioni tra gli italiani, promosse l’iniziativa: Mafia? Nein, danke! che, facendo perno sul coraggio e la solidarietà, riuscì a portare in carcere i due camorristi responsabili. Eletta in Parlamento nell’aprile del 2008 ha partecipato alla ridefinizione del nuovo codice antimafia e delle norme anti-corruzione. Ha ricevuto nel 2015 dal Presidente della Repubblica tedesco, Gauck, l‘onorificenza della Croce di Commendatore in quanto ‘costruttrice di ponti in Europa’; e dall’Akademie di Karlsruhe il premio Mund auf, per la coraggiosa espressione delle sue idee. Da italiana che vive in Germania, si sente impegnata a promuovere un`Italia più europea. Attualmente è vicepresidente della Commissione Affari Esteri del Senato.

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