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Prime ipotesi su un “castello” medievale a Belvedere (Siracusa)

La torre di Belvedere, Pianta di anonimo, secolo XVI

La torre di Belvedere, Pianta di anonimo, secolo XVI

di Niccolò Monterosso

L’esistenza di un castello medievale a Belvedere, frazione posta a circa 7 km da Siracusa, in mancanza di resti visibili, è attestata solo da alcuni documenti redatti durante il regno di Federico IV. I tre documenti, del 1362, 1364 e 1375, conservati presso l’Archivio di Stato di Palermo, nel fondo “Real Cancelleria”, sono stati regestati da Antonino Marrone nel 2012 [1]. Non disponiamo di documenti utili a individuarne la data di costruzione ma è possibile ipotizzare che questa possa farsi risalire al regno di Federico III (1296-1337) quando, insieme ai castelli di Climiti e Cassibile, era parte di quella rete di rocche e fortezze che costituivano il sistema difensivo suburbano della città di Siracusa.

Il regno di Federico III appare infatti caratterizzato, ad eccezione di un decennio di non belligeranza, seguito alla pace di Caltabellotta del 1302, da «una ripresa dell’aggressività angioina, dietro la quale stava ovviamente la potenza francese, ma anche il papato di Bonifacio VIII e, in una certa fase, la stessa Corona d’Aragona». Un’età di guerra insomma nella quale la Sicilia «si copri di mura, castelli e fortificazioni attraverso una febbrile attività edificatoria che fu, in termini quantitativi, anche superiore a quella ben nota di Federico di Svevia» [2].

Il “castello” di Belvedere sorgeva all’interno dell’omonimo feudo in possesso, probabilmente già dagli inizi del Trecento, della famiglia Marrasi. Nel 1299 un notar Giovanni Marrasio, insieme a Bandino Campisano, sindaci di Siracusa, sono citati in una lettera di Federico III, ai secreti citra Salsum, in cui si ordinava «de non coniungendis officiis magistri jurati et baiuli» [3]. Nel 1316 Giovanni Marrasi (lo stesso?) è attestato come procuratore di Giovanni Chiaramonte [4] che, tra l’ottobre 1298 e il febbraio 1299, era stato posto a capo della difesa della città, assediata da re Giacomo. Dopo la ripresa dell’ostilità con gli angioini il Chiaramonte divenne, in ambito politico e militare, una delle figure più importanti della corte siculo-aragonese [5], favorendo probabilmente l’ascesa dei Marrasi dai ranghi del notariato a quelli della feudalità. Nel ruolo feudale del 1335 “Joannes Marrasius de Syracusia”, che ancora una volta non siamo in grado di identificare con quello stesso Giovanni Marrasi sindaco di Siracusa nel 1299, è attestato quale dominus del feudo Caranchinus [6]. Morì in data antecedente il 27 ottobre 1339 quando Pietro II assegnò a Giovanni Teutonico, elemosiniere della regina Elisabetta, il diritto sul porto di Siracusa che per la morte del Marrasio era ricaduto in potere della regia curia. Tra il 1345 e il 1375 Belvedere è in potere di Niccolò Marrasi, di cui si sconosce il grado di parentela con Giovanni. I pochi documenti sul castello di Belvedere di cui disponiamo, si collocano cronologicamente durante la sua signoria sul feudo.

La stazione telegrafica di Belvedere, costruita nel 1889, probabilmente sullo stesso sito del castello medievale.

La stazione telegrafica di Belvedere, costruita nel 1889, probabilmente sullo stesso sito del castello medievale

Piuttosto che di un vero e proprio castello sul modello di quelli presenti nelle città demaniali di Siracusa, Augusta e Lentini, si può ipotizzare che sorgesse a Belvedere una ben più modesta costruzione che, da un’analisi dei resti superstiti di fortificazioni coeve dell’area, come il cosiddetto “Castelluccio” dei Monti Climiti, si può presuppore non fosse altro che una torre, probabilmente su due piani, protetta da un muro di cinta in conci lapidei [7]. Risulta attestata invece la presenza all’interno della cinta muraria, al fine di garantire l’approvvigionamento idrico in caso di assedio, di una grande riserva d’acqua scavata nella roccia [8]. In mancanza di resti visibili si può presupporre che, per ragioni orografiche e strategiche, la fortezza fosse posta sull’unico rilievo, alto circa 200 mt, presente all’interno del feudo “Belluvidiri”. Lo stesso luogo che, per la sua posizione prominente, ospiterà nel XVI secolo un “fano”, poi un impianto semaforico ottico, ed infine nel 1889, una stazione telegrafica. 

Tuttavia anche se modesto e all’interno del feudo dei Marrasi il “castello” di Belvedere era considerato nelle disponibilità della Corona e ciò è confermato dal primo dei documenti di cui disponiamo datato a Catania il 15 settembre 1362:

«Yaimo Rocca è nominato castellano del castello Belvedere presso Siracusa a beneplacito regio col salario di 18 onze, 12 delle quali pagate dall’università e 6 onze dalla Curia Regia, con due serventi per custodire il castello» [9].

Il documento si colloca temporalmente nella fase in cui Siracusa dopo essere stata dapprima sotto il controllo della fazione chiaramontana (1349-1355) e successivamente di quella filo aragonese (1355-1361), era ritornata alla Camera reginale, ricostituita a seguito del matrimonio tra Federico IV e Costanza d’Aragona [10]. Matrimonio che, inducendo il vicario del regno Francesco Ventimiglia ad allearsi con Federico Chiaramonte, inasprì lo scontro tra fazioni facendo ripiombare il regno in una nuova stagione di guerra civile. È probabile che già nelle fasi precedenti anche il castello di Belvedere era caduto in mani nemiche visto che il sovrano, in un suo provvedimento del 23 aprile 1361, «tenendo conto dei danni subiti dallo stesso Nicola Marrasio per la sua fedeltà al re» lo esentava da alcuni suoi obblighi nei confronti della regia curia [11].

Belvedere

Belvedere

La nomina di Yaimo Rocca a castellano di Belvedere avvenne invece nella fase in cui era già in corso la stesura dei capitoli della Pace di Castrogiovanni e Piazza, che furono poi sottoscritti tra il 14 e il 17 ottobre. Dopo la repentina morte della regina Costanza, nel 1363, Siracusa cadde sotto la sfera d’influenza degli Alagona. Giunti in Sicilia con Blasco (I), alla fine del Duecento, consolidarono il loro potere con il nipote Blasco (II) che dal 1321, alla sua morte nel 1355, fu Giustiziere del regno e protagonista indiscusso dell’azione di difesa dell’Isola dagli attacchi angioini. Il primogenito Artale, ereditando la carica di gran giustiziere e controllando le maggiori città del sud est dell’Isola, tra cui Catania, divenne uno degli uomini più potenti del regno.

Capo riconosciuto di quella parzialità catalana che garantiva il mantenimento dell’ancor debole regno di Sicilia nell’orbita aragonese, l’immenso potere di Artale si estendeva di fatto anche alle maggiori città demaniali siracusane il cui governo, attraverso la carica di nomina regia di capitano, fu affidato ai suoi fratelli [12]. Manfredi controllava infatti Noto, dove dal 1358 sostituiva il fratello nella carica di capitano che poi, nel 1362, gli fu assegnata direttamente, insieme a quella di castellano [13]. Matteo invece, dal 1365, era capitano con cognizione delle cause criminali e con facoltà di farsi sostituire, a Lentini. Infine Giacomo che controllava Siracusa dopo essere stato, nel dicembre 1363, nominato capitano con cognizione delle cause criminali della città, carica che qualche giorno dopo ebbe concessa vita natural durante [14]. Successivamente, il 4 Novembre 1364, il re nominava un suo fedelissimo, Antonio di Regio di Lentini, castellano a vita del castello esterno di Siracusa, avendo rimosso Bernardo de Mungrino [15].

L’Alagona non dovette però gradire l’intromissione del sovrano nelle faccende di una città che ormai considerava propria ed è probabile che, già da subito, avviò un’azione di indebolimento della posizione del de Regio. In una lettera Agli uomini di Siracusa del 14 novembre 1364

«Il re essendo stato informato delle parole scandalose e incongrue dette da Nicoloso, nipote di Gabriele Ficarola, contro Artale Alagona, si dichiara pronto ad eliminare i semi dello scandalo e comunica di aver ordinato ad Antonio di Regio castellano di Siracusa, di inviare Nicoloso alla sua presenza, sotto cauzione fideiussoria» [16].

La frammentarietà delle fonti ci impedisce di conoscere nel dettaglio se furono queste le ragioni alla base, qualche tempo dopo, dell’assassinio del de Regio all’interno del castello di Siracusa. Appare probabile tuttavia, almeno secondo Isidoro La Lumia, che riporta i verbali di un processo successivo, il coinvolgimento proprio degli Alagona nell’omicidio [17]. Ed è proprio in quei giorni, e in quel clima di regolamenti di conti e usurpazioni che affliggevano il regno, che appare tra gli atti della regia cancelleria il secondo documento che fa riferimento al castello di Belvedere. Si tratta di un’altra lettera di Federico IV del 14 dicembre 1364: 

«A Matteo di Aranzano di Palermo, capitano di Paternò, il re ordinava di corrispondere, col denaro dell’università, la somma necessaria per acquistare un nuovo cavallo a Nicola Cariosi di Paternò. Questi, richiamato dallo stesso Aranzano con altri cavalieri e armigeri di andare in armi per recuperare il castello Belvedere di Siracusa, che allora era stato occupato dal nobile Alfonso di Aragona, aveva in quella occasione avuto ucciso il cavallo» [18].
S.-Schmettau-1720-1723-veduta-del-territorio-di-Siracusa-con-la-torre-di-Belveder

S. Schmettau, 1720-1723, veduta del territorio di Siracusa con la torre di Belvedere

Da questa lettera apprendiamo che l’occupazione del castello di Belvedere non era stata messa in atto dal nemico angioino ma dalla “comitiva armata” guidata da Alfonso e Giovanni d’Aragona figli naturali, poi legittimati, di Orlando – a sua volta figlio naturale di re Federico III e zio di Federico IV – che aveva controllato Siracusa dal 1355 al 1361. In questo strano gioco di parentele e necessità di emancipazione è probabile che il castello di Belvedere era stato occupato per porre sotto pressione il sovrano affinché riconoscesse i diritti dei due Aragona. Questi infatti dopo essersi visti assegnare nel 1361, insieme al fratello primogenito Federico, la baronia di Avola e il castello di Cassibile [19] erano stati estromessi dall’eredità paterna da Federico, poi ucciso dalla popolazione di Avola nel 1375 [20]. Non potendo contare sulla loro eredità e probabilmente non rassegnandosi a vedervi insediati gli Alagona, Alfonso e Giovanni Aragona continuarono tuttavia a tenere sotto pressione la città con le loro scorrerie armate. Il 24 settembre 1365 infatti «il re, informato delle lamentele dei Siracusani nei confronti dei figli del fu Orlando di Aragona, ordinava ai nobili Matteo Alagona e Matteo di Montecateno, conte di Augusta, di recarsi a Siracusa con le loro comitive per impedire l’accesso in città di quegli empi» [21].

Chiesa S. Maria Consolazione, stemma Bonanno-Belvedere

Chiesa S. Maria Consolazione, stemma Bonanno-Belvedere

L’ultimo documento di cui disponiamo sul castello di Belvedere è di un decennio successivo quando, dopo il trattato di Avignone del 1372, definitivamente cessate le ostilità con gli angioini, il sovrano cerca di avviare una campagna di recupero delle città demaniali ancora sottratte al suo controllo, che risulterà di fatto vana. Anche Giacomo Alagona, che nel decennio trascorso era stato largamente beneficiato dal sovrano, il 13 gennaio 1374 ricevette l’ordine di restituire i castelli della città e, già nel febbraio successivo, il re nominava Federico Chiancholo, castellano del Maniaci e Antonio de Pompeo, castellano del castello “esterno” [22]. Il 25 ottobre 1375, nonostante la capitania a vita dell’Alagona, il re nominava il milite Corrado de Castellis capitano di Siracusa con un salario di onze 50, sui proventi della gabella del vino di Siracusa [23]. Seppur dovette rinunciare alla capitania di Siracusa lo stesso anno, il sovrano lo insignì del titolo di “consigliere”, mentre l’anno successivo lo nominava cancelliere del regno [24]. Stessa sorte toccò a Matteo Alagona, che rimosso dalla carica di capitano di Lentini fu creato “cavallerizzo” e ricevette 200 onze sui proventi dell’ufficio del portulano del regno [25]. L’altro fratello, Manfredi, capitano di Noto, ottenne invece l’infeudazione della terra demaniale di Vizzini [26].

Intanto, non più considerato d’importanza strategica, il castello di Belvedere venne sguarnito anche se continuò ed essere custodito. In una lettera data a Siracusa il 2 dicembre 1375:

«Ai giurati di Siracusa presenti e futuri. Fu a suo tempo ordinato di assegnare ogni mese onze 2.20 dal 14 novembre XIV ind. in avanti e per la XV ind. de pecunia universitatis a Nicola Marrasi cittadino di Siracusa dominus et barone del feudo Belluvidiri per la custodia del castello del feudo predetto a tutela della città» [27].

Questo è l’ultimo documento di cui disponiamo sul castello di Belvedere la cui presenza, era però citata, spesso con una certa confusione con il ben più importante castello dell’Eurialo, anche nelle opere di eruditi e storiografi siciliani successivi. Nella prima metà del ‘500 Tommaso Fazello riporta:

«Sopra Epipoli, e Labdalo quasi la quarta parte d’un miglio verso ponente è un tumulo … chiamato Euriolo da Tucidide… Nella sua sommità è una Rocca, goffamente fabbricata, e antica, che doveva servir per far la guardia, la quale oggi è mezza rovinata, e non vi si vede altro di bello, ch’una cisterna cavata in un sasso, e chiamasi oggi belvedere, scoprendosi da quel luogo il paese del Pachino, e del Peloro» [28].
Vito Amico, che scriveva nel 1757, riferendosi a Belvedere: «Piccola terra, Municipio di Siracusa, soggetta oggigiorno ai Signori Bonanno. Siede in un poggio appellato Euryolum da Fazello, Mirabella ed Arezio, dov’era un tempo una rocca». Citando il passo del Fazello aggiunge: «Notai nelle aggiunte al medesimo Storico, non corrispondere alla magnificenza di Eurialo, nè questa inelegante struttura, né la cisterna che rimane» [29]. Più dettagliata invece la notizia, che ci viene dal Capodieci, della fine del “castello” di Belvedere che secondo lo storico siracusano fu “diroccato” da Martino il Giovane già l’anno successivo la sua venuta in Sicilia.
«Mentre poi ritrovavasi costituito Governator Generale di tutta la Sicilia l’infante Martino ordinò con suo diploma dato in Catania a 6 Luglio 1393, che si diroccasse il Castello di Belvedere, e si munissero all’ incontro quei di Cassibili, e del Monte, a seconda delle insinuazioni fattegli da Giliberto Centelles, Capitan Giustiziere di Siracusa» [30].

Secondo il Privitera invece furono gli stessi sindaci siracusani, inviati a rendere gli omaggi della città a Maria e Martino, a chiedere «che i forti costruiti in tempo di guerra nel territorio siracusano venissero distrutti» [31]. Di seguito si riporta il testo integrale della lettera del duca Martino, del 6 luglio 1393, cosi come trascritta nel “Libro dei Privilegi” della città di Siracusa.

Dux a fideles, & devoti dilecti
A lu tenuri di li vostri littiri breviter rispundimu chi nui simu cuntenti chi vui fazzati dirrupari lu fortilitiu oj castellu di Belvidirj di: luqualj etiam mi informau lu Nobili Misser Gilibert de’ zentigles Vrú Capitanu Consiliariu familiariu & fidjlj nru, luqti ni laudau, & à vra petitionj nj supplicau chj si divissi dirruparj di li castelli no’ di lu munti, & cassibjli, la Maiestati nostra ha cumadatu expsse, tantu a lu nobili Cōti di Augusta mastru Iustitierj Cuxinu, & caru, nru, qntu à Messeri Fran.cu di Muboil chi prestameti fazzanu a li ditti Castelli la debita provisionj p forma chi sianu ben guardatj liqli lusfaranu Voluteri incontinenti. Preterea di mru Iuseppe judeu medicu la excellentia nostra si contenta à vostru placiri chi issu resti per serviri la Uniuersitati, & cussi nostri litiri li scriuimu.
Datum Cathanie sub nostro sigillo secreto VI. Iulii primae Inditioni [32]. 
Sguardo sul Belvedere

Sguardo sul Belvedere

Il “castello” di Belvedere ebbe dunque vita abbastanza breve dato che, potendosene presumere la costruzione attorno al secondo decennio del ‘300, non restò in piedi che circa un settantennio. Costruito nella fase di più aspro conflitto con le forze angioine, potendo controllare un’ampia porzione di costa a nord della città, è probabile che svolgesse un ruolo di osservazione e allarme piuttosto che prettamente difensivo.

Durante le diverse fasi delle guerre baronali fu infatti più volte occupato, probabilmente per tenere sotto pressione la città. Nel 1393 il duca Martino, non avendo ancora consolidato del tutto il suo potere, e potendo contare solo sulle principali città del litorale orientale, assecondò la volontà dei siracusani di abbattere la fortificazione. Il castello infatti, per la sua posizione e non disponendo di particolari opere di difesa, a differenza di quelli di Cassibile e dei Climiti, dovette essere considerato come un punto debole del sistema difensivo suburbano. 

Dialoghi Mediterranei, n. 63, settembre 2023 
Note
[1] . A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia: 1282-1390, in “Mediterranea-ricerche storiche”, III edizione, Palermo – 2012.
[2] F. Maurici, Castelli medievali in Sicilia, Regione Siciliana. Assessorato dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Palermo – 2015: 20.
[3] Biblioteca Comunale di Siracusa: Liber privilegiorum et diplomatum nobilis et fidelissimae Syracusarum urbis, Vol. 1.
[4] A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana (1282-1390), in “Mediterranea-ricerche storiche”, Palermo – 2006: 257.
[5] W. Ingeborg, Chiaramonte, Giovanni, il Vecchio (alla voce) in “Dizionario Biografico degli Italiani”, Volume 24, 1980.
[6] “Feudo Belvidiri sub nomine Caranchino verba fiunt” in G. Silvestri (a cura di), I Capibrevi di Giovanni Luca Barbieri ora per la prima volta pubblicati, Tipografia Michele Amenta, Palermo – 1879, Volume I: 248.
[7] Vedasi G. Cacciaguerra, Il Castelluccio di Climiti e la questione dell’incastellamento nell’area iblea orientale, in: F. Redi – A. Forgione (a cura di) “Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Medievale” L’Aquila, 12-15 settembre 2012, All’Insegna del Giglio – Borgo S. Lorenzo (FI), 2012.
[8] T. Fazello, Le due deche dell’historia di Sicilia. Tradotte dal latino in lingua toscana dal P. M. Remigio Fiorentino, I Decha, Libro IV, Domenico & Gio. Battista Guerra fratelli, Venezia – 1573: 134
[9] A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia, op. cit.: 337.
[10] Il 4 febbraio 1361 Federico IV informa i nobili Orlando di Federico d’Aragona e Artale Alagona di aver assegnato alla futura regina Costanza i beni della camera reginale, come stabilito nel contratto matrimoniale, e ordina loro di consegnare ad essa senza indugio i castelli e le terre designate. Ibidem: 284.
[11] «Nicola Marrasio di Siracusa in quanto erede del defunto milite Filippo Marrasio, suo fratello, risulta debitore del defunto milite Giovanni de Septimo, traditore regio, per dover restituire la dote ricevuta dal detto Filippo per il matrimonio contratto et per carnis coppulam consumatum inter eum et quondam Mabiliam uxorem suam, dato che erano morti entrambi i coniugi senza figli superstiti. Federico IV, tenendo conto dei danni subiti dallo stesso Nicola per la sua fedeltà al re, esime Nicola Marrasio, erede e fratello del defunto Filippo, dal restituire l’ammontare della dote alla Curia Regia, che aveva confiscato tutti i beni del defunto Giovanni de Septimo». Ibidem: 303
[12] Un altro dei fratelli di Artale, Blasco (III) il 24 settembre 1365, ricevette la capitania con cognizione delle cause criminali di Castiglione. Ibidem: 388
[13] Manfredi Alagona il 13 ottobre 1356 risulta “Capitano di Asaro con la cognizione delle cause criminali fino al regio beneplacito”. Ibidem: 232
[14] Ibidem: 350 e 364
[15] Ibidem: 375. Negli atti della Cancelleria il de Regio è definito “camerario, familiare e fedele regio”.
[16] Ibidem: 376. Nel testo riportato dal Marrone il de Regio è indicato “capitano di Siracusa”.
[17] Isidoro La Lumia attribuisce la responsabilità dell’omicidio, che intristì parecchio il sovrano “vittima cara al sovrano immolata” ad Artale Alagona. Appare tuttavia improbabile un mancato coinvolgimento del fratello Giacomo, a quel tempo capitano di Siracusa. I. La Lumia, I quattro Vicari. Studi di storia siciliana del XIV secolo, M. Cellini & C., Firenze – 1867: 19
[18] A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia, op. cit.: 376-377
[19] Il documento dato a Catania il 26 novembre 1361, è riportato in un transunto del notaio Francesco Riccio, di Palermo del 15 febbraio 1398, a richiesta di Giovanni d’Aragona signore di Avola, nipote di Orlando. Archivio di Stato di Napoli, fondo Pignatelli-Aragona-Cortes, Diplomatico, Diplomi 029.
[20] A. Marrone, Repertorio della feudalità siciliana, op. cit.: 57.
[21] A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia, op. cit.: 388.
[22] Ibidem: 679, 685 e 693
[23] Ibidem: 791
[24] A. Marrone, I titolari degli uffici centrali del regno di Sicilia, in “Mediterranea Ricerche storiche”, Palermo – 2005: 315
[25] A. Marrone, Repertorio degli atti della Cancelleria del Regno di Sicilia, op. cit.: 778-779.
[26] Ibidem: 775.
[27] Ibidem: 798-799
[28] T. Fazello, Le due deche dell’historia di Sicilia. op. cit: 134
[29] V. Amico, Dizionario topografico della Sicilia. Tradotto dal latino e annotato da Gioacchino Dimarzo, Tip. Pietro Morvillo – Palermo 1858, Vol. I: 137.
[30] G. M. Capodieci, Antichi monumenti di Siracusa, Presso D. Francesco M. Pulejo impressore, Siracusa – 1813, Vol. II: 245
[31] S. Privitera, Storia di Siracusa antica e moderna, Tipografia già del Tirreno, Napoli – 1879, Volume II: 91
[32] Liber privilegiorum, op. cit. Vol. 1. Il regesto degli atti del libro dei privilegi della città di Siracusa è stato pubblicato da S. L. Agnello, in “Archivio Storico Siracusano, V-VI, 1959-60: 32-81.
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Niccolò Monterosso, laureato in “Storia” (L42) presso l’Università di Bologna, frequenta, presso la sede di Ravenna, il corso di laurea magistrale in “Archeologia” (LM2).

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