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Pitré, la cultura alimentare e i quesiti semasiologici dell’Atlante Linguistico della Sicilia

 copertinadi Roberto Sottile

Degli oltre 700 quesiti di cui si compone il Questionario alimentare dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS), più di cento sono di tipo semasiologico. Ciò significa che un raccoglitore che vada in un punto d’inchiesta per intervistare le persone sulla cultura alimentare, non chiede, per esempio, agli informatori “come chiamate il pane condito con l’olio?” – questo è il ‘quesito onomasiologico’. Egli chiede, piuttosto: “che cosa si intende esattamente per ‘pani cunzatu’?”.

Si vedano alcuni esempi di quesiti semasiologici nell’immagine riportata accanto:

FOTO1Oltre 100 quesiti semasiologici su 700 sono un numero consistente, se si considera che, nell’ambito dell’atlantistica, l’approccio semasiologico è stato per lo più considerato di ‘secondo livello’, essendo prevalentemente appannaggio della lessicografia e dell’(etno)semantica. In proposito, così scriveva Sabina Canobbio, in relazione all’esperienza dell’Atlante linguistico etnografico del Piemonte Occidentale (ALEPO) :

«Lo spoglio dei materiali raccolti per l’ALEPO [l’analisi, cioè del materiale raccolto con le interviste], prefigura sin d’ora la possibilità anzi l’opportunità di allestire, accanto alle carte del tipo onomasiologico, e a loro complemento, anche un certo numero di carte semasiologiche, certo meno usuali nella prassi degli atlantilinguistici [corsivo mio]» (Atlante linguistico ed etnografico del Piemonte occidentale, Questionario. I – Introduzione, a cura di Sabina Canobbio e Tullio Telmon, Regione Piemonte, Torino 1993)

Si badi: qui il riferimento è alle carte che, eventualmente e a posteriori, possono essere allestite, a supporto di quelle onomasiologiche, secondo il presupposto di rappresentare arealmente ‘i significati di una certa parola’, ‘le forme e la struttura di una data cosa’. Ancora Canobbio, richiamando l’importante consistenza e la rilevanza dei quesiti semasiologici nell’ALEPO, osservava che in esso le domande semasiologiche sono «poche», mentre rilevava che dovrebbe essere l’esperienza stessa del raccoglitore, nonché la sua conoscenza del dialetto locale, «a spingerlo naturalmente a proporre domande quali “Ma che cosa è per voi…”».

L’idea di inserire, invece, programmaticamente, già nel Questionario un numero considerevole di domande semasiologiche, come nel caso della campagna alimentare dell’ALS, muove certamente dal presupposto, dovuto a una conoscenza preacquisita, che un certo numero di parole alimentari possano significare cose diverse a seconda delle aree, ovvero che siano parole la cui presenza è limitata ad alcune specifiche aree o punti di indagine ben circoscrivibili.

Ora, a Delia, un raccoglitore chiederebbe “che cos’è esattamente la cudduredda?”; a Caltanissetta, lo stesso raccoglitore chiederebbe: “ma che cos’è esattamente il pitirri?”. Un raccoglitore che chiedesse a Gangi “che cos’è esattamente il fusciddatu?”, avrebbe come risposta “una forma di pane”; a Caltavuturo, alla stessa domanda, avrebbe in risposta “un dolce pasquale”. Di conseguenza, la possibilità di evidenziare l’eventuale ‘polisemia geolinguistica’ di una certa parola, cioè la possibilità che uno specifico termine significhi cose diverse a seconda delle aree, presuppone implicitamente l’opportunità di delimitarne i confini (X significa A in una certa area o in un certo paese; significa B in un altro paese; significa C in un’altro paese ancora ecc.). D’altra parte, se il quesito semasiologico non dovesse rivelare la polisemia attesa, esso servirebbe comunque a delimitare geograficamente l’esatta estensione areale dell’unico, e non plurimo, significato di una certa parola. Diremmo che pitirri significa A e che la parola, col suo specifico significato, è usata solo (circoscritta) a Caltanissetta.

Ma al momento della stesura definitiva del Questionario alimentare dell’ALS, altre esperienze atlantistiche regionali italiane avevano ben evidenziato, d’altra parte, l’estrema difficoltà a operare con domande di tipo semasiologico, difficoltà consistente innanzitutto nello stabilire già quale parola dialettale usare ancor prima di chiedere che cosa essa significhi. Dunque, per chiedere a Gangi “che cos’è il fasciddatu?”, un raccoglitore deve sapere, intanto, che lì la cosa indagatasi chiama fasciddatu, ma deve anche sapere che, se andrà a Caltavuturo, dovrà chiedere “che cos’è il cucciddatu?” perché in quest’ultimo centro si dice cucciddatu e non fasciddatu.

Nel caso del Questionario dell’ALS, la forma dialettale prescelta è coincisa con quella riscontrabile nei vocabolari dialettali. Ma il raccoglitore che ha operato con il Questionario alimentare ha potuto disporre non soltanto della tipizzazione lessicale, ma anche di quella semantica: dovendo chiedere agli informatori “Cosa intendete per…”, egli era già messo in condizione di conoscere almeno uno dei significati della parola su cui avrebbe indagato. Tali ‘contenuti semantici’ sono assenti, in effetti, in qualunque Questionario (tutt’al più, nei questionari di altre imprese geolinguistiche, in corrispondenza di domande onomasiologiche a vocazione polisemica, è possibile trovare soltanto un’indicazione a indagare il significato di quella specifica parola). Nel Questionario alimentare dell’ALS, invece, i significati delle parole potenzialmente polisemiche sono raccolti e strutturati in una sorta di Appendice che forma le pagine 57-67 degli Appunti e Materiali per la ricerca (G. Ruffino e Nara Bernardi, Per una ricerca sulla cultura e sul lessico gastronomico in Sicilia. Appunti e materiali, Palermo 2000), Appunti e materiali che, in fondo, non sono altro che il Questionario stesso:

In esso, dunque, è prevista una sezione intitolata Glossario, dedicata, appunto, ai quesiti semasiologici, così presentata:

«Questo breve glossario vuole essere di supporto nell’uso del questionario, in particolare per sciogliere dubbi sull’ambiguità di significati potenzialmente polisemici (quesiti semasiologici), disseminati nelle diverse sezioni nelle quali il questionario si articola. Si forniscono perciò scarne informazioni, certamente parziali e sommarie, ricavate, oltre che dall’esperienza acquisita, da poche fonti di sicuro affidamento» (Ruffino-Bernardi, 2000: 57)

Tra queste «fonti di sicuro affidamento», un’importanza fondamentale è attribuita a Pitré, nella cui opera è possibile rilevare forme e significati coincidenti con una quarantina dei 100 quesiti semasiologici presenti nel Questionario alimentare ALS. Quaranta quesiti, a ben pensarci, sono quasi la metà dell’intera batteria di domande semasiologiche, mentre d’altra parte è interessante notare che per alcuni di essi Pitré resta l’unica fonte o la fonte più antica.

Se molti dei quesiti, infatti, sono ‘sciolti’ riportandone forme e significati rintracciabili nel novecentesco Vocabolario Siciliano (VS) di Piccitto-Tropea-Trovato (che spesso riprende le fonti lessicografiche sette-ottocentesche), non sono pochi i quesiti per i quali il riferimento più importante (se non l’unico) resta quello di Pitré, in tutti i casi ‘regolarmente recuperato’ nel VS.

Nella tabella (di appunti) riportata sotto, le voci e, dunque, i quesiti a partire da esse formulati, per i quali Pitré resta l’unica fonte, sono quelli riportati in grassetto:

Voce Glossario
Opera e P[rima] F[onte]
affucari
Pitré, U[si]eC[ostumi]-4, p. 357, P F: Mangiameli 1878-86
agghiotta
PitréUeC-4, p. 354-355, P F: Antico Anonimo, XVII sec.
agghiata
Pitré UeC-4, p. 354, P F: Antico Anonimo, XVII sec.
bbeccaficu
Pitré UeC-4, p. 357, P F: VS lo dà come panregionale senza fonte
cannolu
Pitré UeC-4, p. 361; Pitré 3, p. 76-77, P F (pansiciliano)
cassata
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 1, p. 223-226, P F: Amari
cassateḍḍa
Pitré S[pettacoli]eF[feste], p. 226, P F: Pitré
ciusceḍḍu
Pitré UeC-4, p. 355, P F Antico Anonimo, XVII sec.
cubbàita
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 372; 530, P F (pansiciliano)
cuccìa
Pitré F[este] P[atronali]2, p. 274; 282, P F (pansiciliano)
cucciḍḍatu
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 324; 330¸ Pitré 6, p. 33; Pitré 8, p. 188, P F (il VS riporta, come prima fonte, il Nicotra D’Urso, 1914)
cucurummà
Pitré UeC-4, p. 356, P F Traina e Mangiameli
cuḍḍura
Pitré FP, p. 190; 355; 357-358; Pitré 8, p. 190-192, P F (nessuna fonte storica in VS)
cunfetti agghiazzati
Pitré SeF, p. 377
cunìgghiu
Pitré UeC-4, p. 350-351 P F: per le fave o per le pietanze in agrodolce, Traina e Mortillaro
frascàtula
Pitré UeC-4, p. 351 P F (VS la dà come panregionale senza fonti storiche, riporta Pitré UeC-4, assieme a Traina, come fonte per ‘specie di focaccia’)
fritteḍḍa
Pitré UeC-4, p. 356 P F VS dà Pitré, assieme a Malatesta, come fonte storica per ‘minestra di fave fresche, piselli e carciofi’)
guasteḍḍa
Pitré UeC-4, p. 360, P F: Drago 1721
maccu
Pitré UeC-4, p. 351, P F per VS panaereale, senza fonti storiche
milanisa
Pitré UeC-4, P F  VS dà Pitré come unica fonte storica
minni di vìrgini
Pitré UeC-4, p. 363, P F  VS dà Pitré assieme a Traina e Mangiameli come fonte storica
muscardini
Pitré SeF, p. 377
mustazzolu
Pitré SeF, p. 168-169; Pitré FP, p. 490 P F: diverse fonti prepitreiane
maccarruna nciliati
Pitré UeC-1, p. 75-76; Pitré UeC-4, p. 354 PF: VS dà Pitré come unica fonte storica
nfigghiulata
Pitré UeC-4, p. 360, P F  nell’accezione di ‘pasta ripiena con un amalgama di ricotta ecc.’, VS dà Pitré come unica fonte storica
nucàtuli
Pitré UeC-4, p. 364, P F: in VS diverse fonti lessicografiche prepitreiane
pasta palina
Pitré UeC-4, p. 353 P F: Pitré come unica fonte in VS
panella
Pitré UeC-4, p. 360, PF: VS dà Pitré accanto ada altre fonti altrettanto antiche
peṭṛafènnula
Pitré UeC-4, p. 364, P F: fonti più antiche di Pitré
ravazzata
PitréUeC-4, p. 360, P F: fonti più antiche di Pitré
scapeci
Pitré UeC-4, p. 358, P F: come ‘tonno sott’olio’ in VS diverse fonti prepitreiane; nella variante scapeci ma non nella variante schibbeci, e nell’accezione ‘vivanda a base di pesci condita con olio, cipolla, uva passa, aromi’, Pitré è dato come fonte storica accanto a Gioeni 1885
sciavata
Pitré UeC-4, p. 360, nella variante sgiaguazza è già in Gioeni come ‘focaccia’ ma solo in Pitré come ‘focaccia condita con olio, pepe e sale’
sciabbò
Pitré SeF, p. 169, diverse fonti antiche incluso Pitré per ‘lasagne piuttosto larghe e ondulate’; solo Pitré come ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangia(va)no a Capodanno condite con la ricotta’, per la città di Palermo in VS per lo più fonti storiche; indicazioni diatopiche solo per Palermo (recuperate da Pitré) e per Mazara del Vallo
sfincia
Pitré UeC-4, p. 365, tra le fonti più antiche è citato in VS anche Pitré
sfinciuni
Pitré UeC-4, p. 360-361 PF: varie fonti ottocentesche
stigghiola
Pitré SeF, p. 323-325; Pitré UeC-4, p. 358, P F : Antico Anomimo
sussameli
Pitré SeF, p. 328; Pitré UeC-4, p. 365, PF: nella forma sussamela VS dà Pitré assieme a Traina e Mortillaro come le uniche fonti antiche
testa di turcu
Pitré UeC-1, p. 77, S. A. Guastella 1877

Quale sorte hanno avuto questi quesiti, nell’ambito degli studi sulla cultura alimentare condotti in seno all’ALS, a seguito della campagna di inchieste sul terreno? Ecco il prospetto (la terza colonna indica il numero dei M[ateriali e] R[icerche dell’]A[tlante] L[inguistico della] S[icilia] nei quali le risposte ai quesiti sono state già fatte oggetto di analisi geo-etnolinguistica) :

Voce Glossario
Opera e P[rima] F[onte]
 
affucari
Pitré, U[si]eC[sostumi]-4, p. 357, P F: Mangiameli 1878-86
-
agghiotta
PitréUeC-4, p. 354-355, P F: Antico Anonimo, XVII sec.
-
agghiata
Pitré UeC-4, p. 354, P F: Antico Anonimo, XVII sec.
-
bbeccaficu
Pitré UeC-4, p. 357, P F: VS lo dà come panregionale senza fonte
-
cannolu
Pitré UeC-4, p. 361; Pitré 3, p. 76-77, P F (pansiciliano)
-
cassata
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 1, p. 223-226, P F: Amari
MR ALS 33
cassateḍḍa
Pitré S[pettacoli]eF[feste], p. 226, P F: Pitré
MR ALS 33
cubbàita
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 372; 530, P F (pansiciliano)
MR ALS 33
cuccìa
Pitré F[este] P[atronali]2, p. 274; 282, P F (pansiciliano)
-
cucciḍḍatu
Pitré UeC-4, p. 362; Pitré 2, p. 324; 330¸ Pitré 6, p. 33; Pitré 8, p. 188, P F (il VS riporta, come prima fonte, il Nicotra D’Urso, 1914)
MR ALS 33
cucurummà
Pitré UeC-4, p. 356, P F Traina e Mangiameli
-
cuḍḍura
Pitré FP, p. 190; 355; 357-358; Pitré 8, p. 190-192, P F (nessuna fonte storica in VS)
MR ALS 33
cunìgghiu
Pitré UeC-4, p. 350-351 P F: per le fave o per le pietanze in agrodolce, Traina e Mortillaro
MR 26
frascàtula
Pitré UeC-4, p. 351 P F (VS la dà come panregionale senza fonti storiche, riporta Pitré UeC-4, assieme a Traina, come fonte per ‘specie di focaccia’)
MR ALS 23
fritteḍḍa
Pitré UeC-4, p. 356 P F  VS dà Pitré, assieme a Malatesta, come fonte storica per “minestra di fave fresche, piselli e carciofi”)
-
guasteḍḍa
Pitré UeC-4, p. 360, P F: Drago 1721
MR ALS 30
MR ALS 33
maccu
Pitré UeC-4, p. 351, P F per VS panaereale, senza fonti storiche
-
milanisa
Pitré UeC-4, P F  VS dà Pitré come unica fonte storica
-
minni di vìrgini
Pitré UeC-4, p. 363, P F  VS dà Pitré assieme a Traina e Mangiameli come fonte storica
-
muscardini
Pitré SeF, p. 377
MR ALS 33
mustazzolu
Pitré SeF, p. 168-169; Pitré FP, p. 490 P F: diverse fonti prepitreiane
MR ALS 33
maccarruna nciliati
Pitré UeC-1, p. 75-76; Pitré UeC-4, p. 354 PF: VS dà Pitré come unica fonte storica
-
nfigghiulata
Pitré UeC-4, p. 360, P F  nell’accezione di ‘pasta ripiena con un amalgama di ricotta ecc.’, VS dà Pitré come unica fonte storica
MR ALS 30
nucàtuli
Pitré UeC-4, p. 364, P F: in VS diverse fonti lessicografiche prepitreiane
MR ALS 33
pasta palina
Pitré UeC-4, p. 353 P F: Pitré come unica fonte in VS
-
panella
Pitré UeC-4, p. 360, PF: VS dà Pitré accanto ada altre fonti altrettanto antiche
MR ALS 29
peṭṛafènnula
Pitré UeC-4, p. 364, P F: fonti più antiche di Pitré
-
ravazzata
PitréUeC-4, p. 360, P F: fonti più antiche di Pitré
-
scapeci
Pitré UeC-4, p. 358, P F: come ‘tonno sott’olio’ in VS diverse fonti prepitreiane; nella variante scapeci ma non nella variante schibbeci, e nell’accezione ‘vivanda a base di pesci condita con olio, cipolla, uva passa, aromi’, Pitré è dato come fonte storica accanto a Gioeni 1885
-
sciavata
Pitré UeC-4, p. 360, nella variante sgiaguazza è già in Gioeni come ‘focaccia’ ma solo in Pitré come ‘focaccia condita con olio, pepe e sale’
MR ALS 30
sciabbò
Pitré SeF, p. 169, diverse fonti antiche incluso Pitré per ‘lasagne piuttosto larghe e ondulate’; solo Pitré come ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangia(va)no a Capodanno condite con la ricotta’, per la città di Palermo
in VS per lo più fonti storiche; indicazioni diatopiche solo per Palermo (recuperate da Pitré) e per Mazara del Vallo
-
sfincia
Pitré UeC-4, p. 365, tra le fonti più antiche è citato in VS anche Pitré
MR ALS 33
sfinciuni
Pitré UeC-4, p. 360-361 PF: varie fonti ottocentesche
MR ALS 30
stigghiola
Pitré SeF, p. 323-325; Pitré UeC-4, p. 358, P F : Antico Anomimo
MR ALS 29
sussameli
Pitré SeF, p. 328; Pitré UeC-4, p. 365, PF: nella forma sussamela VS dà Pitré assieme a Traina e Mortillaro come le uniche fonti antiche
-
testa di turcu
Pitré UeC-1, p. 77, S. A. Guastella 1877
MR ALS 33

Come si vede, i quesiti formulati a partire dalle voci documentate da Pitré riguardano per lo più i dolci, le farinate, la cucina di strada e la pasta. Per molte di queste parole, le diverse analisi effettuate nell’ambito dell’ALS hanno già consentito di definirne i contorni areali, approfondirne i diversi significati linguistici e sociali, disegnarne specifiche aree linguistiche e culturali.

È importante considerare che le analisi fin qui svolte hanno sempre avuto come punto di partenza le inchieste dell’ALS, realizzate negli ultimi quindici anni. Tra queste vanno menzionate in particolare quelle ufficiali, condotte tra il 2004 e il 2006, in una trentina di punti siciliani. Si tratta di inchieste particolamente importanti poiché sono state affidate a giovani raccoglitori che avevano frequentato un impegnativo corso di formazione proprio in vista della somministrazione dell’intero Questionario. A questo punto, in relazione ai quesiti semasiologici e soprattutto per quelli che vedono Pitré come unica fonte, potrebbe essere interessante dare un primo sguardo al materiale giunto da queste inchieste, nel tentativo di valutarne la produttività.

Viene qui proposto, dunque, a mo’ d’esempio, il caso di sciabbò (Pitré SeF, p. 169) riguardante, per altro, l’ambito della pasta, finora poco studiato all’interno del cantiere dell’ALS, come si evince anche dalla tabella riportata sopra.

 pasta sciabò, salsa, ricotta e brucioli

Pasta sciabò, salsa, ricotta e brucioli

Si nota intanto che, tra le fonti siciliane, soltanto Pitré fa riferimento a un tipo di ‘lasagne lunghe e ondulate che si mangiano a Capodanno condite con la ricotta’, mentre le altre fonti, tutte ottocentesche, si riferiscono più genericamente a ‘lasagne lunghe e ondulate’. Sulla base della documentazione pitreiana, il VS localizza la presenza di questa pasta a Palermo (puntualizzandone un consumo rituale) e Mazara del Vallo, attraverso la documentazione dell’Atlante Linguistico Italiano (ALI), dove gli sciabbò sono però date come ‘generiche lasagne arricciate’, senza alcuna specificazione su un eventuale loro statuto di cibo festivo. Scrive Pitré in Spettacoli e Feste: a proposito del Capodanno:

«Una specialità culinaria di questo giorno sono certe larghissime lasagne incannellate, dette scibbò o sciabbò (pappardelle), condite con ricotta. In Palermo, come nella più parte della Sicilia, l’uso è generale, e le botteghe dei pastai tengono in mostra queste pappardelle per rallegrare i loro negozi e attirare avventori» (Pitré SeF: 169)

Le inchieste ALS dovrebbero dunque permettere di verificare e riordinare la presenza del tipo lessicale e il suo significato, accertare il suo uso rituale, le modalità di preparazione e consumo, e consentire nel contempo di rilevare la diffusione areale e la eventuale vitalità della forma/cibo. Le inchieste effettuate permettono di disegnare uno schema ancora molto provvisorio, ma interessante e ricco di dati:

Punto
Presenza/assenza; note
101 Trapani
NO (conosce ma non usa)
110 Marsala
NO
107 San Vito Lo Capo
NO
112 Mazara del Vallo
Nessun dato raccolto
121 Vita
NO
124 Pantelleria
NO
206 Partinico
NO
221 Bisacquino
NO
252 Caccamo
Lasagne a Natale
273 Alimena
NO
270 Polizzi Generosa
NO
278 Geraci
NO (si facevano maccarruna cû sucu)
277 Gangi
NO
279 Castelbuono
NO, ma vedere oltre
326 San Biagio Plàtani
NO
337 Naro
NO sciabbò, ma cavatuna filati
406 Milena
NO (per Natale e Capodanno, pasta in brodo)
419 Mazzarino
NO
501 Enna
NO
729 Acireale
NO
818 Noto
SI
903 Vittoria
NO
906 Chiaramonte Gulfi
NO

Come si nota, la conoscenza del tipo sciabbò, sia in termini di significato che di referente,emerge molto raramente. Ma dall’inchiesta di Trapani scopriamo, per esempio, che al tipo sciabbò corrisponde quello di violanta larga 

101 Trapani:

R: e sciabbò?

I: sunnu lasagni larghi

R: ma ccà si usa sta parola sciabbò, l’ha intisu mai?

I: niàtri lasagni ci riçemu largghi, violantta larga (…). accussì a façìamu sempri niàtri câ sarssa oppuru cu -ll’àgghia pistata

R: cioè l’àgghia trapanisa?

I: cû pumaroru pelatu

Per Marsala verifichiamo l’uso a Capodanno di lasagne condite con salsa di pomodoro, ma il nome sciabbò sembra sconosciuto:

110 Marsala:

R.: A capuranno, invece, chi si prepara? A notte ri capuranno, per esempio.

I.: Lasagne.

R.: A notte?

I.: A notte… soccu…

I2.: Lenticchie.

I2.: Onnumane si cucinano i lasagne.

I.: Onnumane si cucinano / lasagnedde tuttu l’anno scaccanedde (risate) ricìano l’antiche.

R.: E cû socco si fanno i lasagne?

I.: I lasagne si po… o ri chisse accattate o si faciano.

R.: E nnô mezzo socco si cci mitte?

I.: Sàissa si facìa.

R.: Col ragù?

I.: Si mpastava a farina cû-ll’acqua e si facìano i lasagne.

San Vito Lo Capo testimonia l’esistenza della forma italiana (moderna):

107 San Vito Lo Capo:

R: e sciabbò?

 […]

R: che: viene chiamata iolanda in italiano

I1: ah, allura chista è, a lasagna larga rrìccia

 […]

Ancora in provincia di Trapani, l’informatore di Vita, rivela di non conoscere né il nome né il significato:

121 Vita:

R: E inveçe sciabbò?

I: E chi è?

R: No:: giusto sciabbò socch’è?

I: No: unn u sàcciu mancu

R: Unn u sapi socch’è?

I: No

R: Eh: sciabbò

I: Pasta puru è?

R: Sono:: delle lasagne larghe che si mangiano a capodanno // con ricotta fresca: unn c’è a  Vita?

I: Unn amu fattu mài niàtri

Nonostante l’Atlante Linguistico Italiano documenti per Mazara del Vallo l’esistenza del tipo sciabbò, nell’area trapanese esso non sembra, dunque, particolarmente diffuso. A cavallo tra la provincia di Trapani e quella di Palermo, emerge ancora l’uso rituale di consumare lasagne per Capodanno (anche se si tratta di lasagne del tipo liscio), mentre, d’altra parte, l’informatore rivela un ulteriore nome (più moderno evidentemente): quello di margherita:

206 Partinico:

I: No, mancu sacciu chi cos’è štu sciabbò, chi cos’è stu sciabbò?

R: Lasagne larghe, ondulate che si facevano per capodanno?

I: Ma i lasagne s’accattàvanu tannu, pi u Capurannu.

R: E come le chiamavate?

I: I lasagni, i lasagni.

R: E com’èrano?

——–

I: I lasagni larghi, senza no ricci, lasagni troppo larghi anzi, no comu chiddi chi si façianu di casa, belle larghi larghi.

R: Ed erano lisce, ricce?

I: Sì, sì lisci, lisci. Chì chiddi ricci èranu margherita si chiamava.

di lasagne a capodanno, di lasagne

Nell’area delle Madonie, scopriamo, poi, sempre con le inchieste ALS, un ulteriore tipo lessicale per le lasagne ricce corrispondente a rrasagnoli, a Gangi.

Il tipo sciabbò ricompare in area orientale, per Noto, come pasta di uso non rituale, che si consuma condita con salsa di pomodoro:

818 Noto:

R: <mh:>sciabbuò?

I: u sciambuò sì, u sciambuò è a pašta.

R: e com’è fatta sa:: | šta pašta?

I: <eheh> si po fari comi ci piaçi lei, sempri câ sassa. sassa, sugu, ragù

R: sciambò.

I: sciambò. u sciambò è un tipo di pašta,

R: <ah> è un [tipo di pašta]

I: [che | è] un tipo di pašta che eni larga, // così

sì.

I: e ppoi ri llatu e llatu è fatta tutta cosi

R: [<ah::> (ho capito)]

I: [e si] chiama sciambò appo+ | apposta. capito?

R: [(*ho capito*)]

I: [cc’è] chidda stritta, cc’è chidda larga.

R: (ho capito.)

Dunque, la voce pitreiana, con le sue implicazioni rituali, non trova oggi alcun riscontro nelle inchieste dell’ALS, sebbene queste, come abbiamo notato, si riferiscano solo a una trentina di punti. Tuttavia, i dati di cui disponiamo, pur se provvisori, sembrano fornire alcuni indizi rispetto alla testimonianza di Pitré.

Per la voce sciabbò, documentata in Spettacoli e feste,

 Lasagne cacate

Lasagne cacate

1)  siamo in presenza di una voce per così dire moderna: si tratta infatti di un francesismo che, primariamente, è riferito alla ‘guarnizione di tela e pizzo pieghettato o increspato, che un tempo ornava sul davanti la camicia maschile’. Si tratta quindi del francese jabot. Seconda- riamente, sciabbò e scibbò diventano, prima, il nome generico di simili guarnizioni, lisce o increspate, e in seguito quello delle lasagne arricciate. Pertanto, si potrebbe supporre che, ai tempi di Pitré, il termine fosse molto giovane: un francesismo legato alla moda, con una circolazione prevalmentemente urbana, nei grandi centri vicini alle coste, e diastraticamente connessa alle classi alte (Pitré parla infatti di botteghe che vendevano quel tipo di pasta, mentre nella tradizione rurale la pasta veniva fatta in casa).

2)  A soccorso del fatto che poté trattarsi di un termine di recente introduzione e che forse si risolse presto in un occasionalismo, viene l’inchiesta alimentare effettuata a Castelbuono nella quale si constata il consumo rituale di lasagne arricciate a Capodanno, secondo la ricetta descritta da Pitré, ma con ben altro nome rispetto a quello riportato dal demologo palermitano:

279 Castelbuono:

I: a pasta cacata si facìeva puri nnê festi, cchiossà ppi ccapudannu. Si facìeva u rraù, pùa nnô rragù si cci sciujjìeva a rricotta frisca.

R: a pasta quali si cci mittìeva?

I: a pasta si cci mittìeva a tajjarina rrizza di tutt’i du’ lati, si cci mittìeva stu sucu di supra, ccu ddra rricotta frisca e ppùa sempri un pocu di càciu, cu cci u vulìeva cci u putìeva mèttiri.

Sono gli sciabbò di Giuseppe Pitré, quanto a tipo di pasta e modalità di preparazione e consumo rituale, ma il nome non sembra esattamente di origini parigine….

Se volessimo mantenere la suggestione del nome ossitono, potremmo ora concentrarci sul tipo cucurummà, non tanto perché, come nel primo caso, l’unica fonte per questa parola o per qualcuna delle sue accezioni resta Pitré, quanto per il fatto che essa ci permette di mostrare la rilevanza della semasiologia in seno alle ricerche atlantistiche. Riguardo al suo uso, la parola consente infatti di delimitare uno specifico areale, pur se a macchia di leopardo.

La voce occorre in Pitré Usi e costumi IV nelle forme cucurummau e cucucurummaru in riferimento un ‘intingolo di pomidoro, cacio, uova, olio’. In VSè assente la variante cucurummau, ma è lemmatizzato cucurùmmaru (forma proparossitona), che riprende come fonti soltanto Traina e Mangiameli, mentre l’accezione fornita corrisponde pressappoco a quella di Pitré: ‘pietanza di uova, pomidoro, olio e cacio’. In VS, inoltre, è lemmatizzato cucurummà per Pantelleria, sciolto come ‘pietanza fatta con zucche e uova’ e sostanzialmente coincidente con la  voce presente nel lessico di Tropea (Giovanni Tropea, Lessico del dialetto di Pantelleria, Palermo 1988) che fornisce il significato di‘piatto a base di zucchine e uova’.

Nelle inchieste ALS cucurummà compare ovviamente a Pantelleria con riferimento alla zucca e all’intingolo con cui viene preparata:

124 Pantelleria:

R: a cucurummà

I1: cucurummà è a cucuzzaesti eh a cucuzza gialla d’invernu si fa a cucurummà […] e ssi mette pomodoro l’àgghia puru olive nìveree e

R: patate?

I1: patate puru cc’è cu çi mette

R. si fa un suchiçeddru?

I1: un suchiçeddru cucurummà è u suchiçeddru

R: e ssi ponnu gràpiri ova rinta?

I1: se se,ova se

La voce compare anche a San Vito Lo Capo, con riferimento però al solo intingolo e senza alcun rapporto, dunque, con la pietanza di zucche:

107 San Vito Lo Capo:

R: cos’è a cuccurummà?

I1: cuccurummà, u pumaroru

I2: i nfrichi i popò

I1: u pumaroru, si cci metti cipudda si fa ccòciri poi quannu è bbellu cottu si pìgghia l’ova e ssi [.] mèttinu nnô mezzu e ssi mèttinu a rriminari [..]

Di un piatto analogo, anche in termini di denominazione, si ha testimonianza pure nell’inchiesta di Trapani con riferimento alla pietanza di zucche:

101 Trapani:

R: e a cucurummà?

I: a ccurucù è, no cucurummà

R: mai sentito cucurummà? Si prepara chî cucuzze, l’ova….

I: gghiotta r’ova e cucuzze

R: cucurummà non si usa?

I: no (…)

mentre in un’altra parte dell’inchiesta si parla anche dell’uovo:

101 Trapani:

… è chi cci rìçinu puru a cuccurucù. Chi ssi metti çipudda, um-ṕoco di pumaroru, si fa nganciàre e poi si rapi l’ovu , si cci ecca e si rrimina. Si cci metti puru u formmàggio, u formmàggio fresco, u formmàggio grattuggiàto(…)

Per l’area siciliana occidentale la voce è documentata anche a Partinico, dove il focus dell’informatore è però l’uovo e una sua specifica modalità di preparazione:

206 Partinico:

[le uova] I: Ca i façemu fritti, accussì riçìa; e puru i façìamu a cucurummau, l’ova, èrano duci buonissime, a cucurummau façìamo la cipolla in una padella, si frìia leggermente, appresso ci mittìa tantu pummaroru pelato, s’accutturava, si condiva, quann’era accussì ci špaccava l’ova, u beḍḍu ògghiu ci mittìa, çertu, e si façìanu cose ri poco e binìanu…un pochino ri špezie misi ncapu e binìanu dolcissimi e si façìa macari colazione.

Fuori da quest’area occidentale la voce è del tutto assente.

Il quesito semasiologico ha qui permesso, dunque, di delimitare lo specifico areale di una pietanza di cui ci parla Pitré il quale, assieme ad altre fonti ottocentesche, ha rappresentato anche in questo caso la base di partenza per l’elaborazione di quella che è diventata una delle domande del Questionario tramite cui l’Atlante Linguistico della Sicilia sta ora documentando l’universo della cultura alimentare e le pratiche gastronomiche siciliane.

Dialoghi Mediterranei, n.21, settembre 2016
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Roberto Sottile, ricercatore nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Palermo dove insegna Linguistica italiana. Recentemente ha pubblicato, con il Gruppo di ricerca dell’Atlante Linguistico della Sicilia (ALS) il Vocabolario-atlante della cultura dialettale. Articoli di saggio (CSFLS, Palermo 2009) e il “Lessico della cultura dialettale delle Madonie. 1. L’alimentazione, 2. Voci di saggio” (CSFLS, Palermo 2010-2011). Ha anche dedicato una particolare attenzione al rapporto tra dialetto e mondo giovanile. In quest’ambito si segnala il recente libro intitolato Il dialetto nella canzone italiana degli ultimi venti anni (Aracne, Roma 2013). Con Giovanni Ruffino ha pubblicato Parole migranti tra Oriente e Occidente (CSFLS, Palermo 2015), una raccolta di voci dialettali di origine araba che attraverso la Sicilia si sono diffuse in Europa e nel bacino del Mediterraneo. Esperienze recenti, negli atti del convegno Lingua e dialetto nelle regioni. Nuovi usi, (Padova 2013).
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