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Michele Ketoff mistico del colore

852903441_1280x720di Valentina Richichi

In generale, i russi sono/gente larga, […] larga come la loro terra, ed/ estremamente inclini al fantastico e al disordine (F. Dostoevskij).

Tra le forme espressive possibili del libro d’artista, i diari sono una delle più affascinanti e meno comuni e dove l’occhio non ha ristoro, pagina dopo pagina, tra impulsi cromatici e litanie della forma, siamo certamente faccia a faccia con un artista reazionario e dalla vicenda interessante e struggente. Si tratta di Michele Ketoff, che della sua esperienza spirituale del mondo ha fatto una parabola artistica in cui persino la discesa agli inferi ha note di sprezzante umorismo. 

Ketoff, milanese di origini russe, ha vissuto tra l’Italia, la Spagna e la Svizzera, dove ha collocato i suoi studi d’artista, fucine di meditazione e azione creativa, ancora oggi capaci di comunicare una sacrale presenza, tra tazze dimenticate e scatole traboccanti di tubetti, smalti, matite consumate. 

La sua famiglia di origine è fonte di stimoli tra loro diversi e complementari: dalla nonna paterna Zina, artista allieva di Mikhail Fyodorovich Larionov e Natalia Sergeyevna Goncharova allo zio Paolo, ingegnere inventore del “Synket” (uno strumento elettroacustico messo a punto per l’American Academy di Roma tra il 1964 e il 1965) e impegnato nella ricerca musicale in collaborazioni con Ennio Morricone e John Cage, passando per le influenze paterne. Il padre Ivan, grafico, si interessa infatti di aeropittura futurista e trasmette al figlio Michele, ancora bambino, la curiosità per l’arte, grazie anche alle numerose visite ai più importanti musei europei.

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Michele Ketoff, Uno sguardo al prossimo futuro

Michele Ketoff matura l’interesse per le arti figurative in un modo del tutto personale. Se da una parte spende le proprie conoscenze nell’attività strettamente professionale nei contesti milanesi dell’immagine e della moda – come grafico collabora con Missoni, Rinascente, Agnona, 3M ed è tra i fondatori di L’Uomo Vogue – dall’altra vive l’arte nella sua produzione personale che è cifra essa stessa di una personalità introversa, solitaria e fortemente pervasa dal dissidio spirituale.

Ketoff adopera supporti e tecniche non convenzionali per esprimere incantamento, disappunto, sofferenza, godimento, non senza un puntuale ricorso a un senso dell’ironia pungente sottolineato dalle stesse iscrizioni che accompagnano i suoi disegni e i suoi quadri. 

Ma la produzione certamente più interessante, e che oggi trova una sua piccola porzione nella pubblicazione dell’omonimo catalogo edito da Allemandi (2020), è quella dei Diari. Nel decennio infatti che va dagli anni Novanta fino ai primi anni Duemila, Ketoff si dedica a quella che lui stesso definiva “auto-terapia”, la stesura di diari grafici, dove ogni pagina corrisponde alla sintesi della propria giornata, diario di bordo in cui la voce dell’esperienza e della riflessione è affidata ai tratti, alle pennellate, alle soluzioni grafiche modulari che religiosamente si compiono come mantra sulle pagine irrigidite e lievemente ondulate dall’umidità delle tinture.

42366775_535333773580540_6714367771641118720_oI quaderni adoperati sono di formato piccolo e dalla copertina interamente nera e negli anni aumentano vertiginosamente di numero, ma tradiscono allo stesso tempo un compiersi del percorso interiore che interessa l’artista. Al punto che, concluso il decennio e trovato il fuso dell’equilibrio personale, Ketoff improvvisamente interrompe la propria produzione dei diari con la semplice motivazione del non averne più bisogno: il tragitto è compiuto, l’ultima pagina è stata riempita, il colore, non più sanguigno e sprezzante come all’esordio, ricco di diverse intensità quasi sonore, è adesso pacato, uniforme e di una limpidezza eterea, raggiunge i toni impalpabili dell’atmosfera rarefatta del cielo, finalmente chiaro, quel concreto “azzurro” della percezione di Georges Bataille. Probabilmente perché liberato dalle gabbie mentali in cui si agitava la sua energia, adesso capace di librarsi in volo e volgersi ad altro tipo di pittura, come seguita a fare fino alla fine, esponendo in gallerie, chiese, monasteri e realizzando istallazioni di grande impatto visivo ed emotivo.

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Michele Ketoff, Cavallo di Troia

Diari raccoglie un estratto significativo di immagini tratte da diversi diari appartenenti ad altrettanti diversi periodi della vita dell’Artista, selezione operata in prima battuta dalla coordinatrice del progetto editoriale, la fotografa e giornalista milanese Anna Maria Del Ponte.

I diari di Ketoff sono infatti ancora in fase di inventariazione e categorizzazione: in modo trasversale, la produzione è attraversata dalle fasi evolutive del pensiero e dell’immaginazione, ma vi sono anche temi ricorrenti, su tutti di nota è la rappresentazione sarcastica dei diavoli, umani troppo umani, sintesi ideale della fragilità sociale, temi la cui cifra spirituale e filosofica è sottolineata nelle righe (probabilmente le ultime scritte prima di venire a mancare nel luglio 2019) che Stefano Agosti ha tracciato nel suo saggio introduttivo all’opera:

«Il suo disegnare sulla carta di un grosso nero quaderno rigido come un libro, è soprattutto ricerca, respiro investigativo di sé e dell’altro. Sembra essere stato un ostinato lavoro per entrare nel proprio immaginario e in quello altrui. […] Ketoff scavando solchi nel suo profondo, fa fuoriuscire echi di forme e segni; a volte, come da un’esplosione, scaturiscono mondi grotteschi, a volte pagine monocolore con solo sequenze di punti, di silenzio, interiore distacco, di quiete».

E in un simile flusso di ricerca emozionale prende forma un particolarissimo dialogo a distanza con gli artisti che hanno maggiormente influenzato la sua cifra stilistica, fulgida e personale espressione enciclopedica che ama citare quelli che furono forse i suoi preferiti, Klee, Chagall, gli echi delle avanguardie, i pieni e i vuoti didascalici, impronte digitali di una contemporaneità in declino e di un individuo/collettivo che cerca di spiccare il volo malgrado tutto, a prescindere dal sé, in lotta con sé, infine in una inesorabile riappacificazione con esso. Scrive nel suo saggio di introduzione ai Diari “Costretti alla vicinanza” Mercedes Auteri:

«La rinuncia alla tridimensionalità viene sopperita da un’altra specie di profondità che fa i conti con la materia e s’incarna nel colore e nel segno, la cui rivelazione non può cogliersi se non nell’intuizione individuale, nel dialogo intimo con il lettore, nella sua esperienza trascendentale della vita».
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Michele Ketoff, Avant de partir

Così, come da una legge del mondo senza spazio né tempo e così come ci insegna la narratologia, dalle pagine di Duccio Demetrio agli spunti fecondi di Luigi Santucci, il racconto personale si rivela comunque estratto di un implicito sociale, persino nella vicenda così singolare di un artista le cui geometrie familiari hanno lanciato le loro direttrici dalla Russia, a Roma, a Milano, alla Francia. L’ascendenza russa dell’estetica di Ketoff non è unicamente vicenda personale, ma portato di una sensibilità che della raffigurazione spirituale ha fatto cifra di un respiro collettivo, come possiamo desumere dalle pagine di Nikolaj Leskov e della sua indagine letteraria sul senso dell’icona e della devozione popolare all’immagine dipinta. Così nuove eroine sono la madre del diavolo, cara e ricorrente nelle sue rappresentazioni dell’assurdo umano, figure femminili che ammirano un tramonto (ma il tramonto non è fuori dalla finestra, è invece nella luce gialla che pervade la stanza, e fuori dalla finestra c’è un cane che interroga la spettatrice con lo sguardo), animali che ragionano e sentenziano come fossero retori di satira sferzante e si raccolgono come in un bestiario socio-filosofico che è leggero, “easy” diremmo oggi, ma che lascia allo spettatore la scelta di riposarsi sulla sorgiva allegria dei colori oppure ragionare con l’artista e lasciarsi trascinare nella zona d’ombra della sua più profonda e ieratica confessione. 

Così, allo stesso modo, Michele Ketoff elegge a suo studio ideale il piccolo bosco prospiciente il mare che circonda il suo ritiro a Eivissa, nell’isola da lui molto amata, laddove l’ascetica ricerca e lo spunto riversato sulla pagina del diario è afflato personale oppure segnale di fumo rivolto ai satelliti che orbitano in cielo e diffondono all’universo intero gli impulsi degli abitanti del pianeta. Ed è ciò che Empton, nella descrizione delle fasi creative di Ketoff contenute nei Diari traccia nelle parole che seguono:

«In quest’ultimo periodo Michele vive in profonda comunione con la natura e nel suo sguardo avviene un mutamento che vi corrisponde, come quello che i greci definivano con il termine sigàn, uno stato mentale fisico a cui essi attribuivano significati sacri. […] è la radura di cui parla Heidegger, è la presenza del Genius di cui gli antichi andavano fieri. È quel qualcosa di cui l’occhio non potrà mai saziarsi».
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Michele Ketoff, Ritorno al tramonto

Davvero non può mai saziarsi l’occhio da una pagina all’altra, nei diari di questo ineffabile artista, dove la denominazione “diario” o “quaderno” altro non è che il riferimento al supporto adoperato per la scrittura, ma anche codifica grafica di qualcosa di più vivo ancora dell’atto dello sfogliare: pagina dopo pagina, è una visita, un cammino, una corsa, una fuga dalle creature bestiali, dai demoni, oppure una placida sensazione di venir cullati, persino nella potente luce che promana dalla cometa con cui l’artista ha raffigurato il proprio intimo scorcio della natività.

Un volume che ha visto la propria luce proprio quando la pandemia di coronavirus ha avuto il proprio esordio e che ha condiviso la medesima fortuna di tutto ciò che nel mondo è rimasto fermo, immobile nel tempo, ma alla cui pubblicazione seguiranno eventi performativi ed esposizioni che saranno promosse da chi ha amato e ama le escursioni cromatiche tra ironia e afflato meditativo di Michele uomo e artista, al momento parzialmente esperibili attraverso un viaggio virtuale nella galleria di immagini presente al sito che ripercorre la sua parabola artistica (https://www.micheleketoff.com/books-or-diaries).

Michele Ketoff adopera, a sigillo di uno dei suoi disegni, una frase che probabilmente è uno dei pochissimi momenti in cui ha reso esplicito una manifesto estetico che in poche, secche e semplici battute, racchiude un ritmo del camminare, ritmo del respiro rappresentativo: «non c’è mondo da descrivere, ma una realtà da raccontare».

Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021

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Valentina Richichi, laureata in Beni demoetnoantropologici presso l’Università di Palermo e specializzata in Antropologia culturale presso l’Università degli Studi di Milano-Bicocca, si interessa di educazione nelle classi multietniche e di processi migratori. Ha svolto ricerca nel contesto dell’accoglienza ai migranti minori non accompagnati. Attualmente opera nell’ambito dell’editoria e degli studi sull’emigrazione storica siciliana. È membro del comitato scientifico del Museo delle Spartenze di Villafrati (Palermo).

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