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La Rete del ritorno a “Fa’ la cosa giusta” con la Rete dei piccoli paesi

35x50 19-02-2013di Antonella Tarpino

 La Rete del ritorno nasce nelle giornate del Festival del ritorno ai luoghi in abbandono che si è tenuto nella borgata Paraloup (Alpi cuneesi) nel 2011. Nasce non in astratto, dunque ma nel concreto di un incrocio di esperienze tutte segnate dalla marginalità e dallo spopolamento – dalla montagna alpina in abbandono di cui Paraloup è un simbolo potente, all’Irpinia; dall’Aquila del terremoto e dei pastori dell’Abruzzo alla Calabria dei tanti paesi presepe (come li chiama Vito Teti) in sofferenza quando non del tutto spenti. E proprio durante un incontro con Vito in Calabria è sorta l’idea di celebrare a Paraloup il 150° dell’Unità d’Italia, che cadeva in quell’anno, a partire non dalle sue canoniche capitali (quindi dal Centro) ma dai Margini, lì dove il Paese si rivelava, in fondo, più omogeneo.

La Rete si genera quasi per partenogenesi in quelle giornate entusiasmanti (con Carlin Petrini che presenta il filmato Il popolo che manca dei giovani registi Fenoglio e Mometti sui discendenti del Mondo dei vinti di Nuto Revelli e la proiezione del filmato Il Volo di Wim Wenders su Riace fresco di consegna dalle mani di Mimmo Lucano). Nord e Sud: alla neonata Rete del ritorno si collegano anche le cascine milanesi col lavoro di Silvia Passerini e il Fai con Alberto Saibene. Con Silvia e Alberto e gli amici che l’hanno ispirata la Rete del ritorno si costituisce a Milano in associazione a poca distanza dalle giornate di Paraloup. Perché portare i Territori fragili a Milano – ci si può chiedere – che una realtà fragile proprio non è?

il-popolo-che-manca_570Perché portare i territori fragili (quelli ai margini, dimenticati) al Centro nel cuore di una città come Milano – provo a rispondere – vuol già dire che i territori fragili sono usciti dai margini. E che il Centro va in periferia. Un po’ come ci avrebbe indicato qualche tempo dopo lo stesso Pietro Clemente con la Rete dei piccoli paesi.

Perché i margini sono un problema che riguarda tutti nell’intento di riequilibrare le geometrie scomposte della penisola divisa tra troppo pieni e troppo vuoti.

Perché le stesse parole (quelle che io chiamo le Geografie negative) di Centro e Margini, Confini, Frontiere, infine, sono già di fatto, nel globale, ridisegnate. Sta a noi contrastare le misure obsolete del paesaggio.

Ma ancora: e qui chiamo in campo un dilemma che ci impegna tutti: perché tornare e “come” ai territori fragili? Il “ritorno” o il “restare” non va visto come controesodo esotico bensì come movimento culturale. Che riconosce un valore alla terra/alla cultura del cibo/al territorio. E il territorio deve smettere – in linea col pensiero degli amici Territorialisti – di essere considerato come Vuoto a perdere fra una città industriale e l’altra (con il modello urbano, tra l’altro, in crisi di sistema) ma come risorsa produttiva in sé. Pensando meno a crescite infinite ma a economie solidali e meno distruttive sul piano ecologico.

1Ecco allora che il ritorno va pensato (è il compito delle Reti in sinergia) non come un movimento all’indietro ma come un movimento in avanti anzitutto di natura mentale a cui educarsi. Significa rivolgere uno sguardo nuovo ai luoghi fragili per poterne avere riguardo (secondo gli insegnamenti di Vito Teti) e insieme trarne direzioni di Futuro.

In concreto ci muoviamo coniugando nella pratica vecchi saperi e nuove conoscenze non solo tecnologiche. Penso alle nuove economie di montagna assicurate dalle Associazioni fondiarie cui abbiamo dedicato numerosi seminari a Paraloup, a Varzi nell’Oltrepo’ pavese, a “Fa’ la cosa giusta”: con professori di agraria dell’Università di Torino, come Andrea Cavallero (grazie al quale la Regione Piemonte può contare sulla prima legge in Italia sull’Associazione fondiaria), sindaci della Valtellina e dell’Abruzzo che han già proceduto sul piano operativo in tal senso.

Ma ancora, allestendo vere e proprie Scuole del ritorno come quella dei giovani agricoltori di montagna di Paraloup (che si sono confrontate fra l’altro con esperienze parallele che si tengono in alcune cascine milanesi) E in futuro a Soriano Calabro (come Paraloup punto di riferimento anche della Rete dei piccoli paesi) dove sta sorgendo, con Silvana Jannelli, oltre al Museo del terremoto, anche la scuola del ritorno agli antichi mestieri.

Stimolando, infine, la nascita o la preservazione di veri e propri presidi territoriali con i musei, gli ecomusei, le piccole comunità “in azione”: l’argomento che, grazie al concorso di Pietro Clemente e della Rete dei piccoli paesi, è stato al centro dell’incontro, davvero importante, dell’edizione 2019 a “Fa’ la cosa giusta”.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019

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Antonella Tarpino, editor e saggista ha pubblicato: Sentimenti del passato, La Nuova Italia 1997; Geografie della memoria. Case, rovine, oggetti quotidiani, Einaudi 2008; Spaesati. Luoghi dell’Italia in abbandono tra memoria e futuro, Einaudi 2012; Il paesaggio fragile. L’Italia vista dai margini, Einaudi 2016. È vicepresidente della Fondazione Nuto Revelli e fa parte della Rete dei piccoli paesi.

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