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Ecomusei come presidi del territorio

logo-museodi Alberto Saibeni

Ecomuseo è una definizione che denuncia la sua età anagrafica. Riporta agli anni Settanta, alla nascita di una coscienza ecologica nel nostro Paese. Da allora sono passati più di quarant’anni e gli ecomusei si sono diffusi su tutto il territorio nazionale. È un termine dinamico, in progress, che racconta lo stato di una civiltà materiale di un territorio, anche se ho il sospetto che il termine “ecomuseo” possa ingenerare qualche preclusione. Faccio un paio di esempi.

Qualche mese fa girovagando per la Sicilia sono capitato a Chiaromonte Gulfi. Il nome mi risuonava perché ne conoscevo l’ottimo vino e avevo letto Terramatta, il diario di Vincenzo Rabito, un contadino semianalfabeta che aveva raccontato la sua vita in un impasto tra lingua e dialetto. Un capolavoro involontario che venne ripescato dall’Archivio dei Diari di Pieve Santo Stefano e pubblicato da Einaudi qualche anno fa.

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Museo dell’olio di Chiaramonte Gulfi

La storia del bellissimo paese della Sicilia sudorientale si compendia a Palazzo Montesano che contiene un Museo dell’Olio, un Museo del Ricamo, un Museo del Liberty (un intero appartamento arredato in Jugendstil), un Museo Ornitologico e ancora qualcosa altro. È un ecomuseo? A prima vista direi di no, ma le stratificazioni di civiltà che si raccolgono sono moltissime e interrelate. Ho il rimpianto di aver lasciato Chiaromonte Gulfi senza fermarmi in uno dei due ristoranti del centro storico che propongono una cucina del territorio che è parte della civiltà che stavo cercando di scoprire.

Un altro esempio: il Museo Tecnologicamente a Ivrea che raccoglie l’eredità materiale della Olivetti, rimettendo in funzione vecchi calcolatori o computer di prima generazione attraverso l’opera di vecchi operai dell’azienda d’Ivrea che, in forma laboratoriale, avvicinano alle evoluzioni della storia della tecnologia i ragazzi delle scuole di ogni ordine. Ecomuseo è una definizione che in questo caso stride, eppure la parte più importante della storia del XX secolo d’Ivrea e del Canavese passa da lì, dal rapporto tra l’uomo e la macchina. 

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Museo Tecnologicamente di Ivrea

Dunque, senza invocare rivoluzioni semantiche, cercherei di allargare la definizione di Ecomuseo, comprendendolo nella più ampia definizione di museo del territorio. Il lavoro di mappatura e di messa in rete che è in corso in questi anni ci dice moltissimo non solo del mondo che fu, ma dei nuclei di attività (verrebbe voglia di chiamarli “di resistenza”) che sono in corso in questi anni nel nostro Paese. Racconti, di solito, di un’Italia migliore.

L’esperienza dell’Associazione Rete del Ritorno, nata seguendo la stella polare di Paraloup, ha mostrato come le forme del ritorno siano molto diverse da territorio a territorio – l’Italia è lunga! – che collegarle tra di loro sia per ora un’utopia, ma il progetto che stiamo elaborando per l’Oltrepo pavese nasce attorno al nucleo di un museo del territorio. Crediamo che recuperare l’evoluzione di civiltà, raccoglierne le voci, mostrarne i manufatti, siano un punto di partenza per chi vorrà tornare ad abitare nelle valli alpine, lungo la dorsale appenninica, o all’interno di Sardegna o Sicilia, ma anche una pietra angolare per chi questi luoghi non li ha mai abbandonati.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019

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Alberto Saibeni, storico della cultura, lavora nell’editoria. È tra i fondatori dell’Associazione Rete del Ritorno. Ha pubblicato L’Italia di Adriano Olivetti (Edizioni di Comunità, 2017) ed è in uscita Il Paese più bello del mondo. Il FAI e la sfida per un’Italia migliore (UTET, 2019).

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