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La privazione del lavoro genera marginalità sociale

copertinadi Piero Di Giorgi

Per Marx, l’uomo è ente naturale e storico ma fondamentalmente è la storia la vera storia naturale dell’uomo. E la storia comincia con l’uomo attraverso il lavoro e la creazione degli arnesi e con la nascita del linguaggio. Il lavoro è, per Marx, la «manifestazione personale di sé». Gli oggetti creati dall’uomo nel corso della sua storia e che contengono in nuce le capacità psichiche umane, vengono trasmessi di generazione in generazione. Il bambino, venendo al mondo non si trova di fronte al nulla ma di fronte a un patrimonio di cose e conoscenze di cui si appropria in pochi anni, tramite la famiglia e la scuola.

La nostra Costituzione, una delle più belle del mondo, non a caso è fondata sul lavoro. Infatti è costruita intorno alla centralità della persona e alla coniugazione dei diritti sociali con quelli civili. Eppure, nonostante ciò, il neoliberismo globalizzato, il cui pensiero unico proclama il fondamentalismo del mercato, come garanzia di benessere per tutti, sta espropriando generazioni di giovani del lavoro, costringendoli a un’emarginazione sociale. E ciò è stato possibile perché la sinistra storica ha abdicato ai suoi valori per sposare la tesi neoliberista.

È proprio sulla tematica del lavoro che insiste prevalentemente l’ultimo libro di Pietro Piro (Perdere il lavoro, smarrire il senso, Mimesis, Milano 2018). L’autore, alle domande sul perché lavoriamo, perché sacrifichiamo tante energie e tanto tempo in un lavoro che ci tiene lontano dalla famiglia, dagli amici, dalle nostre passioni, risponde che «lavoriamo per la dignità», per non perdere il diritto di partecipare attivamente alla vita sociale e politica, perché chi non lavora non riesce pienamente a vivere la sua cittadinanza e senza un lavoro dignitoso e ben retribuito non ci sarà dignità per nessuno.

Pietro Piro trae le sue considerazioni dalla sua esperienza di educatore, vivendo a contatto con persone che hanno perso il lavoro o che non l’hanno mai avuto e che si trovano in condizioni economiche e sociali di marginalità. Dal suo osservatorio e dal suo ascolto e interazione con queste persone, rileva e registra i sentimenti di esclusione sociale, di inutilità, di emarginazione, d’inadeguatezza e talvolta di sensi di colpa. Insomma, l’assenza di lavoro si caratterizza come una perdita di «senso della realtà». Inoltre, la mancanza del lavoro, che è «il più sociale dei bisogni», ha conseguenze drammatiche, non solo per l’impossibilità di soddisfare i bisogni quotidiani ma anche perché incide sulla salute psico-fisica delle persone e talvolta determina la polverizzazione delle relazioni familiari. Sentimenti di frustrazione, d’inadeguatezza, fino alla depressione vivono anche coloro, soprattutto i giovani, che non hanno mai lavorato o lavorano saltuariamente o accettano mansioni molto inferiori rispetto agli studi compiuti e ai titoli conseguiti. Questo processo è ancora più accentuato nei giovani immigrati che, spinti dalla necessità di guadagnare subito denaro, si rassegnano ad accettare qualsiasi tipo di lavoro. In sostanza, la perdita del lavoro ma anche il lavoro che riduce il lavoratore, come ben aveva visto Marx, a una merce che si vende e si compra in un libero mercato, generano destabilizzazione emotiva.

Spontanea sorge all’autore, come a ciascuno di noi, la domanda sulla quantità di lavoro che si potrebbe creare se si facessero tutte le opere necessarie e urgenti nel nostro Paese, dal dissesto idrogeologico alle ristrutturazioni antisismiche delle case, dal rendere umane le periferie delle grandi città alla messa in sicurezza delle scuole, dalla realizzazione di infrastrutture alla cura del nostro patrimonio artistico e culturale, al superamento della carenza dei medici negli ospedali. L’autore auspica, ovviamente, una società alternativa, che salvaguardi dalla distruzione innanzitutto il pianeta e che sia fondata sulla cooperazione, sull’economia circolare e sostenibile e sulla solidarietà.

Il libro di Piro non si occupa soltanto delle tematiche del lavoro ma è una miscellanea di argomenti diversi, il cui spunto viene offerto all’autore da recensioni di libri, di cui alcuni sempre centrati sul lavoro, come quello del sociologo Domenico De Masi, Lavorare gratis, lavorare tutti, o quello di Giambalvo e Mattina, Imprenditorialità, lavoro e innovazione sociale, in cui si prospetta la coniugazione tra produzione e fraternità, ossia l’auspicio di una produzione come fatto sociale o ancora la recensione sul libro di Sergio Casella, La morale aziendale, che cerca di rispondere alla domanda che si era posta Adriano Olivetti e cioè se può l’industria porsi dei fini più affascinanti al di là dei profitti. Altre recensioni come il libro di Nicolò Costa, L’élite progressista contro il popolo? riguardano argomenti come la superclasse della finanza e dei manager delle multinazionali che ha aumentato le disuguaglianze e ha proletarizzato il ceto medio, oppure come quella del libro di Zygmunt Bauman, Modernità e Olocausto, in cui Piro analizza  la tesi del sociologo polacco, secondo cui l’Olocausto fu messo in atto nella società razionale moderna e perciò l’autoassoluzione della memoria storica è un oltraggio per le vittime del genocidio.

Pietro Piro

Pietro Piro

Pietro Piro, oltre che educatore, è un intellettuale cattolico che, nella storica divisione tra cattolici conservatori per non dire reazionari, da un lato, la cui religiosità è quella esteriore, della ritualità, del formalismo clericale, e progressisti, dall’altro, si colloca nell’ambito di quest’ultimi, cioè di coloro che cercano d’incarnare il messaggio evangelico nella prassi della vita quotidiana e che hanno sempre criticato l’alleanza della Chiesa con le classi dominanti. Non a caso, gli autori che predilige Piro e di cui si occupa nel libro appartengono tutti a questo filone e sono stati osservati speciali da parte della Chiesa ufficiale. La prima di queste recensioni riguarda il libro di Brunetto Salvarani, Un tempo per vivere e un tempo per parlare, autore noto ai lettori di Dialoghi Mediterranei per essere uno dei maggiori esperti del dialogo interreligioso e che affronta in questo libro il tema del pluralismo religioso, proponendo un decalogo capace di farci anteporre «il potere dei segni ai segni del potere».  Sempre sul tema religioso segue una recensione sul libro di Luca Diotallevi, Fine della corsa. La crisi del cristianesimo come religione confessionale, in cui la religione sembra ritornare a essere fonte ispiratrice della vita e della politica in particolare.

Un’altra recensione riguarda una raccolta di scritti di don Ernesto Balducci, dal 1985 al 1992, anno della sua tragica morte in un incidente stradale, dal titolo Dobbiamo vivere insieme, sui temi del “razzismo etnologico”, termine coniato dal rimpianto direttore di Testimonianze, del meticciato e dell’auspicio dell’uomo planetario. E ancora un interessante saggio su don Lorenzo Milani, il prete scomodo, esiliato nel Mugello per le sue idee progressiste e di giustizia, noto per la scuola di Barbiana e l’analisi spietata sulla scuola di classe, paragonata a un ospedale che cura i sani e manda a casa i malati, la cui esperienza è contenuta nel noto libro Lettera a una professoressa. E non poteva mancare in questo caleidoscopio del cristianesimo progressista la figura di Ivan Illich, il critico della società burocratizzata e il teorico della descolarizzazione della società, ma anche critico radicale della religione dell’esteriorità, delle buone intenzioni, di cui sono lastricate le vie dell’infermo, e dello stile di vita americano, che rende i ricchi sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri.

Il libro si chiude con un capitolo su Termini Imerese, la città di cui l’autore è originario e sulla quale esprime o confessa un senso di sradicamento e di nostalgia, perché «le radici non marciscono mai». Dal volume di Pietro Piro emerge una forte passione civile, che era presente anche nel suo precedente, Desiderio di volti, un libro nato da incontri con giovani, adulti e anziani, da cui risaltano i volti dell’altro, sulla scia di Emmanuel Mounier e di Emmanuel Lévinas, ma anche l’invito ai giovani alla partecipazione a fronte dell’indifferenza e dell’apatia per la politica, alla difesa del bene comune.

Dialoghi Mediterranei, n. 37, maggio 2019
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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018).
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