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La presenza italiana in Tunisia: spunti storici e prospettive

 Porto di Tunisi (1899)

Porto di Tunisi (1899)

di    Franco Pittau

Sarebbe sbagliato, partendo da una mera constatazione quantitativa, dedicare scarsa attenzione alle migrazioni italiane verso questa area, sia perché il bacino del Mediterraneo è storicamente un crocevia di genti, culture e scambi, sia perché le collettività nordafricane costituiscono oggi una componente rilevante della presenza straniera in Italia; inoltre, anche gli italiani sono diventati protagonisti di nuovi flussi verso i Paesi della sponda meridionale.

L’Africa, rispetto agli altri continenti, accoglie una quota ridotta degli italiani all’estero, ovvero poco più di 59.000 alla fine del 2013, per lo più concentrati nell’area settentrionale del continente. Qui nel secolo passato la presenza di connazionali è stata più consistente, specialmente in Tunisia dove l’italiano è stato a lungo fino all’instaurazione del Protettorato francese, la lingua dei traffici commerciali e della navigazione.

Tralasciamo di soffermarci sulle migrazioni italiane verso la Tunisia del primo millennio (dalla fuga da Roma saccheggiata dai Visigoti di Alarico nel 410 ai flussi del X e XI secolo in provenienza dalla Sardegna e dalla Sicilia). È nel secolo XVII che si assiste a una emigrazione elitaria di ebrei livornesi, cui seguono flussi più consistenti per motivi commerciali. Invece, nel secolo successivo si determina inizialmente un flusso di esuli politici (massoni, carbonari, garibaldini, anarchici) e poi una emigrazione su più vasta scala, che si è andata incrementando anche nel Novecento, cui da ultimo si aggiunge l’arrivo di nuovi esuli durante il periodo fascista. L’incremento della presenza italiana avviene nonostante le frizioni che si determinano con il Protettorato francese, istituito alla fine del XVIII secolo e risultato molto meno aperto alle diversità etnico-clinguistico-culturali rispetto al precedente regime del Bey di Tunisi (autorità formalmente dipendente dall’Impero Ottomano ma praticamente autonoma).

 La Goulette primi 900

La Goulette primi 900

Infine, a segnare le vicende più recenti, vi sono la Guerra e l’accesso all’indipendenza della Tunisia, la prevalenza dei flussi degli emigrati tunisini verso l’Italia rispetto agli italiani diretti verso la Tunisia e, da ultimo, la destituzione di Ben Ali nell’ambito della cosiddetta “Primavera araba”. Attualmente è in corso un assestamento politico in un contesto democratico e nell’ambito degli accordi euro-mediterranei, che ancora non hanno esplicato tutta la loro piena efficacia.

Questo breve saggio entra nel merito di queste vicende, attingendo, tra gli altri apporti, agli approfondimenti storici condotti da un gruppo di rappresentanti degli “italiani di Tunisia” (gli eredi, cioè, dell’importante collettività italiana del passato), che ha analizzato la copiosa bibliografia prodotta durante il periodo fascista come anche l’ampia bibliografia in lingua francese  (www.italianiditunisia.com/Chisiamo/frm-main.php?lingua=).

La storia degli italiani in Tunisia colpisce, al di là della dimensione quantitativa, per le riflessioni che ne conseguono in merito a concetti diventati poi di grande attualità, quali il multiculturalismo, l’assimilazionismo, i processi di stereotipizzazione dello straniero, le politiche di naturalizzazione e la capacità di una minoranza di sostenersi e perdurare nel tempo. Si tratta, evidentemente, di considerazioni che aiutano a riflettere anche sull’esperienza che l’Italia sta facendo come Paese di immigrazione. È questo il tema che il Centro Studi e Ricerche IDOS ha affrontato in alcuni suoi approfondimenti, componendo l’emigrazione italiana all’estero e l’immigrazione straniera in Italia in un in un quadro di valutazione più ampio e articolato (cfr. M.P. Nanni, in Fondazione Migrantes, Rapporto Italiani nel mondo 2011, Edizioni IDOS, Roma 2011: 380-383; Centro Studi e Ricerche IDOS, a cura di, Africa-Italia. Scenari Migratori, IDOS/FEI, Roma, 2011) e traendone spunto sulle politiche migratorie da condurre (IPRIT Tunisia. Immigrazione Percorsi di Regolarità in Italia, Edizioni IDIS, Roma, 2014).

 fig.2Prima del Protettorato Francese

Tra il XVI e il XIX secolo in Tunisia vi sono in prevalenza gli schiavi cristiani catturati dai corsari barbareschi, ma non mancano i cristiani liberi (circa 200 secondo qualche fonti). Alcuni schiavi, dopo l’affrancamento e spesso la conversione all’Islam, svolgono mansioni importanti alla corte del Bey (titolo del governatore di Tunisi dal XVI al XX secolo, solo nominalmente vassallo dell’Impero Ottomano, tuttavia venuto meno nella sua importanza dopo l’instaurazione del Protettorato francese in Tunisia) o intraprendono la carriera militare anche come capitani al tempo della guerra corsara: famosi sono il caso del calabrese Uluj Ali e ancor di più quello di Osta Morat, il “turco” genovese diventato capo della flotta tunisina nel 1615 e quindi gestore del potere nel Paese per tre anni. Successivamente, una personalità politica di spicco presso la corte del Bey è stata quella di Giuseppe Raffo di Chiavari (1795-1865).

Il primo nucleo di persone libere che si stabilisce in Tunisia in provenienza dall’Italia è, nel corso del XVII secolo, quello degli ebrei livornesi provenienti dalla Spagna attraverso il Portogallo. Il loro esodo è a carattere stabile e questi ebrei creano strutture proprie nel Paese e vi costruiscono una sinagoga. Dediti al commercio, essi parlano spagnolo e portoghese in famiglia, italiano con i livornesi e arabo con la gente del posto. In Italia si apprezzano le mercanzie provenienti dalla Tunisia (piume di struzzo, avorio e polvere d’oro), mentre in Tunisia vengono importati prodotti tessili e i marmi di Carrara (per abbellire i palazzi e le moschee). Gli ebrei livornesi, noti come qrana, si adoperano anche per il riscatto degli schiavi cristiani (su 4.000 riscatti, che si stima siano intervenuti nell’arco di un secolo, circa 600 sarebbero stati negoziati dai livornesi). Fin dal XVIII secolo essi godono di numerosi privilegi da parte del Bey, e questo conferisce loro una posizione privilegiata rispetto agli altri immigrati di origine italiana in Africa settentrionale. Il trattato del 10 luglio 1822 fra il Granducato di Toscana e la Reggenza di Tunisi li equipara agli ebrei storicamente presenti in Tunisia. Dopo la modifica del Trattato nel 1846, da Livorno e dalla Toscana si determina, come prima accennato, una nuova ondata migratoria, più prettamente “italiana”, che si aggiunge a quella dei pionieri ebrei.

Diversi esponenti della piccola e media borghesia giunti dall’Italia nel corso del XVIII secolo acquisiscono, col tempo, un ruolo preminente in campo economico e amministrativo. Ad essi e ai qrana si aggiungono gli ex schiavi cristiani, spesso rimasti in Tunisia e convertiti all’Islam, come anche gli esuli politici (massoni, carbonari, garibaldini, anarchici), giunti a varie ondate tra i moti del 1821 e la repressione seguita a quelli del ’48 (ad essi si deve la prima scuola italiana, creata nel 1838 da P. Sulema, un esule massone).

Intanto, già dal 1816 iniziano a spostarsi verso la Tunisia anche pescatori (tra cui i “tonnaroti” e i “corallari” per lo più trapanesi), marinai e operai dall’Italia meridionale, soprattutto dalla Sicilia e dalla Sardegna, in cerca d’impiego nelle città costiere di Tabarka, Susa, Sfax: proprio per l’intensificarsi di questi spostamenti nel 1852 la compagnia Rubattino attiva la linea Genova-Cagliari-Tunisi. Dopo l’Unità d’Italia e sotto la spinta del disagio economico, i flussi si intensificano e non si dirigono più soltanto verso le località costiere tunisine, ma si spingono anche nell’entroterra e gli emigati italiani trovano occupazione in agricoltura come braccianti, anche stagionali (soprattutto per la coltura della vite), e nel settore minerario (dove si inseriscono soprattutto i sardi).

Il primo accordo con il Bey di Tunisi dopo l’Unità d’Italia risale al 1868 (il Trattato della Goletta) e incentiva l’afflusso di migliaia di connazionali, garantendo loro, se residenti in Tunisia, il mantenimento della nazionalità, la libertà di commercio e di possessso di beni immobiliari e l’assoggettamento al proprio Consolato per l’amministrazione della giustizia (una sorta di extraterritorialità, durata fino al Protettorato francese).

Un po’ in tutte le principali città della Tunisia, come anche nelle aree agricole, trovano spazio quelle che altrove sono state chiamate Little Italy: le Petites Siciles (in considerazione della preminenza degli immigrati siciliani), ad esempio nella cittadina costiera de La Goulette, avamporto di Tunisi, come pure a Susa, dove, a meglio specificare l’origine degli abitanti dei due quartieri, si parla di una Capaci grande e di una Capaci piccola, mentre a Tunisi, oltre alla Petite Sicile, si trova anche una Piccola Calabria.

Verso la metà dell’Ottocento la Missione cattolica di Tunisia registra la presenza di 12.300 cattolici, di cui 4.000 italiani, a fronte di una sessantina di famiglie francesi. Nel 1871 gli italiani in Tunisia sono tra i 5.000 e i 7.000 e più di 11.000 nel 1881, anno del trattato di Cassar Said (su cui si basa l’istituzione del Protettorato francese in Tunisia).

Side Daoud Tonnara

Side Daoud Tonnara

 Durante il Protettorato francese

Nel 1881, con l’inizio del Protettorato francese si accentua il passaggi dall’emigrazione elitaria a quella di massa, che viene richiamata dall’Italia dagli investimenti francesi nelle opere pubbliche che richiedono un ampio utilizzo di manodopera. In quell’anno i francesi sono appena 700 mentre gli italiani sono 25mila: la consistenza numerica degli italiani crea disagio e si paventa una loro supremazia anche perché è crescente il loro utilizzo nell’esecuzione dei lavori pubblici.

Secondo i dati dei censimenti condotti dai francesi a cavallo tra i due secoli, i siciliani rappresentano più del 70% della presenza italiana e tra loro non mancano gli originari dell’isola di Lampedusa, che, insieme a quelli provenienti dall’isola di Pantelleria, trovarono in Hammamet un polo di insediamento privilegiato, dove vivono di pesca o diventano proprietari di frutteti e vigneti.

Gli accordi di Parigi, il 28 settembre 1896 consentono agli Italiani di mantenere a tempo indeterminato la propria nazionalità, come anche l’autonomia delle scuole e delle associazioni culturali e il libero esercizio delle attività professionali con uguaglianza di diritti rispetto ai francesi.

La considerazione da parte francese dei “troppi” italiani come un pericolo per il buon andamento del Protettorato accentua i processi di stereotipizzazione nei loro confronti. La comunità italiana viene dipinta come un rischio per il pacifico scorrere della vita sociale e ad essa viene imputata la responsabilità di qualsiasi disordine sociale. In particolare i siciliani vengono presentati come «dei criminali incalliti, irascibili, imprevedibili, violenti e molto pericolosi», mentre i minatori sardi vengono descritti come «gente rozza che si riunisce […] con le famiglie in quartieri o cascinali tutti loro, e tra cui molti […] non conoscono una parola della nostra lingua» (F. Cresti, “Comunità proletarie italiane nell’Africa mediterranea tra XIX secolo e periodo fascista”, in Mediterraneo-Ricerche Storiche, Anno V, aprile 2008: 207)

Per ostacolare l’incremento numerico degli italiani, caratterizzati da alti tassi di natalità, si emanano decreti restrittivi sull’accesso alle libere professioni e nel 1913 gli imprenditori italiani vengono esclusi dalla partecipazione alle gare d’appalto statali. Durante il periodo fascista e l’intensa propaganda che l’accompagna, i francesi avvertono maggiormente le péril italien e un decreto del 1930 autorizza l’ingresso dall’estero di nuovi lavoratori stranieri solo se in possesso di un contratto di lavoro, ridimensionando così l’entità dei flussi in arrivo dall’Italia. Analogamente ai lampedusani di Hammamet, sono molti gli italiani che acquistano terreni agricoli (spesso terre incolte, e quindi a prezzo basso), attuando così il passaggio da persone “senza terra” a piccoli proprietari terrieri (nel 1921 se ne contano 1.565, nel 1936 2.380).

Le naturalizzazioni vanno a rilento nel periodo dal 1887 al 1921 (1.700 in tutto), finché nel 1923 una legge stabilisce la naturalizzazione automatica di tutti gli stranieri nati in Tunisia da genitori nati a loro volta in Tunisia, e gli italiani, pur essendone esentati in base agli accordi del 1896 (dopo la scadenza del 1905 prorogato a più riprese, ma solo temporaneamente), sono maggiormente incentivati a diventare cittadini francesi, sia per fruire dell’accesso agli impieghi statali e parastatali, sia per percepire retribuzioni più alte (in pratica l’aggiunta del cosiddetto tiers colonial, cioè un’indennità del 33,33%).

Una stima sul numero delle naturalizzazioni di italiani, pubblicata sul Bollettino della Società Geografica nel 1939, accredita 14.350 casi di acquisizione intervenuti tra il 1924 e il 1936, con più di mille casi nei primi nove anni (a dire il vero appena sfiorati nel 1930) e quindi in diminuzione nel periodo della massima diffusione dell’ideologia fascista (ad esempio, solo 222 nel 1936). Nel 1936, si contano in Tunisia 30mila «francesi di lingua italiana», presenti più in città che in campagna o in altri insediamenti periferici, come quelli dei minatori sardi, tra i quali la rinuncia alla cittadinanza italiana viene considerata una sorta di tradimento.

Il regime fascista, sotto la regia del console Bombieri (1929-1936), si fa carico della “fascistizzazione” della presenza italiana in Tunisia e delle sue istituzioni, emarginando i non iscritti al partito. Questa strategia riguarda le scuole, la società Dante Alighieri, i numerosi “dopolavoro” (presenti in tutte le città), le associazioni sportive, l’ospedale, le colonie estive (che in un decennio consentono a ben 23mila ragazzi di conoscere il paese d’origine dei loro genitori  e, naturalmente, anche la sua impronta fascista), la stampa (che, accortamente sovvenzionata, assume toni fideistici nei riguardi del regime). Il proletariato, come anche i piccoli proprietari terrieri e i piccoli imprenditori edili, trovano nel fascismo un’alternativa alla scarsa considerazione sociale loro riservata in Tunisia. Non manca chi partecipa volontariamente alla guerra in Spagna o in Etiopia. Ma non mancano neanche gli oppositori, collegati alla Concentrazione Antifascista di Parigi: ad esempio, il periodico L’Italiano di Tunisi (1936-39), organo della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo (LIDU), è una voce di dissenso nel panorama italo-tunisino prima dell’uscita del Giornale (1939) diretto da Giovanni Amendola (diventato poi un noto parlamentare comunista della Repubblica italiana).

Successivamente la simpatia borghese verso il fascismo si raffredda, sia perché il regime opera solo con persone, dal comportamento arrogante e ignorante, venute espressamente dall’Italia, sia perché gli accordi Laval-Mussolini del 1935 non recepiscono lo sforzo fatto dagli italiani per resistere alla “francesizzazione” e sono ispirati al prevalente interesse dell’Italia di avere le mani libere in Etiopia, sia perché non vengono condivise le successive leggi razziali. Gli accordi Laval-Mussolini dettano anche nuove (e più restrittive) disposizioni in materia di cittadinanza, che prevedono: il mantenimento della cittadinanza italiana per i nati prima del 1845; la libera scelta tra le due cittadinanze al compimento della maggiore età per i nati tra il 1845 e il 1865; l’acquisizione automatica di quella francese per i nati dopo il 1865. Gli accordi, inoltre, prevedono un progressivo assoggettamento della comunità italiana al diritto comune e la soppressione delle clausole di favore stabilite nel 1896. È in queste condizioni che tra i membri della comunità italiana si radica una maggiore apertura alla naturalizzazione, che diventerà un obbligo a seguito della legge francese di marzo 1944 per tutti gli stranieri nati in Tunisia dopo il 10 giugno 1940 (previsione che riguarda anche gli italo-tunisini di terza generazione).

Nel periodo fascista sono frequenti i disordini tra simpatizzanti del regime e oppositori,  e spesso la polizia francese è costretta a intervenire per sedarli. Nel 1937 la visita a Tunisi dei cadetti della nave scuola “Amerigo Vespucci” viene accolta da un volantinaggio degli antifascisti. I cadetti, recatisi al Circolo Garibaldi dove non vengono accolti con entusiasmo, reagiscono con forza, sparando e uccidendo Giuseppe Miceli, un falegname di ventidue anni. La notizia fa scalpore anche a livello internazionale, e il funerale avviene con una grande partecipazione, ma i francesi, diplomaticamente, rinunciano a una inchiesta formale per non urtare il governo italiano.

Dopo che gli Alleati liberano Roma nel 1943, i francesi provvedono a risolvere drasticamente la question italienne in Tunisia, dando l’avvio, senza remore e senza concessioni, al processo di francesizzazione. Ciò comporta la chiusura delle scuole italiane, delle associazioni culturali e delle redazioni dei giornali, la requisizione dell’ospedale italiano e l’espulsione di molti intellettuali.

È evidente che in queste nuove condizioni il rapporto quantitativo tra le due comunità è destinato a modificarsi e, al Censimento del 1946, gli italiani risultano essere 84.935 e i francesi 143.977. La collettività italiana va perdendo d’importanza, non solo numerica ma anche sociale. I provvedimenti dell’autorità francese sono particolarmente duri, sia durante che dopo la fine della guerra (fino al 1947): espropriazioni e sequestri di beni e anche arresti ed espulsioni nei confronti di quanti, nella collettività italiana, sono sospettati di essere simpatizzanti del regime fascista. Le espulsioni, stimate tra le 1.200 e 3.000, colpiscono in maniera indiscriminata gli intellettuali (anche se, in diversi casi, notoriamente antifascisti). Non mancano i nuovi arrivi di italiani, ma il loro numero non compensa le perdite, tanto più che continua il processo di assimilazione.

Pastai siciliani in tunisia, 1906

Pastai siciliani in Tunisia, 1906

 Dopo l’indipendenza della Tunisia

Come giustamente è stato osservato, con l’indipendenza tunisina dalla Francia, gli italiani lasciano un Paese colonizzato senza esserne stati colonizzatori. Quando nel 1956 la Tunisia ottiene l’indipendenza, gli italiani sono 66.500, per poi diventare 51.700 tre anni dopo, mentre tra il 1959 e il 1966 è stato stimato che siano più di 40mila quelli che lasciano il Paese.

Nella nuova situazione, la diminuzione della presenza italiana dipende da quella che per analogia si può definire la “tunisificazione” del paese, per cui gli stranieri vengono esclusi da certi lavori (ad esempio, non possono operare come autisti nelle cosiddette zone di emergenza, e cioè lungo i confini con l’Algeria dove è in atto la guerra di liberazione) ed è vietato ai datori di lavoro di assumere apprendisti stranieri. Ai tassisti viene requisita la licenza, mentre per i commercianti è prevista solo un’autorizzazione provvisoria. Nel 1964 viene sancita la nazionalizzazione delle terre e per i proprietari stranieri non è previsto alcun risarcimento.

In questo clima di incertezza la comunità italiana è spinta a lasciare la Tunisia, dirigendosi in Francia ( Paese considerato meno straniero dell’Italia e di cui molti hanno la nazionalità) o anche in Italia (in considerazioni delle lontane origini), con scelte differenziate all’interno di una stessa famiglia. Nel periodo successivo e in quello attuale si è infine affermata una emigrazione italiana di nuovo tipo dall’Italia verso la Tunisia, fatta di professionisti e imprenditori (le imprese italiane operanti in Tunisia sono circa 700 nel 2013), che si affianca, senza mischiarsi, ai rappresentanti rimasti sul posto della fiorente comunità del passato.

Al 31 dicembre 2013 la presenza italiana in Tunisia conta poche migliaia di persone (3.952, di cui 44,6% donne), appena più numerosa di quella riscontrata in Marocco (2.966 persone, di cui 43,5% donne), dove peraltro la comunità italiana non ha mai raggiunto gli stessi livelli quantitativi. Si stima che la presenza italiana effettiva, seppure non sempre stabile, possa essere pressoché doppia. Ben più rilevante, alla stessa data, è il numero dei tunisini (122.354) in Italia.

Studiare e valutare congiuntamente i flussi che legano e hanno legato le due sponde del Mediterraneo può senza dubbio rappresentare un valido livello di analisi per evitare gli errori del passato e promuovere politiche più adeguate. Attualmente, è in corso la delicata fase di rinnovamento che la politica tunisina sta attraversando dopo la rivoluzione del 2011 e, inoltre, la presenza degli italiani in Tunisia va esaminata nel contesto degli accordi euro-mediterranei, al cui interno si tratta di individuare nuovi spazi di collaborazione e crescita reciproca.

Dialoghi Mediterranei, n.13, maggio 2015

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Franco Pittau, ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario di questo genere realizzato in Italia) e suo referente scientifico fino ad oggi, si occupa del fenomeno migratorio dai primi anni ’70, ha vissuto delle esperienze sul campo in Belgio e in Germania, è autore di numerose pubblicazioni specifiche e, come presidente del Centro Sudi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico, è intensamente occupato a livello di formazione e sensibilizzazione. Insieme alla sua équipe ha curato nel 2014 la pubblicazione bilingue del volume La comunità marocchina in Italia. Un ponte sul Mediterraneo.

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Una risposta a La presenza italiana in Tunisia: spunti storici e prospettive

  1. Antonella scrive:

    Buongiorno , il mio papa’ nasce in Tunisia nel 1932 in un villaggio che si chiama SHAUAT ( Tunisia )
    Mi piacerebbe sapere qualcosa di questo villaggio grazie

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