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Gli ornamenti dei “Misteri” nella storia dell’arte argentaria trapanese

Forbici e rasoio, La Negazione, ph. Alberto Catalano

Forbici e rasoio, La Negazione (ph. Alberto Catalano)

di Lina Novara 

Durante la lunga processione dei Misteri che si svolge a Trapani dal Venerdì Santo al Sabato Santo, con diciotto gruppi scultorei che rievocano episodi della Passione di Cristo e due simulacri – Gesù nell’urna e l’Addolorata – le statue in “legno tela e colla” vengono addobbate con preziosi argenti, realizzati da maestri trapanesi a partire dal XVII secolo [1].

Espressione di un ethos popolare, se da un lato testimoniano la volontà di ciascuna categoria artigiana, o maestranza, di abbellire, in occasione della processione, il Mistero affidatole, dall’altro attestano la fede e la devozione di chi li ha donati, per grazia ricevuta o per ricordare un evento lieto come la nascita di un figlio, o triste come la morte di persone care. Su alcuni sono incisi o applicati i simboli del ceto che ha cura del sacro gruppo: le forbici dei sarti, il rasoio e le forbici dei barbieri, il veliero dei naviganti.

Oltre alla funzione di ornamento, molti argenti hanno significato simbolico e quelli destinati alle statue di Gesù sono, essi stessi, simboli della Passione come la croce, la corona di spine, la colonna della flagellazione. Agli oggetti simbolici che fanno riferimento a passi evangelici si aggiungono le armi e le corazze dei militari, il pugnale che trafigge il cuore dell’Addolorata, il bacile per la Lavanda dei piedi e l’altro con cui Pilato si lava le mani nella Sentenza, il guanto di Malco in Gesù davanti ad Hanna. In argento sono anche i segni distintivi: la conchiglia dell’apostolo Giacomo, la corona regale e lo scettro di Erode, il turbante di Hanna, gli elmi, le corazze e i pennacchi dei soldati.

Veliero, La caduta al Cedron, ph. Alberto Catalano

Veliero, La caduta al Cedron (ph. Alberto Catalano)

Ad eseguire questi preziosi manufatti furono valenti argentieri trapanesi tra cui Giuseppe Piazza, Vito e Vincenzo Parisi, Michele Tumbarello, Ottavio Martinez, le cui iniziali impresse sull’argento assieme a quelle seguite dalla C dei consoli della Corporazione degli Orafi e Argentieri, che vidimarono le opere, consentono di seguire le fasi di un artigianato molto fiorente nei secoli XVII e XVIII che si prolunga nel XIX, anche dopo la soppressione della maestranza [2].

Non c’è statua di Gesù, di Maria e di santo che non abbia la sua aureola: a semplice cerchio o con raggiera, di piccole o di grandi dimensioni, ma sempre in argento. L’aureola è simbolo della luce divina soprannaturale, rivelata dal Salvatore ai discepoli sul monte Tabor: «E si trasfigurò davanti a loro; il suo volto divenne brillante come il sole, e le sue vesti bianche come la luce». “Aureola” significa di color oro e la forma circolare, in quanto simbolo di perfezione, ben rappresenta la santità. Nell’antichità fu usata come attributo figurativo per indicare l’alto rango del personaggio sul cui capo era posta. Dal IV secolo in poi i Cristiani usarono l’aureola per sottolineare l’importanza spirituale di alcune figure e per indicare la loro vicinanza a Dio; in origine venne destinata esclusivamente a Gesù, alla Madonna e agli angeli e solo in seguito anche agli apostoli e ai santi.

Aureola, La caduta al Cedron, ph. Alberto Catalano

Aureola, La caduta al Cedron (ph. Alberto Catalano)

Una grande aureola (fine sec. XIX) orna il capo di Gesù nel gruppo La caduta al Cedron ed è formata da un largo anello decorato con cirri eseguiti a sbalzo e circondato da un’ampia raggiera formata da fasci di raggi dise­guali, ma simmetricamente disposti. Sul cerchio è applicato un veliero di tipo settecentesco, simbolo della Marina grande, ossia dei naviganti, alla cui categoria il gruppo appartiene.

Il motivo dei cirri ritorna sull’aureola di Gesù del gruppo La sentenza, realizzata tra  il 1770 e il 1780, periodo in cui fu console degli argentieri Antonio Daidone, del quale è impressa la sigla.

La Coronazione di spine, ph. Nicolò Miceli

La Coronazione di spine,p(h. Nicolò Miceli)

Spogliato dei vestiti, Gesù viene, per scherno, coronato di spine, simbolo della regalità beffata. Gli argentieri trapanesi intrecciano fili d’argento, in genere in numero di cinque, da cui fanno derivare spine appuntite, disponendole in manie­ra disordinata e rispettando la consueta iconografia che vuole la corona formata da tralci di pianta spinosa intrec­ciati. Nell’ordine processionale la prima corona di spine compare nel gruppo che rappresenta La Coronazione: fu realizzata sul finire del secolo XVIII da Michele Tumbarello, sotto il consolato di Girolamo Daidone, come indicano le sigle MT e GDC.

Corona di spine, La Coronazione di spine, ph. Alberto Catalano

Corona di spine, La Coronazione di spine (ph. Alberto Catalano)

Da L’arresto fino a L’ascesa al Calvario, tranne che dinanzi ad Erode, Gesù viene rappresentato con le mani legate: con manette d’argento lo vediamo in La caduta al Cedron, La sentenza, L’arresto.

I più antichi manufatti tra gli argenti dei Misteri sono la croce e il calice del gruppo Gesù nell’orto, eseguiti tra il 1612 e il 1631 quando la pro­duzione in argento veniva bollata con il solo marchio della città di Trapani: corona, falce e lettere DUI (Drepanum Urbs Invitissima). La croce, di pregevole fattura, è in lamina d’argento sbalzata e cesellata: la decorazione di gusto barocco è formata da una teoria di volute a C, varia­mente disposte lungo i quattro bracci, fra cui si inseriscono, in ma­niera sparsa, dei frutti. Il tipo di ornato trova affinità con la decorazione a fregi dell’aureola del Crocifisso gotico doloroso della chiesa di San Domenico di Trapani [3].

Croce, Gesù nell’orto, ph. Alberto Catalano

Croce, Gesù nell’orto (ph. Alberto Catalano)

Il marchio della città, sia con la punta della falce rivolta a destra, sia a sinistra, e con la corona a cinque o a tre punte, è usato per tutto il secolo XVII e solo verso la fine del XVIII viene modificato [4]. Nel 1771, anno del consolato di Dionisio Porrata, la sigla della città è CUD Clarissima Urbs Drepanum, marchio che si ritrova su tre fregi, pomolo e puntale del bastone, spada, guaina, bandoliera e alabarda del gruppo La sentenza [5]. Con IUD – Invictissima Urbs Drepanum – castello, corona regia, lettere invertite sono bollati invece il bacile del gruppo La sentenza (1794), la bandoliera del soldato nel gruppo L’ascesa al Calvario (1814), la lancia del gruppo Ecce Homo (1817) [6]. Nel 1796, sotto il consolato di Antonio Caraffa, l’alabarda, le manette, la catena, il pomolo e il puntale del bastone del gruppo La caduta al Cedron vengono invece marchiati con la sigla UDI Urbs Drepanum Invictissima, posta sotto una corona espansa [7].

Croce e calice, Gesù nell’orto, ph. Nicolò Miceli

Croce e calice, Gesù nell’orto (ph. Nicolò Miceli)

Un’altra sigla, UD – Urbs Drepanum – abbinata ad una corona con cinque lunghe punte, è impressa nel pettorale e nella cintura del pontefice nel gruppo Gesù dinanzi ad Hanna, vidimati dal console Isidoro Sannia nel 1825 [8]. Le iniziali GP, rispondenti sia a Giuseppe Piazza, documentato dal 1752 al 1760, sia a Giovanni Porrata, documentato dal 1756 al 1761, si ritrovano sulle aureole delle statue di Maria, Gesù e Giovanni del gruppo La Separazione, affidato agli argentieri. Considerato però che il Porrata è indicato nei documenti come orafo, si propende per attribuire la sigla a Giuseppe Piazza. Se la maestranza degli argentieri si rivolse a Piazza per le aureole del pro­prio Mistero, il primo nell’ordine processionale, è da ritenere che questi fosse molto stimato ed apprezzato dai suoi stessi colleghi per le capacità tecniche ed inventive. Né il maestro si smentisce: egli apporta una variante nella tipologia dell’aureola a raggi, articolando i bordi con un motivo trilobato orientato verso il gusto rococò. L’iscrizione incisa su una delle tre aureole ci fornisce la data di esecuzione e il nome del console: FATTI NEL 1767 IN TEMPO DEL CONSO­LATO DEL SIG. DOMENICO RIZZO A SPESE DELL’ARTE. 

La Separazione (ph. Nicolò Miceli)

La Separazione (ph. Nicolò Miceli)

Giuseppe Piazza nel 1761 già aveva dato prova delle sue capacità tecniche nell’esecuzione, per la maestranza dei sarti, degli ornamenti del gruppo La deposizione che recano impresse le iniziali GP e la sigla CCC del console degli argentieri del 1761, Carlo Caraffa, carica attestata anche dai documenti d’archivio [9]. Lo stiletto che Maria tiene sul petto, simbolo del suo atroce dolore ha l’impugnatura finemente decorata con motivi fitomorfi di gusto rococò e una conchiglia fa da elemento di raccordo con la lama. Nel 1768 o il 1772, mentre era console Antonio Daidone, lo stesso Piazza realizzò per il gruppo La Sentenza la corona di spine, la catena e le manette finemente cesellate con motivi di simmetriche volute fogliacee affrontate, tratte dal repertorio decorativo barocco [10].

La deposizione, ph. Nicolò Miceli

La deposizione (ph. Nicolò Miceli)

Nelle attivissime botteghe di Vincenzo sr, Vito e Vincenzo jr. Parisi, dalla metà del XVIII secolo fino al secondo decennio del XIX, vennero prodotti molti degli ornamenti di Misteri [11]: Vincenzo jr. e Vito si rivelano nelle loro opere più orientati verso il gusto neoclassico. Sotto uno dei consolati di Antonio Daidone (1768, 1772), probabilmente Vincenzo sr. eseguì la catena del gruppo Gesù dinanzi ad Hanna e, sotto Dionisio Porrata (1771), i fregi, il pomolo e il puntale di bastone, l’elsa, la guaina e la bandoliera del gruppo La Sentenza.

Questi pregevoli oggetti risultano interessanti nella storia dell’arte argentaria trapanese per la presenza del marchio della città con le lettere CUD (Clarissima Urbs Drepanum), invece che DUI, e della sigla DPCol del console Dionisio Porrata che, probabilmente, al fine di differenziare il suo consolato (1771) da quello del collega Diego Piazza usa Col (Consul), al posto della sola C.

La Sentenza (ph. Nicolò Miceli)

La Sentenza (ph. Nicolò Miceli)

I tre fregi del vestito di Pilato (ultimi decenni del secolo XVIII), lavorati con tecnica raffinatissima a sbalzo e cesello, presentano volute fogliacee affrontate che fanno da bordo al manufatto, tendendo al gusto rocaille. Particolarmente raffinata è l’elsa della spada del soldato che sta alla sini­stra di Pilato, nello stesso gruppo La Sentenza: a testa di leone con folta cri­niera, è opera di pregevolissima fattura. Finemente lavorato è anche il guar­damano con superficie martellata dalla quale sbalzano motivi floreali. Non meno pregevole è la guaina dove tra simmetrici mo­tivi ornamentali si intrecciano due cordoncini. La bandoliera, in lamina d’argento martella­ta, sbalzata e cesellata, è ornata da raffinati motivi fitomorfi e floreali fra i quali sono incastonate pietre vitree colorate; lun­go tutto il bordo corre inoltre una cornice perlinata.

Fregi, La Sentenza (ph. Alberto Catalano)

Fregi, La Sentenza (ph. Alberto Catalano)

A Vito che fu anche console nel 1812, potrebbero riferirsi l’aureola di San Pietro del gruppo L’arresto e la bandoliera del gruppo Gesù dinanzi ad Hanna, datate 1818, come si ricava dalla sigla del console di quell’anno Gaetano Prinzivalli, GPC18, impressa sui due manufatti. Sulla bandoliera applicata sulla statua della guardia che sta alla sinistra di Gesù, dentro una fascia a superficie martellata, bordata da un filo perlinato, si sviluppa un originale motivo di due teorie di cerchi perlinati, sbalzati in positivo e in negativo e sovrapposti senza soluzione di continuità.

Ecce Homo, ph. Nicolò Miceli

Ecce Homo (ph. Nicolò Miceli)

Epigono della famiglia Parisi fu Giuseppe che nel 1881 realizzò il più noto fra tutti gli ornamenti dei Misteri, quello che i Trapanesi chiamano «il balcone d’argento» del gruppo Ecce Homo; vi si affacciano Ponzio Pilato, Gesù e un soldato. Simbolicamente sta ad indicare la presentazio­ne che Pilato fece di Gesù al popolo pronunciando le parole Ecce Homo.

GIUSEPPE PARISI COSTRUÌ’ E CESELLO’ LANNO 1881 recita l’iscri­zione incisa sull’argento. Il maestro scelse per la decorazione motivi a carattere fogliaceo, sottoponendoli a quel processo di stilizzazione che il gusto neoclassico imponeva. Come attestano documenti d’archivio alla realizzazione del balcone collaborò anche l’anziano fratello Gaetano che era nato a Trapani nel 1793 [12]. Sul manufatto è impresso un marchio con la sigla AC, inframezzata dal simbolo del saggiatore dell’argento: si tratta di uno dei contrassegni che si trovano sui manufatti siciliani dopo la soppressione delle corporazioni artigiane, dal 1826-29 al 1872, ma che probabilmente furono usati fino a qualche anno dopo. La stessa sigla AC è impressa sulla colonna de La flagellazione, che, secondo quanto riferito da Fortunato Mondello nel 1901, fu «cesellata in argento»da Giuseppe Parisi [13].

La flagellazione, ph. Nicolò Miceli

La flagellazione (ph. Nicolò Miceli)

In un tipo di rappresentazione che rievoca la passione e la morte di Gesù non possono mancare le croci, simbolo della morte. Nel 1751 il gruppo L’ascesa al Calvario si arricchì di una grande elaborata croce, commissionata ad Ottavio Martinez, stimato e apprezzato argentiere che ricoprì più volte la carica di console. Realizzata sotto il consolato di Matteo Buzzo, risulta per fattura, eleganza e raffinatezza di ornato, una delle più pregevoli opere eseguite dalla maestranza degli argentieri trapanesi. Sulla lamina martellata Martinez lavorò a sbalzo e cesello, con grande maestria, orna­menti simbolici alludenti all’Eucarestia: spighe che indicano il pane e grappoli d’uva che indicano il vino. La qualità d’esecuzione, particolarmente alta, indu­ce a reputare Ottavio Martinez un artista di eccellenti capacità tecniche ed espressive. Nel 1755 il maestro tornò a lavorare per lo stesso gruppo eseguendo le parti in argento delle sciabole destinate ai due aguzzini e a Simone Cireneo, le cui else hanno la forma di una testa d’aquila dal lungo col­lo pennuto.

 L'ascesa al Calvario, ph. Nicolò Miceli

L’ascesa al Calvario (ph. Nicolò Miceli)

Per L’ascesa al Calvario un altro esperto argentiere, Michele Tom­barello, eseguì la corazza d’argento del centurione che precede Gesù, al tempo di uno dei consolati di Angelo La Monica (1755 o 1765) decorandola con raffinati motivi floreali. Sono quei fiori che Maria Accascina ritiene tipici dell’artigianato trapanese e che lo stesso Tomba­rello, insieme con Vincenzo Bonaiuto, intorno alla metà del secolo XVIII, sbalza sul vestito della statua di Sant’Alberto del santuario dell’Annunziata di Trapani, rivelandosi abilissimo nella tecnica dello sbalzo e del cesello [14]: con grande maestria sa infatti far risaltare dalla lamina martellata plastiche volute fogliacee e gran­di fiori – anemoni, margherite, tulipani – realizzando ma­nufatti di alto pregio artistico e di eccezionale fattura. Un’attenzione particolare Tombarello dedica inoltre, nella corazza, ai quattro mascheroni che pone sui due spallacci e sotto gli scolli, anteriore e posteriore.

Nel 1814, data rilevata dalla sigla GCC14 del console Giacomo Costadura, la statua dell’aguzzino che percuote Gesù con un flagello, sempre ne L’ascesa al Calvario, si arricchisce di una bandoliera formata da una fascia d’argento a bordi sbalzati tra cui si sviluppa, senza soluzione di continuità, un motivo di volute fogliacee: il gusto decorativo è ancora settecentesco, ma la stilizzazione cui è sottoposto mostra i segni del­l’incombente Neoclassicismo.

Sciabola, Gesù nell'orto, ph. Alberto Catalano

Sciabola, Gesù nell’orto (ph. Alberto Catalano)

Spade, sciabole, pugnali, lance, alabarde, armature, strumenti atti all’of­fesa e alla difesa, fanno brillare le statue dei militari presenti nelle scene. Le armi, tutte manuali, si adattano alle esigenze este­tiche dei secoli XVIII e XIX: sciabole, spade e pugnali hanno impugnature riccamente lavorate con la tecnica dello sbalzo e del cesello, soprattutto a testa di animale, leone o aquila. Il tipo di arma più ricorrente è la sciabola con lama più o meno curva, convessa dalla parte del taglio, concava dalla cestola: è destinata a Pietro nel gruppo Gesù nell’orto (1826/29 – 1872), ai militari de La caduta al Cedron (sec. XIX), alle guardie che arrestano Gesù ne L’arresto (1908), al soldato del gruppo Gesù dinanzi ad Hanna (1928), ai due aguzzini e a Simone Cireneo de L’ascesa al Calvario (1755). «Rimetti la tua, spada nel suo fodero» è l’ammonimento che Gesù rivolge a Pietro che sta per colpire Malco, un servo del ponte­fice. Più che di una spada il manufatto del gruppo L’arresto ha la fog­gia di una scimitarra (fine sec. XIX) su cui è cesellato un aggraziato motivo floreale. Alcuni dei personaggi che portano la spada e la sciabola sono provvisti di bandoliera, una fascia d’argento, ad armacollo, per appendervi l’arma.

Fra le armi in asta troviamo alabarde e lance: lo sgherro del Sinedrio del gruppo La caduta al Cedron e il soldato del gruppo La sentenza, a destra di Pilato, reggono in mano un’alabarda; la prima è datata 1796 ed è opera di un argentiere rispondente alle iniziali CA, Antonio Caraffa, autore anche delle manette con catena dello stesso Mistero e nel 1796 del pomolo e puntale in argento del bastone de La caduta al Cedron; la seconda reca soltanto il marchio di Trapani con la sigla CUD. A Giovanni Guarnotta va invece riferita la punta della lancia del grup­po Ecce Homo, eseguita nel 1817, come attesta la sigla del console Nunzio Venuto NVC17.

Altri ornamenti caratterizzanti le statue dei militari sono i pennacchi, per lo più realizzati agli inizi del ‘900 in sostituzione delle piume variopinte che ornavano gli elmi in precedenza. Sono formati dal raggruppamento di penne in lamina d’ar­gento, di varia grandezza, attorno ad un pomello. I bottai nel 1902 furono i primi, fra le maestranze, a sostituire i pennacchi di piume del loro gruppo, La spolia­zione, con quelli d’argento, affidandone la realizzazione a G.B. CATALANO.

Bacile, La sentenza, ph. Alberto Catalano

Bacile, La sentenza (ph. Alberto Catalano)

I personaggi militari più autorevoli sono provvisti di bastone, in genere con pomolo e puntale in argento, come ne La caduta al Cedron: a realizzarlo, nel 1796, fu un argen­tiere dalle iniziali CA, forse Antonio Caraffa che eseguì an­che le manette e l’alabarda dello stesso Mistero. Tutto in robusta lamina d’argento è il ba­stone de La spoliazione, rea­lizzato nel 1906 per conto dei bottai dello stabilimento vinicolo D’Alì e Bor­donaro.

Prima di pronunciare La sentenza di morte per Gesù, Pilato si lava le ma­ni innanzi al popolo, proclamando pubblicamente la sua innocenza. Simbolo di questo gesto è il bacile d’argento, rispondente alla tipologia dell’oggetto largamente diffusa nel ‘700, sia per uso liturgico che domestico. Ha forma ellittica, sagomata da profonde ondulazioni e segna­ta da nervature che nell’impostazione tendono al gusto rococò. La cifra 94 impressa accanto alla sigla del console Michele Caltagirone, indica l’anno di realizzazione, il 1794, lo stesso in cui Vincenzo Martinez eseguì l’aureola di Gesù del gruppo Il trasporto al sepolcro. Non ben identificabile l’autore del bacile, dalle iniziali GC riferibili a più maestri attivi sul finire del secolo XVIII; a questo oggetto si ispirerà più tardi, nel secolo XX, l’argentiere che realizzerà quello della Lavanda dei piedi, che con la brocca forma un servizio da lavabo. La marchiatura di questi ultimi consiste nel bollo con la testina di Cerere, nella sigla GCC, riferentesi al console, e in un bollino con simbolo non decifrabile, forse un fiore.

La testina di Cerere con i numeri arabici del titolo dell’argento, accompagnata dal simbolo della bottega e del saggiatore e dalle iniziali dell’argentiere, contrassegnerà dopo la soppressione delle corporazioni artigiane, indistintamente, tutti i manufatti siciliani dal 1826/29 al 1872 [15]. Numerosi oggetti eseguiti tra la fine del secolo XVIII e i primi del XX riportano le iniziali GC riferibili a diversi maestri attivi in quel periodo per cui risulta difficile stabilire l’identità: potrebbero riferirsi ad uno dei componenti della famiglia Caltagirone – Giacomo, Giovanni o Giuseppe – o della famiglia Costadura –Giacomo o Giuseppe – ma pure a Giuseppe Croce.

Cartella, La deposizione (ph. Alberto Catalano)

Cartella, La deposizione (ph. Alberto Catalano)

Anche le cartelle delle croci con la scritta INRI (Iesus Nazarenus Rex Iudeorum) sono d’argento. Quella posta sulla croce de La ferita al costato reca la sola bulla di Trapani e rivela un gusto barocco, mentre l’altra de La deposizione è di un gusto più maturo: la marchiatura di quest’ultima NV79, sembrerebbe riferirsi alle iniziali di Nicola De Vita. I documenti d’archivio non attribuiscono al De Vita per l’anno 1679 le cariche di console o consigliere che invece furono ricoperte rispettivamente da Antonio Riva e Giovanni Corsi La Via. Evidentemente, per motivi che allo stato attuale non conosciamo, Nicola De Vita era autorizzato a marchiare i manufatti in argento, come dimostrano anche altri oggetti che riportano la stessa sigla [16].  

Cuore trafitto, Addolorata (ph. Giancarlo Nifosì)

Cuore trafitto, Addolorata (ph. Giancarlo Nifosì)

Completano la collezione degli argenti dei Misteri di Trapani alcuni oggetti privi di marchi, riconducibili alla fine del secolo XIX e a tutto il XX; altri provvisti di iscrizioni riportano la datazione e rimandano al nome dell’argentiere o dei donatori, come la corazza del gruppo Gesù dinanzi ad Hanna dove si legge BALDASSARE INDELICATO 1932, oppure il cuore fiammato dell’Addolorata, PROPRIETA’ DEI COCCHIERI D’AFFITTO 3 APRILE 1925.

Nel corso di tutto il Novecento e in questi primi decenni del XXI si sono avvicendate donazioni di nuovi oggetti, realizzati da argentieri contemporanei, trapanesi e palermitani [17]: nel 2010 orafi di Arezzo hanno realizzato in oro la corona di spine e l’aureola di Gesù de L’ascesa al Calvario. La più recente donazione è quella di un cuore trafitto, offerto al simulacro dell’Addolorata nel 2023 [18]. 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
Note
[1] Per la catalogazione degli argenti dei Misteri si veda: AM. Precopi Lombardo – L. Novara, Argenti in processione. I Misteri di Trapani, Marsala 1992. Per la storia e le opere dell’argenteria trapanese si veda: Argenti e ori trapanesi nel museo e nel territorio, a cura di AM. Precopi Lombardo – L. Novara, Trapani, 2010.
[2] Per i profili degli argentieri e degli orafi trapanesi, indicati in questo testo, si veda: AM. Precopi Lombardo, R. III, in Argenti e ori, cit., 2010. Per l’arte argentaria trapanese cfr. L. Novara, L’arte argentaria trapanese dal XVII al XIX secolo, in Argenti e ori, cit., 2010: 29-42;
[3] Cfr. M. Accascina, I Marchi delle argenterie e oreficerie siciliane, Busto Arsizio 1976:191, fig.94°; 190, fig. 90.
[4] Cfr. AM. Precopi Lombardo – L. Novara, Argenti in processione, cit.,1992: 237; AM. Precopi Lombardo, R. I, in Argenti e ori, cit., 2010; L. Novara, R. II, in Argenti e ori, cit., 2010.
[5] Un turibolo della chiesa Madre di Erice, datato 1799, attesta che anche in quell’anno si marchiava con la sigla CUD.
[6] La sigla IUD si trova inoltre: in una navetta della chiesa di S. Caterina, Mazara (1790), nel repositorio del santuario dell’Annunziata, Trapani (1791), nel calice della chiesa della Madonna del Soccorso, Trapani (1795), nel tabernacolo della chiesa di San Domenico, Trapani (1809), in una croce di collezione privata Trapani (1818), nella corona del tronetto della chiesa di San Michele, Mazara (1819).
[7] Identici marchi del console e della città si ritrovano su di una forchetta di collezione privata Trapani, che riporta la sigla dell’argentiere GC (cfr. L. Novara, R. II, in Argenti e ori, cit., 2010).
[8] Stesse sigle si ritrovano in un cucchiaio e in un secchiello della chiesa Madre di Erice.
[9] Cfr. AM. Precopi Lombardo, R.I, in Argenti e ori, cit., 2010.
[10] Il maestro come i suoi colleghi aveva anche una committenza privata che gli richiedeva opere di uso domestico tra cui vanno ricordate: un’elegante bilancina con due piatti, di collezione privata Trapani, eseguita sotto uno dei consolati di Carlo Caraffa tra il 1749 e il 1777; una paletta per torta di collezione privata Marsala, marchiata dallo stesso Caraffa; una campanellina, di collezione privata Trapani, vidimata da Angelo Sandias durante uno dei suoi consolati (1755, 1762 e 1774): cfr. L. Novara, L’arte argentaria, cit., 2010: 29-42; Eadem, Una piccola bilancia d’argento, in Argenti e ori, cit.. 2010: 42.
[11] Due maestri ebbero il nome Vincenzo (il più anziano documentato dal 1756 al 1792, l’altro dal 1792 al 1812) ed uno Vito (*1758 +1823).
[12] Per notizie su Gaetano Parisi si veda: AM. Precopi Lombardo, R. III, Argenti e ori, cit., 2010.
[13] F. Mondello, Album artistico: La passione di Gesù Cristo illustrata con venti gruppi statuari, Ms Biblioteca Fardelliana, n. 313, 1901.
[14]  M. Accascina, I Marchi, cit., 1976:191.
[15] Il R. D. n. 624, emanato da Francesco I il 14 aprile 1826, stabilisce le nuove norme per marchiare l’oro e l’argento, che non troveranno applicazione prima del 1829. Nel 1872 si dispone per legge la liberalizzazione della fabbricazione e del commercio degli oggetti d’oro e d’argento (art. 1) in cui il marchio non è più obbligatorio (art. 2). Resterà in vigore fino al 1934.
[16] Nicola De Vita, documentato dal 1681 al 1712, fu console nel 1683, 1685, 1698, 1712 (cfr. AM. Precopi Lombardo, R. I, in Argenti e ori, cit., 2010). Riportano la stessa sigla NV79: il repositorio della chiesa di S. Caterina di Mazara (datato 1680), l’ostensorio del seminario vescovile di Erice, il turibolo a traforo e la cornice di cartagloria della chiesa Madre di Erice (cfr. L. Novara, R. I in Argenti e ori, cit., 2010). Inoltre sull’ostensorio con pellicano della chiesa Madre di Partanna è impressa una sigla letta AN da Accascina (M. Accascina, I Marchi, cit.,1976: 191, fig.94a) e da Travagliato (Travagliato 2001, Ostensorio, in Splendori di Sicilia. Arti decorative dal Rinascimento al Barocco, a cura di M.C. Di Natale, Milano 2001: 455 n.146) e che, se letta capovolta, diventa NV e potrebbe riferirsi allo stesso Nicola De Vita.
[17] Tra i trapanesi: Platimiro Fiorenza, Giovanni Cannamela, Alfonso Graffeo; tra i palermitani Antonio Amato.
[18]  “Donato da Dina Rapisardi e Fam.   Ass. Addolorata 2023. Realizzato da Carlo Modestini”.

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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.

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