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Dialetto e inedite sonorità musicali

copertina-dialetto-e-canzone-definitivadi Orietta Sorgi

 Cosa succede nel terzo millennio quando il dialetto sembra ormai aver abbandonato ogni campo d’azione e ogni sua ragione d’uso in tutti gli ambiti della vita associata? Quando i localismi linguistici e le varietà regionali sembrano aver ceduto il passo, per effetto della scolarizzazione a tappeto e dei mass media, all’italiano standard, tanto da sembrare espressioni residuali di una società globalizzata?

Aveva dunque ragione Leonardo Sciascia quando in un’intervista alla RAI decretava la morte definitiva del dialetto, sostenendo che ogni tentativo di riportarlo in vita sarebbe stata un’operazione di necrofilia? O è piuttosto vera l’opinione di Ignazio Buttitta, che in quella stessa occasione e con l’entusiasmo dei suoi novant’anni, assegnava lunga vita a tutti i dialetti del mondo, nella ferma convinzione che essi sarebbero sopravvissuti alla crisi inferta dalla modernizzazione?

In realtà entrambe le posizioni sono giustificate da quanto è avvenuto più tardi in Sicilia sotto il profilo linguistico e comunicativo. Se è vero infatti che è vistosamente diminuito il numero di parlanti in dialetto come forma di comunicazione primaria, è anche vero che sono di gran lunga aumentate le sue occasioni d’uso, non necessariamente vincolate ad una condizione di inferiorità sociale.  Di conseguenza ogni parlata locale, avendo perduto, nei suoi nativi, la funzione d’uso originaria, assume ora un diverso valore di segno, diffondendosi presso gli italofoni che lo adottano volutamente per nuovi scopi. Si verifica così una coesistenza strategica di due codici, ricorrendo di volta in volta all’uno e all’altro, a seconda delle varie esigenze e contesti comunicativi. Ma è soprattutto nell’universo giovanile che il dialetto viene privilegiato in senso innovativo, non necessariamente legato alla tradizione, per esprimersi in situazioni come la comunicazione sul web o la musica ad esempio. Una testimonianza concreta di questa rinnovata vitalità e diffusione delle lingue locali è data dalla ricchissima produzione di canzoni in dialetto che ha caratterizzato la Sicilia già dagli anni Settanta del Novecento.

Su queste tematiche insiste Roberto Sottile nel suo ultimo volume Dialetto e canzone. Uno sguardo sulla canzone di oggi, pubblicato nel 2018 da Franco Cesati. Lo scopo, come già il sottotitolo avverte, è quello di presentare le nuove tendenze musicali che si sviluppano nell’Isola negli ultimi decenni. A parte gli esempi più noti come Franco Battiato e Carmen Consoli, la ricerca prende in esame infatti una serie di microrealtà provenienti da zone remote dell’interno, raccogliendo e analizzando più di settanta testi di cantautori locali, che in molti casi hanno anche compilato un questionario e raccontato la loro storia di vita, presentati in appendice del libro. Per tutti si ravvisa il bisogno di reagire alla globalizzazione, riscoprendo le antiche radici e riproponendole come vessillo di un’identità culturale contro la lingua ufficiale, ritenuta espressione del potere.

Emerge un panorama estremamente variegato e composito che si dispiega all’interno di due filoni mai nettamente distinti, ma fluttuanti l’uno verso l’altro: da un lato l’uso del dialetto in senso lirico-espressivo; dall’altro secondo il valore ideologico e simbolico dei suoi contenuti, e cioè in senso oppositivo nei confronti dell’italiano. Entrambi questi aspetti non sono nuovi alla storia musicale e poetica della Sicilia, ma si collegano ad una lunga tradizione che l’ha resa un laboratorio particolarmente fertile e creativo per numerosi artisti, cantanti e cantautori. Di fatto il patrimonio folklorico è stato sempre, ora come allora, una fonte d’ispirazione, un serbatoio inesauribile da cui attingere nel segno della continuità ma anche della costante rielaborazione di espressioni e significati.

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Rosa Balestrieri

Va innanzitutto ricordato come già alla fine dell’Ottocento si sviluppa nell’Isola un genere musicale autoctono, quello della canzone popolare, in relazione al sorgere di nuovi interessi demologici. Si pensi, a questo proposito, alle composizioni musicali sui versi dell’abate Meli che fiorirono nei salotti dell’aristocrazia siciliana, sviluppandosi in seguito come fenomeni da strada, in occasione dell’acchianata a Montepellegrino per Santa Rosalia, sul modello dell’esempio partenopeo durante la Festa di Piedigrotta. Una stagione breve che si esaurisce nell’arco di quarant’anni, ma che finisce col rivelare significativi processi di osmosi fra il gusto popolare e popolareggiante, da cui deriveranno più tardi i repertori dei cantastorie siciliani, come Ignazio Buttitta, Ciccio Busacca e Rosa Balistreri.

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I Fratelli Mancuso

In questi casi l’intento poetico ed espressivo si unisce al significato della protesta e della denuncia contro l’arretratezza di un Sud abbandonato. Rosa, ad esempio, originaria di Licata nella provincia di Agrigento, diviene per molti un modello da seguire, esprimendo il disagio di chi è costretto a lasciare la propria terra in ragione della sopravvivenza. Così sarà anche per i fratelli Mancuso di Sutera, piccolo centro agricolo del nisseno, operai emigrati in Inghilterra e rientrati in Italia per cantare le proprie origini attraverso il ricorso alle lamentanze funebri della Settimana Santa. Anche Francesco Giunta, cantautore palermitano impegnato nel folk revival degli anni Settanta, unisce l’intento poetico a quello metaforico-documentativo: da un lato la scelta di canzoni auliche come Apuzza nica nate dai versi di Giovanni Meli, dall’altro Vucciria, per documentare la realtà del noto mercato storico siciliano, divenuto un totem dell’identità culturale dei cittadini.

Il ricorso alla tradizione in senso ideologico e simbolico è dato anche da Mattanza dei Kunserto che nel 2003 utilizzano la metafora della pesca del tonno in Sicilia per rappresentare la violenza e la ferocia delle stragi di mafia, come quelle di Falcone e Borsellino. O, nello stesso filone, la vis polemica di Moffo Schimmenti di Polizzi Generosa, che fa uso dei versi di Peppino Impastato per denunciare col suo canto gli attentati avvenuti in Sicilia dalla fine degli anni Settanta. In altri casi si ricorre non soltanto al corpus di musiche popolari di Alberto Favara, ma alla narrativa orale di fiabe e proverbi tramandati da Giuseppe Pitrè: La petra di li sette muli o Lu vispiru sicilianu, cantati da Roberto Terranova, o Calati juncu ca passa la china, per esprimere la rassegnazione del debole che necessariamente deve soccombere di fronte ai potenti, un grido di protesta contro l’immobilismo sociale e il malgoverno politico. O ancora le vanniate dei banditori in Sintiti, di Daniele Treves Band, a favore della fratellanza fra i popoli e della protezione e tutela dell’ambiente. Altrove, come si è detto prima, vengono cantati i mercati popolari di Palermo e Catania, come esempi di cultura locale, ma anche di integrazione con gli immigrati: è il caso di Ballarò della Famiglia del Sud che diviene un’invocazione alla ricchezza multietnica del quartiere storico di Palermo.

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Kunsertu

Ma ciò che caratterizza maggiormente la situazione musicale contemporanea è data dall’insorgenza di nuovi gruppi che si ispirano al genere dell’hip-hop, del reggae e dei rapper. Qui l’uso del dialetto si dimostra particolarmente adeguato alla nuova ritmicità data dalla frequenza di espressioni tronche e rime, impossibili nella lingua italiana. In molti casi il gergo locale assume forme provocatorie e trasgressive per rafforzarne il significato di accusa nei confronti del perbenismo borghese, confermandone l’intento conflittuale e oppositivo rispetto alle istituzioni. Cani di mànnara del complesso della Dimora del padrino diviene, a questo proposito, l’espressione ideale per rappresentare, attraverso la figura del cane sciolto, i senza tetto e i senza lavoro, le fasce più marginali e periferiche della società. Il rapper Nakria, inoltre, nella canzone Un canci mai assume toni decisamente enfatici e esortativi nel tentativo di risvegliare le coscienze morali degli ascoltatori, incitandoli alla ribellione e a non cedere mai alle lusinghe del potere.

nakriaSi tratta, il più delle volte, di un uso del dialetto che comunque ha perso il rigore formale e koinezzante delle origini, ma adotta significative mescolanze e contaminazioni in ragione delle nuove finalità dettate dalle attuali dinamiche sociali. Frequente è, ad esempio, l’alternarsi di espressioni locali e italiane, a volte anche in inglese e in altre lingue, esempi di mistilinguismo molto frequenti nelle musiche dei rapper come quelle dei CiaKa nel 2008.

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Mario Incudine

Mario Incudine, noto cantastorie della provincia ennese, riprende in Excuse mua pur mon franzè il tema della strage di Marcinelle, già raccontata in versi da Buttitta e drammatizzata da Ciccio Busacca e Nonò Salomone. Questa tensione al mescolamento e alla contaminazione non è soltanto dettata dal desiderio di sperimentazione, ma esprime in particolar modo il tentativo disperato di promuovere la coesione e l’incontro delle diversità, tema oggi di particolare urgenza etica e civile. I Kunsertu in Tarantata adottano, a questo proposito, tre codici diversi, siciliano, italiano e portoghese, mentre gli Agricantus in Com’u ventu eseguono un dialogo molto stimolante fra voci corali registrate dal vivo, in siciliano, francese e tamashek.

Va infine ricordato, per concludere, il valore ludico e satirico del dialetto finalizzato a suscitare l’ilarità nel pubblico, anch’esso conforme ad una lunga tradizione orale. In quest’ottica vengono riproposti caricature di tipi umani e scenette di cabaret che in qualche modo risentono delle prime esperienze dei Cavernicoli di Cefalù, ma con una destinazione sociale diversa, ad un pubblico non prettamente borghese. In molti casi si arriva a forme dialettali di estrema volgarità e scurrilità per rafforzarne l’intento trasgressivo. L’uso frequente del turpiloquio, dei doppi sensi, dell’allusione alla sfera sessuale e alle parti anatomiche dei genitali, conferma ancora una volta il capovolgimento dei valori nel linguaggio popolare, attraverso il ricorso al “basso-materiale corporeo” così efficacemente descritto da Bachtin. Qui il riferimento va ai Tinturìa dell’agrigentino guidati da Lello Analfino che si rifanno ad un’immagine leggera della musica, piena di non-sense e spesso irriverente, assecondando i gusti e le aspettative di una cultura giovanile dello sballo, in senso giocoso ed edonistico.

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Agricantus

In definitiva l’ampia e documentata rassegna che ci viene offerta dall’autore in questo volume, la scrupolosa analisi linguistica che ne consegue sul piano fonetico e lessicale danno ragione di una ricchezza musicale e di una stagione particolarmente creativa della nostra Isola, anche fuori dai suoi confini regionali. Si può certamente condividere l’idea di Alberto Moravia a proposito dei paesi svantaggiati, quando affermava che ad una marginalità geografica ed economica si contrappone sempre una centralità culturale. Senza dubbio e in vari settori dell’arte e della cultura la Sicilia ha avuto un ruolo di primo piano sin dall’antichità che si è mantenuto fino ad oggi in un miracoloso equilibrio fra vecchio e nuovo.

Ma un ulteriore pregio di questa lettura è quella di avere confermato in qualche modo il valore del patrimonio orale come eredità socialmente condivisa. Si tratta a nostro avviso di un dispositivo identitario di idee, valori e contenuti ad alta efficacia simbolica, che lo rende da un lato pervicacemente ancorato al passato, dall’altro dimostrando un’incredibile capacità di rinnovarsi costantemente. Un formidabile veicolo di rappresentazione trasversale di temi, problematiche e criticità del nostro tempo, che offre in molti casi lo spunto per una possibile risoluzione.

Dialoghi Mediterranei, n. 36, marzo 2019
 Riferimenti bibliografici
Sergio Palumbo e Loredana Cacicia (a cura di), 1989/90, L’intellettuale al caffè. Incontri con testimoni e interpreti del nostro tempo, Conversazioni radiofoniche con Leonardo Sciascia e Ignazio Buttitta, Palermo, Rai Sicilia 1991 (pubblicate dal CRICD, Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana, Palermo 2013)
Orietta Sorgi (a cura di), 2015, La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta, Ricostruzione storica di Consuelo Giglio, con saggi di Antonella Balsano, Rosario Lentini, Ignazio Macchiarella, Massimo Privitera, Giovanni Vacca. Edizioni CRICD, Assessorato dei Beni Culturali e dell’Identità siciliana, Palermo
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Orietta Sorgi, etnoantropologa, lavora presso il Centro Regionale per il catalogo e la documentazione dei beni culturali, dove è responsabile degli archivi sonori, audiovisivi, cartografici e fotogrammetrici. Dal 2003 al 2011 ha insegnato presso la Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Palermo nel corso di laurea in Beni Demoetnoantropologici. Tra le sue recenti pubblicazioni la cura dei volumi: Mercati storici siciliani (2006); Sul filo del racconto. Gaspare Canino e Natale Meli nelle collezioni del Museo internazionale delle marionette Antonio Pasqualino (2011); Gibellina e il Museo delle trame mediterranee (2015); La canzone siciliana a Palermo. Un’identità perduta (2015); Sicilia rurale. Memoria di una terra antica, con Salvatore Silvano Nigro (2017).

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