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Crociate di oggi, radicalismi di ieri. Il mito di Lepanto

COPERTINA (1) di Cinzia Costa 

Il pomeriggio del 25 novembre 2016 mi aggiravo, un po’ ansiosa, per le strade del centro storico di Palermo armata di carta e penna (gli unici strumenti bellici di cui abbia mai disposto) e soprattutto di buona volontà, pronta a partecipare ad un evento al quale mai avrei immaginato di assistere. L’evento in questione era una conferenza, tenutasi presso l’Istituto Euro Mediterraneo di Scienza e Tecnologia; fin qui niente di strano. La conferenza, intitolata “1517-2017.  Vera e falsa riforma della Chiesa”, era organizzata dalla Fondazione Lepanto, che si presenta come “un’associazione internazionale, con sede a Roma, che ha come fine la difesa dei princìpi e delle istituzioni della Civiltà cristiana” [1].

Sin dal primo momento in cui sono venuta a conoscenza della prossima realizzazione del congresso, nonché dell’esistenza della Fondazione, l’evocazione di scenari lepantini e il richiamo ai principi della difesa della “Civiltà cristiana” hanno suscitato in me un forte interesse di natura antropologica. La mia partecipazione all’evento è stata  dunque preceduta da una serie di ricerche e di indagini sul lavoro della Fondazione e sulla storia del principale relatore dell’intervento: la titubanza dettata dalla consapevolezza di entrare in contatto con un mondo fino ad allora a me quasi sconosciuto, ovvero quello che mi è sembrato, a priori, di poter racchiudere sotto l’etichetta di “fondamentalismo cattolico”, ha subito lasciato spazio alla curiosità di osservare e scoprire punti di vista per me fino a quel momento ignoti. Il 25 novembre, dunque, armata delle migliori intenzioni mi sono timidamente affacciata su un’aula magna semi-affollata, colma di auditori entusiasti [2], tra i 45 e i 50 anni, ma con alcuni giovani che abbassavano di gran lunga la media d’età, per osservare, ascoltare e soprattutto carpire lo spirito e il clima vissuto da questi nuovi “portatori di alterità” che mi apprestavo a  conoscere.

L’obiettivo di questo contributo non è pertanto molto ambizioso: mi limiterò a riportare alcune impressioni ricavate dalla partecipazione alla conferenza. Proporrò alcune riflessioni e molte domande, che auspico offrano ulteriori spunti di analisi, inserendosi nel dibattito, già prolifico, su Monoteismi e dialogo, lanciato sullo scorso numero di Dialoghi Mediterranei.

Nell’ottobre 2017 ricorrerà il cinquecentesimo anniversario dall’affissione delle 95 tesi di Lutero sulla porta della chiesa di Wittenberg; questa imminente ricorrenza è stata dunque il pretesto per proporre un’analisi e una ricognizione storica di ciò che la Riforma protestante è stata per la storia della Chiesa cattolica. Sebbene il relatore, Roberto De Mattei, storico e presidente della Fondazione [3], presentato dal moderatore come «gigante della difesa della vera dottrina», abbia concentrato il suo intervento sullo specifico argomento dell’incontro, focalizzando la sua attenzione sul periodo  della Riforma protestante, sulla situazione della Chiesa nel Cinquecento e sul contesto che ha portato alla nascita e alla diffusione del Protestantesimo,  la ricognizione storica offerta alla platea si è presentata sin da subito come fortemente direzionata a dimostrare una tesi: la Riforma nella sua essenza rivoluzionaria ha costituito un vero e proprio attacco alla Chiesa e proprio in questo senso deve essere considerata un errore, sia storico che morale, che, come un vaso di Pandora, ha dato origine ad una lunga concatenazione di altri errori, dei quali oggi viviamo ancora appieno le conseguenze [4].

Accanto a varie notizie storiche, successioni di pontefici e sovrani ed eventi epocali (tra cui il Concilio di Trento), la narrazione dello storico accostava alcuni dati relativi a Lutero, attinenti anche alla vita personale del riformatore (motivazioni della sua vocazione, circostanze della morte), e miracoli, visioni apocalittiche di donne pie durante momenti di preghiera; elementi questi presentati alla stregua di dati storici da tenere in considerazione nella valutazione degli avvenimenti.

Tentando di ristabilire «la verità storica sull’uomo e sull’evento», De Mattei ha, così, parlato della cosiddetta “Riforma” Protestante mettendone in discussione la reale entità. Non si sarebbe trattato, infatti, di una vera riforma, il cui scopo è quello di restaurare e ripristinare lo stato di cose precedenti, ma bensì di una «pseudo-riforma» o, eventualmente, di una «rivoluzione» che, invece, «rinnova nel senso di distruggere, fa tabula rasa» (De Mattei).

1.

Un momento del convegno

L’errore di Lutero e della Chiesa nel Cinquecento sarebbe stato pertanto quello di avere lasciato spazio alla diffusione dei principi dell‘Umanesimo, che, attraverso la rilettura dei classici greci e latini, aveva in qualche modo attentato la cristianità; ne furono esempio le condotte di alcuni pontefici che si distinsero per essere mecenati e condottieri ovvero lo stretto legame tra Lutero e Erasmo da Rotterdam, prelato poco avvezzo alla pratiche strettamente religiose, ma molto interessato alla lettura di testi classici. Questo atteggiamento di apertura rispetto alla ricezione di influenze del mondo secolare, e dunque di incontro tra la Chiesa e il Mondo, è stato definito nel corso della conferenza con la significativa espressione di «abbraccio mortale». La vita mondana, inteso questo termine non solo nella sua accezione connessa alla voluttà, ma anche, in senso lato, relativamente alla prospettiva secolare e sociale, perseguìta e assecondata da alcuni prelati, ha facilitato dunque non solo l’ideazione delle 95 tesi, ma anche la diffusione del Protestantesimo in molti Paesi d’Europa, conducendo alla frattura del mondo cristiano.

In questo senso il Concilio di Trento, nel 1545, ebbe un ruolo capitale nel reindirizzamento della condotta del Vaticano, dei prelati e della comunità cattolica tutta. Il Concilio esercitò dunque il compito oneroso di ristabilire alcuni princìpi cardinali, che costituiscono le basi della dottrina cattolica; tra questi l’importanza dei sette sacramenti e l’autorità suprema ed intangibile della Scrittura e della Tradizione. «A chi vorrebbe spingerci verso Lutero noi rispondiamo che vogliamo andare verso Trento» (De Mattei).

La presentazione di questo quadro di analisi non era certo, nell’economia del discorso affrontato, immune da un fine ideologico ben preciso, connesso anche al mondo contemporaneo: il pontefice Francesco ha annunciato, infatti, la volontà di celebrare la ricorrenza dell’anniversario della nascita del Protestantesimo. Questa decisione, inedita per la politica del Vaticano, ma coerente rispetto alla linea di aperto dialogo interreligioso professata sin dall’inizio del pontificato di Francesco, risulta agli occhi di questa frangia di cattolicesimo purista espressione di una eccessiva apertura verso il mondo luterano considerato da sempre un’eresia e ritenuto deviante rispetto alla verità cristiana.

Oltre ad una breve relazione sui temi affrontati, sui quali, peraltro, non ritengo di possedere gli strumenti di interpretazione adeguati, mi piacerebbe in questa sede soffermarmi brevemente sul lessico utilizzato non solo dal relatore e dalla platea di ascoltatori nel corso della conferenza, ma anche nei siti di diffusione e di informazione gestiti dalla Fondazione e dai promotori di questa corrente del cattolicesimo [5]. La ricorrenza di termini quali difesa, verità e tradizione (questi ultimi utilizzati rigorosamente ed enfaticamente al singolare), può essere considerata come indicativa di un preciso modo di intendere la religione sia nella sua dimensione individuale, che in quella sociale e, soprattutto, politica. Non va infatti dimenticato che tra i fini della Fondazione c’è anche quello della difesa di valori come quelli della vita umana («contro ogni forma di manipolazione biopolitica» [6]), della famiglia naturale, della proprietà privata, degli Stati nazionali e della tradizione religiosa e morale cristiana, identificata quest’ultima accezione tout court con la fede cattolica [7]. Anche in questa breve enumerazione le parole hanno un ruolo fondamentale per comprendere quali siano le battaglie che questi moderni crociati combattono, battaglie che si consumano anche al di fuori del campo strettamente spirituale e religioso. Questo dominio lessicale e semantico richiama uno scenario, dispiegato anche dall’utilizzo di altre espressioni (una fra tutte quella di radici), fortemente intriso di nostalgie per un passato idealizzato, luogo e tempo di una verità storica e morale inconfutabile e, soprattutto, non negoziabile. A tal proposito molti sono i percorsi di analisi che possono essere intrapresi, alla luce di alcuni noti studi [8], di grande aiuto nella costruzione di questo frammentario approfondimento, guidato per lo più da suggestioni emotive e interrogativi spontanei.

I principali fautori della Riforma, incisione di Carel Allard, sec. XVII

I principali fautori della Riforma, incisione di Carel Allard, sec. XVII

In primo luogo ciò che mi sembra estremamente significativo sono le modalità di utilizzo del termine tradizione, definita nel corso del convegno come «regola ultima», che tramanda una verità considerata oggettiva, in grado di scavalcare addirittura l’autorità delle Sacre Scritture [9]. L’aspetto più evidente di questo tipo di orientamento è la aperta contraddizione che affiora in modo esplicito ad una prima analisi: il termine “tradizione” ha, infatti, una radice etimologica ben nota, che richiama, appunto, la consegna e la trasmissione per via orale di fatti e dottrine, dal verbo latino tradere. Tradizione è dunque qualcosa che, per definizione, sfugge ad un riconoscimento oggettivo e che, proprio per la sua natura non scritta, è soggetta a variazioni e trasformazioni nel corso del tempo. Ciò che i movimenti tradizionalisti cercano di affermare, invece, con il proprio operato è una immutabilità storicizzata, un salto in un passato immaginato, metastorico, immobile e puro. In questo senso tornerà certamente utile richiamare alla memoria le importantissime considerazioni proposte da Hobsbawm sull’Invenzione della tradizione, nelle pagine in cui si analizzano i processi storici attraverso cui nella contemporaneità ci si è appropriati di un passato idealizzato e appositamente selezionato, per legittimare azioni e scelte attuate nel presente.

«Per tradizione inventata si intende un insieme di pratiche, in genere regolate da norme apertamente o tacitamente accettate, e dotate di una natura rituale o simbolica, che si propongono di inculcare determinati valori e norme di comportamento ripetitivi nelle quali è automaticamente implicita la continuità con il passato. Di fatto, laddove è possibile, tentano in genere di affermare la propria continuità con un passato storico opportunamente selezionato» (Hobsbawm, 1983: 3).

L’attributo della perpetuità è dunque declamato da tutti i movimenti che vogliano legittimare la propria esistenza ed espansione ricercando delle radici ad essi pre-esistenti e fortemente ancorate ad un territorio, fisico o metaforico che sia. Ciò che sfugge a questi movimenti, però, è la semplice considerazione che «la “consuetudine” non può permettersi l’immutabilità, perché nemmeno nelle società “tradizionali” la vita è davvero così» (ivi, 5). Questa breve riflessione può perfettamente essere traslata sul nostro caso di analisi: il relatore della conferenza De Mattei, ad un certo punto della sua relazione, ha proposto un parallelismo sulla situazione di grande confusione della Chiesa nel 500, alle soglie della Riforma Protestante, e la Chiesa di oggi, nel momento storico cioè in cui le scelte del vertici, a partire dal Vaticano, genererebbero grande disorientamento nelle persone di vera fede cattolica. Il relatore concludeva affermando che questa confusione di oggi e di ieri non deve stupire la comunità cristiana, poiché la Chiesa non va confusa con gli uomini, vera causa degli errori e dunque del disorientamento. Sorge a questo punto spontanea una domanda: cosa è la Chiesa se non gli uomini che la compongono e, se gli uomini sono portatori di caos per loro indole, esiste veramente un passato “puro” a cui appellarsi, un tempo in cui la Chiesa non sia stata in qualche modo “macchiata” dall’operato umano?

A guardar bene si intuisce apertamente dai canali di informazione diffusi dal movimento, nonché dai discorsi stessi propinati da Roberto De Mattei in  diverse occasioni, che più che di passato puro si può parlare di passato epurato e che quanto viene comunicato è accuratamente selezionato per ribadire e dimostrare le proprie tesi [10]. Questo processo di vaglio e filtraggio delle informazioni, definito anche dalla sociologia e dalla psicologia sociale confermative biases, è comune a tutti, singoli individui e gruppi sociali; tuttavia, ciò che stupisce in questo caso particolare è la totale arbitraria selezione delle notizie e la affermazione di tesi che contrastano esplicitamente le posizioni della scienza e, di conseguenza, della razionalità [11].

L’epurazione del passato rientra perfettamente, dunque, nei processi di invenzione della tradizione.

«Quello che agli occhi dello storico può apparire un falso o una costruzione, viene però spesso considerato assolutamente veritiero, quasi sacro dalla comunità che lo ha adottato come sua “tradizione”, per rispondere alle esigenze del presente. Non tutto del nostro passato diventa tradizione, ma solo ciò che può servire oggi. Si tratta del processo “filiazione inversa”, secondo cui non sono i padri a generare i figli, ma i figli che generano i propri padri. Non è il passato a produrre il presente, ma il presente che modella il suo passato. La tradizione è un processo di riconoscimento di paternità» (Aime, 2013:79).
Allegoria della battaglia di Lepanto, di Paolo Veronese,1572

Allegoria della battaglia di Lepanto, di Paolo Veronese,1572

I valori opportunamente modellati e, per alcuni versi, naturalizzati [12] vanno dunque difesi dal disorientamento interno alla Chiesa stessa, ma soprattutto dagli attacchi che arrivano invece dall’esterno, ovvero da tutti coloro che non aderiscono in toto alla Verità. «Una è la verità, molteplici gli errori» (De Mattei). Lo scenario di difesa e l’auto-definizione di sé come soldati  e guerrieri della fede, richiama chiaramente il tema delle Crociate. Ciò che verrebbe da chiedersi a questo punto, come fa Adam Knobler, è come e perché una serie di conflitti lunghi 850 anni (le crociate) siano diventati un effettivo linguaggio per comunicare idee (cfr. Knobler: 2006). Altro aspetto, già abbondantemente indagato [13], riguarda inoltre la costruzione di un grandissimo apparato mitologico legato alla battaglia di Lepanto, che nell’immaginario occidentale ha finito per rappresentare lo scontro di civiltà per eccellenza: mondo cristiano vs mondo islamico. Su un falso storiografico è stata elaborata una retorica ideologica di indubbia efficacia. Oggi più che mai, infatti, il mito di Lepanto ricorre, anche se in termini impliciti, nel discorso pubblico [14], nelle evocazioni di partiti politici xenofobi, nei movimenti di estrema destra che alla luce dei più recenti fatti di cronaca non si sottraggono alla possibilità di scagliare accuse e costruire i muri a presidio della nostra società assediata dagli stranieri, in generale, e dai musulmani, in particolare.

In questo senso fortissime sono le incongruenze tra ciò che affermano le Sacre Scritture e i princìpi diffusi dai guerrieri della fede: «Mai la pace e l’unità possono essere realizzate a scapito della Verità». Questa affermazione, pronunciata nel corso del convegno, contrasta apertamente con il principio evangelico del porgere l’altra guancia e dell’apertura e del perdono di tutti, in particolare di coloro che sono emarginati dalla società, come esemplifica chiaramente l’episodio che vide Gesù soccorrere una samaritana. Quello che contraddistingue dunque questo movimento fondamentalista religioso, come tutti gli estremismi in senso lato, è anche la totale assenza di interlocutori che non siano già a priori all’interno del discorso proposto.

«Il dialogo, quale che sia la definizione esatta del concetto, presuppone comunque un interesse a incontrare e tradurre (per) l’altro. Come trasposizione minima del senso, direi che il dialogo ha a suo fondamento un enunciato molto semplice: “parliamone”. Questo vuol dire che si è almeno in due e si è inclini, nonostante le ovvie difficoltà, a fare un certo cammino insieme, frequentandosi, comunicando, mostrando un’attitudine ad ascoltare l’altro, il suo discorso» (Montes).

I temi e i problemi affrontati partono da presupposti non negoziabili, che non ammettono alcun tipo di messa in discussione e che, anziché ricercare una o più verità, muovono dal principio di possederla. Questi assiomi accettati come verità di base, in quanto tali, finiscono per chiudersi su sé stessi in un circolo tautologico che non ammette alcune intrusione dall’esterno.

L’osservazione di ciò che possiamo definire come il “fondamentalismo di casa nostra” può costituire un punto di osservazione privilegiato per analizzare tutti i cosiddetti estremismi, che però consideriamo solo, in genere, quando sono di matrice islamica, e che oggi i governi combattono con tutte le proprie forze. Confrontare e analizzare gli elementi che rendono gli estremismi ciò che effettivamente sono, a prescindere dalle diverse forme che assumono, ovvero la presunzione di possedere una Verità assoluta non negoziabile e indiscutibile, e non di ricercarla attraverso un confronto e il dialogo, può oggi aiutarci a capire come affrontare le sfide del nostro tempo e ad interrogarci su quali sono le possibilità che abbiamo per evitare che si creino le condizioni per la nascita e la diffusione degli estremismi, esibiti sotto diversi vessilli.

Si tratta dunque, in tutti i casi, di una cristianizzazione o islamizzazione dei radicalismi, e non viceversa della radicalizzazione delle religioni. L’unico valore non negoziabile a cui, probabilmente, abbiamo il dovere e il diritto di appellarci, è quello della negoziabilità e della ricerca delle verità. Le quali non esistono prima di noi e fuori di noi, ma con fatica e pazienza vanno costruite, decostruite e ricostruite, giorno dopo giorno, confrontandoci con ciò che è diverso da noi e che, perciò stesso, ci turba e ci spaventa.

Dialoghi Mediterranei, n.23, gennaio 2017
Note

[1]  http://www.fondazionelepanto.org/la-fondazione/
[2]  L’entusiasmo diffuso era dovuto principalmente alla presenza di Roberto De Mattei, relatore del convegno e personaggio molto noto nel panorama del cattolicesimo tradizionalista.
[3]  Roberto De Mattei è uno storico e docente universitario italiano, che ha ricoperto ruoli di grande rilevanza nel panorama scientifico (vicepresidenza del CNR) e politico italiano (consigliere per le questioni internazionali in alcuni governi Berlusconi). Egli è inoltre molto noto, tra le altre cose, per le sue posizioni antievoluzioniste, l’opposizione al relativismo culturale e per essere stato allontanato da Radio Maria, canale presso cui conduceva un trasmissione radiofonica, per la sua posizione critica nei confronti del pontificato di Papa Francesco: https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_de_Mattei
[4]  Tra gli altri errori fatti propri dall’Europa nel corso della storia, e originati dall’eresia protestante, sono stati menzionati: l’Illuminismo, la Rivoluzione francese, il socialismo e il comunismo.
[5] Alcuni esempi di questi canali di comunicazione sono la rivista Radici Cristiane, nella presentazione della quale si legge: «Radici Cristiane si richiama ai valori perenni della Civiltà europea e occidentale» (http://www.radicicristiane.it/la-rivista/); e l’agenzia di informazione Corrispondenza Romana (http://www.corrispondenzaromana.it/?refresh_cens ).
[6]   http://www.fondazionelepanto.org/la-fondazione/
[7]   ibidem
[8]   Primo fra tutti l’Invenzione della tradizione di Eric Hobsbawm, 1987.
[9] È importante in questo senso sottolineare la centralità delle Sacre Scritture nella dottrina cattolica. Questo testo, incorporando  il Vangelo, ha fondato il Cristianesimo, differenziandolo dalla religione ebraica e affermando la definitiva divinità di Gesù Cristo, facendo del Cristianesimo ciò che è. Svincolarsi anche solo parzialmente dal legame con i Testi Sacri, affermando la suprema autorità di una Tradizione indefinita, ma sfoderata arbitrariamente a seconda dei propri fini, risulta in questo senso piuttosto comodo. Potrebbe aprire un ulteriore grande campo di analisi il parallelismo che è possibile istituire tra il richiamo alla Tradizione fatto da questa corrente del cattolicesimo e quello relativo alla cultura islamica, che menziona tra i suoi testi sacri la Sunna, letteralmente consuetudine, che racchiude in sé gli atti e i detti del Profeta tramandati da “soggetti degni di fede”, con la dovuta differenza, però che nella religione islamica la sunna è sempre sottoposta al Corano. In entrambi i casi la Tradizione si fa però garante della fede.
[10] Un esempio di questo processo è la notizia che riguarda la mancata rispondenza delle falene ai comuni processi evolutivi, affrontati dalle altre specie. Questo dimostrerebbe che l’evoluzionismo è una bufala (http://www.bastabugie.it/it/articoli.php?id=4390).
[11] Nota è in questo senso l’interpretazione di Roberto De Mattei delle catastrofi naturali come punizioni divine
[12]  Ciò che fa sì che alcuni attributi, propri di persone esterne al cattolicesimo puro, siano considerati innaturali, uno fra tutti l’omosessualità, o la formazione di famiglie non rispondenti al canone “tradizionale”.
[13] http://www.lavoroculturale.org/lepanto-1571-2015/
[14] Ma anche in modo esplicito nelle celebrazioni della Lega Nord e nella commemorazione che ogni anno i senatori rappresentanti del partito promuovono nelle aule per Parlamento il 7 ottobre, giorno della ricorrenza della battaglia.
 Riferimenti bibliografici
 Aime M., Cultura, 2013, Bollati Boringhieri, Torino, 2013.
  Bettini M., Contro le radici, Il Mulino, Bologna, 2011..
  Hobsbawm E., L’invenzione della tradizione, Einaudi, Torino, 1987.
  Knobler A., “Holy Wars, Empires, and the Portability of the Past: The Modern Uses of Medieval Crusades”, in, Comparative Studies in Society and History, vol. 48, n. 2 (aprile) 2006: 293-325.
  Montes S., “Percorsi esistenziali del dialogo interreligioso. Scene vissute fuori campo”, in Dialoghi Mediterranei, n. 22, novembre 2016.
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Cinzia Costa, dopo aver conseguito la laurea in Beni demoetnoantropologici all’Università degli Studi di Palermo si è specializza in Antropologia e Storia del Mondo contemporaneo presso l’Università di Modena e Reggio Emilia con una tesi sulle condizioni lavorative dei migranti stagionali a Rosarno, focalizzando l’attenzione sulla capacità di agency dei soggetti. Si occupa principalmente di fenomeni migratori e soggettività nei processi di integrazione.

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