I commenti e le polemiche successive al dibattito che ha animato le sedute del recente Sinodo dei vescovi, non hanno certo favorito una riflessione sul suo significato. Per il modo in cui è stato preparato, per i temi che ha affrontato, per il suo svolgimento e per la sua conclusione costituisce, invece, un evento di grande rilievo nell’attuale fase della vita della Chiesa cattolica. Convocato in seduta straordinaria, si è riunito quando la breve stagione conciliare, già ridimensionata dall’opera di assestamento di Paolo VI, sembrava definitivamente conclusa dalla restaurazione imposta da papa Wojtyla nel suo lungo pontificato e continuata da papa Ratzinger.
Straordinaria è la convocazione di una sessione del Sinodo per studiare e approfondire una questione la cui soluzione sarà definita dalla sessione ordinaria prevista per l’anno successivo. Soprattutto straordinaria è la consultazione, che l’ha preceduto, attraverso un questionario diffuso nella parrocchie per chiedere ai fedeli di pronunciarsi proprio sui temi proposti ai Padri sinodali. Come si è detto non è esercizio democratico per il suo carattere solo esplorativo, ma assume un valore diverso se letto alla luce dei contrasti emersi durante i lavori del Sinodo. Confrontando i dati diffusi dopo la ricognizione delle risposte ai questionari e le argomentazioni proposte dalla maggioranza dei partecipanti al Sinodo emerge una corrispondenza fra questa e la stragrande maggioranza dei fedeli nel volere cambiamenti radicali nel modo di rapportarsi della Chiesa allo status dei divorziati e alle coppie di omosessuali.
È apparso chiaro che su questo tema non tutto è già stato detto nella dottrina e nella prassi. Dal resoconto dei lavori svolti in assemblea e nei Circoli minori dei diversi gruppi linguistici (pubblicati in nome della trasparenza) appare chiara la volontà di rivederle per renderle aderenti alle realtà vissute dalle famiglie nel contesto planetario del nostro tempo, con nuovi linguaggi e nuovi comportamenti pastorali. Il confronto è stato reale rivelando diversità che si sono manifestate in sede di votazione della Relazione finale, la Relatio synodi.
Favorevoli al cambiamento sull’accesso ai sacramenti dei divorziati sono stati 104 contro 74 contrari e alla legalizzazione delle unioni fra omosessuali 118 contro 62. Gli altri 59 paragrafi del documento su 62 sono stati approvati con una maggioranza nettamente superiore ai due terzi, in parecchi casi vicina all’unanimità. Con una maggioranza schiacciante 158 su 174 votanti è stato, anche, approvato l’altro documento sinodale: il Messaggio del Sinodo sulla famiglia, redatto dalla Commissione guidata dal cardinale Gianfranco Ravasi, che pure era stato oggetto di accese discussioni e di aggiustamenti concordati
L’effetto della pubblicazione di tali dati, sintomo di profonde divergenze su temi di grande rilievo e la pubblicità data, in tal modo, alla vera e propria contestazione del testo dei tre paragrafi concernenti le due questioni di fondo all’ordine del giorno del Sinodo, è stato per l’opinione pubblica un segno di legittimazione che su questioni così rilevanti è lecito avere opinioni diverse. Si evidenzia la spaccatura nella Chiesa: c’è ed è profonda come si può cogliere in episodi piccoli, ma tutt’altro che insignificanti. Uno fra gli altri: al termine della concelebrazione dell’eucarestia a conclusione del Sinodo Papa Francesco ha ricevuto l’abbraccio da tutti i cardinali concelebranti, ma non sono andati a salutarlo Muller e Burke fra i più decisi oppositori al parere della maggioranza condiviso, come era a tutti noto,dal papa.
D’altra parte, però, ne ha guadagnato il prestigio del Sinodo che non aveva avuto in passato un ruolo significativo non tanto per la sua funzione, che ancora resta, di Istituzione solo consultiva ma per la mancanza di trasparenza sui suoi lavori e, soprattutto, sull’entità e la qualità dei dissensi al loro interno. Altrettanto degna di nota è la sostanziale apertura alla modernità che, anche se contestata, non è più demonizzata come appare dal pieno riconoscimento non solo della legittimità dell’intervento statale nelle questioni concernenti la famiglia, ma della sua “positività”. Il matrimonio civile, il diritto dell’omosessuale ad essere se stesso, il valore dell’amore che nutre non sono più disvalori.
Le parole del papa su tali argomenti, pronunciate in diverse occasioni durante i lavori del Sinodo, e soprattutto l’intervento finale possono essere letti in questa prospettiva.
«Cristo ha voluto che la sua Chiesa fosse una casa con la porta sempre aperta nell’accoglienza, senza escludere nessuno». Perciò i vescovi sono chiamati «ad accompagnare e a farsi carico delle lacerazioni interiori e sociali delle coppie e delle famiglie». Non devono cedere alla tentazione di trascurare la realtà utilizzando una lingua minuziosa e un linguaggio di levigatura per dire tante cose e non dire niente! Li chiamavano ‘bizantinismi’. Né a quella dell’irrigidimento ostile, cioè il voler chiudersi dentro lo scritto (la lettera) e non lasciarsi sorprendere da Dio, dal Dio delle sorprese (lo spirito); dentro la legge, dentro la certezza di ciò che conosciamo e non di ciò che dobbiamo ancora imparare e raggiungere. Dal tempo di Gesù, è la tentazione degli zelanti, degli scrupolosi, dei premurosi e dei cosiddetti – oggi – ‘tradizionalisti’ e anche degli intellettualisti.
Le stesse parole possono essere lette anche come viatico per il lavoro di preparazione alla prossima XIV Assemblea Generale Ordinaria del Sinodo dei Vescovi, da lui stesso convocata e annunciata che si svolgerà in Vaticano dal 4 al 25 ottobre 2015 proprio sul tema “La vocazione e la missione della famiglia nella Chiesa e nel mondo contemporaneo”.
Si sente l’eco di quella sua attenzione all’oggi che non hanno, invece, i vescovi italiani come è recentemente emerso da un comunicato della Cei (Conferenza episcopale italiana) in cui hanno dichiarato assolutamente non accettabile la trascrizione di nozze gay operata dal sindaco Ignazio Marino bollandola come «Arbitraria presunzione, messa in scena proprio a Roma». Con tale condanna si sono associati al coro di proteste di esponenti del cattolicesimo più retrivo, della destra politica, e dell’iniziativa del ministro Alfano che ha intimato al Prefetto di Roma di cancellare quella trascrizione. Ignorava il ministro che il Prefetto non ha tale competenza propria solo della magistratura, che, sollecitata ad intervenire, non l’ha ancora fatto!
A sollecitare tale intervento insieme a quello della politica, ma su ben altre questioni e per motivi molto più condivisibili, è intervenuto anche il papa per chiedere un radicale cambiamento nei sistemi di amministrazione della giustizia. Lo ha fatto in una lunga riflessione rivolta ad alcuni giuristi dell’Associazione Internazionale di Diritto Penale, ricevuti in udienza, denunciando che la dinamica della vendetta, «non è assente nelle società moderne: la realtà mostra che l’esistenza di strumenti legali e politici necessari ad affrontare e risolvere conflitti non offre garanzie sufficienti ad evitare che alcuni individui vengano incolpati per i problemi di tutti».
Ne deriva la richiesta di migliorare le condizioni carcerarie nel rispetto della dignità umana, di abolire la «pena di morte, legale o illegale che sia, e in tutte le sue forme, ed anche l’ergastolo che è una pena di morte nascosta». Non sono meno da cambiare le prigioni di massima sicurezza, gli ospedali psichiatrici, i moderni campi di concentramento che «sono una tortura, così come spesso la carcerazione preventiva (…) Il sistema penale va oltre la sua funzione propriamente sanzionatoria e si pone sul terreno delle libertà e dei diritti delle persone, soprattutto di quelle più vulnerabili, in nome di una finalità preventiva la cui efficacia, fino ad ora, non si è potuto verificare. È necessario pensare a sanzioni alternative»
Non solo recriminare o rimpiangere, denunciare o contestare, ma cercare soluzioni perché i problemi dei singoli e delle società trovino soluzione: questo sembra essere la proposta offerta da Bergoglio alla sua Chiesa e agli Stati.
Dialoghi Mediterranei, n.10, novembre 2014
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Marcello Vigli, partigiano nella guerra di Resistenza, già dirigente dell’Azione Cattolica, fondatore e animatore delle Comunità cristiane di base, è autore di diversi saggi sulla laicità delle istituzioni e i rapporti tra Stato e Chiesa nonché sulla scuola pubblica e l’insegnamento della religione. La sua ultima opera s’intitola: Coltivare speranza. Una Chiesa altra per un altro mondo possibile (2009).
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