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Benedetto Rubino fotografo del folklore

Giuseppe Pitrè con le sue collezioni, 1912 (ph. Benedetto Rubino, Archivio famiglia)

Giuseppe Pitrè con le sue collezioni, 1912 (ph. Benedetto Rubino, Archivio famiglia)

 immagini

di Sergio Todesco

La figura e l’opera di Benedetto Rubino (1881-1955) se per un verso possono essere inquadrate nell’ambito di quella robusta tradizione di studi locali che è stata storicamente uno dei caratteri peculiari della cultura siciliana, per altro verso testimoniano di una personalità e di una produzione che vennero travalicando la dimensione erudita, stimolate e arricchite come esse furono dalla pregnante esperienza di ricerca e innovazione disciplinare operata da Giuseppe Pitrè. Rubino fu infatti uno studioso fortemente influenzato dall’opera di Pitrè, benché privo del bagaglio filologico e storico di questi, e perseguì lungo l’intero arco della sua produzione un modello di ricerca folklorica che, pur rimanendo ancorato a una dimensione regionale, rivela ancora oggi notevoli aperture antropologiche e registra di fatto posizioni quanto mai interessanti riguardo all’attenzione rivolta ad aspetti relativi alla cultura materiale in Sicilia poco studiati prima di allora.

Rubino aveva intrapreso studi di farmacia presso l’Università di Palermo, dove aveva avuto modo di conoscere Giuseppe Pitrè, a quel tempo titolare di un insegnamento. Egli venne affascinato dalla figura dello studioso, e da questi definitivamente indirizzato allo studio delle tradizioni popolari siciliane, che intese perseguire approfondendo in special modo quelle ancora assai vive nella sua San Fratello e nel più vasto areale dei Nebrodi, che divennero l’oggetto della sua ricerca e della sua attività documentaria.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Dapprima figura di grande prestigio nel suo paese, tanto da essere eletto per un brevissimo periodo, nel 1914, sindaco di San Fratello, a seguito della distruttiva frana del 1922 egli fu costretto a lasciare pressoché in miseria il suo paese e a trasferirsi dapprima a Palermo per circa un anno, lavorando sempre come farmacista per conto terzi, in seguito nel centro costiero di Acquedolci ove aprì una farmacia di proprietà che tenne per circa trent’anni. Ad Acquedolci attivò anche una scuola privata in casa propria, aiutando numerosi giovani a conoscere il patrimonio culturale e le tradizioni dell’Isola.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Questi e altri particolari salienti della sua vita, rilevati dall’epistolario (oltre la breve parentesi amministrativa, la richiesta avanzata nel 1915 a Pitrè di trovargli un posto presso un ospedale palermitano, l’abbandono del paese natale in stato di indigenza, dopo la frana del 1922, e il trasferimento; la proposta rivoltagli nel 1923 da Giuseppe Cocchiara di lavorare a un’opera a quattro mani sul folklore siciliano, Usi e costumi, novelle e poesie del popolo siciliano, poi apparsa l’anno successivo, l’avvio nel 1924 delle pratiche volte all’avvio di una farmacia ad Acquedolci, la morte della madre nel 1927) ci consentono di delineare i contorni di un intellettuale periferico ma non marginale rispetto ai fermenti prodotti dalla straordinaria attività di Pitrè nel settore degli studi demologici.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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A partire dagli anni ’20 Rubino fu legato da grande amicizia anche con Giuseppe Cocchiara, studioso destinato a continuare l’opera di Pitrè ma all’interno di quadri di riferimento di più ampio respiro e aperti, sotto il profilo metodologico, a correnti di studio europee, in particolare all’antropologia sociale britannica successivamente contemperata da un sostanziale ancoraggio allo storicismo crociano.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Dai primi decenni del Novecento fino al secondo dopoguerra la produzione di Rubino fu caratterizzata da un’acuta sensibilità letteraria e scientifica verso la cultura tradizionale della Sicilia e del Valdemone in particolare. Sia pure iniziata sotto lo stimolo di interessi meramente letterari ed eruditi, la sua opera si venne progressivamente arricchendo degli influssi provenienti dai maggiori demologi e folkloristi otto-novecenteschi con i quali egli intrattenne rapporti amicali e scientifici (Pitrè e Cocchiara, ma anche Salvatore Salomone Marino e Raffaele Corso).

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Rubino fu un folklorista estremamente prolifico, anche se i suoi orizzonti culturali non gli consentirono di cimentarsi con indagini di ampio respiro, facendogli prediligere il saggio breve o addirittura l’articolo giornalistico per illustrare in maniera piana ma stilisticamente gradevole i tratti salienti di usi e costumi ancora in vigore in Sicilia, e più in particolare nella variegata area dei Nebrodi (Caronia, Mistretta, Sant’Agata di Militello, Acquedolci, San Fratello, Cesarò etc.).

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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È di un certo rilievo l’attenzione verso gli aspetti, alquanto negletti dagli studiosi di folklore, concernenti la cultura materiale, i mestieri, le attività produttive, l’arte popolare; in sintonia con tali interessi Rubino divenne anche un attento raccoglitore di oggetti del mondo tradizionale siciliano, attività questa svolta soprattutto negli anni ’10 per compiacere Pitrè collaborando a incrementare le collezioni etnografiche del Museo da questi fondato.

Benedetto Rubino fu, in definitiva, un autodidatta appassionato che cercò per tutta la vita di riscattare, attraverso la produzione di studioso e di pubblicista, la propria condizione periferica e poco gratificante di farmacista di paese.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Egli provò lungo l’intero arco della propria esistenza una costante nostalgia verso una carriera di folklorista continuamente vagheggiata, che una più diretta consuetudine con Pitrè gli avrebbe potuto spalancare, ma che gli venne sostanzialmente preclusa dalla riluttanza ad abbandonare il paese e l’anziana madre e da un più sottile e inconsapevole sgomento a uscire fuori dagli abituali e ormai consolidati steccati teorici e intellettuali; egli fu in ogni caso uno dei più validi corrispondenti e collaboratori a distanza di Pitrè, contribuendo in un certo senso a colmare il vuoto generazionale tra il grande folklorista e i suoi epigoni.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Rubino ha lasciato numerose opere, in particolare, oltre alla monografia del 1914 apparsa con una lusinghiera prefazione dello stesso Pitrè, saggi pubblicati in riviste specialistiche, nonché un gran numero di articoli e brevi saggi contenuti in svariati giornali e riviste più genericamente letterarie o divulgative dell’epoca, come “La Lettura”, “Sicilia Elettrica”, “Varietas”, “Sicania”, “Giornale di Sicilia”, “Secolo XX”, “L’Ora” etc.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

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Da essi trapelano i poliedrici interessi di ricerca dello studioso, che non si arrestano, come era costume pressoché totalmente condiviso dagli altri studiosi locali di folklore, all’analisi dei documenti di letteratura popolare ma investono ambiti che oggi possono essere valutati come di più stretta pertinenza antropologico-culturale.

Se apriamo il Folklore di San Fratello, stampato a Palermo nel 1917 per i tipi di Reber, ci accorgiamo subito che l’opera, ancorché condivida in parte l’impianto delle ricerche di erudizione locale (quelle ispirate al modello Storia Arte Folklore), da queste nettamente si differenzia per l’accuratezza delle osservazioni etnografiche, per il particolare trattamento che egli riserva alle fonti d’archivio, venendo inoltre i tratti culturali quivi descritti accuratamente collaudati attraverso una puntuale verifica sul campo della loro persistenza, per gli argomenti trattati che vanno dalla toponomastica al dialetto sanfratellano, dal ciclo della vita (la donna, fidanzamento e matrimonio, cerimonie funebri) alle ritualità festive (il Carnevale, la festa dei Giudei, le sacre rappresentazioni, la festa dei SS. Alfio, Filadelfio e Cirino, il Corpus Domini), dalle credenze magiche e le leggende plutoniche al patrimonio orale.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Vengono altresì affrontati, con vivaci bozzetti etnografici, temi come quello della filatura e tessitura domestiche o quello delle figurine di caciocavallo che denotano un’attenzione verso aspetti poco trattati di arte e artigianato popolare già percepiti in un’ottica che non prescinde dal sostrato materiale di tali forme di produzione.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

La peculiarità del volume è però costituita dal prezioso apparato fotografico che illustra i testi, inusitato in quegli anni; il libro è ricco di immagini scattate dal folklorista sanfratellano in ambienti domestici e spazi paesani, con documenti assai rari di tipi popolari, di strumenti di lavoro e attività lavorative, di costumi ed eventi cerimoniali e festivi, di manufatti tradizionali, di contesti culturali che prima di allora si erano potuti conoscere solo attraverso le descrizioni.

Parallelamente alla pratica della scrittura etnografica, Rubino venne infatti sviluppando quella di fotografo, amatoriale ma evoluto, indirizzandola principalmente verso quella stessa cultura popolare che era l’oggetto della sua riflessione scientifica. Tale capacità di creatore di immagini, riconosciutagli dallo stesso Pitrè, produsse un notevole corpus di fotografie di grande spessore documentaristico, in parte pubblicate a corredo dei suoi studi ma di cui, purtroppo, sono oggi andate perdute le lastre originali.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Negli scatti che di lui ci rimangono egli rivela una particolare sensibilità verso gli aspetti “antropologici” della realtà, dato che in tale ambito di documentazione l’interesse del fotografo si sposava con quello del ricercatore e del folklorista, pervenendo a esiti di indubbio interesse.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

L’attitudine scientifica e la concezione della cultura popolare appaiono a tratti in questo studioso mutuate da ideologie di stampo prettamente romantico, venendo spesso da lui enfatizzata l’idea del popolo-nazione, che gli ispirò anche un’ingenua adesione al fascismo e il tentativo, privo di esiti, di conciliare la propria visione del folklore con la mistica dell’ethos, del capo, della razza italica propagandate dal regime.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

A Rubino mancò la consapevolezza – del resto storicamente ancora di là da venire – del folklore come cultura delle classi subalterne. Nei suoi scritti, e in parte anche nelle immagini, il mondo pastorale e contadino viene quasi sempre raffigurato come un mondo idilliaco o comunque privo di conflitti e tensioni di classe. Ciononostante, il realismo descrittivo da lui praticato spesso neutralizza e stempera la tendenziale retorica di partenza.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Lo sguardo etnografico di Rubino, come in misura maggiore quello antropologico-sociale di Giuseppe Cocchiara, si ripiega attentamente, negli scritti migliori, su tratti culturali propri di comunità viventi in condizioni di miseria e di subalternità.

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Foto Benedetto Rubino (Archivio famiglia)

Le immagini qui offerte, provenienti dall’archivio della famiglia Rubino, ci mostrano una serie di contesti rientranti nell’ambito agro-silvo-pastorale. Rubino si sofferma sui nuclei abitativi, i pagghiari e gli agglomerati pastorali sparsi tra Caronia, San Fratello, Cesarò, Alcara Li Fusi; sulle attività lavorative, dalla caseificazione alla pisatura del grano; sui volti di uomini e donne ritratti nei loro contesti territoriali, nei momenti di lavoro o di riposo; sui momenti festivi e rituali (festa dei Giudei).

Giuseppe Pitrè, i funerali (ph. Benedetto Rubino, Archivio famiglia)

Giuseppe Pitrè, i funerali (ph. Benedetto Rubino, Archivio famiglia)

Spiccano tra esse quelle relative alle abitazioni ingrottate di Sperlinga, al paraturi (gualchiera) utilizzato per battere e pressare le lane da ridurre a orbace, ai venditori di ceri votivi lungo la salita al Santuario della Madonna Nera di Tindari, ai cavallucci di caciocavallo presumibilmente provenienti da San Fratello e destinati al Museo Pitrè, al pastore fotografato dinanzi la grotta preistorica di San Teodoro, all’esecuzione di una novena natalizia di fronte a una cona sui Nebrodi, a Giuseppe Pitrè, ritratto in vita all’interno del suo Museo e cadavere esposto sul catafalco ai funerali.

Tenuto conto che queste immagini risalgono agli anni ’10-’40 del secolo scorso, apparirà non questionabile la loro rarità e il loro rilevante interesse documentario.

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022

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Sergio Todesco, laureato in Filosofia, si è poi dedicato agli studi antropologici. Ha diretto la Sezione Antropologica della Soprintendenza di Messina, il Museo Regionale “Giuseppe Cocchiara”, il Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali, la Biblioteca Regionale di Messina. Ha svolto attività di docenza universitaria nelle discipline demo-etno-antropologiche e museografiche. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali Teatro mobile. Le feste di Mezz’agosto a Messina, 1991; Atlante dei Beni Etno-antropologici eoliani, 1995; IconaeMessanenses – Edicole votive nella città di Messina, 1997; Angelino Patti fotografo in Tusa, 1999; In forma di festa. Le ragioni del sacro in provincidi Messina, 2003; Miracoli. Il patrimonio votivo popolare della provincia di Messina, 2007; Vet-ri-flessi. Un pincisanti del XXI secolo, 2011; Matrimoniu. Nozze tradizionali di Sicilia, 2014; Castel di Tusa nelle immagini e nelle trame orali di un secolo, 2016; Angoli di mondo, 2020; L’immaginario rappresentato. Orizzonti rituali, mitologie, narrazioni (2021).

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