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Alimentazione e abuso di farmaci nel bodybuilding

pexels-scott-webb-28061di Dario Bettati

L’associazione quasi automatica che si viene a formare nella mente di coloro che guardano dall’esterno un bodybuilder corrisponde allo stereotipo “muscoli uguale steroidi”, un immaginario che ha fortemente contribuito ad alimentare una concezione negativa della pratica. In realtà, già tra gli anni Trenta e Quaranta il testosterone (che è uno steroide, tanto quanto i suoi derivati) veniva regolarmente prescritto per trattare la depressione nei pazienti psichiatrici e fu subito accolto come una possibile cura per il climaterio maschile. Fu poi negli anni Cinquanta che, con la diffusione di altre terapie e l’introduzione degli antidepressivi, la prescrizione di steroidi scomparve in gran parte dalla pratica psichiatrica, tuttavia nel corso dei decenni successivi vennero continuamente prescritti per il trattamento dell’ipogonadismo maschile.

L’efficacia dopante di queste sostanze rimase per molto tempo un segreto custodito tra gli atleti e i loro preparatori, mentre i medici sportivi e la letteratura continuavano ufficialmente a proclamare quanto fossero inefficaci per il potenziamento muscolare. Alla fine del 1970 tuttavia il bodybuilding guadagnò talmente tanta popolarità che le riviste di settore furono costrette a promuoverne l’uso e cominciarono a fare la loro comparsa sul mercato addirittura dei manuali, tra i quali probabilmente il più famoso fu quello di Daniel Duchaine del 1981: The original underground steroid handbook. Questo libro conteneva informazioni dettagliate su come ottenere e utilizzare le sostanze, incluse le istruzioni per l’auto-somministrazione. Rapidamente divenne una vera e propria guida nel mondo “sotterraneo” degli utilizzatori, tanto che apparve in successive importanti edizioni riviste nel 1983 nel 1989 e fu presto seguito da altri “storici” manuali come ad esempio la Anabolic reference guide di W. N. Phillips, apparsa per la prima volta nel 1985. Intervistando un culturista esperto, ancora oggi, nonostante siano passati decenni da quelle pubblicazioni, quasi certamente finirà per nominare queste opere che hanno lasciato un solco nella subcultura del culturismo internazionale, quasi plasmandola da un certo punto di vista, tanto quanto più recentemente riviste come Cultura Fisica hanno fatto “in piccolo” in Italia.

Successivamente, durante gli anni Novanta, la cultura occidentale finì per concentrarsi sempre più sulla muscolatura maschile e fu proprio all’interno di questo clima che l’uso di sostanze dopanti e steroidee finì per uscire da un dominio che potremmo definire “elitario”.

Il grande “merito” degli steroidi e ciò che di conseguenza ne ha determinato la diffusione, è soprattutto la possibilità di ottenere risultati importanti dimezzando i normali tempi fisiologici. La rapidità tuttavia non è l’unico aspetto seducente, non tanto quanto la reale possibilità di ottenere risultati inarrivabili e di riuscire a superare quelli che sono i limiti che il fisico impone.

pexels-photo-4076617L’emergere della considerazione dell’uso degli steroidi come un grave problema di salute pubblica che può incidere sulla popolazione, piuttosto che una pratica altamente specializzata e limitata al mondo dello sport, ha certamente favorito discriminazioni nei confronti degli utilizzatori, nonché nei confronti delle sostanze stesse. I bodybuilders, mostrando ventiquattr’ore al giorno i risultati delle loro pratiche considerate peccaminose (non avendo la possibilità di camuffare adeguatamente il loro corpo) sembrano essere la categoria che forse ha più risentito negativamente dei pregiudizi della comunità. Inoltre, le sostanze utilizzate vengono associate comunemente a quel vocabolario strettamente connesso alle droghe illegali e al loro abuso. Per i culturisti tuttavia il significato di questi termini, soprattutto il termine abuso, ha poco a che fare col fatto che le sostanze siano prescritte da un dottore, quindi usate per il loro scopo medico dichiarato. Secondo i praticanti più esperti esistono parametri flessibili per un’efficace sperimentazione con un rischio minimo per la salute. Ad esempio, coloro che assumono tali sostanze da lungo tempo sostengono energicamente l’esistenza di corretti modi di assunzione, insistendo sulla possibilità di controllarla, e in questi termini l’abuso viene in un certo senso destigmatizzato divenendo “responsabile”.

I vari modi in cui i bodybuilders si orientano verso steroidi e farmaci analoghi possono essere considerati certamente un prodotto di variazione culturale (Douglas, 1985), ma anche (più dinamicamente) uno spostamento dei sistemi di rilevanza (Schütz, 1979). Avviene in pratica una vera e propria riformulazione all’interno di un ambiente di rischio. Va inoltre sottolineato che, nonostante la facile associazione, gli steroidi, a differenza dei classici psicoattivi come l’eroina e la cocaina, nella maggior parte degli utenti non producono piacere ed euforia. Chi ne fa uso ricerca in queste sostanze principalmente la loro capacità di alterare il corpo piuttosto che l’umore; essi tendono inoltre ad essere utilizzati in cicli attentamente pianificati che possono presentare contratti e dosi crescenti, metodologie che appaiono incongruenti con l’escalation e la perdita di controllo associati alla dipendenza da cocaina o eroina. L’Organizzazione Mondiale della Sanità inserisce non a caso gli steroidi nella categoria delle sostanze abusabili ma che non creano dipendenza, insieme ai lassativi e agli antidepressivi.

Il fulcro della dipendenza in questo caso non sembra essere la sostanza di per sé, ma piuttosto la commistione con tutte le altre pratiche correlate strettamente alla sostanza (Midgley, in Keane, 2005); si potrebbe pertanto teorizzare, ad esempio, essere proprio l’intenso allenamento fisico a produrre gli effetti psicoattivi e la relativa dipendenza. Più che la sostanza sembra essere l’intero macrocosmo in cui il culturista si immerge a trattenerlo, attraverso premi estetici e psicologici, premi ai quali gli utenti diventano dipendenti. La dipendenza si associa quindi ad una pratica “culturale”, ad una determinata identità acquisita piuttosto che a uno stato alterato di coscienza. Molti studi, citando ad esempio quello di Brower nel 1991, di Gridley e Hanrahan nel 1994, di Copeland nel 2000 e i più recenti di Percy e Kanayama, hanno “diagnosticato” proprio una dipendenza non solo chimica ma anche relativa alla dimensione psicosociale nella quale si inserisce la cultura della palestra.

pexels-timothy-700446Questione di esperienza e conoscenza

Non sembra esserci spazio per l’ignoranza quando un atleta decide di assumere sostanze. Secondo un lavoro etnografico svoltosi negli Stati Uniti, che posso in piccolo confermare attraverso la mia personale osservazione, la conoscenza, soprattutto farmacologica, posseduta dai bodybuilders esperti, appare come estremamente specializzata. Per questi atleti l’uso di farmaci per migliorare l’aspetto fisico è rilevante ed essendo a conoscenza dei rischi è rilevante la capacità di gestirli.

Gli obiettivi individuali e i progetti corporei personali determinano l’importanza di questa diffusione della conoscenza, perché è essa a decretare se siano a portata di mano, indirizzando il culturista verso un certo tipo di “terapia” steroidea o semplicemente integrativa. Ad esempio, coloro che aspirano soprattutto a costruire o mantenere atleticamente i corpi moderatamente muscolosi, conteranno probabilmente di poter sviluppare/mantenere il loro corpo in una condizione soddisfacente senza “assistenza chimica”. La misura in cui l’uso di steroidi è rilevante per un bodybuilder dipende quindi da motivazioni e interessi che guidano l’azione, siano questi interessi dilettantistici (quindi per il “semplice” desiderio personale di costruzione corporea) o professionistici (in questo caso vincolati, in quanto, come detto, l’uso è praticamente indispensabile per ottenere piazzamenti soddisfacenti nelle gare; non a caso alcune federazioni,  in base a quanto detto dagli intervistati, non ufficialmente tendono a chiudere un occhio per favorire “lo spettacolo”).

Nel considerare la distribuzione sociale delle conoscenze farmacologiche ciò che è chiaramente importante è quindi la misura in cui l’individuo è affiliato alla subcultura del bodybuilding e quanto abbracci realmente lo stile di vita relativo. Ciò include la decisione di allenarsi in palestre hard-core [1], la socializzazione con gli altri bodybuilders e lo studio personale della letteratura specialistica. Come regola generale può essere quindi formalmente dichiarato che la conoscenza dell’uso di steroidi sia proporzionalmente correlata al grado di integrazione dell’individuo nella subcultura del bodybuilding.

pexels-photo-208518Gli steroidi

Il know-how farmacologico nel quale sono immersi i bodybuilders, che insegna loro in pratica come riconoscere le sostanze è in parte analizzabile in termini di tassonomia e nomenclatura (Monaghan, 2001) attraverso la denominazione sistematica e la classificazione di diversi tipi di steroidi o integratori alimentari. La gerarchia tassonomica è tale che i taxa più alti sono i più generali e inclusivi di tutti i taxa successivi inferiori, i quali diventano sempre più specifici ed esclusivi (ibidem).

La categoria “steroidi” rappresenta il taxa più generale e inclusivo e può essere preso nella nomenclatura culturista come termine di copertura per diversi tipi di sostanze appartenenti alla famiglia degli ormoni derivati dal testosterone.

Le gerarchie sono caratterizzate da una dimensione verticale (generalizzazione) e una dimensione orizzontale (discriminazione); quindi, spostandosi verticalmente da un termine di riferimento al successivo subordinato, la categoria è suddivisa orizzontalmente in anabolici (noti anche come “steroidi sicuri” o “indurenti”) e in androgeni (gli “steroidi di massa”). Questi ultimi sono considerati molto più potenti rispetto agli elementi anabolizzanti e sono favoriti dai bodybuilder che vogliono “ingrassare”, cioè aggiungere massa muscolare in un periodo relativamente breve; questo guadagno, tuttavia, è spesso associato alla ritenzione idrica e, di conseguenza, i professionisti soggetti a edema tendono a limitare l’uso di queste sostanze almeno durante i periodi non prossimi ad una gara [2]. Inoltre, questa categoria è più tossica rispetto agli steroidi anabolici, utilizzati a loro volta, in maniera praticamente speculare, per la “massa magra”, cioè per ottenere un guadagno muscolare considerato “limitato ma di qualità”.

Nel movimento verticale verso il basso, quindi verso le categorie più specifiche ed esclusive, la nomenclatura del bodybuilding differenzia poi tra “orali” (compresse o capsule) e “iniettabili” (iniezioni intramuscolari). Le iniezioni di steroidi vengono somministrate direttamente intra muscolarmente piuttosto che per via endovenosa o sottocutanea. La classificazione di uno steroide come “orale” o “iniettabile” è una caratteristica importante del farmaco nei confronti del rischio: le idee convenzionali sull’uso lecito o illecito di droga suggeriscono che le compresse siano un mezzo molto più accettabile e più sicuro. L’auto iniettarsi delle sostanze è inoltre una pratica spesso simbolicamente associata, anche tra i culturisti, al consumo di droghe come l’eroina. Le “idee culturali” riguardanti l’iniezione illegale di droga funzionano quindi come un potente meccanismo di controllo sociale che può influenzare il comportamento verso l’uso di farmaci.

Comprensibilmente, molti utilizzatori di steroidi preferiscono assumere compresse almeno durante le fasi iniziali del loro percorso, tuttavia Rhodes (1997) ha osservato come spesso alcuni bodybuilders più esperti, padroneggiando una certa conoscenza clinica, preferiscano l’uso di steroidi iniettabili perché considerati meno tossici: le compresse vengono filtrate dal fegato, quindi esiste il rischio di un deposito di residui dannosi.

Sembra incredibile parlare di rischi accettabili o no nell’assunzione di farmaci potenzialmente pericolosi quali sono gli steroidi, ma l’esposizione agli effetti collaterali, anche quando possibilmente limitata attraverso vari accorgimenti (come la scelta di una sostanza piuttosto che un’altra o il metodo di assunzione), è accettata, essendo l’uso di sostanze strumentale nel bodybuilding, soprattutto se si parla di culturismo professionale.

pexels-photo-1640771L’alimentazione

L’alimentazione è un importante complemento di qualsiasi programma di fitness. Personalmente ho potuto constatare come in effetti dentro una palestra non si parli solo di pesi ed esercizi ma anche di abitudini alimentari. Entrare negli spogliatoi spesso restituisce la sensazione di stare in fila alla cassa di un supermercato: i discorsi sugli esercizi si alternano a frasi come “devi mangiare almeno un etto di pollo in più durante la giornata”, “dimezza la pasta e compra quella integrale”, “il riso è meglio quello della…”.

Parlare del rapporto tra cibo e corpo significa però soprattutto indagare sulla possibilità e sulla legittimità che attraverso il cibo viene fatta del corpo: l’alimentazione rappresenta soprattutto un artificio culturale, una pratica materiale capace di sottrarre il corpo all’irrazionalità della natura (Marzano-Parisoli, 2001). I culturisti non a caso sono costruttori di corpi che puntano all’innaturale, o per lo meno all’estremo.

Dalle interviste e dall’osservazione diretta mi è apparso evidente come rispettare un regime alimentare accuratamente studiato e considerato di qualità sia una premessa fondamentale per il raggiungimento degli obiettivi; l’alimentazione fa integralmente parte della pratica del bodybuilding, assieme all’allenamento è una delle gambe che sorregge tutta la disciplina; è una compagna indissolubile delle pratiche di “scultura” del corpo. È anche attraverso il cibo quindi che il corpo viene costruito per essere inserito all’interno di un contesto sociale. “Siamo ciò che mangiamo” è una frase che effettivamente non manca nella retorica del culturista, ma più che una frase ad effetto, un detto, sembra piuttosto rappresentare una vera e propria ideologia, ma non solo, un trionfo della volontà sul corpo stesso, come se un non controllo di quest’ultimo equivalesse a un non controllo sulla vita.

Il rapporto con gli alimenti è fortemente legato ad un senso di responsabilità, non ci si abbandona ad una fame “naturale”, viene proposto in alternativa un “atteggiamento” dietetico in un certo senso culturalizzato: in un primo momento cibo e corpo possono appartenere alla natura, ma è solo grazie al lavoro di costruzione e culturalizzazione di entrambi che si percepiscono dei risultati. Tutto ciò è supportato da una visione e una comprensione scientifica della regolazione del proprio stile di vita: soprattutto nell’alimentazione, si evince dalle interviste, quanto sia importante mostrarsi preparati; una dieta è prima di tutto una terapia alimentare, pertanto andrebbe consigliata e prescritta solo da uno specialista e una gestione errata rischierebbe infatti di scatenare, al pari dell’abuso di sostanze dopanti, tutta una serie di effetti collaterali. Questo i culturisti esperti lo sanno bene e lo sottolineano ogni volta che ne parlano, non a caso molti si rivolgono a nutrizionisti o intraprendono loro stessi tali studi universitari. Tuttavia, come ormai si è ben compreso all’interno di questo lavoro, molte delle pratiche di gestione del corpo nel mondo del culturismo restano pratiche autogestite.

L’alimentazione del culturista può essere identificata attraverso due modelli:

  • quello quotidiano, caratterizzato da un’alimentazione soprattutto di mantenimento della forma e di mantenimento dell’equilibrio organico, quindi una dieta in un certo senso preventiva e protettiva;
  • quello inerente alle competizioni, caratterizzato da un’alimentazione adatta alla definizione più specifica e alla purificazione una volta terminata la gara. Prima di partecipare ad una gara i culturisti concorrenti devono seguire tutto un periodo di preparazione, durante il quale di particolare importanza è proprio il rispetto di un rigido regime alimentare per circa le dodici settimane precedenti. L’obiettivo è rientrare negli standard di peso della propria categoria, ma soprattutto diminuire il più possibile la percentuale di grasso corporeo sottocutaneo. È soprattutto nelle due settimane che precedono una competizione che sono osservabili le cosiddette pratiche di carb-depleting e carb-loading: nel “manipolare” l’assunzione dei carboidrati complessi, i concorrenti rendono la pelle in un certo senso aderente ai loro muscoli, aumentando così le loro possibilità di successo durante la messa in scena. 

I bodybuilders, contendenti o no, devono essere consapevoli dei contenuti nutrizionali dei cibi specifici e consumare questi alimenti nel modo e nel momento giusto della giornata, perché l’alimentazione è sempre dipendente anche dall’assunzione degli integratori o degli steroidi. Questa applicazione della conoscenza dietetica può essere identificativa di quel che Foucault intendeva come razionalizzazione del comportamento, rendendo il bodybuilding un “governo del corpo”. Ad esempio, un grammo di proteine per ogni mezzo chilogrammo di peso corporeo ogni giorno è considerato un criterio di una sorta di linea guida generale per mantenere un equilibrio positivo stato di crescita muscolare. I pasti dei bodybuilder non possono essere consumati in modo anarchico, piuttosto, devono essere pianificati.

pexels-ivan-samkov-4162444La palestra: meglio “viverla” che…

I “veri” culturisti sembrano incapaci di parlare d’altro anche all’esterno della palestra; qualora iniziassero una discussione che pare poterli portare altrove essi troveranno comunque il modo di riportarla all’interno di discorsi riguardanti gruppi muscolari o alimentazione, quasi si trovassero a disagio con argomenti non attinenti.

Risulta evidente come sia condizionata la loro intera vita sociale: prendono ferie solo nei periodi in cui la palestra chiude, non vanno fuori a cena con amici e parenti perché non possono mangiare liberamente, non escono a bere qualcosa con i colleghi o con gli amici perché l’alcool gonfia lo stomaco nascondendo gli addominali ma soprattutto perché andrebbe in contrasto con le sostanze che assumono, ecc.

Questa visione del bodybuilder, soprattutto se utilizzatore di steroidi, come “danneggiato dalle forze culturali” incontra in pieno le teorie che indagano sulla potenza dei regimi rappresentazionali, in particolare quelle basate sulla convinzione che le immagini irrealistiche circolanti nella cultura di massa possano avere effetti negativi sul benessere individuale. Ad esempio, il fisico eccessivamente muscoloso di un GI Joe o di altri giocattoli d’azione sembra essere legato alla dismorfia muscolare allo stesso modo in cui l’immagine di Barbie viene accusata per quanto riguarda i disturbi alimentari delle ragazze (Pope, in Keane, 2005). In connessione a tale affermazione anche Monaghan (2001) insiste su come l’uso di steroidi tenda a svolgersi all’interno di una particolare subcultura, la quale produrrebbe un modo specifico di guardare i corpi nei suoi membri.

Gli ideali estetici che motivano i bodybuilder andrebbero quindi distinti dagli standard mainstream e la motivazione a costruire un corpo muscoloso dipenderebbe soprattutto dalla partecipazione alla subcultura specifica, quella appunto culturista. L’obiettivo specifico della pratica non dovrebbe quindi essere attribuito in modo approfondito ad una tendenza culturale generalizzata, come tende a fare invece il modello del dirmorfismo. Diversi studi [3] hanno fornito approfondimenti riguardanti ‘pazienti’ a cui è stato diagnosticato dismorfismo muscolare e dalle analisi è emerso sostanzialmente che:

  • i sintomi cominciano a manifestarsi solitamente intorno ai 20 anni di età;
  • vengono spese almeno 3 ore al giorno pensando come diventare più muscolosi;
  • si crede di avere effettivamente poco controllo sulle attività di sollevamento pesi;
  • i regimi di esercizio e di dieta interferiscono almeno moderatamente con la vita sociale (ad esempio perdite di posti di lavoro e rotture di relazioni affettive);
  • si manifesta l’attitudine a evitare attività, persone e luoghi a causa delle preoccupazioni relative alla gestione del corpo;
  • monitoraggio costante del corpo.

Il mio interesse non nasceva dal desiderio di approfondire tale patologia, tale disturbo è stato portato alla mia attenzione soprattutto dalla letteratura di confronto consultata. Personalmente non mi sento in grado di stabilire se i miei informatori soffrano di tale problematica, tuttavia rileggendo i miei vari appunti non posso tralasciare tutti gli elementi in comune tra le testimonianze raccolte e ciò che afferma la letteratura specifica al riguardo. Non essendo uno psichiatra o un terapeuta non posso esprimermi nel definire i miei intervistati portatori di una qualche problematica psicologica, tuttavia, come affermato in precedenza, sono palesi molte somiglianze, pertanto mi prendo la responsabilità di supporre almeno che: i miei intervistati soffrano effettivamente di dismorfismo muscolare ma che non se ne rendano conto; che soffrano del disturbo ma lo rifiutino, o non riescano a prenderne pienamente coscienza; di proposito abbiano evitato di parlarmene apertamente; non ne conoscano effettivamente l’esistenza.

pexels-andrea-piacquadio-3837388A tal proposito, preferisco recuperare brevemente le riflessioni di Bordieu riguardanti il gusto e l’habitus: si può affermare che il gusto personale rifletta le preferenze delle persone, influenzate dalla loro posizione sociale e costituisca una manifestazione cosciente dell’habitus, che a sua volta permette alle persone di produrre, percepire e valutare i propri mondi sociali e le pratiche quotidiane. Molti dei miei intervistati sono stati esposti, in una fase iniziale della loro formazione identitaria, a bullismo, vittimizzazione e/o a un confronto sociale problematico (ad esempio l’obesità) e hanno individuato in alcuni modelli, forniti soprattutto dai media, un esempio da seguire per poter uscire dalla loro situazione problematica; è allora che hanno iniziato ad interiorizzare determinate disposizioni che sono diventate il loro habitus.

I gusti o le preferenze sono costituiti dall’accesso delle persone ad un capitale rilevante, che Bourdieu ha descritto come la capacità di esercitare il controllo sul proprio futuro; la dimostrazione della propria mascolinità può essere una forma di capitale simbolico (Tod et alii, 2016), che riflette l’adesione a valori egemonici tipicamente associati agli uomini nelle tarde società moderne occidentali, quali la forza fisica (espressa dal corpo) ed emotiva (espressa dal rispetto di regimi alimentari), l’assertività, la competenza (mostrandosi preparati ed esperti nella loro disciplina) e la capacità di gestire i rischi (ad esempio gestendo l’uso degli steroidi).

Da storie diverse tuttavia possiamo estrapolare alcuni elementi comuni:

  • prima di tutto l’insoddisfazione nei confronti di sé stessi, che viene trasferita sul corpo e lavorata attraverso un controllo ossessivo e una disciplina meticolosa. Il corpo si ritrova al centro di un’attenzione continua, non in quanto mezzo per raggiungere un obiettivo, ma come obiettivo di per sé;
  • l’impegno costante dei culturisti nel modellare ogni muscolo, si può considerare come un modo per esercitare la propria autonomia: costruire il proprio corpo indicherebbe il tentativo di materializzazione della propria volontà individuale;
  • una situazione di inadeguatezza che li induce a ridurre al minimo i contatti sociali, questo soprattutto perché schiavi di un regime che non si apre a comportamenti non abitudinari;
  • un evento traumatico, come un incidente, sembra in grado di permettere una risignificazione della propria esperienza di vita, riuscendo a fornire le basi per una riflessione che permetta di uscire dal circuito di abuso.
Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1] Parlando con alcuni culturisti è infatti emerso come molte palestre sul territorio siano in un certo senso rinomate per favorire la circolazione di determinate sostanze tra gli utenti interessati
[2] A ridosso di una competizione si utilizzano quindi anche farmaci diuretici, indicati solitamente proprio per il trattamento dell’ipertensione e di edemi essendo farmaci drenanti, ed è proprio questo effetto a renderli utili per i bodybuilders, perché i criteri di giudizio attribuiscono notevole enfasi alla definizione muscolare. I diuretici aiutano a liberare il corpo dall’acqua sottocutanea permettendo in un certo senso di “lucidare” il fisico. Nell’escrezione dell’acqua in eccesso, i concorrenti con una bassa percentuale di grasso corporeo sono in grado di raggiungere il cosiddetto ripped to the bone look, spesso presente nelle riviste di bodybuilding, dove l’atleta appare eccezionalmente magro e definito.
[3] Per citarne alcuni: quelli di Pope, Katz e Hudson del 1993, di Calfri, Olivardia e Thompson del 2008 e quelli di Murray, Rieger e Hildebrandt del 2012
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Dario Bettati, laureato in Teorie e Pratiche dell’Antropologia e laureato magistrale in Discipline Etno-Antropologiche presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza. Studioso e appassionato delle “declinazioni” più contemporanee della cultura e della società, nonché divulgatore scientifico impegnato in vari progetti, tra i quali il più significativo quello presso l’Associazione Culturale Antro di Chirone, realtà che da anni si occupa di divulgazione online delle scienze umane.

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