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A che punto è la notte? Oramai fonda

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

di Nino Giaramidaro

La felicità, a saperlo prima, è un biscotto. Non di quelli della nonna o della mamma e neanche quelli della dolce metà copiati dal quadernetto con la copertina nera preziosamente ereditato. Un frollino però di marca. Non ho un buon rapporto con la felicità e forse a causa della vulnerabilità che aumenta con gli anni mi sono riempito la casa di confezioni da 400 grammi coinvolgendo mia moglie all’ora del caffellatte. Non è cambiato nulla a parte il balzo del girovita.

Ho spiato mia moglie per vedere se accenna a ballare dopo aver passato lo straccio asciugante sul vetro appannato della doccia; nessun passo di danza, nemmeno un abbozzo di paso doble ma un passo mogio nemmeno come una mazurka stanca: un’espressione composita di fatica e abbattimento.

Insomma, è chiaro: si tratta della pubblicità televisiva, due esempi per intendere a che punto è la notte. Oramai fonda. La più parte “girata” nel buio. Automobili che sfrecciano fra i colori della notte, rapide e senza volto – se non ci fosse la scritta non sapremmo mai di che marca sono. E non sapremo mai quanto costano se non che per averle dovremo pagare un tot ogni mese.                                                                                   

Dagli offuscati bagliori spunta, nitido, un possente torace che tu pensi sia l’antifona di una palestra, un body building, un qualcosa di allettante per i flaccidi da poltrona, invece trattasi di un profumo del quale non si capisce nulla dalle parole straniere pronunciate con veloce e sommesso tono, quasi da confessione di qualcosa che non merita la voce alta e forte.

Una ragazza accenna ad asciugarsi i capelli con un grosso fon poi, anziché continuare l’asciugamento si dedica a ripulire il bagno dai capelli caduti; e ci fa vedere quanti ne cattura il foglio non so se di carta oppure di finta stoffa: impressionante, roba da correre subito da uno specialista del cuoio capelluto, insomma da un tricologo di fama. Invece la scenetta continua abbandonando sia i capelli bagnati sia quelli caduti e dedicandosi alla capacità del panno – almeno sintetico – di acciuffare i peli. Una specie di tecnica del giallo applicata alla pubblicità.

«Le parole sono importanti, le parole sono il modo principale per lanciare un messaggio», non sono proposizioni mie né mi ricordo chi le ha scritte, però non è male rifletterci un po’ sopra. Certo non bisogna chiamare Buenos Aires Buonaria, come era costretta a fare l’Italia del Ventennio, voce non riconosciuta dallo Zingarelli 2009, e voglio ricordare Luigi Braccioforte, non ci crederete ma era Luis Armstrong. Però con “plus” bisogna giungere ad un accordo.

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

Sino a pochi anni addietro veniva usato da economisti, politici e sindacalisti ma sempre messo davanti ad un’altra parola. Oggi, autonomo, scorrazza in tv e viene pronunciato sia alla latina – lingua da dove viene – sia in un imperscrutabile plas. Forse sarà che quella “as”, che vibra in diversi toni, non combacia con le mie orecchie da decenni aduse all’“accento melodico”, l’antico suono perduto. Insomma, non è chiaro in quale dialetto anglofono questo plas venga sputacchiato: in “cockney” o detto in “received pronunciation” – che fu l’accento della Regina – oppure nel “broccolino” newyorkese, quello di “stoppa ‘u carru ‘ncoppa u brigge”.

Ci dobbiamo rassegnare. Ogni tanto qualche mente acuta trova un …lemma di qualsivoglia lingua da utilizzare e senza timori lo fa. Ultimo debutto è quello di baobab: ha proprietà non più misconosciute, benefiche per i capelli. E sì, «Gli esami non finiscono mai», diceva Eduardo nella “Cantata dei giorni dispari”. Dobbiamo imparare in fretta, prima che la schermata Tv cambi, e non possiamo gongolare vedendo viti, rondelle e altri componenti di un fornello che si svitano da soli appena spruzzati del magico detergente. Nemmeno il tempo di rimanere basiti che ci ritroviamo con una tortina in bocca. Forse è la felicità.                         

Ho deciso di sconsigliare ai miei amici di invitare a casa propria per un caffè coloro che in tv lo vogliono ognuno diverso dall’altro: stretto, con la schiuma, lungo, ecc. ecc. Io guardo in tralice anche le persone che al bar, pompose e a voce alta, chiedono un caffè diverso da quello ordinato dai loro amici. Una volta un bassotto per ultimo sollecitò il caffè lungo: «stai attento che ti esce di fuori», echeggiò un’acida sottolineatura. Acido ialuronico, acqua micellare, ananas per capelli a doppie punte e ossigeno a volontà.

Non sappiamo nulla delle proprietà di queste sostanze – almeno io telespettatore a canone – ma appena siamo in grado di capirci qualcosa diventano obsolete, non più spendibili, parole col significato annacquato tanto da trasferirle nel buio del lento disuso.

E sì, la velocità subentra ad affliggere lo spettatore senza fretta. I titoli di coda corrono come fossero inseguiti: non riuscirete mai a leggere un cast completo perché improvvisamente la schermata cambia e si mette a perder tempo con geometrie incomprensibili che nella loro futilità rafforzano il senso di inconcludenza visiva.

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

Selinunte (ph. Nino Giaramidaro)

C’è il peggio: gli imbecilli – sparuti gruppi e moltitudini – distribuiti nei “canali” dovrebbero ispirare un sorriso. Niente, nemmeno il piccolo lessico publi-televisivo riesce ad agguantare quelle poche righe per me anonime ma sempre valide: «Il lavoro, anche il più umile, anche il più oscuro, se è ben eseguito, tende alla bellezza e orna il mondo». Bisogna allenare la propria sensibilità linguistica, mantenere viva e cosciente la capacità di scelta delle parole e, di conseguenza, dei pensieri nel processo di creazione della nostra realtà.

Bisogna difendersi dall’idiozia e dall’esterofilia – sembra il nome di una malattia. In Francia, il Paese dove il computer è chiamato ordinateur, una commissione inventa ogni anno nuove parole da sostituire ai nuovi termini stranieri, e i governi le promuovono. «Idee e parole possono veramente cambiare il mondo», Robin Williams, uno che sapeva farci sorridere.

Dialoghi Mediterranei, n. 62, luglio 2023

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Nino Giaramidaro, giornalista prima a L’Ora poi al Giornale di Sicilia – nel quale, per oltre dieci anni, ha fatto il capocronista, ha scritto i corsivi e curato le terze pagine – è anche un attento fotografo documentarista. Ha pubblicato diversi libri fotografici ed è responsabile della Galleria visuale della Libreria del Mare di Palermo. In occasione dell’anniversario del terremoto del 1968 nel Belice, ha esposto una selezione delle sue fotografie scattate allora nei paesi distrutti.

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