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‘Al di là’ del Mediterraneo: voci e suoni della harga maghrebina

 

Psyco-M rivolge i propri versi al mare. Fermoimmagine dal video clip ufficiale di Espoir Perdu 2 (2019) di Psyco-M ft. Narco

Psyco-M rivolge i propri versi al mare. Fermoimmagine dal video clip ufficiale di Espoir Perdu 2 (2019) di Psyco-M ft. Narco

di Clelia Farina

Il presente contributo è il frutto della mia partecipazione al laboratorio CCiM / CanzoniCorpi in Movimento, promosso dalla Scuola di Lingua italiana per Stranieri-ItaStra dell’Università degli Studi di Palermo. Il laboratorio, parte del progetto FAMI “L’italiano per comunicare, lavorare, partecipare”, ha coinvolto giovani e adulti, studenti e lavoratori residenti a Palermo, con un passato migratorio non documentato. Primo passo di un piano progettuale esteso, gli incontri hanno previsto l’uso della musica e di alcune canzoni sulla harga maghrebina come strumento di integrazione e condivisione di culture in uno spazio virtuale dove esprimere diversità e somiglianze concrete e condividere esperienze vissute e aspirazioni future. Privilegiando un approccio didattico partecipativo, gli incontri hanno promosso una esperienza di apprendimento che potesse restituire centralità a ciascun studente, facendo emergere le storie di vita individuali dei singoli partecipanti, mirate alla coproduzione di percorsi e significati condivisi.

La storia del Mar Mediterraneo è la somma di continui incontri, migrazioni di popoli, avvicendamenti di culture e saperi susseguiti in maniera ciclica nel tempo. In origine Mare nostrum per i romani, Yam Gadol “Mar Grande” per gli ebrei, Al-baḥr al-rūmī “Mare romano” per gli arabi: l’onomastica altera il senso dello spazio mediterraneo e lo adegua allo sguardo di chi lo rileva. Il Mediterraneo, dunque, prima di essere uno spazio fisico definito, è un insieme di simboli e rappresentazioni creolizzate, un interstizio tra frontiere dove le differenze si sovrappongono, mescolandosi e confondendosi in un unico luogo di associazioni e combinazioni molteplici. Punto di unione, collegamento e contatto tra popoli, oggi più di ieri il Mediterraneo conferma la propria natura congiunturale e diviene la via di fuga transnazionale prediletta per svariati, sfuggenti e frastagliati movimenti migratori.

Oggi però, quasi misconoscendo l’esempio che la storia rivela allo sguardo pubblico, il Mediterraneo è reso volutamente territorio di confine, la fluidità dei suoi flutti è ora indurita da rigide linee di demarcazione, espressa attraverso una grammatica politica che delimita ed esclude ciò che il mare unisce naturalmente da millenni. Prose abbastanza sicure ci raccontano la storia presente di un Mediterraneo visto “dall’alto”, da una posizione ed uno status ben lontani dalla freddezza inquieta del mare aperto di notte, un mare che avvolge, annienta e pur continua a convogliare i sogni di migliaia di giovani. Da questa posizione privilegiata, le infinite traiettorie tracciate ricalcando ideologie politiche divengono linee su carta piatta, forme geometriche che soffocano il movimento vitale e fluido del mare, fornendoci una lettura semplificata della complessa ed intricata realtà migratoria contemporanea. Oggi, nell’egemonia di una narrazione raccontata forzatamente dall’alto, attraverso una morfosintassi politicamente schierata, troppo lontana ed inadeguata a descrivere le dinamiche vive che coinvolgono le nuove migrazioni giovanili, un controcanto si erge e riemerge dal basso. Esso è il frutto di una composizione dissonante, sedimentata nel tempo e nello spazio, appesantita da legislazioni nazionali e transnazionali che limitano la libertà personale, il proprio diritto di stare e fare nel mondo.

Una nuova narrazione nasce e riecheggia nelle periferie delle città ‘al di là’ del Mediterraneo, nelle urban downtowns di Tunisi, Algeri e Rabat, tra le altre: essa emerge polifonica dai racconti di chi ha subìto un naufragio, unificata dalla memoria collettiva e compartecipe nel dolore della perdita di un familiare o sodale disperso in mare e, come in un’antica tenzone, alza il volume per dare la sua personale versione dei fatti del paradosso contemporaneo. Sono le parole dei ragazzi harraga, simboli viventi di quella contro-cultura pop che da anni impegna gli animi e stimola le re-azioni di sempre più giovani e giovanissimi arabi maghrebini contro il potere costituito. Per alcuni, inoltre, simboli del fallimento delle politiche sociali internazionali e spie delle fratture interne dei loro Paesi di origine. Considerato come un fenomeno contemporaneo, probabilmente a causa della crescente e recente attenzione mediatica e della cospicua produzione cinematografica e prosastica ad esso riservate, il termine è utilizzato negli anni ‘70 del secolo scorso dai media tunisini in riferimento ai diversi attraversamenti illegali registrati verso la Libia, che coinvolgevano sempre più ingenti porzioni della popolazione maschile in cerca di impiego nel Paese viciniore.

Giovani migranti maghrebini

Giovani migranti maghrebini

Più recentemente, all’inizio degli anni ‘90 e in relazione all’introduzione di un sistema di visti in Francia, il termine ha iniziato ad essere usato in riferimento alla scelta, adoperata da parte dei migranti marocchini, di “bruciare” metaforicamente – dunque di ignorare – la scadenza dei permessi di soggiorno prolungando la permanenza illegale in Francia (D’Agostino, 2021). Dal verbo arabo ˀaḥraq, letteralmente “bruciare”, harraga è un termine ricco di significato e simbolismi ed è oggi prevalentemente utilizzato in Marocco, Algeria e Tunisia per descrivere e designare tutti i minori che cercano di partire per l’Europa illegalmente, in segretezza bi-sirriyah, via mare. Gli harraga sono quindi letteralmente “coloro che bruciano”. Simbolicamente essi bruciano le tappe richieste dalle istituzioni per l’attraversamento transnazionale, bruciano i limiti imposti dalle frontiere amministrative; concretamente bruciano i loro documenti di identificazione prima di attraversare il mare, nella speranza di ostacolare l’eventuale rimpatrio coatto da parte delle autorità del paese ospitante (Abderrezak, 2009; Peraldi et al., 2014) e nella pretesa assenza di identità, passato e storia.

Giovani “bruciatori di confine”, dunque, dalle identità cangianti e capacità adattive camaleontiche, all’occorrenza eroi e criminali, un tempo cittadini, poi migranti illegali. Essi si muovono individualmente nelle zone d’ombra di uno spazio urbano periferico sempre più marginalizzato, alimentati da larghe reti migratorie di sostegno. Chi decide di partire via mare, alla volta dell’Europa, infatti, brucia ogni traccia materiale compromettente della sua identità originale, brucia le frontiere ed i confini che si frappongono tra lui e l’Europa, ma non brucia i ponti simbolici e affettivi con il Paese.

In questo contesto, globalmente sbilanciato e socialmente diseguale, la musica gioca un ruolo chiave, perché offre un linguaggio emotivo condiviso, capace di trascendere il significato stesso delle parole. In particolare, nel quadro sociolinguistico delle migrazioni mediterranee contemporanee, il rap arabo rappresenta un vasto serbatoio di protesta contro la corruzione statale e le disuguaglianze sociali nazionali. Si parla, nello specifico, di “musica della harga” [1] (Souiha, 2018; Chamekh, 2020), un termine sempre più presente all’interno dei discorsi e delle trattazioni scientifiche sulla migrazione dei giovani harraga nel Mediterraneo. Concepito nel suo divenire storico, il movimento migratorio – in arabo hijrah – è un fatto culturalmente intrinseco alla società araba e ben radicato nella storia dell’orto-prassi islamica. Il passato fondativo dell’Islam parte proprio da un movimento migratorio, quello della Hijra, appunto, la migrazione del profeta Mohammad da Mecca a Medina nel 622. E, proprio a partire da questa data, il tipo specifico di mobilità legato alla migrazione diventa motore vitale e strategia strutturale dell’espansione arabo-musulmana nel mondo. La controversa esperienza coloniale ha poi funto da principale fattore di spinta in uscita per numerosi arabi in cerca di impiego e migliori condizioni di vita. Il passato e il presente del mondo arabo sono eretti, quindi, su una particolare condizione migratoria che ha significativamente contribuito alla formazione dell’identità culturale di intere generazioni di cittadine e cittadini arabi. Essa ha inoltre stimolato la produzione di artefatti culturali che ruotano intorno ai temi della migrazione, dell’assenza, dell’esilio e dell’alienazione.

Oggi questa ricca e prolifica tradizione culturale è rafforzata da nuove ondate di creazione e produzione che riflettono, raccontano e rispondono ai modelli di migrazione nel mondo globalizzato e post-coloniale attuale. Queste opere viaggiano attraverso il tempo e lo spazio, collegano il passato con il presente e la destinazione con il punto di partenza. Si orientano sulle terre di confine e di attraversamento e spostano il centro concettuale della cultura maghrebina tutta. Nello specifico, si tratta di produzioni musicali che si innestano perfettamente sul filone letterario interdisciplinare della littérature de l’exile araba (Khaled, 2020), nato in risposta alla dibattuta esperienza coloniale. Sebbene, però, la letteratura della ghorba – questo il termine arabo per esilio – si presenti come un’effusione letteraria che abbraccia testimonianze e narrazioni tra le due sponde del Mediterraneo, il tipo specifico di produzione legata alla musica della harga frammenta la narrazione canonica dell’esperienza migratoria nella sua interezza – dal momento di partenza a quello di arrivo – e si incentra esclusivamente su due dei momenti cruciali del movimento transnazionale maghrebino: la traversata via mare ed i momenti immediatamente precedenti alla partenza.

Giovane harraga in partenza (fermoimmagined al videoclip di Viza)

Giovane harraga in partenza (fermoimmagined al videoclip di Viza)

Si tratta di un corpus di antologie musicali, composte da giovani maghrebini con un passato o una esperienza indiretta migratoria non documentata. Indipendentemente dal genere musicale praticato – pop e rap tra i più visitati – sono testi redatti nelle varianti arabo-maghrebine dārjah, che presentano, per chiare ragioni storiche, l’influenza delle lingue europee: francese, inglese e italiano tra tutte. Il ricorso al dialetto – a dispetto delle tendenze inglesizzanti dell’industria musicale globale – stabilisce un legame diretto tra i testi delle canzoni sulla harga ed i contesti, dunque le pratiche locali e nazionali, dei Paesi di origine. In tal modo, l’intero universo della cultura locale diventa un orizzonte di riferimento al quale attingere per parlare nella e della contemporaneità. Ciò sembra particolarmente evidente nel diffuso ricorso ad espressioni fraseologiche, nomi e pratiche della cultura locale che divengono metafore di fatti, problemi e aspetti che affliggono il mondo arabo contemporaneo e, nello specifico, preoccupano un gruppo circoscritto della popolazione locale: quello costituito appunto dai giovani harraga.

In questo senso, nei vari Paesi arabi nord-africani, patrie di molti giovani migranti, le canzoni sono costruite con immagini e temi che richiamano lo specifico ambito di «valori socio-culturali» dell’universo della harga araba: lo dimostrano i diversi video pubblicati sui Social e nelle principali piattaforme di streaming globale, ambientati nelle periferie urbane delle capitali maghrebine. Si registra, dunque, la presenza di termini relativi al campo lessicale della giurisdizione, che contribuiscono a definire la figura del giovane migrante – tale di fatto o aspirante – harraga. Analizzando il corpus di musica della harga emergono cinque filoni tematici: il desiderio di “bruciare” le frontiere; l’aspettativa e il sogno di una vita più agevole in Europa; il viaggio fantasticato e l’accoglienza vagheggiata in Europa; i pericoli concreti della traversata e la sofferenza esperita; la volontà di ergersi a sostegno della propria famiglia rimasta in patria.

L’instabilità politica, la corruzione e l’assenza di diritti civili, annoverabili tra i principali fattori di spinta che determinano la decisione dei giovani nord-africani di attraversare illegalmente il Mar Mediterraneo verso l’Europa, sono tra i temi centrali dei testi sulla harga maghrebina. Ciò appare particolarmente evidente nei versi di Psyco-M e Narco, due rappeurs tunisini molto noti al pubblico di adolescenti e giovani adulti maghrebini. I due artisti, tra i principali attori della scena musicale underground del Maghreb, sono autori di numerose canzoni di protesta, che denunciano le storture ed i disagi della società tunisina post-rivoluzionaria ed hanno influenzato le successive generazioni di cantanti arabofoni. I versi estratti da Espoir Perdu 2, lett. “Speranza perduta 2” scritta in featuring nel 2017, ci rivelano chiaramente i primi momenti della genesi del desiderio di “bruciare” i confini. Tale desiderio, fortemente radicato nella realtà quotidiana tunisina, è causato in prima battuta dalla condizione politica del Paese che appare come una giungla ghāba priva di leggi che possano garantire stabilità e pari diritti ai propri cittadini. Il governo, col suo Parlamento governato da ladri sarrāq, dunque, diviene tra i primi interlocutori e imputati chiamati in causa nella arringa musicata degli harraga maghrebini. Essi subiscono in prima persona gli effetti di un sistema politico che non garantisce alcun orizzonte futuro, né un presente agevole nel Paese di origine.

In questo complesso contesto politico, pieno di discordie, umiliazione e disuguaglianze civili, i giovani harraga percepiscono tutta la instabilità che affligge la società in cui vivono. Il giovane maghrebino intrappolato in una dimensione urbana priva di garanzie e diritti, assume così un’aura vittimizzata nei testi della harga. Adolescente o giovane adulto, egli cresce ai margini spaziali, fisici e simbolici della povertà cittadina, tra privazione ed esclusione sociale, descritto come vittima di un governo che mente e che è rappresentato dalla figura di un Parlamento costituito da ladri.

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Copertina Album Prti Loin 2015

Copertina Album Partir Loin 2015

In Harba lett. “La fuga” (2019) Dj Costa compendia tutte le inquietudini di una intera generazione di giovani tunisini posta ai margini della società per opera di un esercito diabolico. Spostandoci ad Est, attraversando idealmente la perigliosa linea di confine tra Tunisia ed Algeria, mutiamo paesaggio urbano e contesto sociale, ma i sentimenti di discordia interni alla popolazione locale sembrano i medesimi. Qui, tra le strade del quartiere popolare “La Colonne” della città di Annaba, le parole di Lofti Double Kanon – secondo alcuni, il “re del rap algerino” – sembrano rafforzare il grido di protesta e denuncia di Espoir Perdu 2. Esse descrivono la storia di un Paese “senza saggezza né giudizio”.

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Il giovane aspirante migrante esperisce nel proprio Paese tutte le drammatiche conseguenze della hogra (trascuratezza, disprezzo, disperazione), della misère (miseria)[2] e del risque (rischio)[3]. Impotente testimone del crollo della propria società, il giovane aspirante harraga vive una condizione in bilico tra l’instabilità effettiva e sempre più dirompente che minaccia la vita quotidiana di chi – come lui – è posto ai margini della società, e l’idea e speranza di un futuro migliore.

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In una altra collaborazione artistica – Espoir Perdu (2014) – Psyco-M e Gaddour confidano il dolore che segue alla disillusione ed alla constatazione del disagio umano – reale e concreto cauchemar – che affligge la vita di una specifica parte della popolazione locale tunisina: lo studio appassionato, le preghiere e le aspettative della madre, i sogni nutriti da bambini lasciano il posto alla realtà delle cose, fredda e deludente. Scontratisi, dunque, con un sistema che non lascia via d’uscita ed imbriglia e trattiene i sogni di un’intera generazione, un’unica soluzione si presenta agli occhi dei giovani in cerca di stabilità: l’emigrazione, niente da perdere.

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La mobilità, risulta evidente, è  parte integrante delle opzioni che popolano l’orizzonte di attesa dei giovani nord-africani – e non. Questi giovani si ritrovano, dunque, al centro di un dissidio interiore che li ritrae in bilico tra la naturale propensione a rimanere nel proprio Paese di origine, lottando per i propri diritti, sostenendo la propria famiglia da vicino; e la necessità di elevare il proprio status socio-economico e cercare, dunque, fortuna altrove, il più lontano possibile da casa. Con le sue parole in Clandestino (2019), Balti, tra i più attivi rapper tunisini al momento, sembra entrare in diretto dialogo con il collega e connazionale Artmasta autore di Rolli Rolli (2019).

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Copertina Album C'est  la vie, 2012

Copertina Album C’est la vie, 2012

Quattro versi estrapolati da due lunghe canzoni, che si configurano come aspre accuse pubbliche contro la corruzione della classe dirigenziale nazionale tunisina. Leggendoli in sequenza, essi ci mostrano due aspetti contrastanti e, al tempo stesso, fondamentali e alla base del senso di disorientamento interiore che inquieta gli animi dei giovani harraga: da un lato, il totale, dichiarato disprezzo per il proprio Paese corrotto che non lascia altra via di fuga se non la migrazione-evasione illegale; dall’altro, la ferma volontà di tenere ben a mente le proprie origini, il proprio passato ed i legami presenti, rimasti in Patria. Si tratta nello specifico di legami umani – quelli relativi agli affetti della famiglia che attende notizie sull’esito della traversata – ma anche simbolici, relativi a specifici luoghi o anche elementi strutturali del paesaggio urbano d’origine. In tal senso, visitatissima è l’immagine del muro [4], che porta con sé una dicotomica simbologia: la protezione dall’esterno, il senso di appartenenza territoriale all’interno, e l’evocazione di un eventuale respingimento al di là del Mediterraneo.

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Una scelta sofferta, certo, che si scontra altresì con le limitazioni di una realtà e le leggi di quello stesso sistema politico che coarta la libertà dei propri cittadini in patria. L’idea e la prospettiva concreta di emigrazione sembrano rasserenare l’orizzonte di aspettative dei nuovi migranti e vengono rappresentate dalla figura-simbolo della barca – alla volta babour, bateau, flouka e markab – destinataria di profuse odi d’amore e cui si affida il compito di “registrare” o “documentare” sajjala il passaggio dei giovani migranti, traghettarli verso porti più sicuri. La figura della barca è l’immagine-chiave del momento di attraversamento transnazionale ultimo che compirà il giovane harraga. Ad essa il ragazzo affida la propria vita, i propri sogni e le speranze attese. Per Akram Mag e Mon3om DMC, duo di rapper tunisini, in Viza (2015) la barca – in quanto elemento che si sposta tra due terre distanti geograficamente e idealmente –simboleggia la dinamica della vita del migrante, i suoi desideri, la sua volontà di essere, trasformarsi e indirizzare il proprio destino verso porti più sicuri.

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Copertina Canzoine 2019

Copertina Canzoine 2019

Tuttavia, tale scelta è carica di pericoli e ostacoli oggettivi, fisici e simbolici, che il migrante dovrà saper fronteggiare prontamente. Inoltre essa, pur implicando un distacco fisico e sentimentale dalla propria terra di origine tanto amata e odiata, è stimolata fortemente dalla convinzione di poter trovare in Europa un luogo migliore: il luogo di realizzazione dei propri sogni e dei propri progetti di vita. Una convinzione che è condivisa diastraticamente ed è alimentata ampiamente dai discorsi dell’immaginario pubblico, che incitano i più giovani della società, pieni di aspettative, sogni ed intraprendenza, a partire illegalmente via mare.

Un’ombra, però, oscura le fulgide speranze di un’intera generazione di giovani aspiranti “bruciatori di confini”: el-mout la morte, concetto-immagine visitatissimo nei testi sulla harga araba. “Ya harga ya sharga”, bruciare o affogare, cita una nota espressione in dialetto tunisino. Per i giovani harraga, partire è un desiderio ardente, un barlume di speranza. Per loro rischiare la morte è un evento probabile e previsto, ma il rischio stesso rappresenta la scelta migliore rispetto ad una deludente prospettiva di vita nel Paese di origine. Essa costituisce una possibilità concreta, funesta, consapevolmente contemplata dai giovani migranti in partenza, ma – al tempo stesso – mitizzata. Il migrante che muore in mare travolto dai flutti, muore contravvenendo al diritto legislativo del proprio Paese, ma muore valorosamente, come canta risolutamente nel suo mezwed [5] Cheb Rachid (2011). Questo approccio alla morte riflette lo specifico atteggiamento che la cultura e ortoprassi islamica riserva nei confronti della fine della vita di ogni uomo. Tanto più forte sarà la volontà del singolo di esprimere la propria libertà individuale, nella speranza di concretizzare i propri progetti di vita, tanto più valorosa ed eroica sarà percepita la sua morte.

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Sul filone del mezwed popolare del cantante marocchino, Cheb Khaled, celebre cantante marocchino, nella sua evocativa canzone El-harraga (2012) impersonifica la figura di un padre che piange per i due figli partiti per il mare e mai più tornati, e confida al suo pubblico:

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Ad esso, si aggiunge il lungo canto accorato di Balti in Mchaou (2011) che riprende la suggestiva immagine del mare che tutto distrugge e porta via.

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Il peso di un evento funesto come la morte, onnipresente nella coscienza dei migranti harraga, dunque, non trattiene i giovani bruciatori di confini dal perseguire i propri sogni idealizzati da un immaginario migratorio collettivo. Esso, alimentato dai resoconti dei connazionali con un passato migratorio, nonché dai densi discorsi mediatici pubblici, veicola l’immagine di un’Europa favolosamente ricca, un luogo d’abbondanza e di delizie e di diritti garantiti. I giovani migranti di oggi subiscono, come ogni altro individuo del mondo, gli effetti della globalizzazione e si muovono nello spazio extra-nazionale alimentati da un comune e condiviso immaginario migratorio. In quanto socialmente costruito, dunque ben radicato nella contemporaneità, tale immaginario migratorio transnazionale utilizza le reti sociali virtuali e di altri strumenti on-line.

Molti sono i fattori che contribuiscono a nutrire il desiderio condiviso di emigrare, ognuno dei quali trova largo spazio espressivo in rete: le rappresentazioni dell’Europa veicolate dall’industria del cinema arabo attiva su YouTube, le fotografie di amici emigrati in Europa o di quelli che tornano in patria durante le vacanze, l’influenza dei media locali (Ludl, 2008; Horsti, 2008), nonché la rapida diffusione dei cyber cafès (Venables, 2010). Recentemente, infatti, diversi studiosi hanno analizzato il ruolo dell’immaginario condiviso nella costruzione sociale-virtuale di un “desir d’Ailleurs” (Barbichon,1983:321-342), focalizzando l’attenzione sull’importanza delle rappresentazioni dell’Europa e, più in generale, di un “altrove”, come reali o immaginarie destinazioni di migrazione per molti giovani ragazzi nord-africani. Si evoca, così, l’Europa come un’astrazione, il bled el-ghir lett. “il Paese degli altri”, il bled el-roum, il “Paese dell’Occidente”. Milano, Roma e Lampedusa, poi Parigi, Barcellona, sono alcune delle città che ricorrono sovente nei testi e nei video musicali sulla harga, emblemi fisici dell’Europa sicura e ricca, luoghi d’accesso ad infinite strade di successo futuro, rinascita individuale, sociale ed economica. Nella loro canzone Clandestino (2016) Balti e Master Sina, descrivendo il proprio itinerario migratorio condiviso, cantano:

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Benché fortemente idealizzato, vagheggiato, sognato e concretamente perseguito, il viaggio migratorio illegale implica un distacco fisico dagli affetti e luoghi cari. Nei testi sulla harga, le parole si affastellano, i rapper sembrano quasi accelerare la prosodia e i ritmi delle canzoni come se il tempo non bastasse a raccontare tutto ciò che sentono dentro, che portano con loro, che pesa sulle loro coscienze. Due figure-chiave, tra le altre, vengono esaltate nelle narrazioni sulla harga. La figura della madre e di Allah sono gli emblemi imprescindibili attorno ai quali si fonda l’identità del giovane migrante arabo. Due figure, queste, che rivelano tutta l’umanità e la dicotomia tra coraggio e matura intraprendenza e la fragilità nel ricordo degli affetti. In tal senso, le canzoni sulla harga si configurano come veri e propri inni all’amore incondizionato, paziente, che crea legami infrangibili e imprescindibili. Queste due figure – quella della madre e di Dio – estremamente presenti nella vita quotidiana del giovane, rappresenteranno i perni attorno ai quali verrà costruita la nuova vita in Europa. Nella loro canzone Mchaou lett. “Sono andati via” i rapper tunisini Samir e Balti dicono, alternandosi:

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Le parole di Balti, cui si accostano a tratti i pensieri della madre che attende sull’uscio di casa, sembrano, in ultima analisi, racchiudere tutte le inquietudini ed i sentimenti contrastanti condivisi da chi viene coinvolto – direttamente o indirettamente – nell’esperienza della migrazione clandestina, vedendo i propri affetti allontanarsi verso un destino imperscrutabile.

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E se Cheb Khaled, in El-Harraga (2012), intona il pianto di un padre in costante e concitata attesa di notizie dei figli dispersi:

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Amon e Artmasta (2019), stanchi e disillusi per la sconfitta di un viaggio migratorio che non ha prodotto i risultati sperati, si rivolgono direttamente alla madre e a lei confidano in pochi versi la durezza della quotidianità vissuta fī-l-ghorba, in esilio:

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Come si evince dai testi sopra proposti, la madre – ed il padre – sono sovente ritratti in una condizione di prolungata attesa, davanti l’uscio di casa o all’interno delle mura domestiche. Questa immagine, fissa e ricorrente nelle canzoni rap-pop sulla harga, crea una dimensione di accorata malinconia. L’immagine della madre addolorata e piangente per l’allontanamento del figlio partito per il mare, infatti, sospende ritmicamente e simbolicamente il tempo della narrazione e si pone in netta contrapposizione ai versi dinamici e ai messaggi risoluti veicolati dalle canzoni. L’evocazione della madre si accosta inoltre – come si è detto – quella di Allah, che viene evocato ed implorato nei momenti più critici e perigliosi della traversata via mare [6].

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Se il ricordo della madre in attesa di notizia a casa stimola l’azione e la partenza reattiva, l’evocazione del nome di Dio e del suo aiuto costituisce un conforto contro le tribolazioni esperite, rafforza la speranza di sopravvivenza in mare e riuscita nel Paese di arrivo. La fiducia in Dio e nel suo potere, permettono al giovane harraga di tentare il viaggio e resistere al dolore fisico, all’allontanamento dagli affetti e da tutto ciò che popola la sua vita quotidiana, sconfiggendo, quasi, la paura della morte. Il frequente richiamo a Dio, costante nella tradizione e pratica islamica e nei testi sulla harga che inevitabilmente sono radicati nel contesto locale di origine, coglie comprensivamente l’immagine del migrante harraga, in preda alle emozioni, a tempi sospesi – quelli della politica e burocrazia internazionale e quelli delle onde del mare che li accompagnano lungo la traversata – e a mondi geograficamente e culturalmente molto distanti.

L’appello a Dio e alla sua intercessione, formulato proprio come un du‛ā’ una supplica [7] – nonostante il contesto pop e rap – svela tutte le inquietudini e le fragilità dei giovani harraga, dalle identità molteplici, uniche e plurali, solidamente radicate nelle culture di provenienza e in costante evoluzione e ridefinizione nei Paesi di arrivo. Questo e tanto altro ancora è inciso ed affidato ai versi delle canzoni rap e pop arabe contemporanee. Canzoni che si configurano come veri e propri atti di protesta civile e resistenza intima, individuale o collettiva, denunciando tutte le storture e ombre della persistente e sistematica emarginazione e alienazione sociale vissuta dai migranti harraga. Si tratta di nuove narrazioni, che si presentano come vere e proprie confessioni intime ed aperte, fornendo una chiave di lettura essenziale per la comprensione del fenomeno migratorio contemporaneo giovanile. Versi e messaggi di cui dovremmo cogliere tutte le indicazioni, suggerimenti e suggestioni che ne possono venire, per costruire insieme un mondo solidale, che sappia riconoscere la differenza ed accettarla nella sua difforme unicità.

Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
Note
[1]  Ḥarga è il termine arabo che designa complessivamente l’esperienza migratoria di attraversamento transazionale degli harraga, prendendo in considerazione tanto il punto di partenza, quanto quelli di attraversamento e arrivo.
[2] Versi estratti dalla canzone Partir Loin (2013) dei rapper algerini 113 e Reda Taliani
 https://www.youtube.com/watch?v=DLMkUr_GIIc&ab_channel=113VEVO
[3] Versi estratti dalla canzone Rolli rolli (2019) dei cantanti tunisini Amon ft. Artmasta 
https://www.youtube.com/watch?v=Fs2jZ5BzlbQ&ab_channel=AMON [
[4] I versi citati di seguito sono estratti dalla canzone L7ar9a dei cantanti tunisini Mr.M2h, Weld Citée H e Mc Majhoul. Una delle prime canzoni sulla harga tunisina, autoprodotta nel 2012 e molto apprezzata dai giovani ancora oggi. https://www.facebook.com/100063850204483/videos/157398006555/
[5] Il Mezwed è un tipo di canzone popolare, che prende il nome dallo strumento principale utilizzato per accompagnare il canto, simile all’occidentale cornamusa. Attinge, in origine, al vasto repertorio tradizionale rurale e popolare della Tunisia meridionale. Successivamente, trova particolare fioritura nella capitale del Paese. Si tratta quindi di una musica popolare, con influenze urban-pop, che utilizza strumenti, ritmi e modi musicali rurali.
[6] Il termine ghorba, diffuso tra le varianti dialettali maghrebine, figura sovente nei testi sulla harga giovanile. Privo di diretta e univoca traduzione in italiano, descrive il sentimento di estraneità malinconica e sofferta nell’essere stranieri, lontani dalla patria e dagli affetti.
[7] Il richiamo o la menzione del nome di Dio è onnipresente nelle canzoni della harga. In particolare, i versi citati sono tratti da El-Harraga (2012) di Cheb Khaled, Rolli Rolli (2019) di AMON ft. Artmasta Mchaou (2011) di Balti ft. Samir.
[8] Per la comunità musulmana, il du‛ā’ costituisce uno degli atti di culto ed adorazione più profondi e sinceri. Ciò, dunque, ci fa comprendere chiaramente il reale e significativo valore della menzione del nome di Dio all’interno dei testi sulla maghrebina, soprattutto in considerazione del fatto che esso figuri in specifici passaggi e momenti chiave della narrazione musicale. 
Riferimenti bibliografici
Abderrezak, H. (2009), Burning the Sea: Clandestine Migration Across the Strait of Gibraltar in Francophone Moroccan Illiterature, in Contemporary French and Francophone Studies 3(4): 461-9;
Barbichon, G. (1983), Migration et conscience d’identité régionale. L’ailleurs, l’autre et le soi, in Cahiers Internationaux de Sociologie NOUVELLE SÉRIE, Vol. 75 (Juillet-Décembre 1983), Presses Universitaires de France, via http://www.jstor.org/stable/40690067;
Chamekh M. (2020), Underground music in Tunisia, in Athens Journal of Mediterranean Studies 6 (1):45-58;
D’Agostino, M. (2021), Noi che siamo passati dalla Libia. Giovani in viaggio fra alfabeti e multilinguismo, Bologna, Il Mulino;
Horsti, K. (2008), Hope and Despair: Representations of Europe and Africa in Finnish News Coverage of Migration Crisis, in Estudos em Comunicação 3: 3-25;
Khaled, K. (2020), Les Intellectuels Algériens Exode Et Forme D’engagement, Paris, Editions Franz-Fanon;
Ludl, C. (2008), To Skip a Step: New Representation(s) of Migration, Success and Politics in Senegalese Rap and Theatre, Stichproben. Wiener Zeitschrift für kritische Afrikastudien 14(8): 97-122;
Peraldi, M., Guenatri, F., Lafer, F. N., Moussaoui, R., Hafdallah, N., Khaled N. e Oussaad, A. (2014), S’arracher: la harraga des mineurs en Algérie, in Peraldi M. (ed.), Les mineurs migrants non accompagnés: Un défi pour les pays européens, Paris,Khartala, 2014;
Souiah, F. (2018), Hope and disillusion. The Depiction of Europe in Algerian and Tunisian Cultural Productions about Un documented Migration, London, Bloomsbury Academic;
Venables, A.J. (2010), Economic geography and African development, in Papers in Regional Science 89: 469-483.
Sitografia
AMON ft. Artmasta, Rolli Rolli (2019)
https://www.youtube.com/watch?v=Fs2jZ5BzlbQ&ab_channel=AMON;
Akram Mag, Viza (2015) https://music.youtube.com/watch?v=QXl0HoJhgSs&list=RDAMVMQXl0HoJhgSs;
Balti ft. Master Sina, Clandestino (2016) https://www.youtube.com/watch?v=3w0SdcZLLo8&ab_channel=MasterSina;
Balti ft. Samir Loussif, Mchaou (2011) https://www.youtube.com/watch?v=0tj0tAI97a8;
Cheb Khaled, Harraga (2012) https://www.youtube.com/watch?v=9DBVLREFYPA;
Dj Costa, Harba (2019) https://www.youtube.com/watch?v=igYZGzmXaLY&ab_channel=ali.jbali2050;
Mr.M2h, Weld Citée H e Mc Majhoul, L7ar9a (2012)
https://www.facebook.com/100063850204483/videos/157398006555/;
Psyco M ft. Narco, Espoir Perdu 2 (2019) https://www.youtube.com/watch?v=Rb2LNDtz7R;
113 ft. Taliani, Partir loin (2015) https://www.youtube.com/watch?v=DLMkUr_GIIc.
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Clelia Farina, laureata in Lingue e Letterature: didattica e interculturalità presso l’Università degli Studi di Palermo, parallelamente al suo percorso universitario, ha coltivato lo studio della lingua araba standard moderna presso l’Istituto Bourguiba di Tunisi. Si occupa di islamistica, storia e socio-linguistica del mondo arabo contemporaneo e attualmente è docente di Lingua e Cultura Araba presso l’Officina di Studi Medievali di Palermo.

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