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Vita sociale religiosa a Lama dei Peligni dal 1815 al 1860

(prov. Chieti)

Lama dei Peligni (prov. Chieti)

di Amelio Pezzetta 

Introduzione 

Gli obiettivi principali del presente lavoro sono la ricostruzione e narrazione delle principali vicende storiche religiose, sociali e culturali di un piccolo Comune abruzzese durante il periodo di Restaurazione Borbonica (1815-1860). Tale ricerca evidenzia: in che modo diversi grandi avvenimenti nazionali sono stati vissuti nella comunità in esame; i contributi specifici che la storia locale o microstoria con i suoi piccoli eventi, può apportare a quella nazionale; l’importanza antropologica della storia religiosa che consente di analizzare e conoscere il divenire temporale dei rituali, credenze, devozioni, associazioni, feste e quant’altro concorra a formare il comportamento religioso.Il recupero e la trascrizione dei fatti analizzati inoltre concorrono a: sviluppare la conoscenza del contesto esaminato; a ricostruire le sue dinamiche socio-culturali; a definire e valorizzare la sua identità e il suo patrimonio culturale. I fatti narrati sono stati ricavati dalla consultazione da documenti archivistici e pubblicazioni varie.

Per quanto riguarda l’ambito di ricerca va detto che Lama dei Peligni è un piccolo Comune della Provincia di Chieti con la popolazione locale che al termine del 2022 è ammontata a circa 1100 individui. Il suo territorio che copre la superficie di circa 32 Kmq comprende un settore montano appartenente al massiccio della Majella e uno collinare costituito in gran parte da boschi in espansione, terreni incolti, aree urbanizzate e pochi terreni coltivati. Durante la Restaurazione Borbonica, il nome ufficiale del luogo era “Lama” e la popolazione residente passò da 2315 abitanti del 1831 a 3011 nel 1861. Tra il 1821 e il 1851 la forza lavoro era distinta nelle seguenti categorie: possidenti (26-29%); impiegati in arti liberali (0,7-2,8%), ecclesiastici (0,7-1,4%); contadini (70.4-60,6%), artigiani e domestici (1,5-3,6%). Inoltre a Lama e dintorni era sviluppata una fiorente attività laniera che produceva merci esportate in tutto il Regno delle due Sicilie. 

cartolina-lama-dei-peligni-panorama-veduta-chieti-abruzzoLe parrocchie e le chiese locali 

Durante il periodo di restaurazione borbonica Lama era ripartita in due parrocchie: 1) San Nicola e Clemente; 2) San Pietro che aveva il titolo di arcipretura. Inoltre risulta che: 1) erano erette ed agibili le chiese di San Nicola, San Rocco, Santa Maria della Misericordia, della Madonna dell’Arco e dell’Immacolata Concezione nella frazione di Fonterossi; 2) erano inagibili le chiese della Madonna di Corpisanti posta nell’omonima frazione e di San Clemente poiché danneggiate nel 1706 da un terremoto. Nel 1846 iniziarono i lavori di restauro della chiesa della Madonna di Corpisanti. Essi furono completati nel 1851 e la chiesa fu riaperta al pubblico.

La parrocchia di San Nicola e Clemente era di libera collazione vescovile e il suo parroco agli inizi della Restaurazione era don Ferdinando de Guglielmi che morì il 24 agosto 1835 e la parrocchia rimase vacante sino al 1844. Il giorno 11 novembre 1844 fu nominato parroco don Filippo Tenaglia che morì il primo dicembre dell’anno successivo. In seguito la parrocchia fu affidata a don Innocenzo Tretta.

L’arcipretura di San Pietro era di diritto feudale e il suo rettore era nominato dal principe di Caramanico e duca di Casoli. Essendo crollata la sua chiesa durante una frana del 1546, l’arciprete ufficiava nella chiesa di San Nicola. L’ultimo sacerdote che ricevette l’investitura feudale fu don Pietro Cianfarra che morì il 7 gennaio 1820. In seguito l’Arcivescovo di Chieti scrisse al principe di Caramanico invitandolo a presentare i titoli di possesso del diritto di patronato e a nominare il nuovo arciprete. In risposta il principe fece sapere che non avendo rinvenuto i documenti richiesti non poteva provvedere alla nomina e l’arcipretura restò vacante. Dopo l’eversione della feudalità del 1806, il principe di Caramanico perse tutti i suoi poteri e privilegi feudali e pertanto la nomina dell’arciprete rappresentava un’inutile incombenza a cui rinunciò.

Il 2 agosto 1823 il Ministero degli Affari Ecclesiastici scrisse una lettera al principe di Caramanico invitandolo a dimostrare entro tre mesi i titoli di possesso del diritto di patronato sull’arcipretura di San Pietro della Lama. Poiché non furono presentati, il diritto di patronato fu acquisito dalla corona. Il 23 ottobre 1823 il sindaco di Lama scrisse una lettera all’arcivescovo di Chieti invitandolo ad aprire il concorso per la nomina del nuovo arciprete. La curia arcivescovile, per competenza trasmise la lettera al Ministero degli Affari Ecclesiastici e alla Real Segreteria di Stato che rispose facendo presente che poiché l’arcipretura non era dotata di sufficiente congrua, l’arciprete non poteva essere nominato.

Un altro importante centro religioso del luogo era il monastero di Santa Maria della Misericordia che era affidato all’ordine dei Celestini. Nel 1807 il monastero fu soppresso, i suoi beni furono assegnati al Comune e a Lama si chiuse la storia dei Celestini durata cinque secoli. Nel 1824 l’ex monastero fu affittato a un fabbricante di panni, per il canone di sei ducati annui. Il 17 novembre 1829 il fabbricante rinunciò all’affitto. In seguito fu affidato ai Minori Osservanti e il 2 maggio 1830 fu riaperto al pubblico. 

Lama dei Peligni, Convento dei frati

Lama dei Peligni, Convento dei frati

La richiesta di fondazione di una chiesa ricettizia 

All’inizio della Restaurazione gli amministratori comunali e le autorità religiose locali avviarono le procedure burocratiche per fondare una collegiata o chiesa ricettizia. In base alle consuetudini dell’epoca i vantaggi che si ricavavano con la sua fondazione erano i seguenti: 1) avere a disposizione un maggior numero di sacerdoti per l’attività pastorale; 2) riunire e utilizzare tutti i benefici e rendite ecclesiastiche per il sostentamento del clero locale; 3) acquisire maggior autonomia rispetto al vescovo che poteva intervenire nelle questioni spirituali ma non poteva richiedere tasse per la Curia. Di solito il clero delle collegiate era formato da membri delle stesse famiglie. In questo modo aumentava il prestigio economico e sociale delle dinastie sacerdotali locali che concorrevano a fondarle e si escludevano dai benefici e rendite i sacerdoti di altre famiglie.

Nel 1815 al fine di fondarla, il sindaco di Lama scrisse una lettera al re [1] che ha il merito di fornire un’importante veduta della realtà socio-religiosa locale dell’epoca. Poiché la richiesta non ebbe seguiti, nel 1832 il sindaco ed il decurionato di Lama scrissero al vescovo e al Ministero e Real Segreteria di Stato degli Affari ecclesiastici una missiva in cui sollecitarono ad autorizzare la fondazione di una chiesa ricettizia [2]. Nonostante i ripetuti solleciti in suo appoggio espressi sino al 1844 dalle autorità amministrative e religiose locali l’autorizzazione non fu concessa. Questa iniziativa documenta la rilevante attenzione dell’amministrazione comunale dell’epoca ai problemi socio-religiosi del luogo dovuta alla consapevolezza che la religione aveva una grande importanza per la vita pubblica e una chiesa ricettizia contribuiva ad accrescere il prestigio sociale delle famiglie dominanti. 

Alcuni episodi riguardanti la morale dominante e le devianze 

Altri contributi utili per la conoscenza dei fatti storici e della cultura del luogo sono forniti dai documenti che riguardano casi di devianza dalla morale dominante. Il primo di essi lo fornisce la seguente lettera del 1815 che documenta un caso di concubinaggio e fu inviata dall’arciprete di San Pietro all’arcivescovo di Chieti: 

In tale occasione debbo rappresentare a V.E. come da circa 7-8 anni capitò in questo Circondario e poi in questo paese un uomo di Popoli con una donna che seco ha tenuto da circa 15 anni ed è di Macerata. Ora se la vuole sposare, e mi dice di non poter fare le spese per essere povero, e non trovare fatica attesa l’annata cattiva io gli ho promesso fargli gratis quanto a me mi appartiene e per togliere lo scandalo. S’incontra però la difficoltà che mancano i documenti, essa è di Macerata, nè ha modo di farsi venire la fede del battesimo, nè il suo stato libero, attesa la distanza dalla sua patria, mi dice di aver quarant’anni ed è libera. Prego intanto V. Eminenza se si può abilitarla in qualche maniera e come debbo comportarmi. Lama 22 marzo 1815. Pietro Cianfarra [3]. 
Lama dei Peligni, campanile del Convento

Lama dei Peligni, campanile del Convento

Altri casi di concubinaggio locali sono segnalati nelle relazioni delle visite pastorali e in alcuni rapporti di polizia. In complesso tra il 1815 e il 1860 nel luogo furono segnalati 25 casi ufficiali di concubinaggio e relazioni illecite e alcuni limitati casi di violenza carnale.

Nella seguente lettera inviata nel 1834 dal sindaco di Lama all’arcivescovo di Chieti, emergono altri curiosi particolari sul costume e la moralità dell’epoca. In essa si chiede all’ordinario diocesano d’intervenire per far chiudere una porta d’accesso aperta sotto il campanile della chiesa di San Nicola poiché «porta delle conseguenze e scandali ove sono andate e possono andare anche delle donne che commettono delle bricconate come si sente per il paese, pregasi almeno di farci la chiusura acciò non possono entrare ed uscire le donne e resta per comodo degli soli uomini» [4].

La relazione della visita pastorale del 1849 invece documenta casi di devianza dalla morale matrimoniale dominante. All’epoca le giovani coppie non potevano avere rapporti sessuali prematrimoniali. Inoltre gli innamorati che volevano essere liberi di decidere il proprio destino, si sposavano senza il consenso delle rispettive famiglie e se non avevano le possibilità economiche per organizzare una sontuosa cerimonia ricorrevano al cosiddetto “matrimonio post fugam”. Nella relazione della visita pastorale è scritto che il parroco di San Nicola: durante le omelie riprendeva e condannava i vizi domestici e gli amoreggiamenti prematrimoniali, a suo avviso abbastanza frequenti; negava l’assoluzione sacramentale a tutti i genitori che nelle proprie abitazioni «permettevano l’accesso agli sposi». 

Lama dei Peligni, chiesa san Nicola (ph. Amelio Pezzetta)

Lama dei Peligni, chiesa san Nicola (ph. Amelio Pezzetta)

I contrasti tra parroco e popolazione 

Durante la Restaurazione furono registrati alcuni contrasti tra la popolazione e il parroco di San Nicola. Uno di essi risale al 1825 e, in quel caso, alcuni notabili scrissero una lettera al Consigliere Ministro di Stato lamentandosi che dopo la morte di don Pietro Cianfarra non si riuscì a nominare il nuovo arciprete a causa dei raggiri e degli intrighi che mise in atto il parroco don Ferdinando de’ Guglielmi. Secondo gli autori della lettera, don Ferdinando teneva la popolazione sotto il più duro dispotismo ecclesiastico, non faceva le lezioni di catechismo, teneva in pessimo stato i libri parrocchiali poiché ometteva di annotarvi la nascita di tutti i bambini del paese o li registrava con date diverse dal giorno effettivo di nascita, utilizzava mobili e suppellettili della chiesa come se fossero propri e sottraeva vari oggetti per destinarli all’uso della sua famiglia. Probabilmente molte accuse erano strumentali, non avevano riscontri oggettivi e nascevano dalla volontà di mettere in discussione l’operato di Don Ferdinando.

Nel corso di diverse epoche, i parroci e sacerdoti operanti a Lama sono stati al centro di contrasti con la popolazione, accuse più o meno fondate e pettegolezzi. Ciò avveniva per vari motivi tra cui la religiosità eccessivamente tridentina dei parroci più intransigenti e quella popolare con bisogni, attese e concezioni diverse. In particolare i contrasti più accesi nascevano quando i parroci insistevano presso la popolazione nel rispetto dei canoni della Chiesa, mentre quest’ultima aveva la sensazione che i loro pastori d’anime non adempissero ai propri doveri, per la loro rigidezza non riuscissero a mantenere buoni rapporti con il prossimo e non si rendessero disponibili a soddisfare tutte le loro aspettative di religiosità popolare. Nel caso in esame, l’accusa di dispotismo religioso rivolta a Don Ferdinando potrebbe rappresentare una conferma della sua distanza dagli interessi del mondo popolare. 

Lama dei Pelini, Madonna di Corpi santi (ph. Amelio Pezzetta)

Lama dei Pelini, Madonna di Corpi santi (ph. Amelio Pezzetta)

I predicatori quaresimali 

Nel periodo storico in esame, durante la Quaresima in ogni singolo Comune del Regno s’invitavano dei predicatori detti “quaresimali”, ai quali si affidava il compito di preparare alla Pasqua i fedeli indicando i comportamenti da adottare e le pratiche di devozione da seguire. Molto spesso insieme a loro svolgevano un’attività di propaganda religiosa i missionari con il fine specifico di raccogliere fondi per le missioni nei paesi considerati infedeli. Nel periodo in esame i predicatori quaresimali e missionari durante le loro prediche talvolta spaventavano i fedeli con metodi poco religiosi e contribuivano a diffondere atteggiamenti reazionari filogovernativi.

Il 12 novembre 1831 l’Intendenza di Chieti fece diffondere in tutti i Comuni della Provincia un severo regolamento da osservarsi per le spese occorrenti per la Santa Missione eseguita dai padri della Congregazione del Santissimo Redentore o Liquorini. In esso si prescriveva a chi competevano le spese di vettovagliamento e trasporto dei predicatori [5].

Il 29 novembre 1831 dopo la diffusione del regolamento, a Lama si riunì il Consiglio comunale, che approvò la venuta dei missionari nel Comune e deliberò di approntare un’abitazione ove ospitarli, destinare loro 24 ducati stanziati per il predicatore quaresimale e fare a meno di quest’ultimo nell’anno in corso. Il predicatore quaresimale lo sceglieva il vescovo da una terna di sacerdoti proposta dalle amministrazioni comunali. Nel 1837 il decurionato lamese propose all’attenzione del vescovo di Chieti una terna che comprendeva un arciprete, un assistente parroco e un francescano provenienti da Comuni vicini. In seguito il vicario capitolare di Chieti visionò la terna e nominò predicatore quaresimale a Lama il francescano padre Luciano da Castelnuovo che accettò l’incarico. Tale prassi ammnistrativo-ecclesiastica si ripeté annualmente sino al 1860. 

Lama dei Pelini, la chiesa parrocchiale di Gesù Bambino (ph. Amelio Pezzetta)

Lama dei Pelini, la chiesa parrocchiale di Gesù Bambino (ph. Amelio Pezzetta)

L’attività parrocchiale e l’istruzione religiosa della popolazione 

Durante la Restaurazione la parrocchia era un importante centro di aggregazione sociale che assolveva a funzioni non solo religiose: esercitava un controllo sociale sulla popolazione attraverso gli obblighi di partecipazione alle messe festive, alla confessione e alla predicazione domenicale; ritmava la vita quotidiana fissando i giorni lavorativi e quelli di riposo, formalizzava il calendario annuale delle festività religiose locali, sacralizzava i momenti più importanti dell’esistenza umana con la somministrazione dei sacramenti; affittava propri beni.  

 A loro volta i sacerdoti e parroci oltre ai compiti connessi con l’attività pastorale furono investiti di altre funzioni: 1) tenere in perfetto ordine i registri parrocchiali; 2) rilasciare gli attestati di povertà, a uso leva e d’idoneità fisica alle donne che volevano far da balia pur non avendo perso la prole; 3) partecipare come membri attivi all’amministrazione dei Monti Frumentari e alle commissioni comunali di beneficenza; 4) dimostrare di essere fedeli alla monarchia borbonica accettando obblighi di carattere poliziesco tra cui il controllo della morale pubblica; 5) assumere l’incarico di maestri nelle scuole comunali. I chierici locali deputati all’insegnamento, tra il 1815 e il 1860 controllavano anche che l’istruzione impartita non fosse contraria ai princìpi cristiani e periodicamente informavano il vescovo dei risultati della loro attività.

Un particolare compito dei sacerdoti era l’insegnamento catechistico. All’inizio della Restaurazione, l’istruzione religiosa era finalizzata non solo a diffondere i princìpi del cristianesimo e le più importanti norme di condotta di vita cristiana ma anche a ripristinare l’ordine morale sconvolto dalle vicende rivoluzionarie e promuovere nei sudditi il senso del dovere e della sottomissione a Dio e allo Stato. Per raggiungere tali obiettivi non si è a conoscenza dei particolari metodi e criteri pedagogici seguiti a Lama e se si utilizzassero catechismi locali. Pertanto è da supporre che fosse utilizzato il catechismo promulgato dal Papa Pio V nel XVI secolo che è rimasto sostanzialmente invariato sino a quello attuale.

Dalle relazioni pastorali dell’epoca emerge che le lezioni di catechismo si tenevano tutte le domeniche, erano frequentate da persone di ogni età e condizione sociale ed erano convocate con il suono della campana della chiesa parrocchiale. In particolare nel 1840 a Lama il catechismo s’insegnava tutti i giorni festivi dopo la prima messa e, durante il periodo quaresimale, tutte le sere dopo le 22. I ragazzi ricevevano l’istruzione religiosa direttamente dal parroco mentre le ragazze erano istruite da una maestra, poiché non potevano frequentare liberamente l’abitazione del parroco stesso. Nel periodo quaresimale a ogni lezione di catechismo si registravano sino a 100 presenze di ragazzi sino a 15 anni d’età e i figli dei contadini frequentavano sia le lezioni mattutine che quelle serali.

L’istruzione religiosa era integrata dalle messe e omelie dei sacerdoti officianti. Durante i giorni festivi si celebravano quattro messe nella chiesa parrocchiale di San Nicola e una messa ciascuna nelle chiese rurali delle frazioni di Fonte Rossi e Corpisanti. Le messe festive non erano frequentate da tutta la popolazione poiché molti contadini anziché osservare il riposo lavoravano la terra. Era anche consuetudine che la domenica le osterie del paese chiudessero ma ciò a Lama non avveniva poiché esse vendevano anche generi alimentari. La loro apertura festiva era indicata come uno dei motivi che allontanavano gli uomini dalla funzione religiosa. Il fatto che le messe domenicali non fossero frequentate da tutti è espressione di una religiosità in cui l’adesione più o meno profonda al cristianesimo non s’identificava con la partecipazione a tutti i riti e cerimonie previsti dalla Chiesa.

Nel 1849 le lezioni di catechismo erano tenute da un sacerdote e una donna: Don Concezio Cianfarra e Fiorentina Fata. Durante i giorni festivi nella chiesa parrocchiale si celebravano tre messe di cui la prima all’aurora, la seconda alle nove e la terza a mezzogiorno. A queste funzioni considerate fisse, sia nei giorni festivi che in quelli feriali si aggiungevano quelle richieste per l’amministrazione dei sacramenti, i funerali, il suffragio dei defunti, la celebrazione di feste religiose, etc.

A Lama, a tutte le impellenze di attività pastorale, celebrazione di feste, messe, etc. provvedevano numerosi sacerdoti. Come visto, nel 1815 vivevano in paese dodici sacerdoti secolari. Nel 1825 c’erano 12 individui distinti tra sacerdoti, diaconi, novizi e accoliti. Nel 1831 era presente una decina di sacerdoti secolari tra cui: Giovanni Madonna, Luigi Cianfarra, Francesco Verlengia, Nicola De Guglielmi, Concezio Cianfarra, Filippo Madonna e Filippo Florio. Tali soggetti appartenevano alle famiglie benestanti del luogo di cui alcune che dal XVII ai primi anni del XIX secolo riuscirono a far accedere agli ordini sacri un loro membro ogni 25-30 anni. Ciò dimostra che con molta probabilità tanti giovani non seguivano una vera e propria vocazione personale ma erano indirizzati a scegliere la carriera ecclesiastica al fine di soddisfare interessi famigliari finalizzati a ottenere privilegi fiscali, prestigio e potere comunitario. Infatti, all’epoca la presenza di uno o più sacerdoti in famiglia era un mezzo abbastanza generalizzato che in tutta l’Italia Meridionale si utilizzava per rafforzare il prestigio economico-sociale o ottenere un avanzamento di status. A tal proposito nel 1911 Gaetano Salvemini, scrisse: 

Prima del 1860 e negli anni immediatamente successivi, la grande ambizione delle famiglie che avessero un po’ di terra al sole o che aspiravano ad elevarsi socialmente era di avere un figlio prete. Nella famiglia che otteneva questa grazia dal Signore, l’avito fondicello ritrovava ben presto un fratellino. Se la seconda generazione riusciva a produrre un altro prete, la famiglia entrava addirittura tra le case notabili del paese. La terza generazione arrivava finalmente al canonico, con cui cominciava quasi la nobiltà. Dopo il 1860 la confisca dei beni ecclesiastici ha ridotto di molto il benessere del clero. D’altra parte il diffondersi delle idee liberali ha reso meno apprezzata la professione di aprire o chiudere le porte del paradiso [6]. 

Nel 1851 i sacerdoti secolari si ridussero a cinque. Ad essi si aggiungono i francescani che dal 1831 al 1851 ammontarono costantemente a nove individui. Al fine di avere ulteriori dettagli sulle caratteristiche dei chierici lamesi sono state esaminate le norme con cui avvenne un’ordinazione sacerdotale nel periodo considerato. Nel 1826 Filippo Madonna ricevette i sacri ordini. Per consentire l’ordinazione, il parroco di San Nicola sottoscrisse la seguente dichiarazione: 

Certifico io sottoscritto economo di S. Nicola che il diacono d. Filippo Madonna è un giovane di ottima condotta morale, religiosa, gode tutta la buona opinione politica, ha sempre conversato con persone oneste, ha frequentato la Congregazione di S. Spirito, i Sacramenti, la Dottrina cristiana e gode pacifico possesso di suoi beni patrimoniali siti in questo Comune percependone i suoi frutti. Lama, 4 settembre 1826. D. Ferdinando de Guglielmi [7]. 
Documento sulla congrua ai parroci (Archivio di Stato di Chieti)

Documento sulla congrua ai parroci (Archivio di Stato di Chieti)

Nel documento riportato si fa presente che l’aspirante sacerdote aveva una buona reputazione di condotta politica che significava fedeltà alla monarchia borbonica e il non coinvolgimento in moti e gruppi rivoluzionari, due requisiti molto importanti che all’epoca erano richiesti per aspirare al sacerdozio. Ovviamente non erano gli unici e per tale motivo furono presentati anche i seguenti certificati rilasciati da enti vari: buona condotta penale, aver assolto gli obblighi sacramentali, godimento e libera pertinenza del patrimonio sacro [8].

Per quanto riguarda le condizioni economiche dei parroci e sacerdoti dell’epoca, esse seppur migliori del resto della popolazione, nel complesso non erano molto floride. Infatti, a Lama nel 1817, i due parroci dopo essere stati spogliati delle decime sacramentali non percepivano la congrua a cui avevano diritto. L’anno dopo, nel rispetto dell’articolo 7 del Concordato del 1818 ricevettero la congrua di 100 ducati annui. Gli altri sacerdoti vivevano con le rendite assicurate dal patrimonio sacro, i cespiti e donazioni che ricevevano dall’insegnamento privato e pubblico, durante i funerali, quando ufficiavano qualche funzione religiosa e in occasione delle feste. 

Lama dei Pelici, Bambino Gesù

Lama dei Peligni, Bambino Gesù (ph. Amelio Pezzetta)

I luoghi pii 

Le cappelle laicali consistevano in altari fondati da privati e disposti lungo le pareti laterali delle chiese. Nelle loro vicinanze di solito erano poste le tombe famigliari dei fondatori. A tali istituzioni si assegnava un patrimonio generalmente costituito da beni immobili (case e terreni) e da diritti di credito con cui riscuotere prestazioni periodiche. Esso poteva arricchirsi con varie operazioni finanziarie tra cui gli acquisti di beni e la concessione di capitali destinati a produrre altri introiti grazie agli interessi pattuiti, A loro volta le rendite si utilizzavano per celebrare messe a suffragio dei defunti appartenenti alla famiglia dei fondatori, acquistare gli arredi sacri per le cappelle e organizzare le funzioni religiose in onore del santo a cui erano intitolate. La loro fondazione consentiva ai legittimi patroni di aggiungere al prestigio sociale conferito dal possesso dei beni economici anche quello religioso a cui era legato il potere di istituire specifiche feste, condizionare la vita parrocchiale, nominare il cappellano officiante le funzioni sacre e la possibilità di avere proprie insegne in chiesa. Alcune cappelle erano di patronato del Comune, il che dimostra che anche i rappresentanti ufficiali della comunità locale erano formalmente interessati ad acquisire prestigio religioso, contribuendo a mantenere vive proprie pratiche di culto. Ad alcune cappelle era annesso un Monte frumentario con cui prestavano grano ai contadini.

Nel periodo in esame a Lama nelle chiese del paese erano eretti gli altari delle seguenti cappelle laicali di: San Giovanni Battista, San Benedetto, San Francesco Saverio, Sant’Antonio da Padova, Santa Maria della Neve, Santa Maria del Soccorso, Santa Maria di Corpisanti, Santa Margherita, Santissimo Rosario, Suffragio laicale e Sant’Elisabetta. La loro fondazione avvenne durante il XVII secolo da parte di varie famiglie signorili e del Comune la cui denominazione ufficiale dell’epoca era Università della Lama. Oltre alle cappelle citate esistevano anche le seguenti che nei secoli precedenti appartenevano a confraternite: Santa Maria delle Grazie, Santissimo Rosario, Santissimo Sacramento e Purgatorio. Generalmente esse furono fondate tra il XVI e il XVII secolo e avevano una maggiore disponibilità patrimoniale, frutto delle donazioni degli iscritti alle confraternite stesse.

Durante il Decennio napoleonico il controllo dei bilanci delle cappelle laicali a livello provinciale passò al Consiglio degli Ospizi e a livello locale alle Commissioni comunali di beneficenza. Tali disposizioni, senza sostanziali modifiche rimasero inalterate sino all’Unità d’Italia [9].

Durante la Restaurazione si osserva una diversa parziale destinazione delle rendite delle cappelle laicali lamesi. Infatti, in base alle nuove norme di amministrazione dei luoghi pii, parte dei loro cespiti non furono utilizzati per la celebrazione di messe ma per opere di beneficenza tra cui contributi ai poveri del paese e di istituzioni benefiche del Regno (nel caso in esame il manicomio di Aversa e l’orfanotrofio di Sulmona).

Un altro luogo pio esistente a Lama nel periodo in esame è il Monte frumentario, un’istituzione benefica che andava incontro alle esigenze dei ceti meno abbienti che nei periodi di carestia e penuria alimentare non avevano i mezzi per sopravvivere. Essi, ispirati dagli ideali di fede e carità prestavano il grano e l’orzo per la semina e/o il sostentamento con l’obbligo della restituzione dopo il raccolto con una lieve maggiorazione a titolo d’interesse. Nel 1816 il parroco di San Nicola scrisse una lettera al Presidente del Consiglio degli Ospizi di Chieti segnalando alcune irregolarità amministrative che caratterizzarono il Monte Frumentario di Lama. Nel 1836 un delegato ministeriale fu incaricato di accertare la consistenza dei suoi beni e gli eventuali creditori e debitori. In base ai documenti visionati, il funzionario accertò che il Monte era creditore di 954 tomoli di grano che, a causa dell’insolubilità dei debitori, non riuscì a recuperare completamente. Anche nel 1848 e nel 1851 gli amministratori del Monte Frumentario fecero presente che avevano difficoltà a riscuotere i crediti. Tali insolvenze erano dovute ai cattivi raccolti, alle esigenze delle famiglie povere e numerose di provvedere a tutti i loro bisogni e ad altro. 

Stampa di Bambino Gesù venerato a Lama dei Pelici

Stampa di Bambino Gesù venerato a Lama dei Peligni

Gli altari e oratori religiosi delle abitazioni private 

Gli oratori privati consistevano in piccoli altari che le famiglie borghesi e signorili facevano costruire dentro le abitazioni al fine di soddisfare proprie esigenze di culto. La loro fondazione era un simbolo di distinzione sociale che soddisfaceva esigenze di pratica religiosa, riaffermava il prestigio delle famiglie che li faceva costruire e accentuava le differenze di classe. Coloro che potevano permetterselo, all’epoca esprimevano il proprio prestigio utilizzando anche le seguenti forme che la religione metteva a disposizione: il diritto di patronato su chiese e cappelle laicali, la costituzione dei patrimoni sacri con cui avviare i propri membri al sacerdozio, le opere di beneficenza, l’iscrizione a confraternite, i lasciti per celebrazione di messe a suffragio dei defunti, le targhe ricordo, i sepolcri famigliari e i posti riservati in chiesa.

In base a questi fatti si può dire che esisteva una religiosità di vertice praticata dai ceti dominanti che “erano in grazia di Dio e dei Santi”, ottenendo successo e prestigio. In questa particolare religiosità il paradiso sembra un luogo classista e non aperto ai ceti meno abbienti che non avevano i mezzi per le opere di bene, far celebrare 50 e più messe all’anno per l’anima dei propri defunti, assegnare una rendita per l’erezione di una cappella laicale, chiedere l’indulto per l’oratorio privato e altro. Sembra che le famose parole del Vangelo “Beati i poveri di spirito” anziché essere espresse dal figlio di Dio fossero uscite dalla bocca di un eretico.

Alla religiosità dei ceti dominanti precedentemente delineata si aggiunge quella dei ceti meno abbienti, lamesi e non, che non potevano permettersi certe pratiche e rivelavano la loro profonda adesione ai princìpi del cristianesimo nei suoi aspetti più semplici e non per questo secondari, attraverso i seguenti comportamenti e tratti della loro cultura religiosa: la pia devozione, la rassegnazione a un destino immutabile frutto della volontà divina, la convinzione che la religione affratella, le preghiere quotidiane, l’osservanza degli obblighi sacramentali, l’attaccamento ai valori famigliari cristiani e la partecipazione sentita alle funzioni religiose.

A Lama nel 1772, una famiglia della borghesia agraria ottenne l’indulto pontificio per costruire un oratorio privato nella propria abitazione. Durante la Restaurazione grazie anche allo sviluppo locale dell’attività laniera, varie famiglie accrebbero il benessere economico. Alcune di esse, in considerazione della maggiore disponibilità di beni e della propria fede religiosa, ritennero opportuno richiedere l’indulto per la costruzione di un oratorio per celebrare messe ad uso esclusivo dei propri membri. Nel 1834 la famiglia Florio ottenne l’indulto pontificio per costruire una cappella privata nella loro abitazione. Nel 1838 si aggiunse la famiglia Di Renzo e nel 1840 i baroni Carosi-Tabassi. Tali famiglie appartenevano alla nobiltà e alla borghesia agraria locale che nella comunità lamese ha esercitato un importante ruolo egemonico che ha iniziato a dissiparsi lentamente a partire dall’inizio del XX secolo. Ai suoi membri la popolazione ha guardato sempre con grande rispetto e considerazione aggiungendo prima dei loro nomi di persona i titoli di “Don” ai maschi e di “Donna” alle femmine. 

Lama dei Peligni, panoramica

Lama dei Peligni, panoramica

Le devozioni, le feste civili e religiose 

Ai santi l’immaginario popolare locale attribuiva e attribuisce tuttora la capacità di fare miracoli. In virtù di questi poteri, essi erano i numi da invocare, gli unici ed estremi rimedi che aiutavano a dare sicurezza, superare la precarietà esistenziale e vincere l’impotenza verso le forze della natura. La devozione ai santi era anche un modo per esprimere il desiderio inconscio di voler sovvertire l’ordine delle cose e la speranza utopica di migliorare le condizioni esistenziali. Dio e i santi avevano anche altre valenze: accomunavano creando le basi della solidarietà e dell’identità comunitaria; fornivano gli strumenti concettuali per opporsi ai capricci della natura e allo scoraggiamento causato dalle difficoltà esistenziali. Più in generale non era solo il culto dei santi che rinforzava il cuore e l’animo popolare ma tutta la religione cristiana. In questo senso la fede dava risposte ai bisogni elementari, alle paure, alle speranze e alle espressioni d’amore e dolore; formava una visione del mondo in cui trovavano giustificazione la subordinazione sociale, la precarietà, il male e le sofferenze quotidiane: contribuiva a costruire una personalità sociale più serena, cosciente della propria identità e dei propri valori.

Per soddisfare le varie esigenze di religiosità popolare a Lama si organizzavano feste religiose e nelle chiese si conservavano molte reliquie e statue di santi. Dalla relazione della visita pastorale del 1825 risulta che nella chiesa di San Rocco c’erano: 1) gli altari della Madonna Addolorata e di San Vincenzo Ferreri; 2) le statue della Madonna della Cintura, San Rocco, San Domenico abate e San Francesco Saverio. Nella chiesa di San Nicola si conservavano le statue di: San Francesco da Paola, San Giuseppe, San Nicola, San Pasquale Baylon, San Pietro, San Sebastiano, San Vincenzo Ferreri, Sant’Antonio da Padova, Sant’Emidio, la Santissima Vergine del Rosario e il Santo Bambino. Inoltre c’erano dieci ostensori in cui si conservavano le reliquie con le relative autentiche di vari santi, tra cui San Camillo, San Donato, San Filippo Neri, San Francesco Saverio, San Liborio, San Lorenzo, San Nicola, San Pietro, San Sebastiano, Santa Barbara, San Vincenzo Ferreri, Sant’Emidio, Sant’Anzino, San Giustino, Sant’ Irene, Sant’ Anna e Santa Teresa. La loro conservazione dimostra che nei secoli passati Lama, al pari di altre località, fu interessata dal commercio di reliquie, che se per alcuni rappresentò un atto di devozione e di fede, per altri fu un mezzo per realizzare lauti guadagni, ingannando le coscienze dei veri credenti con falsi resti di santi. Nel loro insieme le numerose statue e reliquie soddisfacevano le diverse devozioni individuali a cui, considerata l’alta precarietà esistenziale all’epoca esistente, si accompagnavano le richieste di protezione e interventi soprannaturali per motivi molto vari.

Per quanto riguarda le feste religiose, dai bilanci comunali dal 1815 al 1860 risulta che ogni anno gli amministratori locali erogavano contributi in denaro per l’organizzazione di quelle considerate più importanti. Nel 1820, il clima reazionario dell’epoca favorì la diffusione anche a Lama del culto del Sacro Cuore di Gesù, un importante simbolo politico contro-rivoluzionario e d’impegno nella volontà dì restaurare la tradizionale “societàs christiana”. Nel 1847 risulta che nella chiesa di San Rocco era eretta la confraternita del Cuore di Gesù che probabilmente contribuì ad alimentare l’omonimo culto.

Nell’epoca in esame, il culto più diffuso a Lama era indirizzato verso un’effige di Gesù Bambino che si conserva tuttora nella chiesa parrocchiale dove fu portata nel 1760 da un frate francescano di ritorno da una missione in Terra Santa. A Lama Gesù Bambino è equiparato a un santo con grandi poteri taumaturgici; il suo culto è un emblema religioso del luogo e nel XIX secolo la sua festa era la più importante del paese. Nel 1825 fu festeggiato insieme a San Domenico Abate, un santo molto legato all’universo agro-pastorale abruzzese [10]. Dalla lettura del programma emerge che all’organizzazione della festa concorsero il sindaco e una commissione con un segretario e personaggi, i “deputati” che appartenevano alla borghesia agraria, a dimostrazione che la classe dominante del luogo utilizzava anche le feste religiose per affermare il proprio prestigio comunitario. La festa era caratterizzata da un rituale che alternava momenti sacri e profani: si aprì con fatti sacro-profani (la celebrazione della novena, l’illuminazione della chiesa e il brillamento di fuochi artificiali) e si chiuse con altri più squisitamente profani (gli scherzi di fuoco artificiali e l’innalzamento di un pallone aerostatico). Essa contribuiva a fondare una realtà ideale e mitica che istituzionalizzava la trasgressione momentanea dai ritmi del vivere quotidiano, esorcizzava la precarietà esistenziale e favoriva il recupero della presenza sia individuale sia di gruppo. Il programma festivo copriva l’intero arco delle ventiquattro ore a conferma che si attuava in modo che i momenti di devozione e preghiera fossero accompagnati da attività tendenti a far esplodere la gioia di vivere e la volontà di dimenticare le angustie quotidiane.

Nella festa c’erano:1) l’albero della cuccagna, sogno manifesto di aspirazione a un benessere alimentare non condizionato dai raccolti più o meno abbondanti secondo le annate; 2) un pallone aerostatico, a sua volta sogno di evasione verso il cielo, l’infinito e il paradiso. La ricorrenza era accompagnata dall’accensione di lampioni poiché la festa è luce, sia durante la notte sia durante il giorno, e quindi voglia di vivere poiché alla luce stessa è associata la vita, mentre alle tenebre è associata la morte. Per quanto riguarda il programma religioso si osserva che le processioni e i vespri furono collocati alle ore 12 e 24 al fine di dedicare i momenti principali della giornata alla meditazione e alla preghiera. I fondi necessari all’organizzazione della festa erano forniti oltre che dall’amministrazione comunale anche dagli abitanti del luogo. A tal proposito risulta che tra il 1840 e il 1850 Raffaele Di Renzo, un pioniere dell’industria laniera lamese, faceva rilasciare settimanalmente dagli operai impiegati nei suoi opifici un contributo per la festa di Gesù Bambino [11].

Nel 1831 a Lama fu celebrata la festa di San Pietro con una messa parata e un primo e secondo vespro a cui parteciparono tutti i sacerdoti del paese. Nel 1841 furono celebrate le feste del Santo Bambino, della Madonna di Corpisanti, della Madonna dell’Arco e di San Domenico Abate. Nello stesso anno, oltre alle loro processioni furono effettuate quelle di San Marco, San Sebastiano, l’Ascensione, il Corpus Domini, la Crociata e le Rogazioni. Durante le rogazioni che si tenevano il 25 aprile e i tre giorni precedenti l’Ascensione si recitavano le litanie dei santi, si stazionava davanti alle chiese rurali che si incontravano durante il cammino e si trasportavano in corteo le reliquie. È appena il caso di precisare che anche a Lama la religione cristiana si legava ai bisogni esistenziali e alla visione del mondo dei lavoratori dei campi.

All’epoca la devozione dei lamesi era rivolta anche a Sant’Emidio e San Francesco Saverio che ricoprivano il ruolo di comprotettori del paese. Ora non lo sono più. Il loro culto e quello di altri santi con i relativi festeggiamenti sono stati abbandonati perché anche le devozioni, le feste e le tradizioni hanno ognuno un proprio divenire storico, si legano agli interessi e ai bisogni esistenziali che le popolazioni esprimono e quindi possono cambiare.

Nel 1854 Lama fu colpita da un’epidemia di colera che registrò nel complesso otto casi e quattro vittime. Poiché rispetto ad altri comuni vicini, il morbo causò danni molto circoscritti, i lamesi ritennero che ciò fosse dovuto alla protezione soprannaturale di Gesù Bambino. Di conseguenza la popolazione locale pensò di dedicargli un’altra festa da celebrarsi nel mese di settembre. Sull’evento sorse anche una leggenda in cui si narra che un contadino che guidava un carro, all’epoca del colera, viaggiava verso Lama. Lungo la strada incontrò un uomo che lo fermò e gli chiese un passaggio. Nel corso di una conversazione intrapresa durante il viaggio, l’occasionale passeggero prima dell’ingresso in paese disse: “Io sono il colera, ma non posso entrare a Lama, poiché c’è il Santo Bambino”. In seguito scese dal carro e sparì.

Nel 1856 la festa di Gesù Bambino o del Santo Bambino fu organizzata dal 17 al 18 maggio senza aggiungervi quella di San Domenico Abate. Nel programma festivo s’invitarono gli abitanti locali all’ospitalità ricordando che: 

«Come una delle gemme più vaghe allagate nella corona delle loro virtù sia l’ospitalità. Ebbene, questa salutino i cortesi che vorranno regolare di loro presenza la sacra ricorrenza d’un avvenimento segnato a caratteri indelebili ne’ fasti religiosi d’una popolazione devotamente pia, e da questa si attendono le più dolci espressioni d’una gratitudine ingenua e riconoscente» [12]. 

Questa dichiarazione aiuta a ricordare che le feste favoriscono anche le relazioni sociali e riaffermano i vincoli di amicizia e parentela. Nel 1855 in occasione della proclamazione del dogma della Immacolata Concezione, a Lama e negli altri Comuni della provincia di Chieti fu organizzata una festa. La proclamazione del dogma rinforzò le tendenze antimoderniste della chiesa e nel particolare clima politico dell’epoca favorì le spinte reazionarie. Durante la ricorrenza natalizia del 1859, nella chiesa di San Nicola le autorità comunali e il parroco distribuirono ai poveri beni di prima necessità.

Alle feste tipicamente religiose si accompagnarono anche solennità civili che celebravano particolari ricorrenze della Casa reale e della vita pubblica. Nel loro complesso esse erano caratterizzate da sfilate militari, illuminazioni notturne, giochi pirotecnici, alberi della cuccagna, esibizioni di bande musicali, riti religiosi e attività di pubblica beneficenza. Questi riti legittimavano il potere politico e l’ordine esistente; rafforzavano lo stretto legame esistente tra il potere civile e la religione; diffondevano l’immagine di un re paterno e magnanimo che amava i suoi sudditi e organizzava le feste per farli divertire, un insieme di fatti che nel loro insieme accrescevano la devozione popolare alla monarchia. Il 12 e 16 gennaio 1854 in occasione delle ricorrenze delle nascite del re Ferdinando II e del duca di Calabria a Lama furono organizzate due feste civili. In entrambe le occasioni fu celebrato il Te Deum di ringraziamento nella chiesa parrocchiale di San Nicola e la Commissione Comunale di Beneficenza donò pane e sale agli indigenti e ai detenuti.

Il 26 dicembre 1854 l’Intendente di Chieti inviò ai sindaci e sottointendenti della provincia una circolare con cui comunicava che la regina avrebbe partorito entro breve tempo. Quando sarebbe stato annunciato il giorno effettivo del parto ogni amministrazione comunale doveva organizzare tre giorni di festa con il Te Deum di ringraziamento, lo sparo di tre salve di cannone, l’illuminazione serale di tutti i locali pubblici e la distribuzione di beni di prima necessità ai poveri. Il 22 gennaio 1855 l’Intendente comunicò che la regina aveva dato alla luce una principessa e pertanto ordinò alle autorità amministrative locali di organizzare i festeggiamenti previsti. Dopo la loro conclusione il Sindaco di Lama riferì all’Intendente che si celebrò il Te Deum, furono brillati fuochi d’artificio e distribuiti beni ai poveri.

Il 16 gennaio 1860 fu festeggiata il compleanno del re Francesco II. Nell’occasione: si celebrò il Te Deum di ringraziamento nella chiesa di San Nicola in presenza di tutte le autorità civili e militari; furono distribuiti 400 ducati in elemosina dalla locale Commissione di Beneficenza e ci fu la generale illuminazione del paese. In seguito il sindaco fu tenuto a relazionare al sottintendente di Lanciano sull’andamento della festa e le iniziative intraprese. 

Lama dei Peligni, Chiesa di san Nicola e Clemente

Lama dei Peligni, Chiesa di san Nicola e Clemente

La religiosità e le devozioni nei testamenti 

Per i credenti i testamenti non sono solo atti giuridici di fine vita con cui dettare le norme di successione dei beni, ma anche atti di fede che rivelano le devozioni individuali e come il testatore si prepara a una buona morte cristiana. In questi documenti si possono leggere: invocazioni religiose, preghiere, disposizioni sull’organizzazione dei funerali, i luoghi di sepoltura e i beni da donare a enti ecclesiastici e altro. Di conseguenza per evidenziare altre forme di religiosità locale del periodo storico in esame si riporta quanto emerso dalla consultazione dei rogiti testamentari che sono stati consultati.

In alcuni testamenti rogati tra il 1816 e il 1817 dal notaio Modesto Ardente è riportata la seguente invocazione religiosa: «Raccomando l’anima al Sommo Dio affinché per i meriti di Gesù Cristo abbia a perdonarmi tutte le colpe commesse» [13]. In alcuni di essi si dispose che con una certa cifra, gli eredi per un periodo variabile da uno a quattro anni organizzassero la celebrazione di messe a suffragio dell’anima del defunto. In altri testamenti si dispose che gli eredi dei vari beni organizzassero un decente funerale e donassero dei contanti al Real Albergo di Napoli, un’istituzione laica di beneficenza. Nei rogiti notarili successivi al 1816-1817 che sono stati consultati, non si autorizzarono donazioni a favore del Real Albergo di Napoli. Inoltre si ridussero le donazioni a favore degli enti ecclesiastici, un fatto dimostrativo che l’atteggiamento religioso era cambiato rispetto al passato. In vari testamenti dettati da cittadini lamesi e rogati dal notaio Gennaro D’Orazio tra il 1832 e il 1834 è riportata la seguente invocazione: «Raccomando al Signore, alla Vergine ed ai Santi l’anima mia» [14].

Nella maggioranza dei rogiti esaminati, i testatori dettarono le norme per l’organizzazione dei funerali e prescrissero agli eredi che dovevano utilizzare dei lasciti per la celebrazione di messe. In un atto notarile del 1833, il testatore dispose che dopo la sua morte fosse utilizzata la cifra di venti carlini per la celebrazione di messe a suffragio anche dell’anima della moglie. Non in tutti i testamenti rogati negli anni 1848-1850 che sono stati esaminati si disponeva che gli eredi facessero elargizioni alla chiesa e organizzassero la celebrazione di messe. Alcuni di essi riportano accurate disposizioni da seguire per l’organizzazione dei funerali e la celebrazione di messe a suffragio dell’anima. In altri atti, il testatore per il funerale, i benefici e suffragi dell’anima si rimetteva al buon cuore dei propri familiari.

In conclusione si può osservare che nei vari testamenti esaminati cambiano le formule di invocazione religiosa nel tempo ma anche da notaio a notaio. Esse possono rappresentare la volontà dei testatori di chiedere l’intervento di Dio e dei santi per le sorti della propria anima o una semplice formula giuridica, talvolta inserita spontaneamente dal notaio ma che è priva di qualsiasi interesse religioso del testatore stesso. Nei rogiti si osserva la riduzione dei cospicui lasciti e patrimoni a favore degli enti ecclesiastici che invece si ebbero nel XVII e XVIII secolo, a dimostrazione dei cambiamenti del modo di esprimere il sentimento religioso che si ebbero nella comunità in esame. 

Lama dei Peligni, Grotta

Lama dei Peligni, Grotta del Cavallone

I carbonari del luogo e le loro origini famigliari 

L’argomento apparentemente sembra poco in linea con i precedenti. In realtà non è così poiché l’esistenza di carbonari nel luogo oltre a essere un importante fatto storico è anche un importante fatto culturale che documenta cambiamenti di atteggiamenti, valori e trasmissione di modelli mentali e comportamentali in una località con pochi contatti con il mondo esterno poiché periferica e isolata.

Gli ideali liberali e i princìpi di rinnovamento affermatisi con l’Illuminismo, la Rivoluzione francese e il decennio napoleonico; l’insoddisfazione per il regime borbonico e il desiderio di rinnovamento che scaturiva furono le principali cause che nel Regno delle due Sicilie fomentarono il nascere di una forma d’opposizione al potere dominante che all’epoca si espresse con l’iniziale diffusione di società segrete finalizzate a scatenare rivolte per spingere la Casa reale a riconoscere le libertà individuali e concedere una Carta costituzionale. La principale e più importante setta segreta che operò nel Regno fu – come è noto – la carboneria che raccolse adepti nell’esercito, presso la borghesia, l’aristocrazia illuminata, gli studenti, gli intellettuali e parte del clero. Essa con i suoi principi e finalità riuscì a raggiungere anche Lama, nonostante la segretezza che la circondava, le difficoltà di comunicazione esistenti e il suo isolamento geografico. Con molta probabilità questa trasmissione culturale fu favorita dai contatti personali dovuti all’andirivieni che alcuni personaggi facevano tra Lama e le località della Provincia ove la setta aveva attecchito e si erano diffuse gli ideali liberali e democratici.

Lama dei Peligni, Panorama oggi

Lama dei Peligni, Panorama oggi

Un elenco dei carbonari locali risalente agli anni 1830-1834 comprende 18 persone tra cui il parroco Ferdinando Dè Guglielmi e altri soggetti appartenenti alle famiglie locali degli imprenditori lanieri, della borghesia agraria e dei ricchi proprietari terrieri: Amorosi, Bomba, Corazzini, Di Giacomo, Fata, Florio, Leporini, Madonna, Rosato e Verlengia [15]. Alla carboneria e ai suoi ideali era largamente estranea la maggioranza della popolazione costituita in gran parte da contadini analfabeti che in genere non esprimevano convinzioni e tendenze politiche oppure si sentivano emotivamente legati al re, considerato magnanimo, buono, giusto e vicino ai suoi sudditi. Una piccola testimonianza di quest’atteggiamento la fornisce la seguente dichiarazione di una persona anziana che a Lama visse sino ai primi anni del XX secolo: «L’ultimo vero re Franceschiello, quello sì che ci faceva campare bene: dava contributi per le attività laniere. A Lama c’è n’erano due e la gente lavorava, lavorava bene» [16]. Altre testimonianze di fedeltà alla monarchia borbonica sono state fornite allo scrivente da alcuni abitanti del luogo che hanno riferito quanto appreso dai loro antenati. In alcuni casi, dei soggetti hanno riferito che i loro antenati vissuti prima dell’Unità d’Italia dicevano «Se lo sapesse il re» quando vivevano sulla propria pelle momenti d’ingiustizia, oppressione e difficoltà amministrative.

Nel 1848, l’anno delle grandi rivoluzioni europee, a Chieti e Provincia non si registrarono rivolte e atti di violenza. Le vicende rivoluzionarie del Regno furono seguite con entusiasmo, interesse e partecipazione dai simpatizzanti liberali e dai frequentatori di vari circoli intellettuali cittadini. La successiva reazione borbonica coinvolse questi simpatizzanti, quelli di altri Comuni della Provincia e portò a misure restrittive nei confronti di civili ed ecclesiastici. Di conseguenza numerose persone furono sottoposte ad inchieste di polizia poiché sospettate di aver aderito ai moti rivoluzionari o per avere adeguate garanzie sui loro requisiti morali e politici nel caso dovevano ricoprire particolari incarichi. Tra queste, il sacerdote lamese don Filippo Madonna che insegnava al seminario di Chieti e fu oggetto di un’inchiesta poliziesca. Dalle indagini e testimonianze raccolte risultò che Don Filippo era un degno ecclesiastico di condotta morale e politica ineccepibile, e di conseguenza fu scagionato da ogni accusa [17]. Al sacerdote si aggiunsero anche alcuni civili del luogo che dopo il 1848 furono sottoposti a inchieste di polizia seguiti da procedimenti giudiziari. Infatti tra il 1852 e il 1854 furono processati per «Attentato e cospirazione ad oggetto di distruggere e cambiare la forma di governo e a eccitare i sudditi del Regno contro l’Autorità Reale dal 1852 in poi, in Lama», le seguenti persone originarie del Comune suddetto: Di Giacomo Camillo, Di Giacomo Luigi, Bomba Nicola Vincenzo e Verlengia Simone [18]. Questi personaggi erano membri della borghesia agraria locale e non erano riportati nell’elenco dei carbonari del 1830-1834. Con le loro caratteristiche culturali e politiche confermano che nel luogo si erano diffusi elementi delle ideologie democratiche e liberali che caratterizzarono l’epoca. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023 
Note 
[1] «L’Università della Lama in provincia e diocesi di Chieti, fedelissima vassalla della M.V., nell’atto che le umilia i trasporti della sua gioia e gli auguri più felici per il di lei faustissimo ritorno sul trono, supplicando l’espone come esiste nella detta terra un clero ben numeroso di nove preti oltre di 3 altri che stanno mendicando la sussistenza che vive per quanto povero altrettanto disoccupato, giacché dopo aver detto la messa, senza alcuna elemosina non han che fare più colla Chiesa, non dando questa ad essi alcun emolumento. Un tal disordine oltreché degrada i ministri del Santuario, reca danno positivo alla religione che è il sostegno del Trono. Per riparare ad un tanto male e tenere decentemente occupati i Preti, ha modo che servino la Chiesa e che questa dia loro un onesto sostentamento. Ciò può ottenersi purché vi concorra la religiosa volontà della M.V. e la gloria di Dio si promuoverà maggiormente. Vi sono in essa luoghi pii eretti nell’unica matrice chiesa parrocchiale di S. Nicola che sono stati fondati dagli antenati coll’obbligo di mantenere il culto e celebrare per le di loro anime alcune messe. Fintantoché l’amministrazione delle rendite de’ medesimi fu in mano degli ecclesiastici, la Chiesa fu ben servita, il culto si manteneva proprio, le messe furono celebrate e, non mancarono le sacre suppellettili; ma passate nelle mani de’ secolari fu manomessa nella maniera più sacrilega. Non vi è stato amministratore che nella revisione de’ conti non sia restato significato in buone somme, che nommai sono state pagate. Venne quindi il cessato governo che avendo di mira distruggere ogni culto appropriò al Sacrilego suo demanio tale Amministrazione in maniera così distruggitrice, che la Chiesa è rimasta cadente, miserissima di sacri arredi, e le messe non più celebrate, cosicché da quell’epoca fatale che conta dieci anni non si sono riveduti nemmeno i conti agli amministratori che hanno in mano delle buone somme. Oltre di tali fondi vi sono quei pochi restati, che appartengono al Priorato de’ soppressi Celestini, coll’obbligo pure di alcune messe annue che nemmeno sono state celebrate. Il piccolo Monastero sito fuori del paese in qualche distanza è già cadente colla chiesa. Non vi era che un sol Monaco in qualità di Priore. Il medesimo non solo non recava alcun utile alla Religione, ed alle anime, ma né dì festivi toglieva un Prete al paese per far celebrare colà la messa con iscandalo e danno del popolo, avendone altra volta la supplicante chiesta alla M.V, la soppressione cosicché se ne ordinò l’informa, e venne quà persona incaricata a misurare la distanza del Monistero dal paese. Uniti intanto tali beni di Luoghi Pii, cioè del detto Priorato ed assegnati al clero coll’obbligo di mantenere il Culto, soddisfare a tutti i pesi delle messe potrebbe farsi la detta chiesa di S. Nicola Collegiata, ed in tal maniera il clero sarebbe sempre occupato nella salmodia, avrebbe un onesto sostentamento, e si accrescerebbe la Gloria di Dio. Penetrato da tale necessità il religioso barone Don Domenico Carosi di Celano, che tiene alcune Cappellanie con fondi e pesi di messe nella suddetta chiesa ha fatto e fa delle premure di assegnarle a questo clero, purché si formi in Collegiata. Nella supplicante vi sono due parrochi che amministrano i sacramenti nella detta chiesa a’ rispettivi filiani, uno di S. Nicola, e l’altro di S. Pietro, i quali non avendo congrua, vivono miseramente, nè possono tenere economi come apparisce dagli Stati delle loro parrocchie, che il passato Governo fece fare, ricapitati nell’Intendenza, e nella Curia arcivescovile di Chieti colla falsa promessa di migliorare la sorte dei parrochi, credendo così obbligarli a di lui favore. Non vi è mezzo alcuno di supplire a tale mancanza. Coll’entrate però i detti parrochi alla Collegiata verrebbero ad avere altro poco di supplemento alla di loro miseria e tanti coadiutori ne’ Canonici. Ricorre intanto la supplicante a’ piedi della M.V., che siano assegnati al clero i detti Beni de’ Luoghi Pii e del Monistero de’ Celestini per farvi la detta chiesa di S. Nicola Collegiata ed impartire il suo regal Beneplacito per ricorrere al Sommo Pontefice in Roma per la Canonica Istituzione, ed obbligarsi gli Amministratori dei detti Luoghi Pii, a rendere i conti a quelli che l’hanno già reso pagare le significatorie per risarcire la chiesa già cadente, e riprovvederla di Sacri Arredi. Sarà questo un monumento eterno del felice ritorno della M.V. tra i suoi figli specialmente ecclesiastici, finora ed oppressi, ed il tutto at gratia ut Deus». Archivio di Stato di Chieti, Affari Comunali di Lama dei Peligni 1806-1815, busta n. 584.
[2] «Alla Sacra Real Maestà. Il Sindaco, gli eletti e decurioni del Comune di Lama, umilmente prostrati al Regal trono supplicando espongono che è vivo e premuroso il generale desiderio della popolazione di veder costituita in chiesa ricettizia Collegiata quella di S. Nicola, unica parrocchiale di Lama con un clero di nove individui compreso il rettore di esso, e collo stabilimento di una rendita proporzionata per servire di titoli alle sacre ordinazioni a norma delle sapientissime leggi vigenti. I mezzi per creare questa ricettizia esisterebbero: 1) nelle rendite dell’Arcipretura di detto luogo che è vacante ed essendo stata priva di nomina dall’ex Duca di Casoli non lo è più attualmente per mancanza di titoli. Non vi è ora l’arciprete e non esiste chiesa di essa parrocchia, perché cadde è un secolo e più; 2) Nel dippiù delle Rendite dell’attual parrocchia di S. Nicola che il parroco vivente è pronto a mettere nella massa salva per lui la congrua a termini del Concordato.3) Nelle rendite che al culto sono annualmente addette i luoghi pii laicali di Lama di cui gli altari sono dentro la chiesa di S. Nicola e che si spendono per compenso, ora al clero, messe, cera e casi simili; 4) In ciò che il Comune dà attualmente al Clero per feste le quali sono a suo carico, 5) Infine con tutt’altro che potrà essere riconosciuto dal degnissimo Monsignor Arcivescovo di Chieti da cui dipende Lama, idoneo e suscettibile di formare parte della Massa della chiesa ricettizia che si domanda. Il Comune di Lama ha circa tremila anime bisognose di tenere un clero riunito ed occupato per lo suo bene e non come quello che ha negletto e senza compenso il che cagiona la facile sua dispersione e la privazione al pubblico fin delle messe sufficienti in tempo di feste. La popolazione all’incontro va crescendo per la novella strada rotabile che da Palena conduce a Lanciano che traversa Lama dove il Concorso aumentato accrescerà gli abitatori come già apparisce. Vi è in Lama un carcere correzionale sempre pieno di detenuti, vi è pure un’Officina di posta e questi stabilimenti richiamano genti da molti Comuni della Provincia. Tutte queste circostanze rendono necessaria la migliorazione del Culto divino, che il solo parroco attualmente soddisfa con molto disagio. Infine la benefica disposizione V.M. ha fatto pubblicare di creare chiese ricettizie per agevolare gli Ordinandi al sacerdozio, cui mancando tutti o parte dimezzi per costituire il Sacro Patrimonio, è tra le altre la più importante cagione che risveglia ne’ lamesi de’ di cui voti sono interpreti e supplicanti il pio e fervente desiderio di ottenere per la di loro Patria questo favore della Clemenza e della saggezza di M.V. Alla sua pietà quindi rivolti la supplicano per favorire il di loro desiderio certi di incontrare la condiscendenza del sopra datato Monsignor Arcivescovo di Chieti. Lama 21 gennaio 1832, il sindaco Camillo Florio ed i decurioni Basilio Corazzini, Nicola Verlengia, Nicola Madonna, Camillo Cianfarra, Sabino Borrelli, Sebastiano Rosato, Giustino Borrelli, Nicola Rosato e Lorenzo Cianfarra». Archivio della Curia arcivescovile di Chieti, Fondi parrocchiali: Lama dei Peligni, busta n. 797.
[3] Archivio della Curia arcivescovile di Chieti, Fondi parrocchiali: Lama dei Peligni. Informazioni su un matrimonio, busta n. 797.
[4] Archivio della Curia arcivescovile di Chieti, Fondi parrocchiali: Lama dei Peligni, busta n. 797.
[5] «Art. 1: l’importo delle spese di vetture e cibari da Aquila a Chieti, ed indi per simili spese nel ritorno sarà ratizzato sopra tutti i Comuni che riceveranno la S. Missione. Art. 2: Le spese di transito da un Comune all’altro saranno a carico sempre del Comune cui si reca la Compagnia de’ Missionari. All’oggetto i Sindaci saranno preventivamente avvisati della mossa dal P. Superiore. Art. 3: In ciascun Comune de’ suaccennati appena giungerà il presente si riuniranno in Commissione il parroco e il Sindaco con uno de’ principali del Paese e di loro scelta, ma che si distingua per religione e pietà, e provvederanno che sia pronta l’occorrente tanto riguardo ai mezzi di trasporto, quanto al decente alloggio e trattamento della suscritta Compagnia. Art. 4: Nell’insufficienza de’ fondi comunali destinati all’uopo, e derivanti dai residuali onorarii dei Predicatori quaresimali del 1828 e 1830 sarà a cura della mentovata Commessione provveduto al manchevole coi mezzi che la pietà de’ fedeli e divoti benestanti fornirà ad un’opera tanto utile pel miglioramento spirituale delle popolazioni. Chieti, 12 novembre 1831» . Archivio di Stato di Chieti, Affari ecclesiastici, busta n.2, fasc. n. 30.
[6] De Rosa G., Vescovi, popoli e magia nel sud: ricerche di storia socio-religiosa dal XVII al XIX secolo, Guida, Napoli, 1971: 200-203.
[7] Archivio della Curia arcivescovile di Chieti, Sacri Ordini, busta n. 478, fasc. n. 6.
[8] Il patrimonio sacro era la dotazione economica che si assegnava a un aspirante al sacerdozio al fine di garantirgli un decorso sostentamento autonomo in assenza dell’assegnazione di un beneficio ecclesiastico. I beni che lo costituivano erano inalienabili, insequestrabili e alla morte del sacerdote tornavano alla famiglia d’origine.
[9] Il Consiglio generale degli ospizi fu istituito con un decreto del 16 ottobre 1809 e aveva il compito di «soprintendere alle amministrazioni degli stabilimenti di pietà e de’ luoghi pii laicali». Dopo la Restaurazione non furono aboliti e nel 1820, il Ministero degli Interni da cui dipendevano emanò nuove norme sul loro funzionamento. La loro direzione era affidata a un collegio formato dall’Intendente Provinciale, che lo presiedeva, il vescovo del capoluogo di Provincia, tre consiglieri di nomina regia e un segretario.
[10] Si riporta il programma festivo che fu seguito: «Programma per le feste di Gesù Bambino e S. Domenico Abate le quali si celebrano nel Comune di Lama nei giorni 19 e 20 giugno del corrente anno 1825. La chiesa sarà parata con maestosa pompa, e brillerà per mille lumi e cera. Nel giorno 9 giugno si comincerà colla novena, ed in ogni sera al termine di essa vi sarà grato di mostra e suono di tamburi. Nel giorno 18 sparo di mortaj a mattutino, nel mezzogiorno, ed alle 24 suono di Banda musicale, e di tamburi. Alle ore 24 sarà cantato in musica il primo vespro con generale illuminazione della chiesa, e concerto di clarinetto. Ad un’ora di notte illuminazione generale in tutte le strade principali del paese, abbellite di Archi trionfali con lampioni, e nel fine di ciascuna di dette strade sarà veduto con piacere lo splendore di mille lumi concertati. La piazza anche guarnita vagamente di Archi trionfali presenterà un colpo di occhio meraviglioso per mille lumi ad olio graziosamente disposti, e per numerose padelle accese di combustibile. Tutte le abitazioni del paese verranno illuminate con altri tremila lumi a spesa di ciascuna particolare famiglia. A due ore di notte sparo di mortaj, suono di Banda e tamburi, giuochi di fuoco artificiale sulla corda, e razzi volanti. Nel giorno 19 sparo di mortaj, suono di Banda, e tamburi. A mezzogiorno messa solenne pontificale in Musica ed orazione panegirica. Processione nel paese durante la quale saranno sparate a spesa di divote particolari famiglie cinquemila batterie situate in diversi siti in continuazione delle strade, per dover passar dove la processione, ed in guisa concertate, che cessato il fuoco di una, cominci immediatamente quello dell’altra batteria da vicino. Alla fine di esse saranno sparati tremila mortaj in quattro diversi luoghi situati ne’ fianchi dell’abitato, e di prospetto al passaggio della Processione, ma duemila a colpi successivi colla miccia, e mille situati a fuoco di batteria. Alle ore 20 saranno dati alcuni divertimenti, tra quali quelli di una cuccagna. Alle ore 24 sarà cantato in musica il secondo Vespro con generale illuminazione della chiesa, e concerti di violino. Ad un’ora di notte sarà ripetuto il godimento della generale illuminazione delle strade principali, delle piazze e di tutto l’abitato, come pure lo sparo di mortaj, ed il suono della Banda e di tamburi. Sarà chiusa la generale allegrezza di questa giornata col divertimento di un fuoco artificiale preceduto da scherzi di fuoco a corda, di razzi volanti e di bombe. Al mattutino del 20 giugno sparo di mortaj e suono di Banda, e di tamburi. A mezzogiorno messa solenne in musica, orazione panegirica, processione nel paese e sparo di mortaj. Alle ore 20 saranno dati alcuni divertimenti tra quali quello di una seconda cuccagna. Alle ore 24 Vespro solenne in musica, concerto di corno da caccia, e di traverso con generale illuminazione della chiesa. Ad un’ora di notte sarà ripetuta la piacevole illuminazione delle strade, della piazza e dell’abitato collo sparo di mortaj e col suono di Banda e tamburi. Per finale godimento di questo secondo giorno festivo vi saranno scherzi di fuoco artificiale, e sarà innalzato un pallone aerostatico. Il sindaco Gianfelice Di Giacomo, i deputati Nicola Madonna, Nicola Florio, il direttore Antonio Parini, il segretario Gianvincenzo Leporini». Verlengia F., Il Santo Bambino di Lama dei Peligni, Stabilimento Tipografico Mancini, Lanciano (CH), 1957: 49-51.
[11] Verlengia F., Il Santo Bambino di Lama dei Peligni, op. cit.: 30.
[12] Verlengia F., Il Santo Bambino di Lama dei Peligni, op. cit.: 32.
[13] Archivio di Stato di Chieti-Sottosezione di Lanciano, Protocolli rogati dal notaio Ardente Modesto di Lama dal 1788 al 1815, vol. 15.
[14] Archivio di Stato di Chieti-Sottosezione di Lanciano, Repertorio degli atti rogati dal notaio D’Orazio Gennaro di Lama dei Peligni dal 1832 al 1879, volume primo.
 [15] Costantini B., I moti d’Abruzzo dal 1798 al 1860 e il clero. Stab. poligraf. edit. Amoroso, Pescara, 1960:186-187.
 [16] Cinque G. E., Cent’anni sotto la Majella, Ed. Carabba, Lanciano (Ch), 2016: 70-71.
 [17] Archivio di Stato di Chieti, Affari ecclesiastici, busta n. 2, fasc. n. 30.
 [18] Costantini B., Azione e reazione: notizie storico-politiche degli Abruzzi, specialmente di quello chietino, dal 1848 al 1870, Di Sciullo, Chieti, 1902: 343. 

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Amelio Pezzetta, laureato in filosofia all’Università di Trieste è insegnante di Scuola Media in quiescenza. I suoi interessi principali sono la storia locale e le tradizioni popolari dei Comuni della Valle dell’Aventino (Prov. di Chieti, Abruzzo). Ha collaborato e collabora tuttora con importanti riviste del settore tra cui: Aequa, Dada, L’Universo, Palaver, Rivista di Etnografia, Rivista Abruzzese e Valle del Sagittario.

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