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Valorizzazione del patrimonio industriale e agroalimentare: il ruolo degli ecomusei

 

Città dell'arte, Fondazione Pistoletto, Archivio Ecomuseo del Biellese

Città dell’arte, Fondazione Pistoletto, Archivio Ecomuseo del Biellese

il centro in periferia

di Barbara Caneparo, Giuseppe Pidello, Laura Salvetti, Gabriele Varalda  

«La fabbrica non può guardare solo all’indice dei profitti. Deve distribuire ricchezza, cultura, servizi, democrazia. Io penso la fabbrica per l’uomo, non l’uomo per la fabbrica, giusto? Occorre superare le divisioni fra capitale e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura» – Adriano Olivetti

Il saper fare alla base di molte attività produttive piemontesi affonda le sue radici in un humus culturale che risale agli ultimi secoli del Medioevo.

Nel tempo contadini e artigiani hanno saputo adattare le proprie capacità al mutare delle condizioni economiche, produttive e sociali, trasformando e facendo evolvere le produzioni. Se infatti da un lato cambiano i prodotti, che più facilmente seguono e si adattano alle variazioni della domanda del mercato, dall’altro le attività imprenditoriali sviluppate e portate avanti, generazione dopo generazione, possono attingere all’eredità del passato per individuare e definire nuovi strumenti e nuovi modi di produzione.

L’ecomuseo è caratterizzato da un approccio diacronico alla storia del territorio di riferimento. Assume pertanto un ruolo privilegiato come strumento per osservare, studiare e narrare l’evoluzione e l’innovazione nel tempo dei saperi pratici artigianali o agricoli, che grazie alla cultura d’impresa, si fanno industria o filiera agroalimentare di qualità. Vicende molto diverse a seconda delle realtà locali, che hanno portato in certi casi alla cessazione delle attività produttive e dove l’ecomuseo può assumere, oltre al ruolo di testimonianza e narrazione di un passato scomparso, la funzione di conservare, al di fuori delle logiche spietate del mercato, tecniche e saperi altrimenti destinati all’oblio. Come una fiammella che passa di mano in mano, il saper fare è un’energia che deve essere conservata, anche quando apparentemente non ha più rilevanza, perché possa essere utilizzata per riaccendere il fuoco, quando i tempi lo richiederanno.

In altri casi invece la tradizione ha trovato le condizioni per potersi evolvere ed è diventata industria, in grado di competere sui mercati internazionali, innovando i prodotti, le tecniche e rispondendo efficacemente alle sfide dei mercati globali. Anche in questi contesti l’ecomuseo può giocare un ruolo chiave nel richiamare e sottolineare i legami con la tradizione e il territorio. Per aziende e filiere che si sottraggono alla logica spersonalizzante della produzione globalizzata e senza radici, vendere un prodotto è sempre più anche un modo per promuovere il territorio in cui esso viene concepito e in gran parte realizzato.

Così l’ecomuseo contribuisce alla tutela, narrazione e promozione delle realtà industriali e agroalimentari d’eccellenza sul territorio in un’ottica, si potrebbe dire olivettiana, capace di unire comunità e lavoro, industria e agricoltura, produzione e cultura. Di seguito sono presentati i casi di tre ecomusei piemontesi particolarmente esemplari per questo tipo di tematiche: Ecomuseo Anfiteatro Morenico di Ivrea, Ecomuseo del Biellese, Ecomuseo delle Terre d’Acqua. 

logo-ecomuseo-amiEcomuseo Anfiteatro Morenico di Ivrea 

Il rapporto tra ecomuseo e sviluppo locale

L’Ecomuseo Anfiteatro Morenico di Ivrea (AMI) è un’associazione fondata nel 2008 da un’idea di Giuliano Canavese, suo principale ideatore e Presidente fino al 2021, cui aderiscono 21 Comuni e 10 organizzazioni culturali che operano nell’area dell’Anfiteatro Morenico. Obiettivo principale dell’Ecomuseo è quello di salvaguardare e valorizzare il patrimonio naturale e culturale del territorio, utilizzando varie modalità e strumenti. In particolare, l’Ecomuseo AMI si indirizza al patrimonio naturale di elezione, costituito dalla geologia del luogo. È stato svolto un ampio e approfondito studio su questo anfiteatro glaciale quasi intatto, di circa 500 kmq (un unicum a livello internazionale), in collaborazione con il Dipartimento Scienze della Terra dell’Università di Torino. Questo lavoro ha portato a fondare, nel 2015, la cellula “Ecomuseo L’impronta del Ghiacciaio” a Masino (comune di Caravino) che racconta le caratteristiche geologiche e naturalistiche del territorio.

Da un punto di vista culturale (materiale e immateriale) particolare attenzione ed enormi sforzi sono stati profusi nel valorizzare i piccoli e grandi manufatti, presenti in molte comunità dell’area, che hanno perso il loro valore identitario e sono stati lasciati, troppo spesso, in disparte o addirittura dimenticati. Proprio su questo si basa il rapporto tra l’Ecomuseo AMI e lo sviluppo locale. Dal 2011 l’Ecomuseo gestisce, in collaborazione con un gruppo di Comuni associati, la Rete Museale Anfiteatro Morenico Ivrea (AMI) che ha aperto in questi anni, in modo continuativo e puntuale, i siti museali del territorio in gran parte creati negli anni ‘90 dalla Provincia di Torino (progetto Cultura Materiale). Quest’iniziativa ha permesso di rendere fruibile ed accessibile un patrimonio eccezionale che, fino a quel momento, veniva utilizzato solo sporadicamente. Un dato importante: nei primi otto anni di attività il circuito museale ha accolto quasi 42 mila visitatori. Fondamentale per l’Ecomuseo è inoltre creare nuove opportunità per i giovani del territorio; infatti, la Rete Museale AMI, ogni anno coinvolge direttamente giovani del luogo (studenti o inoccupati) che vengono formati e assunti per la gestione dei siti museali nel periodo estivo.

Lo stesso tipo di schema è stato utilizzato dal 2015 per dar vita al circuito delle Chiese Romaniche dell’Anfiteatro Morenico Ivrea. Questo progetto ha permesso, per la prima volta, di aprire e raccontare al pubblico una dozzina di chiese disseminate nell’area di riferimento. Queste due iniziative hanno trasformato i piccoli musei e le chiese romaniche dell’area, prima poco fruibili, in circuiti culturali coordinati in grado di garantire un’effettiva e regolare apertura al pubblico dei siti, avvalendosi delle giovani risorse umane locali.

In sintesi l’Ecomuseo AMI, nella sua decennale attività di valorizzazione del territorio, attraverso le iniziative citate ha avviato da un lato, un processo di conoscenza e riscoperta del patrimonio culturale e naturale all’interno delle comunità locali, dall’altro ha stimolato la curiosità di quei visitatori interessati al connubio ‘cultura – natura’ che contribuiscono allo sviluppo di un turismo eco-compatibile e sostenibile.

 Museo Botega del Frer di  Chiaverano_Archivio Ecomuseo AMI

Museo  La Bottega del Frer di Chiaverano, Archivio Ecomuseo AMI

L’impegno nella valorizzazione dei territori marginali

L’Anfiteatro Morenico di Ivrea si trova al centro di un territorio più vasto denominato Canavese: area storicamente a forte vocazione industriale. Questa zona ha vissuto un recente passato di gloria e di grande successo a livello internazionale grazie alla presenza di una delle più importanti aziende italiane del secolo scorso: la Olivetti.

Nel bene e nel male questa azienda ha per decenni condizionato e indirizzato la vita di tutta la comunità, sia direttamente (dando lavoro, servizi e welfare a migliaia di persone) che indirettamente attraverso l’indotto. Nel momento in cui l’Olivetti ha concluso la sua parabola industriale e quindi ha smesso di essere centrale nell’economia dell’area, il territorio è andato incontro ad una forte crisi socioeconomica. Il processo di rapida deindustrializzazione ha trasformato un territorio centrale con capacità attrattive autonome in un’area marginale interessata da fenomeni di pendolarismo e spopolamento prima sconosciuti. Problemi quali crollo demografico e abbandono del territorio, sono diventati cruciali soprattutto per quelle realtà locali che si trovano nelle aree geografiche più svantaggiate dell’Anfiteatro Morenico.

In questo scenario la conservazione e valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale, con l’obiettivo strategico di attivare flussi di turismo sostenibile, sono oggi considerati, anche dalla classe dirigente locale, strumenti validi per contribuire a creare un modello socio economico alternativo a quello tradizionale. L’Ecomuseo AMI, attraverso le sue iniziative, cerca di dare un contributo attivo proprio in questa direzione coinvolgendo in particolare i giovani del luogo, il cui elevato livello formativo medio rischia di essere uno stimolo in più all’emigrazione verso le grandi aree urbane (Torino, Milano) anziché una risorsa.

Museo La bottega del Frer a Chiaverano (ph. Giorgia Caserio)

Museo La Bottega del Frer a Chiaverano (ph. Giorgia Caserio)

Le problematiche della situazione pandemica

Questi ultimi tre anni hanno messo in difficoltà tantissime associazioni del territorio, costringendone anche alcune alla chiusura temporanea o addirittura alla cessazione delle attività. L’Ecomuseo AMI ha cercato di mantenere le iniziative consolidate cambiando modalità di esecuzione e tipologia di proposte, ma mantenendo sempre saldi gli obiettivi statutari.

Nel primo anno di pandemia l’Ecomuseo, alla luce delle restrizioni per le attività che prevedevano un contatto con il pubblico, ha attivato in collaborazione con i soci una serie di progetti indirizzati allo sviluppo e potenziamento di strumenti (pannelli informativi, audio-video, sito web) per aumentare la visibilità dei siti culturali ed accrescerne il potenziale attrattivo. Nel corso del 2021 le condizioni sanitarie hanno permesso di riaprire al pubblico i luoghi della cultura per cui l’Ecomuseo ha, seppur con mille difficoltà, ripreso le sue iniziative storiche riaprendo al pubblico siti museali e chiese romaniche del territorio durante tutta la stagione estiva.

La pandemia ci ha disabituato alla frequentazione dei luoghi pubblici e ci ha reso, a ragione, diffidenti e restii ad uscire di casa, ma abbiamo ritenuto nostro dovere dare un segnale forte di resilienza e di fiducia, per non perdere tutto ciò che era stato costruito nei dieci anni precedenti. Il 2022 ha visto il ritorno alla (quasi) normalità: i dati parziali ci dicono che si sta tornando al numero di visitatori pre-Covid. Esiste però un fatto positivo: la pandemia ha costretto tutti (e quindi soprattutto gli operatori culturali e turistici) a trovare nuove strade di collaborazione e di fruizione dei contenuti culturali. 

logo-ecomuseo-bielleseEcomuseo del Biellese

L’Ecomuseo del Biellese viene istituito con deliberazione del Consiglio Regionale del Piemonte il 1° marzo 2000 ai sensi della Legge Regionale 31/95; la Provincia di Biella è l’ente gestore e ne fanno parte 15 cellule ecomuseali, a loro volta gestite da enti locali, associazioni, fondazioni. È nato con l’obiettivo di ricomporre e rendere percepibile il processo storico di formazione del distretto industriale che ha fortemente connotato, sotto ogni profilo, il territorio biellese.

Il modello del distretto, infatti, nasce da un processo storico dualistico, che ha visto l’interazione del settore rurale con quello industriale. È stato il mondo rurale a fornire forze lavoro a buon prezzo, insieme a un mercato di sbocco delle produzioni, mentre creava prodotti alimentari e materie prime per gli addetti delle imprese. L’osmosi fra lavoro agricolo e industria manifatturiera ha costituito dunque un fattore decisivo di sviluppo nella fase critica iniziale, quando i costi di macchine e impianti e i limiti del mercato avrebbero potuto rappresentare un ostacolo insuperabile.

L’obiettivo dell’Ecomuseo è recuperare, ricostruire storicamente, tutelare e divulgare gli aspetti più compiuti e autentici di storia e realtà economica locale: il Biellese ha espresso infatti un modello di società aderente ai caratteri fisici e alle risorse dei luoghi e ha conservato una buona qualità ambientale nonostante l’impatto dell’insediamento industriale. L’Ecomuseo del Biellese è quindi un sistema la cui articolazione rispecchia la complessità del territorio di riferimento e la sua storia, le sue tradizioni e le sue trasformazioni. Le cellule ecomuseali, giacimenti di esperienze storiche, ora operano come cantieri e laboratori di conservazione e interpretazione di patrimoni documentari, reperti, pratiche tecniche e modelli socio-culturali e si integrano trasmettendo conoscenze e competenze agli abitanti di oggi.

All’interno e intorno a edifici di grande suggestione evocativa possiamo trovare collezioni di oggetti e utensili e di attrezzature ormai scomparse; itinerari tematici segnalati ci conducono alla scoperta di luoghi rappresentativi delle comunità e ci restituiscono l’intero ciclo di vita e di lavorazione dei prodotti della terra e dell’industria, permettendo un’immersione culturale in luoghi e manufatti che caratterizzano la storia e il presente del territorio. I corsi di formazione, le attività didattiche, le visite guidate, i centri di documentazione, le ricerche, gli archivi, le fotografie, gli ambienti naturali e costruiti rappresentano tanti strumenti diversi per scoprire l’Ecomuseo. E allora si scopre l’importanza di quell’economia rurale, oggi spesso dimenticata, che ha sostenuto e permesso l’insediamento dei primi opifici e poi delle industrie; si scoprono memorie e pratiche tecniche che rappresentano il patrimonio di piccole comunità, differenti l’una dall’altra, ma che hanno permesso di convergere verso uno sviluppo omogeneo.

Centro documentazione lavorazione del ferro a Netro, Archivio Ecomuseo del Biellese (ph. Sergia Caserio)

Centro documentazione lavorazione del ferro a Netro, Archivio Ecomuseo del Biellese (ph. Sergia Caserio)

L’Ecomuseo ha promosso a partire dal 2012 il progetto Rete Museale Biellese con lo scopo di ampliare e coordinare l’offerta culturale locale, coinvolgendo altri 20 siti museali presenti sul territorio e 250 giovani operatori culturali che hanno trovato nel progetto una piccola opportunità di lavoro. Dal 2019 la Rete Museale ha avviato e consolidato il rapporto con Slow Food Travel Montagne Biellesi, rete a cui aderiscono attualmente 50 aziende tra produttori locali, ristoratori e piccole strutture ricettive. A 22 anni di distanza dalla sua nascita l’Ecomuseo del Biellese si è quindi evoluto innanzitutto instaurando nuove relazioni, indirizzando i patrimoni storici materiali e immateriali verso uno sviluppo sostenibile. 

logo-ecomuseo-terre-d_acquaEcomuseo delle Terre d’Acqua 

L’Ecomuseo delle Terre d’Acqua, istituito nel 1999 dalla Regione Piemonte, che ne affidò la gestione alla Provincia di Vercelli, si estende nella vasta pianura vercellese, che è racchiusa dai fiumi Po, Dora Baltea e Sesia ed è caratterizzata dalla presenza della coltivazione del riso, una delle aree più estese a livello europeo. Il riso infatti permea questo territorio rurale che pur nella sua omogeneità, è connotato da molteplici componenti paesaggistico-ambientali, da un insieme variegato di luoghi (grange, mulini, risaie, biotopi, boschi planiziali, opere idrauliche), dalla presenza di un particolare e tutelato patrimonio faunistico, dal sistema di irrigazione dei campi, che lo identificano come unico al mondo.

L’Ecomuseo delle Terre d’Acqua intende promuovere e valorizzare l’ambiente di risaia, testimoniando l’evoluzione del paesaggio e della realtà socio-economica, rafforzando il legame indissolubile dell’uomo con l’ambiente circostante nella continuità con il passato, mettendo in risalto il vercellese in tutta la sua complessità e in tutte le sue sfaccettature. Recentemente, a seguito di una convenzione con la Provincia, il soggetto attuatore delle iniziative e dei progetti dell’Ecomuseo è diventato la Strada del Riso Vercellese di Qualità, associazione che da otto anni si occupa di promuovere il territorio riunendo un centinaio di aziende risicole, alberghi, ristoranti, parchi, musei, enti locali, associazioni economiche e culturali.

Campagna Vercellese_Archivio Ecomuseo Terre d’Acqua

Campagna Vercellese, Archivio Ecomuseo Terre d’Acqua

Negli ultimi anni l’attività dell’Ecomuseo si è notevolmente ridotta, in primis per il passaggio di competenze e personale dalla Provincia alla Regione, e poi a causa della pandemia. Il primo obiettivo per la Strada del Riso è pertanto quello di ricucire le relazioni costruite in passato, ricostituire le cellule ecomuseali e individuarne di potenzialmente nuove tra quelle realtà che negli ultimi tempi hanno autonomamente avviato iniziative di valorizzazione dell’ambiente di risaia e della cultura materiale locale.

Per far questo è stata avviata una fase di ascolto: una serie di incontri per verificare la disponibilità a lavorare con l’Ecomuseo e con le altre cellule in una logica di rete; per capire cosa le singole cellule si aspettano dall’Ecomuseo; per conoscere le attività consolidate e quelle da rilanciare. Al momento le cellule interessate sono una dozzina e sono rappresentative sia dell’ampio territorio di competenza sia delle diverse sfaccettature del patrimonio materiale e immateriale dell’Ecomuseo. Analogamente è in corso una serie di incontri con i soggetti più attivi operanti nel vercellese (Enti, Associazioni, Istituti scolastici, Università, ecc.) e con gli Ecomusei confinanti per valutare eventuali collaborazioni per progetti o iniziative. A conclusione della fase di ascolto, sarà organizzato un momento assembleare di tutte le cellule aderenti con l’obiettivo di cominciare a realizzare un progetto partecipato e condiviso per i prossimi anni.

Chiusa_Archivio Ecomuseo Terre d’Acqua

Chiusa, Archivio Ecomuseo Terre d’Acqua

Al momento stanno emergendo tre filoni principali di interesse:

a) la valorizzazione delle cascine come testimonianza dell’evoluzione della agricoltura, della struttura architettonica in funzione delle necessità aziendali, della vita dei nuclei familiari, dei conflitti sociali e della relazione con l’ambiente circostante;

b) la conoscenza e l’interpretazione del paesaggio nel confronto tra luoghi antropizzati e aree ad elevata biodiversità per comprenderne le trasformazioni, valorizzando e mettendo in rete i Centri di Documentazione e i Musei del Territorio esistenti;

c) la stretta correlazione tra territorio, prodotto agricolo e “saper fare”, attraverso l’approfondimento di professionalità acquisite in loco in merito alla gestione delle acque (gli acquaioli) e all’individuazione delle varietà di riso tipiche del vercellese (selezionatori e ibridatori), evidenziando che la qualità del riso vercellese si è raggiunta grazie anche a manualità e intelligenze formatisi in campo. Fondamentali saranno gli studi già completati, le innovazioni tecnologiche intervenute più recentemente e le testimonianze tratte dal progetto “I granai della memoria”, un’iniziativa dell’Università degli Studi di Scienze Gastronomiche che ha coinvolto il Presidio Slow Food del Riso Gigante di Vercelli.

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022
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Barbara Caneparo, laureata in Lettere con indirizzo artistico, archivista e guida turistica, è Coordinatrice dell’Ecomuseo del Biellese. 
Giuseppe Pidello, architetto, partecipa dal 1997 al recupero dell’ex monastero della Trappa di Sordevolo e coordina attualmente l’Ecomuseo del Biellese e il progetto Rete Museale Biellese. 
Laura Salvetti, laureata in Scienze Biologiche è stata Assessore alla Cultura e al Turismo della Città di Ivrea. Ha ricoperto incarichi di rilievo all’interno della Fondazione Natale Capellaro occupandosi prevalentemente del Museo Tecnologic@mente di Ivrea. Attualmente riveste la carica di Presidente dell’Associazione Anfiteatro Morenico di Ivrea (AMI)
 Gabriele Varalda, è stato dirigente della Provincia di Vercelli e poi della Regione Piemonte occupandosi di ambiente e agricoltura. Ha ricoperto l’incarico di Direttore dell’Associazione Strada del Riso Vercellese di qualità. Ha seguito diversi progetti tra i quali l’avvio dell’Ecomuseo delle Terre d’Acqua, le Reti Ecologiche, EU-RICE (Rete delle Aree Risicole Europee), ECO-RICE (per la valorizzazione della biodiversità delle risaie). Riveste il ruolo di Coordinatore dell’Ecomuseo delle Terre d’Acqua.

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