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Un centenario, wunderkammer di memoria. Esperienza di comunità a Castelbuono

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

il centro in periferia

di Angelo Cucco

Il 1920 è un anno particolare per la piccola comunità di Castelbuono [1], in provincia di Palermo, che, in un periodo non florido, decise di compiere uno sforzo comunitario per acquistare il castello. Una serie di eventi legati alla famiglia principesca dei Ventimiglia, alla sua decadenza ed in particolare all’assenza di eredi diretti, aveva portato l’immobile ad essere incamerato e venduto all’asta pubblica. Il castello di Castelbuono, tuttavia, non era per i cittadini un edificio qualsiasi, non perché tutti ne riconoscessero il valore monumentale e storico – è una coscienza che si svilupperà molto più tardi – ma perché profondamente legato alla cultura del luogo come custode e sacello della Reliquia di Sant’Anna, patrona della città. Una sorta di casa della Santa come verrà più volte ribadito durante le operazioni di questua [2], una dimora sacra. È proprio nel nome della patrona che si percepisce come casa di tutti, casa della festa, casa di memorie collettive, di miracoli e di ringraziamenti. I riti stessi, tra cui le nove processioni patronali, la solenne benedizione dal balcone la sera del 27 luglio, ma anche la celebrazione dei martedì dell’anno e lo scioglimento dei voti, avevano quasi obbligato, nei secoli, lo sguardo di Castelbuono verso il castello che, da luogo di potere diventava emblema di protezione, di affidamento.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

L’intera struttura finisce con l’identificarsi con la barocca Cappella Palatina ed è proprio la sua presenza all’ultimo piano a spingere la cittadinanza all’azione, guidata e coordinata dall’allora sindaco Raimondi e dall’assessore Bruno. L’idea, maturata a partire dal 1916, era quella di raccogliere sia offerte in denaro che prodotti alimentari rivendibili oltre che oggetti. Un’apposita commissione si occupò di ricevere le oblazioni appuntando tutti i nomi dei donatori in un registro che, oggi, costituisce la più bella testimonianza documentaria di quegli anni; in una o più cassettine raccolsero le offerte spontanee, anonime. Ingenti somme di denaro furono inviate dall’America, dove un gruppo di castelbuonesi emigrati, decise di costituire un’associazione per raccogliere fondi per la causa. Il contributo economico, sicuramente importante, è solo uno degli aspetti che rendono la partecipazione dei castelbuonesi d’America rilevante: la loro “vicinanza” consentì di rimarcare la loro appartenenza al paese, ad una comunità che, benché lontana, ancora li legava indissolubilmente. Lo scherzoso titolo della rubrica sugli emigrati presente nel giornale locale “il Bancarello” che avrebbe aperto le sue edizioni nel 1921, non poteva che prendere atto di questo forte senso di coesione con la madre patria eleggendo le comunità d’oltreoceano a “le nostre colonie d’America”.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

Riassumendo, nel 1920, l’acquisto del castello con le sue rocambolesche vicende, consentì di creare quella forma di appartenenza e identità che Alfredo La Grua teorizzerà nel termine castelbuonesità. Cento anni dopo, lo sguardo dei castelbuonesi verso il maniero non è venuto meno, si è senza dubbio modificato, lo ha accolto anche come monumento e ne ha fatto il fiore all’occhiello dell’offerta turistica e culturale, ma non ha perso l’aspetto sacro che gli ha consentito di essere acquistato. Due anime dunque che convivono e si intrecciano consentendogli uno status diverso nel comune sentire: il castello è il luogo dell’identità castelbuonese, è un sacrario di ognuno e per ognuno. Queste considerazioni emergono forti e stabili anche nelle più giovani generazioni e hanno consentito al Museo Civico che, non a caso, ha la propria sede all’interno del Castello, di intraprendere il cammino su un progetto di comunità che celebrasse il centenario come una grande opera d’arte collettiva fatta di eventi e di collaborazione e che ridestasse l’attenzione sul Bene Comune.

“Il castello è nostro” è il titolo dato al primo incontro svoltosi il 5 aprile 2019 in cui, la curatrice Maria Rosa Sossai, la direttrice Laura Barreca e lo scrivente, hanno presentato il progetto alla cittadinanza ed è stato subito palese, dalle parole del sindaco agli interventi dei numerosi partecipanti, che non vi potesse essere altro modo di definire il rapporto della cittadinanza con il castello: lo si sente proprio. Un bene comune sia fisico che metaforico, un bene di cui si parla con il cuore. A cento anni di distanza, quando non c’è più nessuno degli antichi donatori, il ricordo è rimasto indelebile tramandato oralmente da padre in figlio.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

In quel Nostro, Castelbuono ha raccolto tutti i suoi figli, presenti, passati e futuri e il Museo Civico non poteva che agevolare questo canale d’amore proponendosi l’obiettivo di essere un museo vero nel senso dato al termine da Pietro Clemente [3] andando oltre la figura culturale attribuitagli [4]. Il progetto delle celebrazioni ha dovuto tenere dunque conto di questa forte affezione e grazie a diversi incontri partecipativi con le associazioni e i singoli, si è riusciti a concretizzare un programma che se da un lato rispettava aspetti celebrativi, dall’altro si occupava di porre al centro la riflessione sul rinnovamento dell’idea di comunità e di beni della collettività.

Il Museo, forte del suo mandato comunitario, ha guardato al territorio e alla sua storia per imprimere nelle coscienze la memoria e rinvigorire la partecipazione attiva nei “fatti culturali”, dimostrando come l’arte contemporanea non sia soltanto fatta di oggetti da esporre ma anche di esperienze collettive da condividere. Proprio partendo da questo principio e dall’idea che l’incontro crei sempre luoghi, ci si è impegnati in una lunga serie di appuntamenti per conoscere i futuri attori delle celebrazioni. Volutamente, si è abbandonata la formalità condividendo pasti, spuntini, caffè e passeggiate che hanno consentito di entrare in stretta sintonia, intrecciare legami e rapporti umani.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

D’altronde il Museo non può e non deve rimanere un ente astratto e chiuso all’interno di un edificio ma, fatto di persone, deve andare incontro alle persone e aprirsi al paese. A sorprenderci sono stati i ragazzi delle scuole di ogni ordine e grado che non solo si sono dimostrati entusiasti delle idee proposte ma che ci hanno confermato, immediatamente, la permanenza dell’idea identitaria del castello e dello straordinario legame tra il monumento e il culto cittadino di Sant’Anna.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

L’emergenza Covid, che ha bloccato e rimandato parte delle celebrazioni, non ha reso possibile la realizzazione di tutti i progetti che le varie associazioni avevano messo in campo; diverse conferenze che hanno come fine l’estendere l’idea del bene comune, sono state rinviate all’estate e all’autunno [5], l’infiorata o gli spettacoli hanno invece subìto ulteriori rimandi al 2021. Si è tuttavia potuta aprire al pubblico la “Stanza delle meraviglie” un vero e proprio esperimento d’arte e memoria che costituisce l’emblema di questo centenario. Si è chiesto ai castelbuonesi di portare al castello oggetti che custodissero memorie personali e comuni legate alla storia del paese e che, idealmente come la questua del 1920, potessero raccogliere frammenti di identità da ricomporre in una nuova narrazione che la comunità fa di se stessa appropriandosene. Il rito della questua non poteva e non doveva essere sottovalutato sia per i suoi aspetti squisitamente antropologici di accomunamento e di legame sia per il forte valore simbolico che alla questua storica è a tutt’ora attribuito tanto da assurgere ad uno di quei miti di cui si va fieri al pari della fondazione stessa del paese. Se nel 1920 il gesto dell’offerta servì a riconoscersi castelbuonesi e dunque appartenenti alla stessa identità sociale di cui è espressione totemica la figura di Sant’Anna, la nuova raccolta serve a rispolverare l’idea stessa di comunità e di innescare processi positivi nella riscoperta della cooperazione e dell’interazione.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

Più di 200 oggetti di varia natura sono la risposta all’appello. Oggetti appartenenti ad aree semantiche diverse ma che, custodi di storie collettive e di affezioni individuali, si ritrovano a condividere gli stessi spazi. La loro esposizione, curata in particolare da Pietro Airoldi, ha voluto in parte simulare una moderna wunderkammer, in cui ogni opera stupisce sia per la sua presenza che per il modo in cui è esposta; ma ha anche voluto sperimentare una sorta di capsula del tempo in cui gli oggetti diventano tracce di racconto per il futuro, quasi un testamento fisico.

Una rete di correlazioni, rimandi, antitesi ritesse il filo della memoria e, tramite presenze e assenze, ci mostra cosa i castelbuonesi ritengono importante, cosa vogliono affidare alle prossime generazioni ma anche cosa si dà per scontato e cosa si esclude. In un collage di epoche e colori, gli abitini confraternali, registratori di cassa, scarpette dell’Ottocento, un castello di cioccolato e strumenti del lavoro agro-pastorale e artigianale convivono e dialogano con libri, animali impagliati, timbri, vestiti, reperti, oggetti curiosi e fotografie. Sembra di potervi intravedere il genius loci auspicato da Pietro Clemente per tutti i musei [6], un’anima locale ricomposta da oggetti capace di entrare in rapporto con il mondo senza perdere la propria particolarità, anzi affermandosi davanti al mondo in un gioco di micro e macro, di chi si mostra e chi osserva.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

Uno strano turbinìo di storia e di storie che però non lascia l’osservatore inerte e passivo. Complice l’illuminazione, l’esposizione, la grande scatola grigia e la cardinalizia moquette, chi visita la “Stanza delle meraviglie” se ne sente parte e, esprimendo il suo parere, ri-accostando a modo proprio gli oggetti, interrogandoli, se ne appropria e comunica altri e nuovi significati, così che, parafrasando Clemente, l’allestimento è l’esperienza nuova che chi accede sta per fare [7].

Il visitatore è dunque chiamato in causa in prima persona anche quando accede alla stanza senza la mediazione di una guida. Le reazioni raccolte e i commenti su questo piccolo sacrario di memorie consentono ulteriori spunti per la riflessione, è il caso, ad esempio di chi rivaluta oggetti propri alla luce di quelli che ha visto esposti riattribuendovi valore sia storico che affettivo. “Anche io ho qualcosa di simile, dovrei ripescarlo dalla cantina” e attraverso il racconto di un cucchiaio di legno intagliato da un pastore ritornano alla mente una miriade di oggetti abbandonati. Un’esposizione diversa, probabilmente, riesce a dissimulare la scorretta idea di stantìo legata agli oggetti musealizzati ricontestualizzandoli. L’oggetto che non è in vetrina con propria didascalia e ha intorno manufatti di tutt’altra natura perché parte di un’opera d’arte, non è ignorato, anzi suscita curiosità e, in modo diverso, conduce alla conoscenza.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

In questo senso l’intero progetto “L’Asta del 1920” rientra a pieno titolo nelle iniziative legate al “Manifesto dei musei dei piccoli borghi” [8], una proposta in dieci punti che ripropone l’importanza, soprattutto nelle piccole comunità, dei musei non solo come custodi del patrimonio materiale e immateriale ma anche come dispositivo di produzione culturale e di relazioni con il territorio e per il territorio; i musei si pongono dunque come luoghi per lo sviluppo e la rigenerazione delle comunità di cui non sono “ospiti” o relitti in cui relegare le scorie del passato ma vere presenze vive capaci di innovazione e condivisione.

Il museo del piccolo borgo diventa strategico proprio per la sua anima locale, per il senso di radicamento, per la sua attrattività turistica e può, progredendo con nuove strategie, concorrere allo sviluppo umano delle persone quanto all’accrescere del valore culturale del borgo. Il museo così interpretato deve necessariamente sconfinare dalla sua sede fisica ed è interlocutore per le politiche culturali e artistiche, luogo di mediazione e incontro tra artisti e comunità locale, deve necessariamente conoscere ed amare il territorio su cui si innesta, perché quella realtà non sia soltanto la base di partenza ma anche il terreno fertile di vitalità e creatività.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

La Stanza delle Meraviglie nel Castello di Castelbuono così come l’intero progetto, potrebbero essere interpretati come l’espressione pratica dei dieci punti che trovano, in germe, conferma dalla reazione della comunità castelbuonese e non solo.

I visitatori castelbuonesi [9], molti commossi, ripercorrono la storie del borgo, aggiungono aneddoti, ricordano volti e nomi, si dispiacciono di non aver pensato di portare qualche altro oggetto,  ricostruiscono nella memoria luoghi e personaggi, specialmente quando nei gruppetti da cinque si incontrano generazioni diverse, ne riparlano anche lasciando la stanza, si crea un flusso di ricordi che travalica le possenti mura del castello e genera quei particolari meccanismi legati alla presentificazione del passato, al bisogno di conservarne frammenti significativi quantomeno scrivendone.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

Gli emigrati, tornati in paese per le vacanze estive, hanno particolarmente apprezzato l’iniziativa riconoscendovi un forte senso di appartenenza, di riscoperta delle radici in un modo nuovo, meno didascalico. Alcuni alunni del Liceo Scientifico di Castelbuono, prenotata spontaneamente una visita guidata, hanno forse lasciato la traccia più bella terminata l’esperienza: si sono accorti, attraverso gli oggetti, che Castelbuono non è stata soltanto la patria di nomi altisonanti, nobili e baroni ma lo è soprattutto di artigiani, pastori e contadini più o meno anonimi che lungo il corso della storia sono stati protagonisti di micro-storie che hanno reso vivo il paese. La maggior parte dei visitatori ha solo un cruccio: che sia un’esposizione temporanea. La paura è per il “dopo camera delle meraviglie”, di una dispersione tanto degli oggetti che di tutto ciò che hanno simboleggiato. L’unica soluzione possibile sembrerebbe una camera virtuale in cui, oggetti d’affezione, possano diventare patrimonio condiviso, quasi un Bene Comune ma con altre caratteristiche [10].

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

Similmente, i visitatori non castelbuonesi, si sono ritrovati immersi nel cuore di “una storia d’amore lunga un secolo”, hanno intuito di stare accarezzando con gli occhi lo spirito pubblico e civico degli abitanti e hanno rilevato l’importanza degli oggetti per ritessere la memoria ponendola significativamente accanto all’idea che tramite essi e tramite la loro presenza in una Camera di questo tipo si possa leggere il racconto che Castelbuono fa di sé.

L’arrivo di turisti, solitamente notevole a Castelbuono, ha subìto un’ovvia flessione a causa dell’emergenza sanitaria, tuttavia la capillare informazione curata dal Museo Civico e la positiva attenzione mediatica (Repubblica Palermo, la Lettura del Corriere della Sera, Elle, Artribune, AGCult, Rai Radio3 suite solo per citarne alcuni) su questo particolare progetto di comunità ha attirato curiosi e appassionati da tutta l’Isola e non solo, confermando il museo un catalizzatore culturale e turistico rilevante nel panorama cittadino.

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Castelbuono, La Stanza delle meraviglie (ph. Marco Madonia)

«Nel solco della Storia ma anche del percorso culturale del museo» commenta Valentina Bruschi, responsabile delle mostre e della ricerca scientifica. L’opera d’arte, non più statica, diventa vissuta, condivisa. Non un mero numero di oggetti consegnati alla vista e alla memoria, ma un insieme di possibili associazioni e, grazie alle visite guidate realizzate, un nuovo luogo di incontro e condivisione. Il racconto torna ad essere veicolo, la narrazione si fa mezzo di stupore: rinasce una meraviglia diversa tra ricordi e scoperte. Il Covid, che ci ha tanto limitato, ci ha forse fatto anche un piccolo regalo: la necessità di far accedere solo cinque persone per volta, ha consentito alla magia della memoria di avvolgere i fruitori, ad uno ad uno. E se da un lato si cercano oggetti conosciuti, dall’altro ci si incuriosisce per le strane storie legate ad un fuso, alla targa contro l’immondizia del 1793, ad una toletta o un piatto con la particolare scritta Otollo.

Dialoghi Mediterranei, n. 46, novembre 2020
Note
[1] Castelbuono è un centro delle Madonie di circa 8500 abitanti (dati provvisori Istat 2019) che soffre del generalizzato problema dello spopolamento per motivi di lavoro, molti sono i giovani che lasciano il paese dopo essersi diplomati (soprattutto nell’ambito alberghiero) o laureati. L’economia locale si basa essenzialmente sul turismo e i relativi servizi (B&B, agriturismi, ristorazione, servizi accessori); negli anni la destagionalizzazione dei flussi ha consentito la nascita e la crescita di numerose attività. Importante è il ruolo giocato dai lavoratori nel comparto enogastronomico, nel settore legato alla produzione alimentare e alla rivendita (in particolare un’azienda di prodotti da forno, conosciuta soprattutto per i panettoni, con esportazione internazionale e due biscottifici che stanno gradualmente crescendo nel panorama isolano). Resiste ancora il settore edile benché provato. Sempre meno influenti nell’economia locale l’agricoltura e la pastorizia, un tempo perno della cittadina, mentre acquista notevole rilievo il lavoro dei pendolari.
[2] Le operazioni di questua previdero anche la processione straordinaria del busto reliquiario, una sorta di porta a porta effettuato “direttamente” dalla Santa presentata come la vera questuante per l’acquisto della propria casa “Sant’Anna va limusinannu ppi accattarisi a casa”. Analizzando più approfonditamente gli stratagemmi messi in campo sarà possibile rintracciarne la matrice nelle operazioni di questue festive e rituali analizzate da Ignazio Buttitta. (Cfr. I morti in questua. Figure dell’alterità nei riti tradizionali del meridione d’Italia, in Carmen Dӑrӑbuş, Strӑinul, schițӑ imalogicӑ, Editura Universitaµi de Nord, Baia Mare, 2009: 15-32).
[3] Cfr. Silvia Dell’Orso, Musei e territorio, una scommessa italiana, Electa per le Belle Arti, 2009 pp. 169-189
[4] Cfr. Pietro Clemente, I musei, tra nuove missioni e vecchie immagini. Orhan Pamuk, Claudio Magris, e il senso comune, in “Dialoghi Mediterranei”, n.21, settembre 2016
[5] Tra le altre, il Museo Civico ha organizzato la presentazione del libro Pulcherrima Civitas Castriboni del prof. Orazio Cancila, ha curato la pubblicazione di alcuni ebook sul tema Asta 1920, ha organizzato gli incontri “Scambiarsi le arti. Arte e Antropologia”, conversazione tra Anna Castelli e Franco La Cecla; L’universo in una stanza”, conversazione con Giulia Carciotto e Maria Rosa Sossai sul tema e la storia delle “Wunderkammer” o stanze delle meraviglie; ha organizzato, insieme ad Angelo Ciolino e Martino Spallino, il convegno “100 anni dall’acquisto del castello”. In collaborazione con il Concorso Internazionale di Fotografia Città di Castelbuono una sezione della mostra dedicata alla memoria del paese. In collaborazione con il Centro Polis una mostra di fotografie sul castello con relativa conferenza sull’importanza e limiti di questo mezzo per tramandare la memoria. In collaborazione con l’Accademia dei Curiosi tre incontri titolati “i luoghi del Bene” su tre edifici sacri (Annunziata, Madonna della Catena e Matrice Vecchia) su cui è necessario puntare l’attenzione. In collaborazione con la Biblioteca Comunale un incontro sul complesso monumentale della Badia. In collaborazione con Gli Amici del Museo due incontri sulla struttura castello, la sua storia e l’influenza nel comprensorio.
[6] Cfr. Silvia Dell’Orso, Musei e territorio, una scommessa italiana, Electa per le Belle Arti, 2009:168-169
[7] Ivi: 170
[8] Elaborato da Laura Barreca, Valentina Bruschi, Francesco La Cecla, Maria Rosa Sossai e Vincenzo Vignieri (Museo Civico Castelbuono, 2020)
[9] Il Museo Civico ha scelto di offrire, per tutta la durata dei festeggiamenti del centenario, la gratuità a tutti i castelbuonesi residenti e ai castelbuonesi di ritorno come ulteriore forma di riappropriazione degli spazi del castello che, in tempi normali, è favorita dalla riduzione del biglietto d’ingresso.
[10] Fino ad ora il MUVI (Museo Virtuale della memoria collettiva di Castelbuono) gestito dal Centropolis si è occupato soprattutto di fotografie d’epoca e di qualche testimonianza documentaria, sarebbe auspicabile che, raccogliendo l’esperienza del centenario e coadiuvato dal Museo Civico, si interessi della virtualizzazione degli oggetti della Camera delle Meraviglie, magari ampliandola con nuove “donazioni virtuali” corredate da storie e memorie personali.

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Angelo Cucco, laureato in beni demoetnoantropologici e specializzato in Studi storici, antropologici. e geografici, collabora con diversi siti internet e con associazioni locali per diffondere la conoscenza del patrimonio immateriale siciliano (www.isolainfesta.it, www.castelbuono.org, www.terradamare.org). Ha partecipato come relatore a diversi convegni sulla valorizzazione delle feste e delle tradizioni popolari.

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