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Tre significative raccolte di storie popolari marocchine

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Contastorie Jemaa el Fna, Marrakech, 1984

di Erika Scopelliti

Molti autori, soprattutto nel corso degli ultimi due secoli, si sono cimentati nella raccolta di narrazioni popolari del Marocco. Durante il protettorato spagnolo in Marocco (1912-1956) sono stati attuati diversi tentativi di riunire le varie storie in un unico testo, senza, tuttavia, riuscire a creare un corpus completo. Nel corso dei miei studi mi sono trovata a leggere e analizzare diversi di questi testi, scritti in varie lingue, ognuno con un carattere peculiare. Tra le varie raccolte, le tre presentate di seguito hanno, per varie ragioni, avuto un peso particolare nel mio progetto di ricerca volto a conoscere al meglio il patrimonio culturale che questi racconti rappresentano per il Marocco.

 Françoise Légey, Contes et légendes populaires du Maroc

Françoise Légey nacque a Costantina in Algeria e studiò medicina a Parigi. Arrivò in Marocco nel 1910 come funzionaria del Ministero degli Affari esteri francese, per rimanervi poi come medico dell’assistenza pubblica. Grazie a questo lavoro ebbe la possibilità di condurre una ricerca sulla tradizione orale e il folklore nordafricano. Quando pubblicò Contes et légendes populaires du Maroc: recueillis à Marrakech par la Doctoresse Légey viveva in Marocco già da quindici, ciò le aveva permesso di raccogliere molte informazioni sul tema che le interessava. Il risultato delle sue ricerche fu un lavoro notevole per quell’epoca che ampliò il panorama dei racconti tradizionali facendoli conoscere ai francofoni.

Nel suo primo viaggio a Marrakech, nel 1909, scrisse Notes de Route. Voyage à Marrakech, apparso ad Algeri come un libretto di venti pagine pubblicato dalla casa editrice P. Crescenzo, Voûtes Bastion Nord. Si impegnò sin da subito nella lotta per la dignità delle donne arabe, l’abolizione della schiavitù e del sistema degli harem, argomenti dei quali scrisse il New York Times nel 1913 con titolo Pleads for Release of Moroccan Women; French Woman Tells of Cruelties and Oppressions Due to Slavery and the Harem System. Parlando l’arabo perfettamente, Françoise Légey scrisse sulla sua conoscenza del Marocco in due opere pubblicate nel 1926: Essai de Folklore marocain, con una prefazione del generale Lyautey, e Contes et légendes populaires du Maroc: recueillis à Marrakech par la Doctoresse Légey, edito da l’Institut des hautes études marocaines.

Dal punto di vista strutturale, la raccolta è divisa in tre sezioni: la prima denominata Contes merveilleux contiene 57 storie, la seconda, Contes d’animaux, ne presenta 17 e, infine, Légendes hagiographiques 19, per un totale di 93 storie. La prima edizione, come abbiamo detto, risale al 1926. Quest’ultima opera è stata riedita nel 2000, tradotta in inglese da Lucy Holtz e in spagnolo da Antonio Gonzáles Beltrán. Marrakech, fino all’indipendenza, possedeva una strada a lei dedicata, ribattezzata in seguito Rue de Tetouan.

1L’autrice conferma l’autenticità delle sue fonti e descrive il processo di raccolta e traduzione da lei utilizzato per le varie storie, dichiarando che: «[…] la version que je donne est aussi près que possible du conte entendu». I suoi contastorie la videro tradurre in francese a mano a mano che la storia le veniva raccontata, per ritradurla, successivamente, in arabo per assicurarsi della sua corretta comprensione. Madame Légey perseguiva l’obiettivo di trasmettere la cultura marocchina e preservare il patrimonio culturale di questo Paese. Tutto ciò avvenne molto prima che la piazza Jāma‘ Al Fnā’ fosse posta sotto la salvaguardia dell’UNESCO.

Madame Légey afferma di aver raccolto tutte le sue storie a Marrakech: non solo ascoltò i cantastorie pubblici nei principali harem e nella piazza Jāma‘ Al Fnā’, ma alcuni di essi si recarono nel suo studio privato per raccontare. Sostiene che raccogliere le storie dalla piazza fu davvero difficile a causa dei rumori e delle varie interruzioni. La maggior parte dei racconti le furono narrati negli harem da schiave senza istruzione che non avevano mai avuto contatto con la cultura europea.

Tra i contastorie annovera uomini e donne, tra quest’ultime cita Lalla Ourqiya che viveva nella casa delle mogli di Sidi Bel ‘Abbès, un luogo dedicato alle vedove. Lalla Ourqiya, già in età avanzata, soleva girare per i diversi harem raccontando storie. A giudizio di Madame Légey possedeva una memoria straordinaria e infallibile e raccontava con grazia, intelligenza e raffinatezza. Altre contastorie donna da lei menzionate sono due schiave del sultano Moulay Hasan: Jema‘a e Zahra. Il sultano amava i racconti e la sera soleva riunire le sue schiave nel palazzo dell’Aguedal di Marrakech. Così, seduto su tappeti di lusso e circondato da donne, ascoltava le storie della sua contastorie preferita, l’antica concubina di suo padre. Lei aveva un repertorio immenso e le schiave più giovani ascoltavano, imparavano e, a loro volta, ripetevano.

Nella sua raccolta, Madame Légey non trascrive le formule di apertura e chiusura, per non affaticare il lettore, ma nell’introduzione spiega come alcune di esse siano strettamente legate all’Islam come, per esempio, il classico “C’era una volta…”, ma anche il più soprannaturale “All’epoca quando i ciechi cucivano e i paralitici saltavano dai muri”. Tra le formule utilizzate per terminare i racconti cita invece “È uscito da un cestino di mele del paradiso, che ognuno me ne dia una” o ancora “La mia storia parte a filo d’acqua, e io resto con le nobili genti che mi hanno ascoltato”.

Madame Légey descrive inoltre i metodi che i contastorie utilizzavano per attirare il pubblico, o raccogliere il denaro. Se, ad esempio, la prima moneta veniva gettata da un cristiano, il contastorie chiamava i musulmani ad essere più generosi di lui, o invocava i santi patroni della città.

La dottoressa Légey ha esercitato la professione in Marocco dal 1910 per più di 25 anni e ha contribuito alla costruzione di ospedali di maternità in varie zone del Paese. Raccogliendo racconti e leggende da diverse fonti, traducendole e pubblicandole, ha dato la possibilità ai francofoni di aprire gli occhi su un’intera nazione. Definendosi un’apprendista folklorista, Madame Légey ha in verità salvaguardato un ricchissimo patrimonio culturale di tradizioni orali e popolari che sarebbe andato perduto.

2Jilali El Koudia, Moroccan Folktales

Jilali El Koudia è professore di inglese e letterature comparate all’università Sidi Mohammed ben Abdallah di Fes, in Marocco. I suoi studi lo hanno da sempre reso un appassionato di racconti popolari. La sua è una collezione di storie raccolte in diverse città del Marocco come Tetouan, Al Hoceima, Marrakech, Taza, Fes e Tahanout, pubblicata nel 2003. I racconti sono stati tradotti in inglese da Jilali El Koudia e Roger Allen e l’analisi critica è stata effettuata da Hasan M. El Shamy.

Le storie erano un tesoro di cui, in passato, le donne erano detentrici nell’ambito familiare. Jilali El Koudia ascoltava la madre raccontarne, all’epoca una delle poche forme di svago all’interno delle pareti domestiche. Pertanto è quest’ultima la principale fonte dei suoi racconti.

Negli ultimi anni l’autore ha elaborato un processo di trascrizione e rielaborazione e, successivamente, di traduzione in inglese delle storie di sua madre ma anche di altre donne contastorie in giro per il Marocco. Molte delle fonti hanno raccontato le stesse storie ma in versioni diverse.

Moroccan Folktales è una collezione contenente 34 racconti indipendenti, tutti riscritti da El Koudia a seguito della rielaborazione delle trascrizioni effettuate grazie alle registrazioni delle storie raccontate dalle varie donne della sua famiglia e non. Uno degli obiettivi del suo lavoro è far prendere coscienza dell’attuale situazione dei contastorie e incoraggiare la compilazione di opere simili.

Nell’analisi dei racconti in appendice della raccolta, Hasan M. El Shamy ne propone anche un esempio di classificazione seguendo l’indice di Aarne e Thompson, The Types of the Folktale: a Classification and Bibliography (1964). In Moroccan Folktales troviamo tre animal tales ma la maggioranza delle storie appartiene al genere zaubermärchen, chiamato anche ordinary folktales/ tales of magic/ tales expressing fantasy. Queste sono storie costituite da più episodi, avventurose e ricche di elementi magici e soprannaturali che le rendono inverosimili con lo scopo principale di dilettare l’ascoltatore. La raccolta presenta inoltre due testi, probabilmente leggende locali, in cui sono descritti eventi che si suppone siano realmente avvenuti nel passato. Ci sono anche degli esempi di formula tale, narrazioni dal contenuto semplice generalmente riadattate nella forma di presentazione viva recitata. In questa antologia mancano, però, tipologie di racconti letterari come quelli de Le Mille e una Notte o Kalila wa Dimna.

3Richard Hamilton, The Last Storytellers

Richard Hamilton ha lavorato come giornalista per la BBC sin dal 1998, e come corrispondente dal Marocco, Sudafrica e Madagascar. Ha scritto per varie riviste e, durante il suo soggiorno a Marrakech, ha collaborato alla scrittura di Time Out. Guide to Marrakech.

The Last Storytellers. Tales from the Heart of Morocco è stato scritto in tre anni, dal 2006 al 2009. Richard Hamilton ha registrato i racconti in dārija da contastorie da lui incontrati grazie all’aiuto della guida Ahmed Tija. Ahmed ha operato una traduzione simultanea, anch’essa registrata. A Londra l’autore ha poi rifinito le storie migliorandone l’inglese e la fluidità narrativa cercando di mantenere la trama originale, ma con aggiunte formali.

Il libro The Last Storytellers. Tales from the Heart of Morocco è una collezione di storie, miti e leggende pubblicata nel 2011. Si tratta di una raccolta di 39 storie, tradotte in inglese, rilevate da cinque diversi contastorie a Marrakech. Il testo contiene nove storie di Abderrahim El Makkouri , undici di Mohamed El Jabri, nove di Ahmed Temiicha, due di Mohamed Bariz e otto di Mustapha Khal Layoun. I vari racconti non sono classificati per genere, sebbene, nella parte introduttiva, l’autore parli di vari tentativi di suddivisione operati da altri autori in diverse raccolte.

Nell’introduzione Richard Hamilton ci racconta che quando, per la prima volta, sentì parlare dei contastorie in piazza Jāma‘ Al Fnā’ ne fu immediatamente affascinato e fu subito mosso dalla curiosità di saperne di più. Durante la sua prima visita alla piazza incontrò Mohamed El Jabri, contastorie da 45 anni, che intervistò per la BBC. Egli raccontò la storia della sua vita: gli inizi, la disapprovazione della famiglia e di come imparò a memoria Le Mille e una Notte.

Incontrò in seguito Abderrahim El Makkouri, un uomo alto che portava il fes, chiamato El Azaliya, che nell’ora del tramonto raccontava storie in piazza Jāma‘ Al Fnā’. Lo faceva dall’età di dodici anni e le aveva imparato da bambino in gran parte dalla nonna, che lo aveva cresciuto e gli aveva trasmesso l’amore per le storie. Hamilton definisce il suo stile diretto e teatrale, con un’ampia estensione vocale, «inizia una storia in sussurro e finisce in grida». Anch’egli raccontò i suoi esordi, le difficoltà familiari, il vagabondaggio da un posto all’altro e l’aver appreso le storie in piazza, ascoltando altri contastorie. Imparò a memoria il poema epico Azaliya e lo recitava così spesso che per questo ne ottenne il soprannome. Hamilton, nell’introduzione, ci dice che passò diversi pomeriggi ad ascoltare Abderrahim e che un giorno egli iniziò una storia con: “Once upon a time in ancient Bagdad…”, ma Hamilton lo interruppe chiedendogli che gli narrasse una storia tipica e conosciuta in Marocco. Abderrahim, guardandolo con circospezione, gli disse che avrebbe ricominciato e così, questa volta, iniziò dicendo: “Once upon a time in Marrakech…”. Richard Hamilton capì, allora, come le storie possiedono una versatilità senza eguali e che, mentre il “core” rimane immutato, tutti gli altri elementi si possono, con maestria, adattare per accontentare i gusti dell’ascoltatore.

Richard Hamilton durante le sue ricerche si rese personalmente conto della velocità con la quale i contastorie stavano drasticamente diminuendo. Raccolse quindi altre storie, anche da narratori che non lavoravano in piazza, uno di loro era chiamato Mustafa Khal Layoun. Egli leggeva storie in arabo e le traduceva simultaneamente in dārija per coloro che non sapevano leggere.

Nel suo viaggio successivo Hamilton incontrò Mohamed Bariz, più giovane degli altri, ben vestito e abbastanza istruito sul piano letterario. Anche lui raccontò di come aveva iniziato a narrare storie, di come suo padre lo avesse accusato di disonorare la famiglia. Ma nemmeno lui smise di seguire il suo sogno, e tornò a Marrakech dopo averlo realizzato. Le sue storie erano più complesse, più ricche.

Sempre nell’introduzione alla raccolta, si parla dell’incontro con un altro maestro, ormai cieco, e molto anziano, Ahmed Temiicha, nato negli anni venti, che lavorò a Jāma‘ Al Fnā’ e poi si unì a una compagnia circense, con la quale viaggiò in Francia prima di tornare a Marrakech e ricominciare a narrare storie all’ombra della Kutubya.

Oltre alla compilazione di questa raccolta, Richard Hamilton ha promosso un altro progetto: la House of Stories, una collezione di video di contastorie di tutto il mondo, accessibile a tutti. Ha inoltre collaborato con il Cafe Clock di Marrakech durante alcune sessioni di storytelling con Abderahim El Makkouri e Ḥajj Ahmed Ezzarghani, e con il Marrakech Arts Festival nel 2014.

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Contastorie a Marrakech

Conclusioni

La scelta di fornire informazioni su queste tre raccolte, si basa su ragioni diverse. La collezione di Madame Légey rappresenta il primo passo verso la raccolta e la classificazione di storie appartenenti al patrimonio culturale del Marocco. Il lavoro della dottoressa ha portato ad un risultato importante dimostrando come una donna riesca, con successo, a mettersi in gioco per farsi portavoce di altre donne. Ha condiviso con loro momenti ed esperienze che è poi riuscita a trasmettere all’interno del testo per fornire al lettore una panoramica più completa. Il lavoro della Légey è anche notevole perché, spesso, si tende a dimenticare che i contastorie di cui abbiamo parlato e che si sono esibiti in piazza per anni hanno, probabilmente, appreso gran parte delle loro storie anche all’interno dell’ambiente familiare dove le madri o le nonne si dedicavano a questo compito legittimando il ruolo femminile nella conservazione della tradizione orale.

La voce delle donne è stata a sua volta valorizzata da Jilali El Koudia, avendo compreso il valore di questo patrimonio “al femminile”, reso sovente noto solo da uomini, così da mettere in luce l’importanza che le donne hanno nel preservare i vari aspetti della cultura di un paese. La raccolta di El Koudia è sicuramente più breve ma pur sempre ricca di contenuti che vedono in azione personaggi caratteristici che si trovano a vivere diversi tipi di peripezie.

Ho voluto infine parlare della raccolta di Richard Hamilton poiché, avendo lavorato direttamente a contatto con l’ambiente del Cafè Clock, e avendo personalmente conosciuto Abderrahim El Makkouri e altri cantastorie, ho sentito questa raccolta forse più vicina a me e all’esperienza da me vissuta. Inoltre, The Last Storytellers. Tales from the Heart of Morocco costituisce la raccolta più recente tra quelle lette durante i miei studi iniziati nel 2013. Difatti, fu pubblicata nel 2011.

Queste tre raccolte sono solo alcuni esempi delle numerose esistenti e possono rappresentare una lettura molto interessante per coloro che si stanno avvicinando al mondo dei racconti in quanto contengono molti elementi che aiutano a comprendere la cultura di un Paese come il Marocco.

Le storie popolari rappresentano forse lo spaccato più originale di una società e ne costruiscono l’identità storico-culturale. L’interpretazione differente data dai diversi autori permette pertanto di avere una panoramica significativa, frutto delle loro diverse esperienze e dei diversi contesti in cui hanno operato.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
 Riferimenti bibliografici
Antti Aarne e Stith Thompson, The Types of the Folktale: A Classification and Bibliography, The Finnish Academy of Science and Letters, Helsinki, 1961.
Antonio Gonzáles Beltràn (a cura di), Cuentos y leyendas populares de Marruecos, Las Tres Edades, Siruela, 2009 (Edizione e traduzione in lingua spagnola di Contes et légendes populaires du Maroc recueillis à Marrakech et traduits par la Doctoresse Légey).
Jilali El Koudia, Moroccan Folktales, Syracuse University Press, New York, 2003.
Richard Hamilton, The Last Storytellers. Tales from the Heart of Morocco, I. B. Tauris, Londra, 2011.
Françoise Légey, Contes et légendes populaires du Maroc recueillis à Marrakech et traduits par la Doctoresse Légey,Du Sirocco eds, Casablanca, 2010.
Jean-Marie Thiébaud, La doctoresse Françoise Légey, toubiba en Algérie puis à Marrakech, Editions Harmattan, Parigi, 2009.
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Erika Scopelliti ha conseguito la laurea magistrale in Lingue Moderne: Letterature e Traduzione presso l’Università di Messina con una tesi di letteratura araba sulla tradizione dei racconti orali in Marocco. Durante gli studi ha beneficiato di due borse presso l’università Cadi Ayyad di Marrakech (di rispettivamente sei e dieci mesi). Durante questi soggiorni di ricerca è entrata in contatto diretto con i maestri contastorie che ha intervistato e grazie ai quali ha reperito diverso materiale originale. Ha successivamente portato a termine un master in Global Marketing, Comunicazione & Made in Italy del CSCI e della fondazione Italia-USA e il programma della Luiss Business School “Generazione Cultura”. Attualmente vive ad Alicante dove sta svolgendo un tirocinio presso l’EUIPO, occupandosi di proofreading e revisione di traduzioni.

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