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Tessitura a mano a Casa Lussu: salvaguardia, trasmissione, piccoli paesi e prospettive

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

il centro in periferia

di Barbara Cardia, Tommaso Lussu

«“Andrà tutto bene”, “Io resto in casa”, “Ce la faremo”. Bisogna dirlo e scriverlo con convinzione e con forza. Non cediamo, però, alle banalità e alle retoriche. I paesi, le periferie urbane, i centri storici avevano – adesso più che mai hanno e avranno – bisogno di politiche di rinascita e di rigenerazione. “Andrà tutto bene”, “Io resto in casa”, “Ce la faremo”, ma non diciamo, vi prego, “Tutto tornerà come prima”, dopo aver per anni inveito, con rabbia e indignazione, e a ragione, contro i responsabili del mondo di prima. Tornare al “prima” significherebbe tornare esattamente ai ritmi frenetici, alla mancanza di lavoro, al degrado, alle patologie, agli inquinamenti, al modello di sviluppo, alle ingiustizie sociali, alla distruzione della sanità pubblica, ai tagli indiscriminati alla ricerca, a tutte le negatività che hanno prodotto questo orrendo presente.

Non bisogna tornare a “come prima”: certo, bisogna stabilire legami veri tra passato e presente, custodire memorie per il futuro, e poi cercare di inventare qualcosa di totalmente nuovo. Nulla sarà come prima. Tutto potrebbe diventare meglio di prima, ma solo se prendiamo atto che il “virus” è all’interno del mondo che noi abbiamo ereditato e costruito e, forse, era ed è all’interno di noi. Tutto potrebbe diventare “peggio di prima”, se non si raccoglie, assieme al senso e al valore tanti dolori, sacrifici, generosità, voglia di bellezza e di vita di moltissime persone, ma anche quella che suona come una delle ultime drammatiche avvertenze data all’Homo Sapiens che, finora, non si è accorto che potrebbe correre verso la fine. “Andrà tutto bene”, “Io resto in casa”, “Ce la faremo”, ma riflettiamo anche, con responsabilità e con verità, con “persuasione” e senza “rettorica” (come diceva il grandissimo, giovane, filosofo, triestino Carlo Michelstaedter ne La persuasione e la rettorica) per il domani» (Vito Teti, da una lettera collettiva alla Rete dei piccoli paesi).

«Ad Armungia, fino a qualche giorno fa potevi andare a fare la spesa nelle piccole botteghe del paese, prenderti cura dell’orto o del giardino, fare una passeggiata in campagna, andare al tabacchino da Gigi, andare al bar da Cristof. Adesso puoi fare la spesa nelle piccole botteghe del paese, prenderti cura dell’orto o del giardino, fare una passeggiata in campagna, andare al tabacchino da Gigi. Ecco purtroppo abbiamo momentaneamente perso la possibilità di andare al bar da Cristof. E come ad Armungia, così in altre migliaia di piccoli centri della nostra penisola e delle nostre isole. L’ossessione del tempo sospeso, dell’incapacità di fare a meno del ritmo frenetico di una vita fatta di ore incolonnati in mezzo al traffico, di acquisti, di cinema, di ristoranti, è infatti tipicamente cittadina, di chi vive in centri urbani sempre più grandi, caotici, divoratori di energie che arrivano da un altrove non meglio precisato. E infatti sono abitanti delle città quelli che girano sbalorditi a fotografare città deserte, quasi increduli che una vita senza macchine, grida, frastuono, gente ovunque, sia davvero concepibile per un essere umano. A fare un giro oggi nei nostri piccoli centri, dimenticati tra gli Appennini o nell’entroterra della Sardegna, destinati secondo gli studiosi a scomparire nel giro di pochi decenni, si trovano davvero poche differenze rispetto a dieci o venti giorni fa. Segno tangibile di come queste minuscole realtà siano abituate a vivere con meno, a stare senza cose non indispensabili, ad accontentarsi in misura maggiore dell’essenziale. In questi momenti drammatici che stiamo vivendo, oltre a continuare a collaborare tutti per superare l’emergenza potremmo quindi, forse, fare qualcosa di utile in più. E impiegare il nostro tempo in modo proficuo anche per riflettere su noi stessi, su tutto ciò che di superfluo abbiamo nelle nostre vite. E interrogarci sul destino che ci attende e che vogliamo costruire per il nostro futuro»(Alberto Cabboi, responsabile del Sistema Museale di Armungia, post Facebook).

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

In questa fase delicata vogliamo partire da queste due significative riflessioni per raccontare lo stato delle cose qui da Armungia (Gerrei, sud-est Sardegna), da Casa Lussu, a proposito del nostro lavoro su beni immateriali e salvaguardia come strategie per il contrasto allo spopolamento. Partiamo da queste osservazioni di Vito Teti e Alberto Cabboi perché le condividiamo e le sentiamo nostre entrambe. Non vogliamo tornare al “prima” dello stato di emergenza imposto dal coronavirus, ma vorremmo che questo momento potesse essere occasione di riflessione sui modelli economici e sociali del nostro sistema. L’emergenza sta mettendo in luce lo stato precario del Sistema sanitario nazionale e mettendo in ginocchio un tessuto di piccoli produttori, artigiani, lavoratori autonomi. La megamacchina non si ferma, non rallenta, non decresce.

La nostra scelta di vivere in un piccolo paese non nasce motivata dalla presunzione di ergerci a eroi per salvare la nostra comunità originaria, ma piuttosto dalla semplice idea che potrebbe essere sostenibile lavorare e vivere dignitosamente puntando sulla cultura, i saperi tradizionali, l’agrobiodiversità, l’ambiente, i musei locali. Una scelta di lentezza, fuori dalle logiche del profitto o della carriera, orgogliosamente anticapitalista. Con l’obiettivo di lavorare, possibilmente poco, per vivere e non vivere per lavorare. In queste settimane di quarantene, restrizioni sociali, mobilità limitata, la nostra quotidianità non è cambiata molto: si vive tra casa e laboratorio, distanti poche centinaia di metri l’una dall’altro e il più delle volte non si incontra nessuno per strada, ora come “prima”. In questi giorni evadiamo dal domicilio e ci concediamo il lusso di qualche breve passeggiata verso un nuraghe periurbano o su un tratto del Sentiero Italia del CAI (che attraversa Armungia lungo la sua circonvallazione) e non incontriamo nessuno, ora come “prima”. Per noi il “prima” del coronavirus è uno stato da superare, da riprogrammare. Non una condizione a cui fare ritorno.

Vivere in un piccolo paese è una condizione in cui non si ha la possibilità di effettuare delle scelte: non si sceglie la scuola, il medico di famiglia, un’attività sportiva, ma si accetta quello che c’è come unica possibilità. Non rivendichiamo servizi o assistenza, ma vogliamo confrontarci sugli aspetti qualitativi delle nostre vite, le potenzialità collettive e rinascere, da ora ma anche da “prima” della pandemia del Covid-19.

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

La tessitura manuale è stato il punto di partenza sul lavoro nella Rete dei piccoli paesi con il conferimento nel 2016 del Premio Bianchi Bandinelli alla Associazione Casa Lussu per “la tutela come impegno civile”. Da circa dieci anni abbiamo iniziato a tessere a mano recuperando due tecniche tradizionali di Armungia. Abbiamo iniziato con la nonna di Barbara, Giovanna Serri, oggi 94 anni, che ha sempre tessuto e fatto di questa attività un’integrazione all’economia domestica. Siamo partiti da due tecniche tradizionali in uso ad Armungia:

1) la tessitura “a priali” (o “a litzos”), che è un tessuto lanciato con l’ausilio di un liccio supplementare (liccio maestro) ha la particolarità di creare un tessuto più strutturato, in quanto la metà dei fili dell’ordito sono caricati sul “liccio maestro”, che crea il fondo, gli altri sono i licci per il motivo (trama d’opera); si tratta di una tecnica arcaica, che abbiamo riscontrato solo in alcune zone interne dell’Appennino abruzzese (comunità pastorali come quelle del Gerrei, che a parità di livelli di integrazione socio-culturale hanno risolto le esigenze materiali quotidiane con medesime soluzioni tecniche);

2) la tecnica denominata ad Armungia “a pappus” (“su pappu” è il seme commestibile della mandorla), che è un tessuto lanciato a due blocchi (cintura di monaco, “monk’s belt”); questa tecnica veniva impiegata tradizionalmente per confezionare coperte e teli copripane.

Parliamo di tecniche, e non di motivi formali, che ogni artigiano è in grado di modificare, variare, trasmettere, e, con il tempo, far entrare nella cultura materiale condivisa dalla propria comunità.

Il tessitore è un costruttore, non un decoratore: i motivi non sono per lui ripetizione di iconografie esistenti, ma risultati dell’uso delle strutture tessili e quindi il suo lavoro sempre più si rapporta ad espressioni forti dell’arte quali la scultura e l’architettura (Paola Besana).

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

Le due tecniche menzionate attualmente non sono molto diffuse in Sardegna, in quanto non erano state inserite nei disciplinari di produzione dell’Ente regionale ISOLA, che a partire dalla fine degli anni ‘50 si è occupato delle produzioni artigiane, ma soprattutto di formazione professionale, di commercializzazione e supporto alla creazione di grandi centri cooperativi. ISOLA ha generato da subito un sistema di assistenzialismo, dall’occupazione alla vendita del prodotto, senza formare nuove generazioni di artigiani o tecnici del tessuto, ma piuttosto operai tessili da inserire nelle grandi cooperative. Fallito l’Ente, morto l’artigianato. O quantomeno scomparsa la prospettiva di ragionare sulla tessitura in termini di piccolo comparto produttivo, ma relegata ad avere un ruolo come “arte per turisti”.

La situazione della tessitura a mano si è aggravata quando, avendo perso gli artigiani la competenza tecnica, non si è fatta intervenire la figura del tecnico tessile con competenza di design, ma il così detto artista, che di tessitura non sa nulla, e che per ottenere i suoi disegni fa regredire gli artigiani a tecniche esclusivamente manuali. (…) Se conosciamo non solo la tradizione iconografica, ma anche i meccanismi tecnici da cui nascono i motivi tradizionali, non ci limiteremo alla conoscenza tecnica del passato, ma saremo un soggetto che si forma e si esprime nella ricerca e nella creazione. L’importante è che ciascuno di noi artigiani creatori, o artisti artigiani che dir si voglia, si ponga di fronte al fruitore con la coerenza e l’autorevolezza della propria ricerca personale. Non dimentichiamo che avendo scelto questo lavoro non vogliamo tornare “alla catena di montaggio” ma provare il piacere della nostra continua autoformazione (Paola Besana).

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Non vogliamo ora procedere ad una disamina sulla politica dell’Istituto regionale o fare un’analisi economica di strategia per la tessitura in Sardegna, ma riflettere brevemente sulle connessioni fra saperi tradizionali, trasmissione degli stessi, prospettive microeconomiche per le piccole comunità delle aree interne. Nel pieno spirito della Convenzione europea di Faro (2005).

La tessitura fino agli anni ‘60 veniva insegnata attraverso il semplice meccanismo di trasmissione culturale intrafamiliare, tecniche e motivi venivano trasmessi esclusivamente oralmente. Ad Armungia alcune tessitrici introdussero, in virtù di quella capacità creativa propria dell’artigiano (inteso come chi ha un rapporto di stretto coinvolgimento con il proprio lavoro), importanti innovazioni, ad esempio la formalizzazione grafica su supporto cartaceo dei motivi geometrici da realizzare.

La testimonianza attiva e la capacità lavorativa di Giovanna, nonna di Barbara, hanno poi permesso negli ultimi dieci anni di trasmettere la pratica della tessitura a mano a Tommaso e Barbara di Casa Lussu, evitando che se ne perdesse traccia in maniera irreversibile.

Oggi lavoriamo esclusivamente a mano affiancando ai telai in legno che si usavano in questi piccoli paesi e che venivano realizzati dagli artigiani locali con il legno locale a disposizione (leccio, ginepro ecc.) telai più moderni di fabbricazione nordeuropea ma egualmente manuali.

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

Trasmissione dei saperi

Il problema della salvaguardia di un sapere tradizionale è strettamente collegato con la trasmissione. È innanzitutto necessaria la «sovrapposizione di un sapere scientifico su quello tradizionale» (C.G. Sias): noi abbiamo impiegato anni a imparare i gesti e il linguaggio da Giovanna, che poi abbiamo dovuto tradurre, codificare.

Oggi per la didattica usiamo telai da tavolo a leve, come si usano nelle scuole di tessitura in tutto il mondo (tranne in Sardegna!). Con pochi giorni si è in grado di capire come funziona la tessitura a mano, sgombrando il campo dalla retorica su un inavvicinabile mestiere esclusivo delle donne e permeato da un alone mistico-magico tanto caro al mondo intellettuale isolano.  La tessitura poi, come altri lavori artigiani, non deve essere trasmessa in maniera immutabile.

Il tessitore a mano moderno, se è creativo, non tesse a metraggio, ma progetta e tesse oggetti d’uso per la casa, l’abbigliamento o oggetti tessili d’arte. Come designer-tessitori a mano contemporanei non ha significato ripetere, a costi chiaramente maggiori, ciò che l’industria già fa oppure copiare pedissequamente oggetti della tradizione popolare. Secondo me, qualunque sia il livello della nostra preparazione, ha unicamente significato usare le nostre competenze tecniche e la nostra capacità di ricerca per disegnare per l’industria e per progettare tessuti strutturati in funzione della creazione di oggetti tessili (Paola Besana).

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

Capacità di innovare la cultura materiale tradizionale

Imparare a gestire tutto il processo di produzione e le sue variabili significa essere partecipi della creazione ed evoluzione della cultura materiale. La cultura e la tradizione sono sistemi complessi, ma soprattutto dinamici e in continua evoluzione. Se si cerca di isolare, cristallizzare, perpetuare in maniera immutata e immutabile la tradizione non si fa altro che fossilizzarla e rinchiuderla in una gabbia dorata. Si tratta di individuare costanti e variabili: le tecniche tradizionali e il lavoro manuale sono le costanti, le variabili sono i risultati formali che si ottengono agendo sui materiali, colori, numero di fili per centimetro, parlando di tessitura. Essere autoproduttori.

Creare, costruire, vendere oggetti che stanno in quello spazio indefinito del “nè arte nè design” [...] L’autoproduttore è tante cose allo stesso tempo: creatore, ricercatore, operaio, comunicatore, commesso viaggiatore. Essere produttore significa soprattutto conoscere e avere sotto controllo tutte le fasi del processo, dall’idea alla commercializzazione del prodotto [...] C’è poi la consapevolezza delle connessioni fra progetto, produzione, lavoro, ambiente, comunicazione, commercio e valore. Trovare soluzioni che armonizzino produzione e consumo, etica ed estetica (Clara Mantica, Manifesto dell’autoproduzione).

Trasmissione e innovazione dei saperi sono quindi aspetti strettamente legati perché hanno a che vedere con la diffusione e la circolazione dei saperi. Il nostro atteggiamento è quello di alimentare la diffusione, incoraggiare le mescolanze, favorire la reinterpretazione. Questa è la via per far sopravvivere e salvaguardare tecniche antiche, che è contraria a quella del protezionismo o della gelosia artigiana. Design “dall’interno” significa quindi il percorso in cui l’artigiano diventa un innovatore della tradizione e un “creatore” di nuove tradizioni a partire dalla propria tecnica storica (Richard Sennett, L’uomo artigiano, Feltrinelli 2008).

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

Lavorare in filiera

Ogni famiglia fino agli anni ‘60 destinava una porzione di terra alla semina del lino. Dopo il raccolto il lino veniva portato a macerare al fiume, dove rimaneva per un periodo di 8-10 giorni. Una volta asciugato e seccato (talvolta veniva passato nel forno ancora caldo dopo la cottura del pane), veniva battuto e scelto per la filatura.

Una eredità del Piano Marshall è stata l’imposizione per l’Italia di non coltivare più canapa italica da fibra (l’Italia era il secondo produttore al mondo dopo la Russia) e di assoggettarsi agli Stati Uniti per l’acquisto del cotone. Il potenziale della canapa è ovviamente collegato anche con la produzione di materiali alternativi alla plastica, sottoprodotto del petrolio. L’utilizzo del cotone è entrato così anche nei disciplinari regionali sulla tessitura tradizionale, mentre noi sosteniamo che sarebbe più interessante tornare all’utilizzo delle fibre vegetali regionali, o almeno nazionali, tradizionali: lino, canapa ecc.

Riposizionare quindi la tessitura a mano in una prospettiva di filiera, in cui anche la produzione agricola e dell’allevamento abbia un ruolo fondamentale. Valorizzare la lana sarda non solo come scarto ma come bene primario.

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Musei locali

Avere il nostro atelier all’interno del Museo Etnografico comunale significa rendere viva la musealizzazione legata ai lavori tradizionali. Questo è in linea con la Carta ICOM Italia del 2014 (Carta di Siena) in cui si prospetta un ruolo per i musei locali di presidi territoriali e centri di iniziativa piuttosto che semplicemente di luoghi di conservazione degli oggetti.

L’Italia è un Paese di paesi e quindi anche un Paese di musei locali: oltre 5000 musei di cui circa il 20% etnografici. Luoghi della memoria che dovrebbero diventare luoghi dell’iniziativa e della programmazione culturale e territoriale legate al patrimonio.

Il Sistema museale di Armungia nasce con un primo impianto già negli anni ‘80 come museo di comunità: grazie ai suggerimenti di Joyce Lussu, con il prezioso coordinamento di Mariuccia Usala (maestra di scuola ad Armungia) e Gabriella Da Re (Università di Cagliari) fu fatta una raccolta di oggetti del lavoro e della vita di prima della modernizzazione, a cura soprattutto delle donne. Gli oggetti etnografici provenivano dalle donazioni delle famiglie. Da questa raccolta nel tempo, intorno al 2000, nacque un museo studiato e organizzato con il supporto degli antropologi dell’Università di Cagliari, dedicato al lavoro e alla vita quotidiana del territorio e nominato “Sa Domu de is Ainas” (La Casa dei Mestieri). Dal 1998 al 2000 Armungia ospitò uno stage di ricerca antropologica sul campo dell’Università La Sapienza di Roma, quando Pietro Clemente era titolare della cattedra. Durante questo triennio sono state prodotte diverse pubblicazioni che hanno implementato il museo attraverso il lavoro svolto sulla sua comunità. In seguito, dopo una prima mostra permanente, nacque nel 2008 in un palazzo storico nel centro del paese il Museo Emilio e Joyce Lussu, figure che rappresentano la storia dell’autonomia della Sardegna, un importante capitolo della storia delle lotte sociali e dell’antifascismo italiano del ‘900 e un contributo alle istanze terzomondiste legate alla guerre di liberazione anticoloniali.

Oggi Armungia è un luogo in cui memoria storica, etnografia, patrimonio archeologico e attività legate al patrimonio intangibile sono gestite da un sistema museale diffuso, una partecipazione di Amministrazione pubblica e soggetti privati.

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Casa Lussu, Armungia (ph. T. Lussu)

Tessitura a mano e piccoli paesi

L’Associazione Casa Lussu è nata nel 2014 con l’obiettivo di promuovere la tessitura manuale. È un progetto nato “dall’interno”, dalla casa, dalla famiglia. In un secondo momento è arrivata la consapevolezza e la presa di coscienza di quanto stavamo facendo: è stata in primo luogo la collaborazione con gli antropologi di SIMBDEA che ci ha aperto lo sguardo verso il valore, ma soprattutto il potenziale, anche economico, del patrimonio culturale intangibile. Abbiamo quindi conosciuto, e ne abbiamo fatto la nostra bandiera, la Convenzione di Faro e i concetti di eredità culturale e comunità di eredità e abbiamo convogliato tutto questo lavoro nella rete dei piccoli paesi che si occupa di strategie per le aree interne, o marginali, in particolare quelle di montagna

Dal 2016 organizziamo “Un Caffè ad Armungia”: nato come festival dei piccoli paesi oggi è un insieme di iniziative diffuse in tutto l’anno. “Giornate per il territorio” nel 2019, “Cose che si possono fare” per il 2020: una scelta di “defestivalizzarci”. Il festival nasceva come mezzo per diffondere conoscenza e creare momenti di approfondimento teorico, incontro, socialità. Il fine non è quello di implementare il modello festival per farlo diventare una grande giostra di pochi e concentrati giorni all’anno, ma la nostra iniziativa tende a praticare la quotidianità, stimolare la comunità e il territorio affinché tutto questo riattivi economia e sostenibilità per la vita in questi piccoli paesi. Oggi per noi occuparci di ICH non significa solo salvaguardia del patrimonio, ma soprattutto possibilità di riattivare delle microeconomie locali a partire da questo.

Alla fine degli anni ‘90 del ‘900 fu completata la strada che collega Armungia alla costa e da allora il paese non è più finis terrae e ha più scelte sia sul piano dei servizi che su quello delle possibilità turistiche. Ciononostante il calo demografico, il gravitare sulla città e sulla costa, il permanere di una pastorizia e agricoltura marginali, un alto indice di vecchiaia, incidono ancora in termini di disgregazione sociale, mancanza di occupazione e di sviluppo locale.

Tutta l’Italia delle “zone interne” vive, dopo la grande trasformazione degli anni ‘60, gravi problemi di abbandono ai quali solo da una decina di anni è stata posta attenzione. Queste aree interne riguardano circa il 60% del territorio nazionale, e rappresentano l’Italia delle diversità, rispetto alle metropoli che sono cresciute in modo eccessivo e rappresentano la nuova Italia della modernità. Solo negli anni 2000 il governo si è dotato di strumenti di analisi e di sollecitazione di uno sviluppo localizzato per rispondere a questa situazione.

Uno strumento di nuova coesione sociale è la Strategia Nazionale Aree Interne (SNAI), altri sono la crescente coscienza e organizzazione dal basso di risposte, con reti dei piccoli paesi ma anche nuove prospettive di studio come quelle interdisciplinari del volume Riabitare l’Italia a cura di Antonio De Rossi (Donzelli, 2018), che indica l’esigenza di invertire il processo che ha portato all’abbandono del cuore dell’Italia montana, collinare, insulare, rurale.

Casa Lussu si pone oggi come punto di riferimento radicato e innovativo nel paese, generando una piccola corrente di movimenti culturali. Ad Armungia sono nati vari B&B, e anche un ristorante. Nonostante la situazione complessiva sia sempre assai difficile, si può dire che i musei, il nuraghe, i passaggi turistici hanno prodotto una ripresa nel paese e le statistiche più recenti segnalano un leggerissimo decremento relativo dell’indice di invecchiamento. Casa Lussu inoltre si connette con le esperienze di agrobiodiversità e di offerta alimentare tradizionale di cui è protagonista la vicina Cooperativa agricola San Nicolò Gerrei.

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Riabitare i luoghi con un rilevante capitale culturale può aprire una prospettiva nuova e dinamica, rianimando le diverse espressioni del patrimonio culturale della comunità in una prospettiva non solo conservativa ma dinamica e innovativa. In un certo senso i fattori di sviluppo sostenibile non sono quelli tradizionalmente patrimoniali (i musei, il nuraghe) ma quelli della innovazione guidata dalla tradizione (lavori artigiani e biodiversità) legate a nuovi insediamenti o cittadinanze temporanee (residenze, stages, soggiorni turistici lunghi) basati su nuovi saperi pratici, un patrimonio immateriale che veniva però da esperienze del passato. È stato questo ritorno al territorio che ha rivitalizzato dei musei che potevano rischiare di essere cattedrali nel deserto.

Costruire insomma intorno a una comunità marginale un’attenzione che contiene forti potenzialità di futuro. Un nuovo tipo di sviluppo basato sulla “coscienza di luogo”. Spesso nei casi di nuovi soggetti che ri-abitano le zone abbandonate c’è alta scolarizzazione e forte progettualità innovativa. Occorre che gli enti locali e le comunità storiche sappiano accogliere questa nuova prospettiva e possano orientarsi verso una nuova definizione comune inclusiva di comunità. E occorre superare la subalternità alle città per rivendicare nuove prospettive e nuove frontiere.

Saperi tradizionali, agrobiodiversità, ambiente sono fattori predisponenti per questo tipo di nuova identità locale. Armungia mostra già ora queste possibili linee che la porterebbero ad essere un buon esempio nel campo della gestione del patrimonio, di integrazione tra patrimonio immateriale e musei, paesaggio storico, patrimonio naturale e biodiversità alimentare, turismo di qualità e di piccoli numeri.

Detto questo, forse dovremmo ripartire da questa “emergenza coronavirus” non per sperare di tornare al più presto a “come era prima”, ma per riprogrammare i territori, i modi di produzione, i rapporti sociali e ripensare il centro e la periferia.

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020

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Barbara Cardia, artigiana tessitrice. Dal 2009 si occupa di tessitura a mano su telai orizzontali. È socio fondatore dell’Associazione di promozione sociale “Casa Lussu”, con sede ad Armungia (CA), che si occupa dello studio e della ricerca delle tecniche tradizionali, in particolare la tessitura “a priali”. Nel laboratorio artigiano dell’Associazione svolge attività didattiche di tessitura. Ha approfondito la sua formazione presso il laboratorio “La Tela” di Macerata e attraverso alcuni corsi nello studio di tessitura di Paola Besana a Milano. Ha svolto ruolo di docenza nell’ambito del progetto della Regione Sardegna “Artimed”, in collaborazione con l’Università di Architettura di Cagliari e Alghero e per il progetto “La tela di Aracne” dell’Unione dei comuni del Gerrei. Ha esperienza triennale di assistenza domiciliare con un utente affetto dalla sindrome di Down.
Tommaso Lussu, cresce a Roma dove frequenta il liceo classico e si laurea in Archeologia preistorica nel 1999 a “La Sapienza”. Lavora per i Beni Culturali nell’ambito del restauro di opere manufatti e artistici, progetti europei di ricerca e con società di indagini territoriali ed archeologiche. Dal 2008 risiede in Sardegna, ad Armungia, dove si dedica al recupero della tessitura tradizionale e al progetto del laboratorio di Casa Lussu. Prosegue la sua formazione in ambito tessile studiando con altre tessitrici e designer. Nel 2014 fonda, insieme a Barbara Cardia, l’Associazione Casa Lussu.

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