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“Povere creature”: dal grado zero della corporeità alla frammentarietà dell’Esser-ci

Bella in abito da sposa (da Povere creature)

Bella in abito da sposa (da Povere creature)

di Valeria Salanitro 

“Poor Things” è il titolo in lingua originale della pellicola prodotta dal regista Yorgos Lanthimos, insiem­e con Ed Guiney, Andrew Lowe, ed Emma Stone. Commedia, ma potremmo dire, genere mediale ibrido, poiché accorpa dramma, fantascienza e senti­mento, in un unico prisma filmico; è uscito nelle sale cinematografiche a gennaio del 2024 [1].

Un caleidoscopio magnifico in cui lo spettatore si addentra in un mondo fantasmagorico, ma al contem­po, iper-realistico. Luci, colori, toni, posture, costumi, ambienti scenici e battute, che segnano il viaggio introspettivo e biologico dell’incantevole Bella Baxter e dei protagonisti che, alla stregua, di un coro ac­compagnano, metalessicamente, il processo di costitutività del soggetto di ogni personaggio e, su tutti, quello di Bella. 

Decostruzioni identitarie e cultura visuale nel personaggio di Bella Baxter 

La disquisizione concernente il processo di costruzione identitario femminile, messo in scena dal regista, oltre che dalla straordinaria protagonista Emma Stone, è sta­ta dibattuta parecchio e apprezzata dagli addetti ai lavori, ma soprattutto dagli spettatori che hanno fruito un prisma mediale metastorico, per certi aspetti anacronistico e nello stesso tempo estremamente contemporaneo. Un prodotto cinematografico raffinato, curato nei minimi dettagli, accorto sia nella scenografia, allego­rica e gotica allo stesso tempo, che nei costumi e nel contesto storico di quel periodo Vittoriano della Londra di fine ‘800. 

Andiamo con ordine. Per comprendere la genialità di questa pellicola, bisogna passare in rassegna una pluralità di fattori che, nell’ambito della cultura visuale, sono particolarmente apprezzati. Dispositivi e segni connotati, che demarcano linee identitarie e coordinate crono-spaziali. Innanzitutto, il contesto storico e scenografico: ci troviamo in una Londra cupa, la cui misteriosità è enfa­tizzata dalle cornici in bianco e nero impiegate dalla regia; colori, questi, metalessicamente intervallati da tinte sgargianti (sia nelle scene, che negli abiti), segni e posture di un’Inghilterra Vittoriana, conser­vatrice, conformista, ma anche sovversiva.

La prima scena, prodromica di quel lieto fine “empiricamente corretto”, mostra una giovane donna borghese incinta (Victoria Blessington), intenta a suici­darsi lungo le rive del Tamigi, mentre cu­muli di cenere e una coltre nebbia fanno da sfondo alla narra­zione romanzata e intrisa di mistero, in quella Londra, che evoca bene le vie lugubri britanniche di Jack lo squartatore. Contesto, straordinaria­mente riconfigurato, in ogni frame della pellicola, che oscilla tra la pomposità allegorica dell’epoca e la maestosità dei dispositivi scenografici (uno per tutti, la meravigliosa nave da crociera). Un gioco di colori, che alternano tempi storici e stati patemici dei protagonisti, in una sincronia di intenti narrati­vi, che colpiscono e travolgono il pubblico. 

Bella (da Povere creature)

Bella (da Povere creature)

La protagonista: la giovane donna, la cui vita sembrava essere finita, in quelle acque torbide, sembra rappresentare, emblematicamente, la decostruzione dell’identità del genere femminile, nonché una pluralità di codici comunicativi e identitari dell’esser-ci. Una sorta di  scardinamento del sé, confluito nella narrati­va deco­struttiva della corporeità, e un’ermafrodita di foucaultiana memoria, che ben rimanda alla biopo­litica dei corpi e, da una parte, alla disciplina e alla microfisica del potere scientifico, dall’altra alla sov­versione di quel paradigma deterministico dell’epoca. Da qui il processo di costruzione identitario passa attraverso l’empi­rismo razionalistico e, dunque, dal corpo biologico vs quello vissuto. La bellissima Vic­toria, salva­ta dalle acque da un grande chirurgo (God), il cui nome rievoca dialettiche ed epistemologie nell’ambito delle Scienze Empiriche e della Teologia, diverrà protagonista al quadrato, poiché, in prima istanza, de­stinata a morire per una grave lesione cerebrale, ma rimessa in vita, dalla sua stessa vita che portava in grembo. Nasce così, attraverso l’implementazione del cervello del feto nel corpo di Victoria, la meravi­gliosa e inverosimile crea­tura denominata dal Padre adottivo/mentore: “Bella Baxter”. Il nome, anch’esso evocativo, rappresenta il clou della narrazione cinematografica e della tematizzazione filmica, che passa proprio dalla bellezza: corporea, dunque estetica, paesaggistica, contestuale, e dall’amo­re per il bello in generale, come si evince dai viaggi che compiono i protagonisti. 

Il co-protagonista: il giovane Duncan. Avvocato affermato, che coglie bene le esigenze corporee e cognitive della ragazza e improvvisa un viaggio esplorativo per adulare e conquistare il suo obiettivo. Emblema del maschio Alfa, la cui identità viene gradualmente decostruita, il Don Giovanni di turno, diviene, infatti, oggetto del processo di soggettivizzazione dell’io Alfa, nonché compagno di viaggio di Bella.  Il promesso sposo: Max, che rappresenta la Scienza e l’amore per il genere femminile, ma altresì, la remissione di un uomo colto e piegato al volere supremo del Sapere. Il Padre adottivo: God, essere plurale, che manifesta il potere del Sapere scientifico, ma anche lo spirito protettivo di un Padre che protegge sua figlia. 

Bella balla sul ponte della nave (da Povere creature)

Bella sul ponte della nave (da Povere creature)

Teorie dominanti del determinismo biologico e antropologia del corpo 

Nella narrazione filmica, si oscilla, continuamente, tra l’esaltazione della sfera empirica ed evoluzionisti­ca (nell’ambito delle scienze esatte), e rimandi reiterati alla dimensione biologica dell’essere vs una “patemizzazione” della protagonista, che si interroga sull’ontogenesi dell’es e dell’eros. La dialettica cartesia­na del cogito sembra essere riconfigurata e ricontestualizzata nell’era del Positivismo evoluzionistico, poiché mente e corpo dialogano reciprocamente, invocando il pathos e investigando sull’emotività di Bella, la quale cerca di scrutare analiticamente ogni sentore patemico. In realtà, questa estrema razionalizza­zione e ricerca dell’empirico travalica la dimensione ordinaria e raggiunge tempi e spazi mnemonici, che superano linee di demarcazione e coordinate crono-spaziali delle sinapsi più recondite.

A guardare bene, si scorge una raffinata dialettica del sapere corporeo e scientifico, dialogo che poggia le basi su di una reciprocità evocativa e, al contempo, apodittica. Scrutare, infatti, la biopolitica sovversiva e le poeti­che della corporeità, correlate alle “tecniche del corpo”, per dirla con Marcel Mauss, in un continuo scar­dinamento e giochi anticonformistici dediti alla ricerca del piacere, sono le determinanti di questo ge­nere mediale. Sembra aprirsi una parentesi plurale sulla dimensione edonistica, estetica, nonché filosofica ed empirico-scientifica, cui la protagonista costruisce/decostruisce, in una logica temporale meta­lessica, la propria essenza dell’essere: ora carne, ora cervello, ora intelletto.

9788843032112La dimensione corporea nella pellicola di “Povere creature” è estremamente rilevante e, alla stregua di un palombaro, scruta dimensioni plurali dell’ontogenesi dell’essere. Viene in mente Georges Devereux, che esaminò la dimensione cor­porea nei rapporti di conoscenza tra il Soggetto e l’ Oggetto dell’Osservazione Scientifica. Nel suo Dall’angoscia al metodo nelle Scienze del Comportamento [2] mostrava come le rigide prescrizioni metodologiche delle Scienze, basate sull’osservazione oggettivante degli esseri umani e del comporta­mento (come la Medicina, la Psichiatria, la stessa Antropologia e, in generale, tutte le Scienze che hanno a che fare con l’osservazione degli esseri viventi), fossero in realtà vere e proprie difese contro l’angoscia insorta nel rapporto conoscitivo dell’Altro. Ed è a Devereux, che si attribuisce la rivoluzione della pra­tica scientifica dell’Osservazione, che deve essere una “meta-osservazione”, vale a dire, un’osservazione condotta con la consapevolezza di essere controsservati.

Questo scorcio derivatoci dall’Antropologia Co­gnitiva e dall’Etnopsichiatria, ci conduce verso quel dibattito, tanto disquisito nelle Scienze Esatte in pieno evoluzionismo, nel quale si argomentava circa la liceità di un dominio inconfutabile del corpo biologico vs il corpo vissuto e sulla decostruzione di simili retaggi, nonché sulla consequenziale configu­razione dialogica dell’essere Medico e Paziente. Il processo di costitutività del Soggetto, per parafrasare Foucault e Lacan, passa attraverso un decentramento dello sguardo, dal momento che nella di­mensione dialogico-relazionale dello sguardo il soggetto si costituisce.

God (da Povere creature)

God (da Povere creature)

Così si dimostra nella scena in cui God (Willem Dafoe, padre adottivo di Bella) si diletta magistralmente a dissezionare cadaveri o a creare creature ermafrodite, e finanche nella scena iniziale in cui si cimenta nella ri-creazio­ne di un soggetto femminile vivente, in nome delle Scienze Empiriche, per: “regalarle una vita miglio­re”; e infine, nella reiterata riproduzione di generi ibridi creati ad hoc, per non buttar via niente. Ancor più si conferma, guardando proprio God, uno Scienziato lungimirante e affermatissimo nel mondo accademico londinese, che ricorda bene la dominazione dell’empirismo razionalista del tempo, in una condizione ontologica quasi trascendentale o frammentaria dall’identità corporea plurale, in quanto: evirato, ustionato e “re-integrato” (significativo e allegorico, il dispositivo esterno che produce sostanze gastriche per sopperire ai deficit corporei); nonché provato da questo suo aspetto fisico che, di riflesso, come si conviene ad una “povera creatura”, porta il peso di una società perbenista e deni­grante, che lo destina ai margini della scala sociale, al di là della rinomata identità professionale.

Cosa lega i due corpi? Entrambi si costituiscono mediante lo sguardo dialogico che intercorre tra Medico e Pazien­te. L’osservazione passa, infatti, attraverso l’amore per la ricerca, che spinge gli scienziati a guardare il proprio corpo in relazione all’Altro. God ha delle sembianze mostruose, per­ché il padre, anch’egli rinomato chirurgo, conduce degli esperimenti e delle ricerche sul corpo del figlio, in nome del Sapere accademico in piena fase sperimentale. Ed è solo in termini dialogici, che avviene la definizione pratica della Scienza medica. Al contempo, Bella si identifica e si configura in quanto corpo frammentario, tale da solleticare il desiderio dei cerebrocentristi ottocenteschi, guarda il corpo del suo medico, il Padre God.

Riprendendo Devereux, infatti, i pianti e le frustrazioni dei protagonisti vengono puntualmente rievocati nelle molteplici scene, ma si evince altresì la lotta identitaria che perdura tra i protagonisti. «Nè la pelle, né i muscoli, né le ossa, né i nervi, ma il resto…Un es balordo, fibroso, pelacchiato, sfilacciato, la palandrana di un clown»[3].

In tutte le scene del film, soprattutto quelle iniziali, il corpo biologico diviene protagonista indiscusso. Il trapianto cerebrale, la ricerca dell’eros in Bella, la reiterata pratica sessuale, estremizzata, fi­nanche nella garçonierre in cui lavora per sopravvivere in Francia e, infine, negli esperimenti corporei degli animali ermafroditi che scodinzolano nel giardino.

16646Qual è, dunque, il corpo in questione? É un corpo plurale, fisico, ma anche patemico, politico, esploratore, disciplinato dal Sapere, ma al contempo, sovversivo, anticonformista e non dedito all’acquiescenza. Un corpo spelacchiato, per citare Barthes, che vuole superare la dimensione biologica per divenire es consapevole. Il dialogo tra i corpi plurali, è ribadito in tutto il film, in cui Bella assapora il sapere, diviene “Donna” attraverso la conoscenza scientifica riservata solo al sesso maschile e diviene altresì fautrice del proprio destino a cui dà vita, facendo soldi, vendendo il suo corpo, razionalizzando il senso dell’esistenza e mettendo al ridicolo il genere maschile che elemosina sentimenti profondi, chiedendo: «Mi ami Bella? Io ti amo?» e la risposta è: «Descrivi gli elementi che dovrei cercare in me stessa per esserne sicura».

Dunque, un grado zero del Corpo patemico alla continua ricerca del sé, in questo reiterato processo di anatomia politico-scientifica. In realtà, il corpo di Bella, rievoca altri Corpi. É un corpo disciplinato dal Sapere Scientifico, quando diviene protagonista del processo di “isterizzazione” attuato dal marito, che propone, a sua volta, ad un medico, di asportarle la clitoride. Ma l’identità di “Isterica”, proposta dal dominio maschile, viene rappresentata anche durante il ballo catartico nella crociera in cui Bella rievoca bene la tarantata della Lucania di de Martino, ove suoni, colori, dolori e corpi danzano simultaneamente e unitamente al corpo posseduto delle “isterica” strega, ovvero l’antitesi delle Scienze esatte, così inserendo la questione in una teologizzazione dei corpi vissuti.

Il Corpo domina dunque tutta la pellicola, dai costumi pomposi e allegorici, che vestono quel corpo di donna emancipata, fino alla scena finale, in cui Bella si vendica del marito, trasformandolo in un animale, mentre sorseggia un drink in vista dell’esame di medicina da preparare. Poiché: «il corpo è un operatore fondamentale per definire le tecniche di governo e di dominazione […]. Non esiste come istanza separata […], si confonde con l’insieme delle dinamiche che attraversano i rapporti inter-individuali. Poiché il corpo deve essere inteso come un’istanza di realizzazione anti-dialettica» [4]. 

Dialoghi Mediterranei, n. 67, maggio 2024 
Note
[1] Il Film ispirato all’omonimo romanzo di Alasdair Gray (1992), vanta un cast d’eccezione: Emma Stone, che interpreta, magistralmente, la protagonista “Bella Baxter”, Mark Ruffalo, l’avvocato seduttore e co-protagonista, che interpreta “Duncan Wedderburn”, compagno di avventure di Bella; il brillante Wil­liam Dafoe, a cui è affidato il ruolo di Scienziato/Padre della Baxter, che incanta con la sua bravura, in­terpretando il personaggio del Dott. Godwin “God” Baxter; infine, Ramy Youssef, che nel film interpre­ta con dovizia certosina, l’assistente del Prof. God, Max McCandles, nonché futuro promesso sposo di Bella. Un incasso stratosferico, pari a 100milioni di dollari, raccolti in tutto il mondo, per un’opera filmica pluripremiata sin dalla prima proiezione. Presentato in concorso all’80° Mostra Internazionale d’arte ci­nematografica di Venezia, dove si è aggiudicato: il Leon d’oro al Miglior Film, e quattro Premi Oscar (Miglior attrice a Emma Stone, miglior scenografia, migliori costumi, e miglior trucco e acconciatura), nonché due Golden Globe (miglior film commedia musicale e migliore attrice per Emma Stone).
[2] Cit. in G. Pizza, Antropologia Me­dica. Saperi, pratiche e politiche del Corpo, Carocci, Roma 2007
[3] R. Barthes, Barthes di Roland Barthes, Einaudi, Torino 2007: 207
[4] A. Sforzini, Michel Foucault. Un Pensiero sul corpo, Ombre Corte, Verona 2019: 38, 138. 

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Valeria Salanitro, ha conseguito una laurea magistrale in Scienze della Comunicazione Pubblica, d’Impresa e Pubblicità (curriculum Comunicazione Sociale e Istituzionale), presso l’Università degli Studi di Palermo; nonché un diploma in Politica In­ternazionale (ISPI) e uno in Studi Europei (I. Me.SI.). Ricercatrice indipendente, redattrice e autrice di molteplici contributi inerenti la Politica estera, le Scienze Umane e i Gender Studies. Ha collaborato con diversi Istituti e testa­te giornalistiche. Il suo ambito di ricerca verte sui Visual and Culture Studies e sulla Sociologia dei fenomeni Politici; si oc­cupa di immagini declinate in senso plurale, nonché dell’uso politico delle medesime nel contesto internazionale. Tra le sue pubblicazioni scientifiche annoveriamo: La rappresentazione mediatica dello Stato Islamico, edito da Aracne 2022 e Immagini di genere. Donne, potere e violenza politica in Afghanistan, Aracne 2023.

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