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Pitigliano: quell’idea di integrazione che ci fa mediterranei

Pitigliano al tramontodi Francesco Valacchi

La signora Elena Servi, fra gli ultimi abitanti di religione e cultura ebraica a Pitigliano, cui si devono molte informazioni di prima mano sulle quali è basato lo sviluppo di questo articolo, precisa che molti ebrei originari della città furono deportati ma che questo avvenne in altri luoghi e in altre città, come Firenze. Pitigliano e la fervente solidarietà comunitaria seppero invece proteggere i propri cittadini di religione e origine ebraica anche dalla tragedia della shoah.

Il minuscolo borgo in provincia di Grosseto si presenta circondato da un sistema murario di singolare ideazione e fattura poiché costruito a partire dagli scavi nel tufo sui quali si erge l’intera cittadina [1].

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Pitigliano

Percorrendo la “via cava di San Giuseppe”, un camminamento antico scavato nel tufo, si entra in Pitigliano direttamente dalla “Porta di Sovana”, affacciata verso ovest, direzione nella quale giacciono le terme di Saturnia e poi il mare di Talamone. Pitigliano è città sotterranea, i suoi ipogei e magazzini ne sono realmente il cuore; le sue cantine, dove fermentava e fermenta l’ottimo vino rosso della zona, solidali al tufo delle mura e delle fondazioni degli edifici sono le case, botteghe e luoghi d’incontro e vita. Dalla “Porta di Sovana” si prende l’omonima viuzza che si districa fra i buglioli di altre brevi vie della parte vecchia del borgo e si giunge alla via degli Aldobrandeschi, signori di Pitigliano nel Medioevo prima che a loro subentrassero gli Orsini, svoltando a sinistra e poco dopo s’incontra la chiesetta di San Rocco che pare sbarrare la strada.

La chiesa è con ogni probabilità la più antica chiesa del borgo, risale infatti al Dodicesimo secolo, tempo prima che gli ebrei iniziassero a riempire la comunità e ad arricchirne la vita sociale. L’edificio è sobrio, come caratteristica dei monumenti della sua epoca e presenta molti arricchimenti, anche strutturali, del Rinascimento, periodo artistico in cui venne ristrutturata [2]. Risaltano, nell’interno composto dall’unione di tre navate, gli affreschi degli stemmi delle famiglie principali e più influenti della cittadina nelle varie epoche assieme agli stemmi ecclesiastici e della comunità di Pitigliano, sormonta gli stemmi quello dei Savoia (dal momento che l’affresco risale al 1891).

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Pitigliano

Su un lato della chiesa, ereditato dall’edificio originario e mantenuto nei vari interventi di conservazione e ristrutturazione, rimane un architrave in nenfro (pietra locale, tufo vulcanico di colore scuro utilizzato già dagli etruschi), che riproduce al centro in bassorilievo una figura umana a mezzo busto le cui mani sono addentate da due draghi alati, la suggestiva figura rappresenta l’anima umana o la natura umana assalita dalle forze del male che rischiano di smembrarla: monito a mantenersi forti nella fede ma anche nell’umanità.

Si prosegue lasciando la chiesa di San Rocco sulla destra e imboccando via Generale Orsini, da ovest verso est, dal mare verso l’entroterra, la via entra in Piazza San Gregorio VII e dalla parte opposta prosegue col nome di via Roma, fino a giungere a Piazza della Repubblica, sulla quale vigila il Palazzo Orsini e si trova la Fontana delle Sette Cannelle. Il Palazzo è la residenza dei signori Orsini di Pitigliano, anticamente il palazzo apparteneva alla famiglia Aldobrandeschi che lo cedette agli Orsini nel 1313 in occasione del matrimonio di Anastasia, figlia di Margherita Aldobrandeschi, con Romano Orsini.

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Pitigliano

Gli Orsini, incaricando Nicola da Sangallo il Giovane della ristrutturazione di quella che era la rocca degli Aldobrandeschi (risalente anch’essa al Dodicesimo secolo, come la chiesa di San Rocco), si resero artefici della creazione dell’aspetto attuale dell’edificio. La mole imponente e l’aspetto di fortezza, compatta e sorvegliata dai merli, nasconde una piazza interna elegante eppure sobria. Sembra quasi che gli Orsini, con i lavori del 1520, concentrati sul rinnovo delle strutture difensive della loro rocca, volessero esporre un aspetto austero e pronto alla battaglia onde contrastare nemici esterni ma anche sovversioni interne al borgo. L’epoca di reggenza dei conti Orsini infatti ebbe senza dubbio periodi turbolenti e di scontro con la comunità, come l’insurrezione, organizzata da notabili della comunità che nei primi mesi del 1547 costrinse alla fuga il Conte Giovan Francesco Orsini, sostituito al potere da Nicolò IV, il quale riuscì a mantenere il potere, sembrando quasi andare incontro alle istanze degli insorti, e impresse invece una svolta dispotica alla reggenza [3].

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Pitigliano

Alle lotte interne della famiglia Orsini nell’ultimo periodo prima che la Contea venisse posta dall’Imperatore sotto il controllo dei Medici (1573), i quali la restituirono (solo formalmente nel 1576) a Nicolò IV [4], fecero da contraltare le congiure orchestrate dall’esterno e guidate molto spesso dai Duchi/Granduchi di Firenze portando la situazione della casata Orsini a rassomigliare all’immagine di umanità straziata su due fronti rappresentata sulle mura della chiesa di San Rocco. Non di rado tali congiure tesero a far apparire la casata degli Orsini troppo vicina alla comunità ebraica del luogo, per squalificarla agli occhi degli equilibri di potere dell’epoca e dunque ottenere il controllo pieno della contea [5]. Un po’ come la personalità di Nicolò IV che nascondeva (o meglio cercava di velare) sotto una patina di austerità le sue varie intemperanze, comprese alcune avventure amorose con donne della comunità ebraica [6], l’aspetto di fortezza massiccia del Palazzo Orsini nasconde una piazzetta interna dalle fattezze leggere e sobrie, cuore della vita degli Orsini nei momenti di armonia con la comunità.

Dirimpetto al Palazzo dei Conti Orsini la Fontana delle sette cannelle scandisce col suo scroscio lo scorrere del tempo per la comunità di Pitigliano e per i passanti, a vario titolo, da Pitigliano e dalla sua storia. La Fontana venne commissionata da Giovan Francesco Orsini, padre di Nicolò, e realizzata nel 1545, vale a dire appena due anni prima della rivolta che lo costrinse alla fuga. L’opera si trova alla testa dell’acquedotto di Pitigliano e venne costruita a coronamento dell’acquedotto stesso dal quale attinge l’acqua (seppure l’opera idraulica venne terminata successivamente).

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Pitigliano

Senza dubbio la fontana è monumentale nell’aspetto per le sue arcate, cinque imponenti archi rivestiti anch’essi della pietra che contraddistingue la città: il tufo. La fontana domina il luogo d’incontro del popolo di Pitigliano, della sua comunità che è fusione della comunità autoctona e della comunità ebraica, lo è stata fisicamente, con la presenza degli ebrei, lo è sostanzialmente, con la persistenza delle tradizioni mutuate dall’ebraismo nel registro di identificazione dei pitiglianesi. Lo scorrere dell’acqua delle Sette cannelle rimanda all’acqua del bagno rituale: la mikvah, il bagno rituale cui i credenti si sottopongono per ritrovare la purezza spirituale e che deve essere in contatto con una fonte di acqua corrente (l’acquedotto in questo caso). La Comunità di Pitigliano assommata in Piazza, riunita di fronte alle Sette cannelle, pare quasi rappresentare un momento di sintesi, nella storia del borgo dopo la ribellione al Conte Orsini, in un momento di antitesi alla signoria della contea e, superato il momento dello scontro, di nuovo riunita nella realtà del borgo (prima con gli Orsini, poi coi Medici [7], poi nel Regno dei Savoia e così via), in un eterno cammino della e nella storia del paese. Un cammino da sempre vegliato dallo scorrere dell’acqua purificatrice: l’acqua corrente della Fontana delle Sette cannelle.

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Pitigliano

Poi vi è la Sinagoga, cuore del quartiere ebraico che a Pitigliano fu ghetto solo per determinati e ristretti periodi. I cittadini di origine ebraica infatti non furono confinati o obbligati a pernottare all’interno del loro quartiere che per periodi relativamente brevi, avendo l’opportunità, storica, di andare a collocarsi in seno alla comunità in maniera omogenea alla popolazione autoctona; non a caso Pitigliano era ed è conosciuta, a buon diritto, come la “Piccola Gerusalemme”. Gli ebrei di Pitigliano seppero far rete e amalgamarsi con i pitiglianesi portando al borgo l’arricchimento di usanze e tradizioni che anche, tutt’oggi che vede la Comunità religiosa ebraica ridotta ad una sola famiglia, sono tesoro culturale oltre che socio-economico di Pitigliano. Come ci ricorda Elena Servi, erede della tradizione ebraica del paese in una breve intervista concessa telefonicamente, esempi fra tutti della sapienza artigiana trasmessa dalla comunità ebraica alla cittadina sono l’arte della lavorazione artigianale dei tessuti e della conceria.

L’edificio della Sinagoga (bet knesset, casa dell’assemblea), risalente al 1598 e eretto grazie ai finanziamenti del facoltoso membro della comunità Leone di Sabato, venne restaurato grazie anche all’aiuto del comune nel 1995. La Sinagoga si trova naturalmente in quello che era il quartiere ebraico e per raggiungerla dalla Fontana delle Sette cannelle si deve ripercorre via Roma e poi via Zuccarelli. Questo percorso ci conduce nel quartiere del ghetto annunciato da negozi che vendono alcune specialità ebraiche di vario genere (anche se è rimasto un unico negozio con alcuni prodotti autenticamente kosher in vicolo Marghera) e infine ci guida alla Sinagoga.

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Pitigliano

Gli ebrei iniziarono a giungere a Pitigliano alla fine della seconda metà del Quattrocento e una sensibile comunità vi rimase almeno sino alle Leggi razziali dello Stato italiano. Già a premessa delle tenebre di quel periodo la Comunità ebraica di Pitigliano si era distinta nell’opposizione, assieme alle Comunità di Asti, Reggio Emilia e Senigallia, al nuovo assetto delle Comunità ebraiche che il governo fascista impose (beninteso, ascoltando le istanze pervenute dal Consorzio delle Comunità ebraiche italiane) con il D.L.30 ottobre 1930 n. 1731 assieme alle successive disposizioni di legge del 24 settembre 1931, n. 1279 e del 19 novembre 1931, n. 1561 [8]. Con tali disposizioni di legge avvenne una regolamentazione delle Comunità e la soppressione di alcune per unificarle alle più grandi, e l’opposizione, sicuramente per motivi di campanilismo a difesa delle proprie tradizioni micro-religiose e folkloristiche, come suggerito da0 De Felice [9], ebbe anche motivi di profondo senso di appartenenza alle tradizioni locali, come nel caso di Pitigliano che vedeva la sua Comunità ormai costola inscindibile della popolazione del Comune [10]. Sulla facciata dell’edificio della Sinagoga è impressa la scritta:

 «E facciano per me un santuario ed io abiterò in mezzo ad essi. Aprite per me le porte della giustizia. Questa è la porta [che conduce] al Signore»
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Pitigliano

Non sempre certo questa vicinanza al Signore rafforzava la pace e la fratellanza della Comunità e anche fra fedeli si giunse spesso a confronti di tipo fisico persino all’interno del luogo di culto [11]. Nel 1629, ad esempio, scoppiò una vera e propria rissa fra due ebrei, all’interno del luogo di culto, per l’utilizzo di alcuni arredi della Comunità [12]. L’alta litigiosità della Comunità di Pitigliano parrebbe legata, in special modo per ciò che concerne il periodo antecedente al Settecento, alla eterogeneità delle famiglie sue componenti. Gli ebrei infatti iniziarono a popolare la Contea degli Orsini dalla fine del Quattrocento [13], provenienti da varie località della Toscana del Sud e dell’estremo Nord del Lazio, in sostanza poi la prima significativa iniezione di popolazione ebraica avvenne a seguito delle Bolle papali del 1555 e del 1569, provvedimenti restrittivi e discriminatori della Santa Sede avverso i fedeli di religione ebraica. Le famiglie di ebrei delle città limitrofe (in special modo delle Comunità dello Stato della Chiesa), riparate a Pitigliano per abbandonare una realtà ormai impossibile da sostenere, mantenevano comunque il portato delle realtà e delle tradizioni locali, specialmente nel contesto tradizionalista e conservatore delle Comunità ebraiche di quel tempo [14], e pertanto, sino alla seconda metà del Settecento (quando raggiunsero una maggiore integrazione), continuarono ad essere evidenti screzi e divisioni fra le varie famiglie ebraiche.

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Pitigliano

Un episodio che con grande probabilità può essere considerato un punto di svolta per la Comunità ebraica di Pitigliano fu la “notte degli orvietani” [15], durante la quale i pitiglianesi si esposero in prima persona per salvare i concittadini ebrei dalle angherie di alcuni cavalieri orvietani che raggiunsero la cittadina appositamente allo scopo di attaccare e derubare i cittadini di Pitigliano. L’evento avvenne nel 1799 e deve essere senza dubbio contestualizzato nel clima di disordini politici e sociali della fine del Settecento in Italia improntati ad una generale natura anti-napoleonica. In quei turbolenti mesi gruppi di esagitati e anche semplici delinquenti si muovevano, aizzati da cattolici e sanfedisti, per opporsi, con la forza, a quei comuni toscani che si palesavano a sostenitori di Napoleone. Pitigliano fu una delle località che si schierò, almeno come intenti, al fianco dei francesi e venne quindi raggiunta da dei cavalieri che si professavano aretini (ma provenivano in realtà dalla città di Orvieto e dalle sue campagne) con l’animo di saccheggiare il saccheggiabile [16]. Le bande di coloro che oggi chiameremmo “giustizialisti cattolici”, spesso cercavano di allearsi con i conservatori dei borghi che intendevano “riaddomesticare” e, per ottenere maggior ascendente sui tradizionalisti, attaccavano le minoranze religiose, come gli ebrei di Pitigliano. Nel momento di fermento politico, esito del naufragio degli ideali della Rivoluzione francese nel cesarismo napoleonico che sembrava un’inarrestabile deriva contro i valori dell’Europa cattolica, il conservatorismo italiano diede vita a violente manifestazioni come quella delle spedizioni punitive contro città e comuni toscani vicini mirate a isolare e colpire le minoranze non cattoliche e non conservatrici (beninteso per trarne vantaggi politici ed economici). Ma nel caso specifico di Pitigliano il processo di identificazione ed omogeneizzazione della minoranza ebraica con i pitiglianesi era ormai giunto ad un punto che non permise l’isolamento degli ebrei e la loro conseguente condanna alle angherie degli “aretini” (orvietani nella realtà dei fatti).

Dunque nel 1799 troviamo gli ebrei di Pitigliano come parte integrante della Comunità locale, completamente inserita nel tessuto sociale ed inscindibile da esso, al punto che la Comunità avrebbe finito per proteggere i cittadini di origine ebraica e conservarli come parte della comunità anche durante il disgraziato periodo della shoah. Durante le persecuzioni nazifasciste, orchestrate dalla Germania di Hitler con Mussolini come meschino complice, gli ebrei furono comunque protetti e la stragrande maggioranza fuggì nelle campagne salvandosi dalla deportazione.

La completa integrazione della Comunità ebraica in un comune come quello di Pitigliano dipende senza dubbio da un coacervo di motivazioni difficili se non da elencare anche solo da sviscerare ma l’eterogeneità della provenienza dei nuclei familiari che conobbero un processo di integrazione nella Comunità locale parallelo a quello nella Comunità religiosa fu senz’altro uno dei principali. Gli ebrei di Pitigliano si integrarono famiglia per famiglia nel tessuto sociale della città intessendo relazioni di interdipendenza forti con gli autoctoni prima ancora che con i correligionari di provenienza differente [17], andando così a costituire parte integrante della comunità del borgo.

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Pitigliano

Pitigliano resta quindi uno snodo centrale nell’integrazione mediterranea sociale e politica rappresentando un esempio storico di fusione culturale e del “senso comune” popolare fra componente originaria del luogo e componente esterna (di religione ebraica), forte del fatto che il processo di costituzione di comunità geografica finì per precedere quello di comunità etnica e religiosa. Proprio questa caratteristica peculiare, che apparve ad esempio nella citata opposizione alla riorganizzazione accentratrice e verticistica delle comunità ebraiche del 1930, finisce per sottolineare un aspetto centrale della Comunità ebraica del borgo maremmano: la capacità di creare una rete di legami comunitari con i pitiglianesi che a tratti (nella storia e nell’articolazione presente) appaiono anche più radicali di quelli con i correligionari esterni. Appare quindi una caratteristica importante per gli ebrei di Pitigliano e per Pitigliano in sé: la capacità di insistere su una rete locale come punto di forza contro l’impoverimento economico e demografico del borgo. La rete locale che ne è nata dà origine nel presente non solo alle iniziative turistiche e culturali (come la ristrutturazione della Sinagoga e la riorganizzazione di Palazzo Orsini), ma anche alla rinascita di una tipologia di attività produttive legate a doppio filo all’orizzonte locale eppure articolantesi in una dimensione “glocale” (per usare una definizione cara al teorico della globalizzazione post-moderna Ulrich Beck)[18] che ridà consapevolezza e ritagli di potere politico ed economico alla realtà del borgo.

Pitigliano, vittima, come molti altri borghi dell’area, dello svuotamento e dell’impoverimento della periferia a partire dagli anni Cinquanta del secolo scorso, ha trovato una sua identità e ha conservato una sua vitalità, grazie alla forza di assorbire la tradizione della Comunità ebraica locale, mutuandone la cultura e con essa lo spirito imprenditoriale (si pensi che la prima tipografia locale, “La tipografia della Lente” come ricorda Elena Servi, fu fondata da un ebreo, il signor Osvaldo Passi), così che appare oggi come realtà dinamica e in crescita economica nella piccola impresa artigianale e non solo alimentare [19].

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
 Note
1 Per testimonianze sul singolare progetto e utilizzo delle mura da parte degli Aldobrandeschi ad esempio vale la pena consultare Giuseppe Bruscalupi, a cura di G: C. Fabriziani, Monografia storica della contea di Pitigliano (opera postuma), Martini, Servi e c., Firenze, 1906: 302-303.
2 Una testimonianza della centralità ed importanza della chiesa di San Rocco per la comunità di Pitigliano è resa anche in Pietro Fanciulli, La contea di Pitigliano e Sorano nelle carte degli archivi spagnoli di Simancas e Madrid e dell’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato: con documenti inediti spagnoli e italiani, Azienda tipolitografica artigiana (A.T.L.A.), Pitigliano, 1991: 228.
3 Per approfondire da vicino gli eventi del periodo si può trovare materiale nel già citato Giuseppe Bruscalupi, a cura di G: C. Fabriziani, Monografia storica della contea di Pitigliano (opera postuma) (op. cit.), passim.
4 Marco Maria Melardi, Il parco di caccia degli Orsini a Pitigliano-Grosseto fra storia e leggenda, in (a cura di Ferruccio Canali) “Bollettino della Società di Studi Fiorentini” n. 26-27, 2017-2018: 44-56.
5 Cfr. Pietro Fanciulli, La contea di Pitigliano e Sorano nelle carte degli archivi spagnoli di Simancas e Madrid e dell’Archivio di Stato di Firenze, Mediceo del Principato: con documenti inediti spagnoli e italiani (op. cit.): 226-231.
6 Cfr. Marco Maria Melardi, Il parco di caccia degli Orsini a Pitigliano-Grosseto fra storia e leggenda (op. cit.): 50, nota 49.
7 I Medici, come già parzialmente esaminato, furono complici molto spesso dei periodi di turbolenza ai danni dei loro feudatari Conti Orsini secondo una macchinosa strategia basata sul “gioco a somma zero”, molto in voga tra le signorie rinascimentali, cfr. Marcella Aglietti, La nobiltà feudale nel Ganducato di Toscana tra Sette e Ottocento: norme, caratteri e rappresentazione, in (a cura di) “Feudalesimi nel Mediterraneo moderno Tomo I”, Associazione no profit Mediterranea, Palermo, 2015:165-184.
8Per una disamina generale delle disposizioni che accentravano il potere sulle Comunità al Consorzio oltre che per una chiara visione generale della storia ebraica sotto il fascismo cfr. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, Einaudi, Torino, 1972: 102-109.
9 Cfr. idem: 109.
10 In proposito cfr. (a cura di Franco Paioletti), Pitigliano dal Risorgimento al primo Novecento, Ed. del Grifo, 2011
11 Cfr. Roberto G. Salvadori, La comunità ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, Casa Editrice Giuntina, Firenze, 1991: 49.
12 Cfr. Idem.
13 Cfr. Amedeo Spagnoletto, La notte degli orvietani o Purim Sheni di Pitigliano. Ricordi di un rituale a 200 anni dagli avvenimenti, in “La rassegna mensile di Israel” terza serie vol. 65 n. 1 1999:141-178.
14 Aspetto ricordato anche nella pubblicazione cardine del De Felice: cfr. Renzo De Felice, Storia degli ebrei italiani sotto il fascismo, op. cit.:103.
15 Per una descrizione succinta ma completa cfr. Amedeo Spagnoletto, La notte degli orvietani o purim sheni di Pitigliano. Ricordi di un rituale a 200 anni dagli avvenimenti, in “Rassegna mensile di Israel” terza serie, vol.5 n.1: 141-178.
16 Cfr. idem: 146.
17 Cfr. Roberto G. Salvadori, La comunità ebraica di Pitigliano dal XVI al XX secolo, op. cit.: 54.
18 Per lo sviluppo del concetto di “glocalità” anche nell’orizzonte economico cfr. Ulrich Beck, Che cos’è la globalizzazione, Carocci, Roma, 2009: passim.
19 Ringrazio vivamente la gentilissima e squisita signora Elena Servi che, sentita per telefono in tempi di isolamento, ha saputo darmi puntuali precisazioni e rilasciarmi una preziosa intervista essenziale per la redazione dell’articolo. Ringrazio altresì l’associazione “La Piccola Gerusalemme” per l’indispensabile aiuto.

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Francesco Valacchi, vive a Livorno, laureato in Scienze strategiche a Torino e Studi internazionali a Pisa, si è poi dottorato in Scienze politiche/Geopolitica nel 2018. Si occupa di geopolitica, geoeconomia e International Political Economy con particolare riguardo all’area asiatica. Ha pubblicato una monografia dal titolo: Le Federally Administered Tribal Areas: Storia e futuro dell’estremismo islamico in Pakistan e Afghanistan; è collaboratore di riviste come “Affarinternazionali” e dell’Istituto di Alti studi in Geopolitica e Scienze Ausiliarie, e della rivista RISE del Torino World Affairs Institute.

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