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Per una rilettura de “I Promessi Sposi”

Ritratto di Alessandro Manzoni di Hayez, 18

Il ritratto di Alessandro Manzoni dipinto da Francesco Hayez, 1841

di Umberto Melotti 

Nel 2023 sono trascorsi 150 anni dalla morte di Alessandro Manzoni (1785-1873). Le celebrazioni sono andate al di là di ogni previsione. Basti dire che nel Duomo di Milano i suoi Promessi Sposi sono stati letti integralmente, un capitolo al giorno, e il Presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, è andato appositamente a Milano (luogo della nascita e della morte del Manzoni) ad ascoltare nel Duomo la Messa di Requiem che Giuseppe Verdi aveva composto per la morte di quel grande e ha poi visitato il famedio del Cimitero Monumentale, che ne accoglie i resti, e la sua casa di via Morone, dove ha rilasciato una bella dichiarazione che ne ricorda i molti meriti, sottolineando «la finezza, l’arguzia e la profondità» del suo romanzo [1]. 

Anch’io ho celebrato a modo mio quell’anniversario, pubblicando la trascrizione integrale in lingua italiana moderna del suo grande romanzo, da quasi tutti conosciuto in Italia, anche perché per un lungo periodo è stato letto almeno in parte nelle scuole e ancora lo si legge, anche se molto meno. Un romanzo di straordinaria ricchezza, che merita di essere letto e riletto in età adulta, quando lo si può comprendere meglio. Un ostacolo è però costituito dall’invecchiamento della sua scrittura. La lingua, come ogni cosa viva, evolve nel tempo e dalla sua prima versione (nota come il Fermo e Lucia, dal nome dato ai suoi due protagonisti in quel testo, da lui non pubblicato) sono trascorsi più di duecento anni e pochi di meno sono passati dalla sua prima versione a stampa (1827) e centottanta dalla sua versione definitiva (1840-1842). Un tempo in cui sono avvenute moltissime cose, che hanno esercitato la loro influenza anche sulla lingua. 

 La copertina dell’edizione definitiva dei Promessi Sposi (1840-1842)


Frontespizio dell’edizione definitiva dei Promessi Sposi (1840-1842)

Per di più, quando nella prima metà dell’Ottocento, il Manzoni scrisse e riscrisse quel romanzo, l’Italia non era ancora unita e la lingua italiana non si era ancora stabilizzata e dappertutto dominavano, soprattutto nel parlato, i dialetti regionali. Manzoni, lombardo, che in casa parlava anche lui in milanese o con molti amici comunicava in francese, la lingua che aveva imparato a Parigi, decise così di scrivere la sua versione definitiva in una lingua che privilegiava il fiorentino (il fiorentino colto e quello popolare, a seconda dei casi) e a tal fine si recò anche a Firenze, per “risciacquare i suoi panni in Arno”. Ma la lingua italiana si è poi evoluta in una direzione molto diversa (nonostante che il suo romanzo sia stato a lungo assunto a canone della lingua italiana), per effetto di tanti fattori allora imprevedibili: il rimescolamento delle popolazioni della penisola dovuto alle grandi migrazioni interne; l’importanza acquisita dopo l’Unità da altre città (Firenze fu capitale del Regno d’Italia solo per sei anni e poi sopravvenne l’influenza di Roma, diventata il principale centro della vita politica, e di Milano, principale centro dello sviluppo industriale, commerciale e finanziario); l’alfabetizzazione e la scolarizzazione crescente; l’influenza di radio, cinema e televisione.

La mia trascrizione in lingua italiana moderna (che mi ha impegnato per più di un quinquennio) è stata un’operazione per molti aspetti simile alla traduzione del testo in altre lingue [2]. Ricordo, in proposito, che nel 2022 è stata pubblicata la prima traduzione dei Promessi Sposi negli Stati Uniti e che quella traduzione, che ha promosso la conoscenza del romanzo in quel Paese, è stata naturalmente effettuata nella lingua anglo-americana moderna, non in quella della prima metà dell’Ottocento. L’utilizzazione della lingua corrente, del resto, vale per tutte le traduzioni, comprese quelle in lingua italiana di tanti classici francesi e russi, per fare un esempio. Non voglio aggiungere altro sulla mia trascrizione, cui rimando il lettore. Aggiungo solo che non sono un linguista, ma un amante della buona lingua italiana, che ho affinato nel corso del tempo non solo scrivendo e riscrivendo tanti libri, ma correggendo, anche linguisticamente, migliaia di tesi di laurea e quasi tutti gli articoli della rivista che ho diretto per un trentennio. Sono invece, e resto fondamentalmente, un sociologo e un antropologo, che ama anche la storia, la filosofia e la psicologia. Le mie riletture del Manzoni sono così avvenute in una particolare prospettiva, che mi ha permesso di coglierne molti aspetti ignorati o sottovalutati. Ed è sul risultato di questo mie riletture che voglio soffermarmi qui brevemente, per dare un contributo personale alle celebrazioni del centocinquantenario manzoniano. 

Copertina della mia trascrizione in lingua italiana moderna dei Promessi Sposi (2023)

Copertina della mia trascrizione in lingua italiana moderna dei Promessi Sposi (2023)

In realtà ho l’impressione che del Manzoni sia tuttora diffusa una visione sbagliata, anche per i giudizi di certi autori, fra cui Francesco De Sanctis e Antonio Gramsci: quella di un conservatore cattolico, moderato e benpensante, incapace di cogliere i fermenti del suo tempo. Manzoni, in realtà, era un illuminista, formatosi anche, per ambiente famigliare, nel contesto dell’illuminismo lombardo. La sua amatissima madre, Giulia Beccaria, era figlia del grande Cesare, l’autore del trattato Dei delitti e delle pene; era di costumi molto liberi e, per quel tempo, addirittura spregiudicati; frequentava tanti esponenti dell’illuminismo lombardo, fra cui i fratelli Verri, il più giovane dei quali, Giovanni, fu forse il padre naturale di Alessandro; e, dopo di essersi separata dal suo anziano marito, Pietro Manzoni, era andata a vivere con Carlo Imbonati a Parigi, la più aperta città di allora, dove il figlio la raggiunse dopo la morte di questi, per il quale scrisse, a consolazione della madre, il carme In morte di Carlo Imbonati, del tutto privo di preoccupazioni di carattere religioso. E nel 1808 si sposò, con rito civile e rito protestante, con la calvinista Enrichetta Blondel, che, però, sposò poi anche con rito cattolico, previa dispensa papale, dopo il suo ritorno al cattolicesimo (1810).

Per il Manzoni si trattò, appunto, non di una conversione, ma di un ritorno (da bambino e da ragazzo era stato educato in collegi cattolici, dei padri somaschi prima e dei barnabiti poi, di cui serbò sempre un cattivo ricordo). Ma anche dopo quel ritorno non dimenticò mai «le cose utili, vere e nuove» dell’Illuminismo, come scrisse nella seconda parte, incompiuta e pubblicata postuma, delle sue Osservazioni sulla morale cattolica.

Neanche fu conservatore in politica. Anzi, da giovane, durante i primi moti indipendentisti, scrisse l’ode Marzo 1821, che però pubblicò solo nel 1848, durante le Cinque giornate di Milano, da lui sostenute apertamente, anche se con una certa prudenza, perché il figlio Filippo era stato arrestato e si trovava nelle mani degli austriaci. In ogni caso, fu un liberale, fautore dell’unità d’Italia e contrario al potere temporale dei papi, e, dopo essere stato nominato senatore del Regno (1860), votò senza remore l’adesione di Roma, nonostante la minaccia di scomunica papale per chi lo avesse fatto.

Ma è proprio nel romanzo, che emerge la sua concezione del mondo. Non vi è solo la denuncia del malgoverno degli occupanti stranieri (il riferimento esplicito era agli spagnoli, che nel ’600 dominavano a Milano e dintorni; ma, quello implicito era all’occupazione austriaca del suo tempo). Nel suo romanzo vi è anche un’apertura, ben rara nella letteratura del tempo, al mondo popolare. Renzo e Lucia, i due protagonisti, sono esponenti dei “poveri” (termine che ricorre più volte nel romanzo), mentre quelli che li contrastano sono espressione del mondo dei ricchi e dei potenti (don Rodrigo, suo cugino Attilio, il Conte Zio, la Signora di Monza, l’Innominato etc.; i politici e i militari che saccheggiano il Paese e lo affamano con guerre e politiche insensate; gli imperiali che vi portano la guerra e la peste etc.) e quanti operano al loro servizio o, per paura o interesse, non li contrastano o stanno dalla loro parte, contro gli umili e gli indifesi (i “bravi” di Don Rodrigo e dell’Innominato, don Abbondio, il dottor Azzeccagarbugli, il podestà di Lecco, il padre provinciale dei cappuccini, gli addetti della sedicente giustizia etc.).

I personaggi de I Promessi Sposi

I personaggi de I Promessi Sposi

Certamente fra le figure positive vi sono anche dei religiosi (come fra Cristoforo, che aveva lasciato il mondo dei ricchi per dedicarsi alla difesa dei poveri, o i cappuccini di padre Casati, che rischiando la propria vita, assistevano gli appestati al lazzaretto) e, soprattutto, il cardinale Federigo Borromeo, che intervenendo nella conversione dell’Innominato, opera quasi da deus ex machina nella vicenda dei protagonisti (la sua conversione è definita dal suo cappellano crocifero come una mutatio dexterae Excelsi). Il cardinal Federigo del romanzo non è però quello della storia, ma una figura idealizzata, costruita proprio a tal fine. Come ho scritto nella più lunga nota del mio libro (ce ne sono un centinaio, tutte poste in appendice, per non interferire con la lettura del romanzo, e sono per lo più molto brevi), è questo il caso in cui il Manzoni si allontana di più dalla storia, concedendo troppo all’agiografia, come rivela anche lo stile oratorio dei passi che lo concernono, così diverso da quello molto sobrio del resto del libro. Manzoni cita fuggevolmente le credenze «strane e infondate» di quel cardinale, senza specificarle, per non incrinare l’esemplarità del personaggio da lui costruito. In realtà, fra le credenze che tace vi era – oltre a quella nell’astrologia, che il Manzoni invece irride nella figura di don Ferrante (cap. 27) – la convinzione che la peste fosse un’«arma dell’ira divina» (come Federigo scrisse in un testo allora inedito, ma ben noto al Manzoni, che l’aveva scovato alla Biblioteca Ambrosiana) e che le unzioni malefiche, cui allora molti (ma non tutti) imputavano la diffusione della peste, fossero non solo reali, ma dettate dai diavoli. Lo scrittore tace anche il ruolo di quel cardinale nei roghi delle ultime “streghe” di Milano. Del resto il Manzoni stesso ebbe ad asserire l’impossibilità che un romanzo rispetti davvero la verità storica.

Ciò non infirma peraltro il valore dei Promessi Sposi, anche come romanzo storico. Alcune delle pagine più belle sono dedicate proprio alle vicende storiche: l’assalto ai forni, la guerra, la peste. Mirabili sono le scene collettive, anche nei loro risvolti psicologici, e attualissime le descrizioni della peste, che non possono non evocare al lettore di oggi quanto è accaduto recentemente con la pandemia da Covid-19. Attualissime, mentre è in corso la sciagurata guerra fra Russia e Ucraina, sono anche le numerose pagine dedicate alle violenze delle invasioni belliche e delle guerre in generale. La narrazione è inoltre inframmezzata da considerazioni di carattere sociologico, psicologico e morale, ispirate a un fondamentale buon senso, di cui c’è ancora molto bisogno. Di queste alcune sono diventate addirittura proverbiali.

C’è, ovviamente, sullo sfondo, la fiducia nella Provvidenza. Ma ciò che più attribuisce al romanzo il suo fascino è la sua struttura, che ricorda (non so se altri l’abbiano già rilevato) quella delle favole. I due innamorati devono attraversare tutta una serie di incredibili peripezie prima di potersi riunire, di sposarsi e di vivere a lungo felici e contenti. Nella conclusione c’è anche la morale della favola, “trovata da povera gente” e scritta dall’autore con piacevole leggerezza.

È, insomma, un libro da leggere e da rileggere, come dicevo all’inizio. La mia trascrizione, integrale e rispettosa al cento per cento del testo, ne rende la lettura più scorrevole e immediatamente comprensibile a tutti, fra cui i giovani (che la crisi della scuola e la diffusione dei mezzi di comunicazione di massa e dei social ha reso meno capaci di intendere i testi letterari) e gli immigrati da altri Paesi, i “nuovi italiani”, che dovrebbero cogliere l’occasione per conoscere questo straordinario capolavoro, anche come un passo significativo della loro integrazione culturale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023
Note 
[1] Se ne può vedere il testo integrale nel Corriere della Sera:
https://www.corriere.it/cultura/23_maggio_22/mattarella-rende-omaggio-manzoni-una-voce-universale-che-ancora-ci-parla-9c5552e2-f8a5-11ed-8bca-35ac6820436c.shtml. 
[2] Il libro pubblicato in print on demand dalle edizioni Book Sprint, può essere richiesto all’editore, tramite le migliori librerie o anche direttamente (www.booksprintedizioni.it).
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Umberto Melotti, ha insegnato Sociologia e Antropologia culturale all’Accademia di Brera, all’Università di Pavia e, per ventisei anni, come ordinario, alla “Sapienza” di Roma. Ha fondato e diretto la rivista “Terzo Mondo” ed è stato per otto anni (il massimo consentito) membro della direzione dell’“International Review of Education”, pubblicata in tre lingue dall’Unesco. Fra le sue numerose pubblicazioni:  Marx e il Terzo Mondo (Il Saggiatore, 1972), tradotto in inglese, spagnolo e cinese; La nuova immigrazione a Milano (Mazzotta, 1985); L’immigrazione: una sfida per l’Europa (Edizioni Associate, 1992);  Etnicità, nazionalità e cittadinanza (Seam, 1999); Migrazioni internazionali, globalizzazione e culture politiche (Bruno Mondadori, 2004), parzialmente tradotto in molte lingue; Marx: passato, presente, futuro (Meltemi, 2019), edizione aggiornata di Marx e il Terzo Mondo.

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