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Per il decano e l’amico. Per la vita di quasi un secolo di studi

Giuseppe Profeta (ph. Gianfranco Spitilli)

Giuseppe Profeta (ph. Gianfranco Spitilli)

di Pietro Clemente 

Il 7 dicembre 2022 il professor Giuseppe Profeta ha completato la donazione liberale della sua biblioteca personale alla Grande biblioteca pubblica regionale Melchiorre Delfico, più di 15 mila testi molti dei quali rarità bibliografiche. La Delfico è una biblioteca storica cresciuta tra Real Collegio e Italia napoleonica, tra Provincia e Regione e giunta a oltre 300 mila volumi. Una biblioteca che ha accolto nel 2022 anche parte del fondo di don Nicola Jobbi, sacerdote ma anche studioso e raccoglitore di cultura popolare. In tanti ammireranno questa operazione culturale anche con un po’ di invidia. Nel passaggio al digitale i libri si sono svalorizzati e molti studiosi che vorrebbero donare e far diventare pubblici i propri libri trovano ovunque dinieghi, in specie dalle Università.  

Giuseppe Profeta proprio ieri, il giorno prima dell’uscita di questo numero della rivista Dialoghi Mediterranei, ha compiuto novantanove anni. Lo ha fatto da uomo attivo, appassionato alla cultura, da autore di un libro che esce proprio con il compleanno [1] e ne segue un altro uscito nel 2020 (L’acqua e il vaso, ed. Dabruzzo Menabò). Non ha dimenticato gli studi, si può dire semmai li ha ‘raffinati’ nella dimensione teorica. Profeta ha scritto sui vasi ma ha anche collezionato vasi e ha vissuto con essi in una importante raccolta.

La sua è stata una vicenda di studioso originale, avviato agli studi di Storia delle tradizioni popolari con Paolo Toschi all’Università di Roma, ha lavorato su tanti aspetti della cultura popolare abruzzese, ha costruito bibliografie che sono punti fermi negli studi, molte sue ricerche sul campo sono documentate in Archivi sonori pubblici. È stato libero docente e professore incaricato negli anni ’60, e professore ordinario dal 1977 [2].

Con questi contributi e queste pagine abbiamo pensato di rendere omaggio allo studioso e alla sua tenace passione conoscitiva, al suo essere il decano degli studi DEA in Italia 

profeta-copertina-empire-vuotareLa danza del mondo

Giuseppe Profeta continua il suo percorso di ricerca e di sistemazione teorica di uno dei temi prediletti dei suoi studi: i vasi. Questi ultimi sono al centro della sua riflessione in stretta connessione con la sua collezione ricca di numerose varietà tipologiche. Nel tempo gli aspetti descrittivi si trasformano nella analisi delle forme e si inoltrano in studi concettuali sulle funzioni universali che i vasi simboleggiano. Si passa insomma dai vasi usati per prelevare l’acqua a una fonte al grande sistema vascolare che caratterizza sia il corpo umano che l’universo materiale, si passa dallo scorrere dell’acqua, dall’entrare e dall’uscire di liquidi alle azioni del riempire e del vuotare come parti di un sistema generale dell’Universo. Non a caso assume una espressione di Leonardo da Vinci a ‘simbolo’ del suo argomentare. Anche nelle sue opere precedenti il suo approccio generale ai flussi ricorda fortemente la tradizione filosofica ‘materialista ‘ del pensiero occidentale che connette Leonardo a Epicuro, a Lucrezio ma che si ritrova nell’opera di Leopardi e nella rilettura che ne fece in seguito Timpanaro.

Rispetto alle opere precedenti, e in particolare al recente L’acqua e il vaso nella vascolarità universale (Edizioni D’Abruzzo, Menabò 2020) questo è uno scritto di ‘pensiero ulteriore’. La riflessione di Giuseppe Profeta si basa sulla forte interconnessione tra sistemi universali e corpi fisici reali di ciascuno di noi, per cui l’astrazione è sempre concreta. Generalità dei corpi e concretezza del corpo. Si tratta di un lavoro di pensiero sulla fisica elementare ed essenziale del mondo che in parte ricorda il messaggio di Alberto Mario Cirese sulla necessità della astrazione teorica nelle pratiche dell’analisi antropologica. A questo proposito ricordo il saggio di Cirese dal titolo A domande concrete astratte risposte. Proverbio del XXI° secolo [3] .

cover_9788845905605__id12583_w1200_t1662964640In questo ultimo lavoro, si percepisce l’esigenza teorica di un nesso più esplicito tra le azioni umane e le dinamiche del mondo della vascolarità universale. Gli uomini, le culture, operano attraverso azioni pratiche che sono per lo più in inconsapevole accordo con i ritmi del mondo naturale. Assecondano così la sintonia tra microcosmo e macrocosmo. Ma questo rapporto da un lato diventa habitus e quindi «sistema di disposizioni durabili e trasferibili, strutture strutturate, predisposte a funzionare come strutture strutturanti per la maggior parte di natura inconscia» [4]. Ma anche a livello più generale e filosofico si definisce un nesso tra il mondo delle pratiche culturali e quello delle regole fisiche al quale si conformano. Profeta trova risposta nella nozione di travestimento, nozione che, già dal titolo, è a sua volta accompagnata a quella di ripetizione e di creazione: riferibili tutte al nesso tra l’esistenza soggettiva di uomini e di culture rapportate e pensate in rapporto alle meccaniche del cosmo.  Questi temi mi riportano alle problematiche poste dall’antropologo Gregory Bateson sui rapporti tra Mente e natura [5].  Nella fascetta del volume precedente, Profeta aveva sintetizzato così il messaggio del libro: Un tentativo di illuminare la misteriosa dinamica cosmica che ci danza intorno. E in cui, si potrebbe aggiungere, danziamo anche noi. Questi temi mi riportano alle problematiche poste dall’antropologo Gregory Bateson sui rapporti tra Mente e natura.

Mi colpisce che questa riflessione così sistematica sull’acqua e i sistemi vascolari accompagni una delle fasi più acute del riscaldamento globale e della siccità. Il Po, il nostro più importante fiume, sta soffrendo terribilmente. Nel passato i fiumi erano divinità parte di una concezione sacra del cosmo. Ed è davvero drammatico vedere che questa divinità d’acqua sta morendo.

D’altra parte, nella impostazione di Profeta, il nesso tra cultura e natura fa pensare al tema della co-evoluzione tra mondo umano e mondo naturale, proposta dagli studi ‘territorialisti’ [6] in opposizione all’ecologismo, che tende ad ignorare la possibilità di un corretto rapporto tra civiltà umane e natura, presente invece largamente prima dell’Antropocene. Ritengo che i nuovi pensieri di Giuseppe Profeta si connettono a grandi e appassionanti questioni dell’antropologia teorica e, a loro volta, fanno pensare.

Un ringraziamento infine a uno studioso che non ha mai cessato di credere nel valore degli studi e che, quasi prossimo al centenario, è stato capace di produrre ancora lavori di alto interesse.

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
Note
[1] Empire-Vuotare, come travestimento del binomio quantitativo “aumentare-diminuire” e come creatore e alimentatore della dinamica vascolare e cosmica, Ortona, 2023
[2] Ecco il suo profilo nel sito di Deputazione Abruzzese di Storia Patria: 
Giuseppe Profeta è nato ad Arsita (Teramo) nel 1924. Dopo essersi impegnato come insegnante e come dirigente nelle scuole statali di vario ordine e grado, ha conseguito la Libera docenza universitaria ed ha vinto il concorso da ordinario in Scienze demo-etno-antropologiche. In tale veste ha insegnato nelle Università della Calabria, dell’Aquila, di Chieti e di Teramo. Ha ricoperto la carica di direttore di Istituti universitari e di preside di Facoltà in vari atenei. Membro di associazioni culturali italiane e straniere, ha partecipato con proprie relazioni a vari convegni scientifici nazionali e internazionali (Palermo, Parigi, Mosca Helsinki, Bucarest, ecc.). è stato responsabile, per oltre un ventennio, della sezione italiana della “Internationale Volkskundlike Bibliographie”, la bibliografia internazionale del folklore che si pubblica in Germania, ed ha scoperto e recuperato gli otto volumi manoscritti della “Bibliografia delle tradizioni popolari d’Italia” di Giuseppe Pitré. Ha ideato e diretto la collana “Documenti e studi di vita tradizionale-popolare” della casa editrice Japadre (L’Aquila-Roma). È presidente da oltre un decennio della giuria del “Vernaprile”, premio per la cultura abruzzese. È stato primo presidente della Casa di Dante in Abruzzo e ha ricevuto il “Premio Paliotto d’oro” riservato ai cittadini illustri di Teramo. È socio ordinario della Deputazione abruzzese di storia patria dal 1962 e Deputato dal 1970. Tra le principali pubblicazioni si ricordano: Canti nuziali nel folklore italiano, Firenze, Olschki, 1964; Poesia e popolo nell’opera di Modesto Della Porta, Teramo, CETI, 1964; Lupari, incantatori di serpenti e santi guaritori, L’Aquila-Roma, Japadre, 1995; Bibliografia della cultura tradizionale del popolo abruzzese, Roma, Editrice dell’Ateneo, 1964, e L’Aquila, DASP- Colacchi, 2005. Nel volume di Enzo Vinicio Alliegro, Antropologia italiana. Storia e storiografia 1869-1975, SEID, Firenze, 2011 a pag. 529 si trova anche il giudizio della commissione e si vede che divenne ordinario insieme con Gianfranco D’Aronco, Clara Gallini, Luigi Maria Lombardi Satriani e Francesco Remotti.
[3] A. M. Cirese, A domande ‘concrete’, ‘astratte’ risposte, in “Uomo e cultura”, 1980/81, n. 25/28
[4] Mi riferisco qui alla definizione del sociologo Pierre Bourdieu in Risposte. Per un’antropologia riflessiva, Bollati Boringhieri, 1992 
[5] Gregory Bateson, Mente e natura. Un’unità necessaria, Milano, Adelphi, 1984: «Ci imbattiamo qui in una differenza assai cospicua tra il modo in cui descriviamo il comune universo materiale e il modo in cui siamo costretti a descrivere la mente. La diversità sta in questo, che per l’universo materiale saremo di solito in grado di dire che la ‘causa’ di un evento è una forza o un urto esercitati da una parte del sistema materiale su qualche altra sua parte: una parte agisce su un’altra. Viceversa, nel mondo delle idee occorre una “relazione”, o tra due parti oppure tra una parte all’istante 1 e la stessa parte all’istante 2, per poter attivare una qualche terza componente che possiamo chiamare il “ricevente”. Ciò a cui il ricevente (ad esempio, un organo di senso terminale) reagisce è una “differenza” o un “cambiamento”».
[6] Vedi in particolare A. Magnaghi, Il principio territoriale, Bollati-Boringhieri, Torino, 2020 

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Pietro Clemente, già professore ordinario di discipline demoetnoantropologiche in pensione. Ha insegnato Antropologia Culturale presso l’Università di Firenze e in quella di Roma, e prima ancora Storia delle tradizioni popolari a Siena. È presidente onorario della Società Italiana per la Museografia e i Beni DemoEtnoAntropologici (SIMBDEA); membro della redazione di LARES, e della redazione di Antropologia Museale. Tra le pubblicazioni recenti si segnalano: Antropologi tra museo e patrimonio in I. Maffi, a cura di, Il patrimonio culturale, numero unico di “Antropologia” (2006); L’antropologia del patrimonio culturale in L. Faldini, E. Pili, a cura di, Saperi antropologici, media e società civile nell’Italia contemporanea (2011); Le parole degli altri. Gli antropologi e le storie della vita (2013); Le culture popolari e l’impatto con le regioni, in M. Salvati, L. Sciolla, a cura di, “L’Italia e le sue regioni”, Istituto della Enciclopedia italiana (2014); Raccontami una storia. Fiabe, fiabisti, narratori (con A. M. Cirese, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); Tra musei e patrimonio. Prospettive demoetnoantropologiche del nuovo millennio (a cura di Emanuela Rossi, Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2021); I Musei della Dea, Patron edizioni Bologna 2023). Nel 2018 ha ricevuto il Premio Cocchiara e nel 2022 il Premio Nigra alla carriera.

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