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Paolo Amato architetto dell’effimero barocco a Palermo

 

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P. Amato, Teatro per la giostra per le nozze di Carlo II, 1680

di Giovanni Isgrò

Paolo Amato architetto scenografo, nato a Ciminna nel 1634 e morto a Palermo nel 1714, è stato l’incontrastato protagonista del teatro festivo barocco in Sicilia nel tempo in cui, dopo il fallimento della rivolta di Messina del 1678, Palermo conquistò definitivamente la centralità culturale oltre che politica del Viceregno spagnolo nell’Isola.

A Paolo Amato, divenuto architetto del Senato di Palermo, spettò il compito di esprimere i fasti e lo splendore della capitale che confermò ed esaltò più che in passato il suo ruolo di città-teatro. Fu così che l’artista ciminnese utilizzò il suo sapere progettuale per l’ideazione di macchine e apparati che avrebbero fatto la storia del teatro festivo urbano in Sicilia (e non solo in Sicilia).

Le qualità delle invenzioni nel campo della scena urbana Paolo Amato le manifestò per la prima volta nel 1680 quando, in occasione delle solenni celebrazioni per le nozze di Carlo II con Maria Luisa di Borbone, gli fu affidato dal Senato un’impresa mai sperimentata fino a quel momento nell’Isola. Si trattava di realizzare nel grande Piano della Marina (oggi piazza Marina) il “teatro della giostra” ossia un impianto en plein air capace di contenere migliaia di spettatori, oltre alle massime autorità civili e religiose ed esponenti dell’aristocrazia siciliana e spagnola. Era di fatto una struttura “ad uovo” simile ad un vero e proprio anfiteatro, tutta realizzata in legno rivestito di «bellissimi apparati di ricamate sete e di finissimi arazzi». Così ce la descrive l’autore del ragguaglio dell’epoca [1]:

«Si fabricava in tanto nel gran piano, che chiamano della Marina, un ampio, e superbissimo Teatro, emulo della Romana, e non indegno della Palermitana magnificenza, che volentieri, l’havrebbe questa desiderato eretto di finissimi marmi, se la condition de’ tempi comportasse l’uso di sì fatte machine, per eternarvi la memoria d’un Prencipe tanto riverito, e amato: la cui ossatura però nel dì solenne della Giostra comparve superbamente vestita di bellissimi apparati di ricamate sete, e di finissimi arazzi. Formavasi il gran Teatro di figura ovata, qual vidde Roma un tempo il suo Cerchio massimo: stendevasi in lunghezza 624 piedi, e nella sua maggior larghezza 240. Sul suolo correan tutto d’intorno fabricate le camere per la plebe più minuta, cui facea tetto un gran tavolato; che declinava in una scena attraversata di spesse travi, per sedervi il rimanente degli spettatori, e nel di sopra finiva in commodi palchetti per la Nobiltà, e Cittadini di conditione più riguardevole. Gli s’apriva l’entrata a traverso del fianco destro, che guida alla famosa strada del Cassero, e della Regia Dogana. Dalla destra parte, e nel bel mezzo del Teatro aprivasi un balcone cinto di balaustri dorati, destinato al soglio degli Eccellentissimi Signori Viceré, e Vicereina, fiancheggiato dall’una, e l’altra parte da due gran loggie apparecchiate per le Dame: e dalla destra havea il palco della Nobiltà, e Titolati del Regno; dalla sinistra quello de’ Ministri, e Consiglieri Regij. Dirimpetto al trono del Prencipe opponeasi la gran Loggia del Senato Palermitano, dove il Pretore seder dovea in mezzo a’ Giudici della Giostra, e dall’una, e l’altra parte i Senatori, ciascheduno a suo posto; dietro a questo gli Officiali più nobili del medesimo Senato con un misto corteggio di Cavalieri, e a’ piedi i Mazzieri nell’abito usato nelle maggiori solennità, e i Sonatori di pifferi.
Correa nel bel mezzo al Teatro la Lizza per lo spatio di 528 piedi, armata a’ fianchi delle sue contrallizze, conforme al disegno qui delineato, e inciso in rame dal gentilissimo, e nobilissimo Architetto D. Paolo Amato, dove con bellissimo artificio, e delicatezza vedesi distintamente rappresentata la forma del Teatro, l’ordine degli spettatori, e parte della solenne entrata de’ Cavalieri».

L’imponenza dell’impianto e il successo della manifestazione, alla quale parteciparono i migliori cavalieri giostratori dell’aristocrazia isolana, spianò la strada al nostro architetto il quale, nella prospettiva di diventare il grande maestro della spettacolarità urbana, intensificò le sue esplorazioni documentarie in ambito sovranazionale al fine di trovare ispirazioni adeguate al suo iter progettuale. In questo senso, molto gli giovò lo studio di illustri esponenti dell’ordine dei Gesuiti, fra i maggiori esperti europei della cultura e dell’arte barocca applicate all’effimero. In particolare, riferimento primario fu per Amato la scuola gesuitica romana, e soprattutto Andrea Pozzo. L’uso ricorrente nei suoi disegni delle colonne tortili nasce proprio da questo approccio; ma, come ha già evidenziato Maria Clara Ruggieri Tricoli [2], non trascurò l’esperienza spagnola, in particolare del gesuita Juan B. Villalpando e di Juan Caramuel de Lobkowitz, alla cui opera Architectura civil recta y obliqua (Vigevano, 1678), si ispirò frequentemente nel suo lavoro teorico, anche se lo stile che lo formò nel campo dell’architettura festiva non poté non collegarsi alle immagini della scenografia barocca berniniana.

Fu così che Paolo Amato nonostante non si allontanò mai dall’Isola, ebbe modo di consultare ragguagli, disegni, incisioni, materiale documentario diverso riguardante il fenomeno della festa barocca ormai dilagante nei centri maggiori al di fuori della Sicilia. Stante il grande lavoro di ricerca e di aggiornamento sul piano sovranazionale, Amato seppe tuttavia dare sfogo alla sua genialità inventiva raggiungendo risultati originali che ben si coniugarono con la specifica configurazione urbanistico-architettonica di Palermo, senza trascurare al tempo stesso l’aspetto teorico della scenotecnica e della scenografia urbana che elaborò nel volume Nuova prattica di prospettiva (Palermo, 1714).

Sul versante interno, ciò che distinse Paolo Amato dagli architetti del Senato che lo avevano preceduto, fu il suo doppio ruolo di “ingegniero” e di “corago”, ossia di “regista” del teatro festivo; ruolo che si manifestò per la prima volta nella sua interezza nel 1686 in occasione della festa di luglio dedicata a Santa Rosalia, dal 1625 patrona di Palermo. Fu in quell’anno del 60° anniversario della festa che si manifestò in maniera archetipica in tutta la sua estensione la specificità del “mestiere” del nostro architetto-scenografo urbano, il quale fissò in pregevoli incisioni le immagini delle sue invenzioni artistiche, testimoniando in questo modo l’importanza e la diffusione che in quel secolo ebbe la pratica dell’incisione a bulino e ad acquaforte.

L’articolazione del progetto di Amato messo in atto nel 1686 coinvolse infatti a spazio totale i luoghi deputati della città-teatro, stabilendo al tempo stesso una non soluzione di continuità rispetto al tempio massimo della città, il cui spazio interno entrò in perfetta osmosi con la teatralità en plein air.

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P. Amato, Carro trionfale. Festino di Santa Rosalia, 1686

Per attuare la sua idea di total theater, Paolo Amato basò la sua progettualità su cinque tipologie di elementi: le macchine mobili da corteo, la macchina pirotecnica, l’apparato della cattedrale, gli altari lungo l’asse di parata (la via Toledo, oggi corso Vittorio Emanuele), gli addobbi di piazza Villena, ossia il centro della croce di strade (via Toledo/via Maqueda). Tutte queste componenti furono fra loro collegate da un unico tema, ossia quello del trionfo della Santa sul mondo pagano, sostenuto dall’esibizione dei trofei della vittoria.

Per quanto riguarda le macchine mobili, certamente il carro trionfale costituì il dispositivo di maggiore attrazione, anche se la macchina del “Cavallo di Troia”, inteso come trofeo della Santa suscitò curiosità e stupore. Poggiato su quattro ruote, il carro trionfale era costituito da una grande conchiglia dipinta in oro sovrastata da un’aquila, anch’essa d’oro, simbolo della città. Sotto l’aquila prendevano posto 22 musici, mentre tra le sue ali Amato fece costruire scalini che ospitavano tre cori. Sovrastava il tutto la statua di Santa Rosalia con in mano una bandiera. Il carro era trainato da 12 cavalli travestiti da orsi, leoni ed elefanti [3].

A Paolo Amato spetta il merito di avere introdotto nel Festino di Santa Rosalia, ancora nel 1686, la macchina dei fuochi d’artificio. Uniformandosi al tema letterario collegato alla leggenda di Troia, la macchina rappresentava l’assedio della capitale del regno di Priamo. Questa si mostrava come una città-ideale, bastionata attorno secondo una visione verticalizzata, articolata in edifici simmetricamente disposti con una piazza al centro nella quota bassa e culminante con una struttura raffigurante il tempio di Pallade con colonnato frontale dominato dal globo e dall’aquila simbolo della città di Palermo. Il modello ideato da Paolo Amato comprendeva anche la presenza di quattro macchine minori, poste attorno a quella centrale, raffiguranti quattro fortini degli assedianti.

La macchina fu alzata nel piano del palazzo reale, dove rimase a vista del popolo palermitano per circa due settimane prima dello sparo dei fuochi d’artificio che avvenne all’arrivo del carro trionfale e del cavallo di Troia [4]:

«Trovossi in mezo alla Piazza […], colorita a dissegno di apparente verità da industre Pennello, una Città ben alta, e grande, che tale appariva per il prospettivo artificio di maestrevol Pittura. I quattro angoli retti, che la cingevano, erano presidiati da quattro fortissimi baloardi, che sporgendo in fuori, assicuravano le muraglie, munite anch’elle con tutte le difese, e ornamenti dell’arte. Era largo il muro per ogni facciata ottanta palmi, e nel mezo vi si apriva per ogni lato una porta ferrata, custodita da’ suoi ponti con le solite alzate. Tutto era dipinto vagamente alle sodisfattioni dell’occhio, con l’esatte regole ad ammaestrare gl’ingegni. S’inalzavano dentro al forte recinto numerose fabriche di Teatri, di Palagi, e di logge, con lavori, e dissegni magnifici quanti ne sa dettare a i tratti d’un industre Pennello l’Architettura più nobile. Superava tutte come in eminenza di sito più sollevato, così in ornamenti di Maestà più superba, un Tempio, che s’inalzava nel mezo, al di cui fuori si scorgevano gran portici di colonne, il cui sommo finiva in sublime cupola, che lo copriva: arrivando la sua maggior altezza a cento palmi da terra. Era questa la Città di Troia, e ‘l dinotava una grand’Aquila con ale aperte, e fulmini alle branche, che in cima alla cupola gloriosa appariva. Si finse la stessa del poetico Giove, sopra il cui famoso tempio sedeva. Oh a quali gran voli la generosa Volatile al vero honor di Rosalia hor hor s’apparecchia! Basta in tanto sia noto essere stata l’Aquila l’insegna degli antichi Troiani, come afferma Ulisse Aldrovando. [...]
Senza più saperne, chiunque ivi fosse arrivato nuovo, e niente informato, al solo vedere accostarsi alla superba Città il fatale Cavallo, pensò dover mirarne quanto prima l’incendio. Né s’ingannò: a tal’effetto s’eresse la gran machina, acciò ne andasse a fiamme in un gioco di fuochi artificiati, e fosse un passatempo degli occhi quel memorabile spavento del Mondo. S’incominciò questo da molti huomini armati, che scendendo, già fatta notte, dal Cavallo con faci accese, e sparando liberi, e minacciosi il gran recinto di spesse barrate, che attorno alla Città le faceano trinciera, mentre entravano al funesto esterminio, risvegliarono alla difesa quattro fortini, o meze-lune, che in giusta distanza a fronteggiare i baloardi erano eretti».
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P. Amato, Macchina dei fuochi d’artificio. Festino di Santa Rosalia, 1686

Il ruolo archetipico di Paolo Amato come geniale autore anche di apparati effimeri interni si apprezzò in particolare nella meravigliosa invenzione scenografica espressa a tutto campo nella navata centrale della Cattedrale fino al punto di fuga costituito dall’altare maggiore. I lati della navata furono interamente mascherati da ornamenti tridimensionali, tabelloni dipinti, decori floreali, balaustre, colonne tortili, statue, sfondati prospettici. Fra i motivi floreali si scelse la rappresentazione dei giardini della verdeggiante Palermo. Sotto gli archi furono rappresentati sedici monarchi in veste trionfale fra i trenta che tennero lo scettro di Sicilia: dal Conte Ruggero il Normanno a Carlo II. Quest’ultimo fu rappresentato sopra il cornicione della Porta Maggiore di rimpetto all’altare. Fra un arco e l’altro furono raffigurati alcuni dei Santi patroni palermitani, mentre in alto, sovrapposte alle finestre su tabelle trasparenti erano raffigurate le virtù di Santa Rosalia.

Di straordinaria attrazione fu poi l’idea di realizzare, lungo tutta la navata maggiore, un controtetto a dammusu, ossia a volta, anch’esso riccamente dipinto. La tecnica di messa in opera di questo lungo controtetto realizzato a sezioni fu quella di predisporre il tutto su quota terra per poi sollevarlo con un sistema di argani e funi fino alla quota alta del tetto. L’altare maggiore fu a sua volta trasformato alla maniera degli altari delle Quarantore con un accurato metodo di prospettiva. Lo sfondato dell’arco rappresentava la città di Palermo con la croce di strade contestualizzata fra lo specchio marino antistante ad essa e il paesaggio circostante. In alto si apprezzava la Santa trionfante, coronata di raggi e circondata da puttini aerei, seduta su un carro di luce tirato da quattro cavalli di colore diverso (bianco, rosso, fulvo e nero) galoppanti su nubi. Il fondale dipinto era inquadrato da due coppie di colonne tortili collocate su capitelli corinzi arricchiti da fogliami ed arabeschi. Sovrastava il tutto una grande corona imperiale «foggiata riccamente a grosso rilievo d’argento, e fondo di velluto cremesino, che servendo d’ombrella a tutto l’altare era adorna con due aperte cortine dello stesso velluto»[5].

Dopo quello del 1686 il Festino di maggior rilievo nel quale fu impegnato Paolo Amato si riferisce all’anno 1693. Si trattò, in quell’occasione, di ringraziare la Santa Patrona per aver salvato Palermo dal terribile terremoto che, come si è detto, distrusse buona parte della Sicilia orientale. Fu quella una delle edizioni più fastose del Festino, che durò quattro giorni anziché tre. Per l’occasione il carro massimo fu integralmente reinventato dal nostro architetto. In un unico disegno architettonico egli associò lo strascino e la struttura sovrastante che iniziò ad evolvere verso la forma della poppa di una nave, secondo una linea progettuale destinata a maturare nel corso del ‘700. La parte anteriore della macchina era poggiata sul dorso di due Arpie inargentate; mentre dietro la poppa apparivano avvinte da catene dorate le statue degli elementi; «mettea fine una ricca conchiglia, su la quale assisa sopra una nuvola, e col corteggio di puttini d’argento l’invitta amazzone Rosalia sventolava l’insegna del suo trionfo»[6].

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P. Amato, Apparato della cattedrale e altare maggiore. Festino di Santa Rosalia, 1686

Alla configurazione dell’Etna si ispirò invece la macchina dei fuochi d’artificio su disegno di Giacomo Amato. Nella parte più bassa erano rappresentati villaggi, città e castelli. Nella parte mediana si distinguevano boscaglie, mentre nella parte più alta si vedevano superfici innevate. Le quattro macchine laterali rappresentavano: Vulcano e i Ciclopi; Proserpina rapita e Cerere nell’atto di accendere le fiaccole sull’Etna per cercare la figlia; Empedocle che si uccide fra le fiamme; il gigante Eucebado in atto di ruotare il fianco bruciato. Già per il Festino del 1689 Paolo Amato aveva progettato e realizzato una macchina pirotecnica in forma di montagna che in quel caso aveva raffigurato “l’Olimpo della Tessaglia” e la scalata dei titani.

Nell’apparato della Cattedrale particolare cura Paolo Amato mise nella macchina dell’altare maggiore. Si stagliava al centro una colonna tortile sovrastata dalla Santa Patrona e poggiante su un piedistallo cui stava appoggiato fra gli altri il genio di Palermo tremante agli urti del terremoto. Coronava la maestà di quella macchina «una ombrella reale di vermiglio drappo collo stame d’oro, che s’avvolgea nell’ampie e dovitiose cortine sostenute da alati spiriti in corpo d’argento»[7]. Un dispositivo architettonico con sfondati dipinti, balaustra nella quota intermedia e ancora altri sfondati dipinti incorniciati da colonne ed archi completava in profondità la macchina dell’altare maggiore.

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P. Amato, Altare maggiore della cattedrale. Festino di Santa Rosalia, 1693

Bisogna attendere il 1701 per trovare un altro importante archetipo scenico realizzato da Paolo Amato che con piccole varianti, fu replicato nel corso del XVIII secolo. Si tratta del carro trionfale, realizzato in forma di grandioso vascello praticabile, ornato da statue raffiguranti “mori” prigionieri. Sovrastava il carro Santa Rosalia assisa su bandiere e trofei. Precedevano il carro altri carri minori anch’essi praticabili. La struttura “a Bucentorio” di questo carro è stata ripresa nel 1974 dall’architetto Rodo Santoro e utilizzato fino all’inizio del terzo millennio [8].

La macchina dei fuochi d’artificio rappresentava la decadenza e la distruzione dei più forti imperi della storia del mondo, secondo l’esempio dei sogni di Daniele e di Nabucodonosor. Il colosso posto nella parte più alta con la testa d’oro, il petto d’argento, le cosce di bronzo e i piedi d’argilla era emblematico in questo senso. Attorno alla macchina centrale, le macchine minori raffiguravano celebri monarchie del passato.

Nell’apparato della Cattedrale Paolo Amato ripeté la sua magia scenografica proponendo nei 18 archi della navata le imprese più famose della Santa. I medaglioni posti fra un arco e l’altro recavano l’effige degli eroi antenati di Santa Rosalia. Le statue in basso rappresentavano santi famosi per aver contribuito alle vittorie dei monarchi cattolici [9].

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P. Amato, Altare maggiore della cattedrale. Festino di Santa Rosalia, 1693

A parte l’exemplum del carro trionfale del 1701, fra ‘600 e ‘700 la creatività di Paolo Amato sembra concentrarsi in particolare nella progettazione delle macchine dei fuochi artificiali, ogni anno raffiguranti temi diversi. L’elemento acquatico spesso prevale nella fantasia dell’Amato. Nel 1690 una fontana decorata dei mostri sconfitti da Eracle e fiancheggiata dalle due mitiche colonne, stupì gli spettatori con la mutazione a vista della fuoriuscita di abbondante acqua in un improvviso scatenarsi di fuochi fra il roteare di girandole piriche.

Nel 1704 l’attitudine scenografica dell’architetto produsse la rappresentazione dell’assedio navale a Siracusa con un mare di cartapesta animato da tritoni, delfini, sirene e mostri marini e attraversato da navi all’attacco del castello Cronio. La scena del mare con vascelli si ripeteva nelle quattro macchine minori. Ancora scena di mare fu quella del 1709 con Nettuno su cocchio seguito da tritoni e sirene, mentre al centro si alzava uno scoglio raffigurante l’isola di Eolo.

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P. Amato, Carro trionfale in onore di Filippo V, 1711.

Nel 1711 l’occasione celebrativa della vittoria di Filippo V a Prifuega interruppe la scena acquatica delle macchine dei fuochi d’artificio per dare spazio ad una gigantesca struttura raffigurante il Campidoglio romano con scalinata, balconi, colonne, pilastri, architravi, balaustre e statue: vero e proprio sfogo dell’architetto a prevalente vocazione scenografico-scenotecnica.

 

La particolare cura che Paolo Amato dovette rivolgere a questo dispositivo fece sì che per la prima volta il carro trionfale di Santa Rosalia venisse adattato a macchina del trionfo del monarca grazie alla sostituzione della statua della Santa con quella equestre di Filippo V, mentre febbrili preparativi non risparmiavano la cattedrale stessa. Qui lo sfondato dell’altare maggiore, arredato come al solito da una cornice architettonica fittamente decorata, riportava in bella evidenza l’immagine del monarca in gloria. La novità consistette nel fatto che l’apparato dell’altare maggiore venne integrato da una balaustra sulla quale sporgevano musici e cantori evidentemente impegnati in una esibizione dal vivo, come richiesto dal progetto del corago.

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P. Amato, Altare maggiore della cattedrale in onore di Filippo V, 1711

La più che trentennale attività di Paolo Amato nel ruolo di architetto del senato e di primo grande protagonista dell’effimero barocco palermitano, si conclude con il grande evento legato all’ingresso e all’incoronazione di Vittorio Amedeo di Savoia nel 1713. Poco meno di 200 anni erano passati dal passaggio di Carlo V di ritorno dalla vittoriosa battaglia ti Tunisi. In quell’occasione Palermo si era dimostrata assolutamente impreparata ad accogliere la prima tappa del tour trionfale che avrebbe condotto l’imperatore nella città europee più prestigiose del suo impero. Adesso Palermo si affidava al genio di Paolo Amato per mostrarsi in tutto il suo splendore festivo.

Sei archi trionfali furono alzati lungo l’asse della via Toledo sotto i quali passò la cavalcata reale del possesso. Di essi, tre (sul piano della Marina di fronte Porta dei Greci, a Porta Felice, in piazza Villena) furono eretti a spese del Senato, mentre i restanti tre furono realizzati a spese della nazione napoletana, della nazione genovese e della nazione milanese.

Al di là della complessa articolazione del dispositivo architettonico degli archi effimeri e della magnificenza della visione caratterizzata da una incontenibile moltiplicazione di colonne, statue, mensole, dipinti, arredi diversi tali da non lasciare superfici prive di elementi decorativi, c’è l’inedita dilatazione dello spazio scenico in rapporto alle esigenze della regia urbana messa in atto dallo stesso Amato. Per la prima volta la grande strada di accesso all’urbe, ossia la strada Colonna (oggi Foro Italico) diventò scenicamente complementare all’asse di parata della via Toledo. Il primo arco trionfale, alzatovi all’altezza di porta dei Greci, consentì in questo modo di segnare extra moenia l’inizio del lungo corteo in buona parte a cavallo, il cui ordinamento comportò una estensione di circa 300 metri.

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Cavalcata reale e arco trionfale alzato sulla strada Colonna per l’arrivo di Re Vittorio Amedeo di Savoia, 1713

L’eccezionalità dell’evento spinse Paolo Amato ad inventare soluzioni aperte ad un inedito utilizzo dello spazio aereo, quasi a voler completare in estensione verticale alcune delle parti scenicamente più significative dell’architettura urbana. Fu così che il nostro architetto ideò un arco scenico da collocare sulla quota alta dei piloni della Porta Felice, eretti per volontà del Viceré Colonna all’ingresso alla via Toledo.

L’invenzione di Amato accrebbe ulteriormente la monumentalità della porta marmorea fissando l’idea di un gigantesco arco di proscenio su scala urbana che annunciava lo splendore della festa barocca. Il gioco aereo si moltiplicò più avanti nella croce di strade di piazza Villena, detta dell’Ottangolo, dove i quattro lati murari a retablo furono a loro volta collegati da quattro archi effimeri di fattura tale che sembravano non lasciare individuare soluzione di continuità con la preesistente struttura architettonica.

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Arco trionfale del Senato eretto a Porta Felice per l’arrivo di Re Vittorio Amedeo di Savoia, 1713

 

Ancora una volta tuttavia la macchina dei fuochi d’artificio svolse un ruolo di primo piano nel progetto complessivo. Per l’occasione Amato associò all’idea della montagna quella del mare e degli elementi architettonici. Si trattò così di una sintesi fuori da comune, con il mare di Trapani (primo livello) sormontato dal monte Erice, insieme al Mongibello e ad Enna, con i rispettivi templi della dea Ericina e di Cerere e la grotta dei ciclopi e di Vulcano (secondo livello). La superficie di questi monti sosteneva rispettivamente «tre smisurati giganti raffiguranti i capi Peloro, Pachino e Lilibeo» (terzo livello). A loro volta essi sostenevano sulle spalle tre quadroni dipinti sui quali tre statue (Gerusalemme, Sicilia e Cipro) sorreggevano a loro volta, sfidando le leggi di gravità, la corona reale del diametro di quaranta palmi.

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P. Amato, Macchina dei fuochi d’artificio alzata in onore di Re Vittorio Amedeo di Savoia, 1713

Con questo azzardo scenico Paolo Amato architetto-scenografo celebrò così l’ultimo atto della sua inimitabile carriera artistica.

«Ergeasi sopra quattro rote contornate a disegno, si slargava ne’ lati diciotto palmi, trenta ne misuravano la lunghezza, e ben quaranta si sollevava in altezza. Nella carina, e nel fusto, e negli orli, e nello sprone, e nella poppa era ricco a dovitia di profili, e ornamenti, che formavano, e listelli, e goli, e diritti, e rovesci, e fogliami, e frutti, e arabeschi, e grotteschi. La parte anteriore della macchina era appoggiata sul dorso di due Arpie inargentate. Dietro la poppa godeano d’essere avvinte tra catene dorate le statue degli Elementi, ciascuno nella propia divisa, e in atto d’essere soggiogato, e condotto in trionfo. Mettea fine una ricca conchiglia, su la quale assisa sopra una nuvola, e col corteggio di puttini d’argento, l’Invitta Amazzone Rosalia sventolava l’insegna del suo trionfo.

Così disposto il vasto corpo della gran mole, che veramente Instar montis erat, fu giusto pensiero per animarlo far tributarie le glorie di Parnasso alla Romita del Pellegrino. Perciò con bell’ordine, e garbo si ripartirono ne’ scalini, che erano ricevuti nel cuore della macchina Apolline con le Muse, rappresentate da i migliori Musici, riccamente vestiti alla Ninfale, e divisate dalle insegne lor propie, cavate dall’Iconologia di Cesare Ripa, e negli, ordini più bassi, un gran numero di musici strumentari di quanti n’eran capevoli.

Veniva tirato il Carro, grave di sì sfoggiati spettacoli da otto cavalli ricoperti di vaghe tele d’argento, che metteano invidia a quei del Sole istesso [...]»

 Dialoghi Mediterranei, n. 47, gennaio 2021
Note
[1] P. Maggio, Le guerre festive nelle reali nozze del re di Spagna Carlo II e Maria Luisa di Borbone celebrate nella felice e fedelissima città di Palermo, Palermo, 1680: 11 sg.
[2] M. C. Ruggieri Tricoli, Paolo Amato la corona e il serpente, Epos, Palermo 1983
[3] Cfr. M. del Giudice, Palermo Magnifico nel trionfo dell’anno MDCLXXXVI rinnovando le feste dell’Inventione della Gloriosa sua Cittadina S. Rosalia, Palermo, T. Rummolo, 1686: 28-29.
[4] Ibidem: 44-49.
[5] M. Del Giudice, cit.: 95
[6] I. De Vio, Li giorni d’oro di Palermo nella trionfale solennità di Santa Rosalia, celebrata l’anno 1693, Palermo, 1694: 35.
[7] Ivi: 195.
[8] Rodo Santoro ha dedicato ai carri trionfali del festino numerosi studi. Si veda, tra gli altri in particolare, Il carro del festino, Palermo, Euchiridion, 1984. Si veda anche E. Calandra, Omaggio alla Santuzza, Palermo, Ila Palma, 2000.
[9] L’intera descrizione della macchina e degli apparati realizzati da Paolo Amato e di M. Del Giudice, Le guerriere conquiste di merito e di gloria della palermitana eroina S. Rosalia dichiarate valevoli a perpetuare la pace ed esposte alla trionfal solennità dell’anno 1701, Palermo 1701.

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Giovanni Isgrò, docente di Storia del Teatro e dello Spettacolo presso l’Università di Palermo, è autore e regista di teatralizzazioni urbane. Ha vinto il Premio Nazionale di Saggistica Dannunziana (1994) e il premio Pirandello per la saggistica teatrale (1997). I suoi ambiti di ricerca per i quali ha pubblicato numerosi saggi sono: Storia del Teatro e dello Spettacolo in Sicilia, lo spettacolo Barocco, la cultura materiale del teatro, la Drammatica Sacra in Europa, Il teatro e lo spettacolo in Italia nella prima metà del Novecento, il Teatro Gesuitico in Europa, nel centro e sud America e in Giappone. L’avventura scenica dei gesuiti in Giappone è il titolo dell’ultima sua pubblicazione.

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