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Omaggio a Pietro Consagra

  per Consagra   

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Consagra a dx con Ludovico Corrao e Ignazio Buttitta, a sx Nino Buttitta

di Francesca M. Corrao

La magia

Una scultura/ per essere magica/ è lo scultore/ che deve essere/ magico/ se non c’è magia in sè/ non si può trasmettere/ nella materia disponibile/ credere è inventare/ non c’è invenzione/ senza immaginazione/ si inventa l’inesistente/ si può credere all’Inesistente/ la fede è basata/ sul credere in ciò/ che non esiste/ ma che è possibile/ e desiderato/ la magia sta/ nel fare diventare/ indispensabile/ l’inesistente [1] (Pietro Consagra).

Questi versi di Pietro Consagra, espongono in sintesi la sua idea di arte, semplici e chiari come la sua persona. La mia amicizia con Pietro Consagra è nata in seguito all’incontro di mio padre, Ludovico Corrao, con lo scultore di Mazara del Vallo negli anni ‘70. Un paio di anni dopo il terremoto Corrao aveva pensato di rivolgersi agli artisti siciliani per cercare il sostegno necessario a realizzare il suo progetto di ricostruzione. Corrao di quella scelta nel segno dell’arte, ricorda così l’incontro con l’artista:

«Andai a trovare Consagra nel suo studio di Roma: mi sembrò logico e naturale impegnare lui in prima istanza. E fu importante perché fu proprio lui che seppe chiamare a raccolta gli artisti, dando per primo un esempio. Venne a Gibellina a lavorare e il suo entusiasmo fu pieno di condivisione del nostro progetto e del nostro programma, e già nelle baraccopoli cominciò la sua trama di arte e umanità, il suo amore per Gibellina. Lui capì benissimo che si trattava di un programma “politico” e non solo di fare una o più opere d’arte. Gli artisti impegnati si stavano liberando dal realismo socialista ingessato. C’era in atto una frattura all’interno della sinistra: lo stalinismo da un lato e il suo superamento dall’altro. Con il superamento delle indicazioni dell’arte del realismo socialista e con il superamento dell’egemonia dello stesso Pci che strumentalizzava e soggiogava la libera espressione degli intellettuali e degli artisti “organici”. Qui, infatti, venne tutto il gruppo artistico di Formula Uno, con la loro concezione di una società e di un’arte libere; libere da ogni dogma e dagli schematismi ideologici. L’arte era per loro non un elemento, ma l’elemento della libertà. L’arte è un bisogno primario al pari del mangiare. Perché? Perché è l’espressione della libertà stessa. Non può esistere una società senza arte e libertà sperimentale, altrimenti è una dittatura. E se anche un potere dispotico tenesse il popolo libero dalla fame, senza però la libertà nell’arte, lo terrebbe pur sempre in recinti, in ovili. Perché l’arte coincide con l’eros, con la libertà di amare e quindi con la vita stessa» [2].
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Consagra e le porte di casa Corrao

Proprio come ricordava Corrao, l’incontro fu l’inizio di un sodalizio di lunga durata. Nel 1973 inaugurò la prima mostra nella baraccopoli di Rampinzeri a Gibellina, tra i terremotati. Contemporaneamente esponeva in diverse Gallerie e al Palazzo Reale di Palermo. Da quel momento Pietro iniziò a frequentare non soltanto Gibellina ed Alcamo e gli artigiani, ma divenne anche una presenza familiare a casa nostra. Iniziammo a trascorrere tutte le vacanze con Pietro, la compagna Carla Lonzi, i figli (nati dal primo matrimonio con Sophie Chandler), e spesso anche la sorella Carmela. Mio padre fece costruire una grande spazio con annesso bagno e cucina per meglio ospitarli. Pietro, per suggellare la sincera amicizia, volle segnare l’abbraccio di questo incontro disegnando il cancello della casa e poi il tavolo dei nostri pranzi: grande per poter accogliere anche generi, nuore e nipoti.

L’incontro con Pietro non fu dunque occasionale né superficiale. D’estate e d’inverno Pietro ogni mattina andava ad Alcamo con mio padre, per cercare i marmi e per parlare con i maestri della pietra o del ferro, come usava chiamarli. Noi figli andavamo a mare con mia madre, Anna Agate Corrao e Carla Lonzi, la famosa critica d’arte e attivista femminista, che contribuiva non poco alle discussioni e alle riflessioni sull’arte che animavano le cene a casa Corrao.

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Gibellina, Corrao e Consagra

Noi figli diventammo da subito più che amici quasi fratelli: mio fratello Vincenzo e mia sorella Antonella fecero sodalizio con Battista (detto Tita) Lena, figlio di Carla e io con le figlie di Pietro, Francesca, la più assidua, e Marietta. Gli altri due figli di Consagra, Pierluigi e George, vennero invece poche volte. Eravamo tanto uniti che quando ci trasferimmo a Roma anche Pietro e Carla si spostarono nella capitale e Battista si iscrisse nella stessa classe di Vincenzo. Gli incontri si intensificarono, spesso eravamo a cena insieme a casa nostra o fuori per progettare e festeggiare le mostre di Pietro con gli amici, il critico Peppino Appella, Carla Accardi e poi, qualche tempo dopo la tragica e prematura scomparsa di Carla Lonzi, anche con la critica e gallerista del “Millennio” Roberta du Chêne.

img-20200824-wa0011D’estate, si univa a noi anche Carla Accardi, che ci raggiungeva da Trapani ai faraglioni di Scopello. Sebbene fossimo abbastanza giovani e spensierati, non ci potevamo sottrarre alle discussioni sull’arte e sulla politica; per noi erano lezioni importanti e anche occasioni di accesi dibattiti. Capitava a volte che mi trovassi in contrasto con mio padre, assumendo posizioni più di rottura sia sulla necessità di favorire e incrementare la conoscenza dell’arte nelle scuole e al di fuori dei “luoghi di culto” per pochi, sia sul sostegno all’emancipazione delle donne non solo italiane, ma anche mediterranee.

La mia passione per la cultura araba nasceva in quegli anni e trovava favorevole riscontro in quella cerchia di amici. Carla Accardi aveva trascorso diversi anni in Marocco e conosceva molti artisti, alcuni dei quali come Muhammad Melehi, vennero poi a presentare le loro opere alla Fondazione Orestiadi di Gibellina; Consagra avrebbe esposto le sue opere in una mostra al Cairo nella famosa galleria Akhenaton di Zamalek (2001).

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Consagra, Autoritratto

In estate ci trovavamo nel tardo pomeriggio a preparare la cena tutti insieme. Pietro si sedeva sulla sdraio davanti la porta della stanza da pranzo e disegnava, Carmelina accanto a lui lo guardava e pazientemente aspettava, mentre in cucina fervevano i preparativi. Erano entrambi dolcissimi, attenti e premurosi nei confronti di tutti. Anche i lunghi silenzi di Pietro non incutevano timore, ma rispetto. Sapeva anche essere molto ironico e sovente rompeva la sua assorta concentrazione per lanciare qualche battuta spiritosa nei confronti di noi più giovani, entrando a sorpresa nel merito del nostro chiacchierio estivo. Nei giorni di festa i menù più elaborati venivano registrati in un quaderno di ricordi di famiglia. Pietro disegnava le pagine dei menù accanto ai nomi degli ospiti presenti nelle grandi occasioni di Natale, Pasqua, Capodanno e feste varie. Una raccolta piena di colori gioiosi e divertenti; ricordo in particolare un buffo autoritratto di Pietro comodamente sdraiato sulla poltrona con i più piccoli a giocare in attesa del pranzo.

Non è difficile indovinare il tema delle nostre conversazioni: Gibellina e la rinascita con tutte le sue esigenze. A proposito delle riflessioni e delle discussioni che hanno portato Consagra a realizzare la grande Stella all’ingresso della città di Gibellina (1982), ecco cosa ricordava Corrao:

«La Stella di Pietro Consagra. Che cos’è? È un arco di trionfo, che richiama fortissimamente le feste dei nostri paesi. La Stella può benissimo essere una stella cometa, che ti indica la nuova via (un riferimento biblico), la nuova nascita; o può essere la stella di una decorazione di una luminaria di festa di paese. Ma può essere la porta di una città sempre aperta; e ancora: il segno sociale di un territorio; di un’arte nuova proprio nel cuore della ruralità. L’arte contemporanea nel cuore della ruralità sicula profonda. La Stella è il simbolo che porta luce e gioia. È la luce nelle tenebre; è il segno della vita, di una rinascita. Ed è quindi un elemento che già esisteva. Certo, inserito nell’arte contemporanea con i suoi materiali e le sue prospettive. Altrimenti sarebbe stata una mera copia delle cose antiche» (Corrao, 2010: 241).
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Gibellina, inaugurazione della Stella di Consagra, 1981

Tra i sogni realizzati di Pietro infatti ci sono il carro allegorico e il “Prisenti” (lungo drappo ricamato) realizzati per la Festa di San Rocco, il santo protettore di Gibellina, in occasione della processione del 15 agosto 1984. Pietro disegnò anche i festoni con il vivo desiderio di dare un contributo di bellezza a quegli eventi della tradizione popolare tanto fortemente radicata nei suoi ricordi d’infanzia.

Questi sogni prevedevano anche, nella fase della realizzazione, la ricerca di fondi. Si poneva il problema della raccolta dei soldi necessari per pagare la manodopera della Stella del Belice e ognuno contribuiva a modo suo: mentre Corrao aveva trovato gli sponsor nel mondo delle imprese e della politica, Pietro disegnava e colorava il modellino della Stella da stampare su seta per realizzare dei foulard e degli orecchini da vendere. Ovviamente nulla di ciò venne mai raccontato dall’opposizione né da alcuni giornalisti malevoli che condannavano gli sprechi nell’arte a Gibellina, quando la gente necessitava di altro, ma ecco a questo proposito cosa commentava Corrao:

«Erano opere che gli artisti generosamente facevano e donavano alla città, senza avere nessun contributo e talora nemmeno il pagamento delle spese reali. Come, per esempio, i Cancelli del Cimitero: dico, beh, qualsiasi cimitero ha dei cancelli. E allora, anziché farli eseguire da un semplice maestro ferraiolo, li feci eseguire da un artista come Consagra: quindi i costi non erano il superfluo ma divenivano le cose essenziali da fare, che però rimanevano spesso nella storia della città e del suo affrancamento dal buio» (Corrao, 2010: 241).

Per Corrao c’era la chiara volontà da parte del “Potere” di mantenere la gente nell’ignoranza. A proposito dell’ostilità di alcuni verso l’arte contemporanea affermava:

«In alcuni c’era incomprensione perché non avevano gli strumenti di lettura dell’arte in genere; in altri, come nel governo, c’era questa volontà di cancellazione. Pensa che all’indomani del terremoto intere città erano ancora in piedi. Basta vedere Poggioreale, paese fantasma; e anche a Gibellina parecchie case erano rimaste ancora in piedi. Ma con la scusa di evitare pericoli per la gente, che passando poteva morire sotto la caduta di ulteriori macerie, fu dato l’incarico al Genio civile di coventrizzare questi centri. Quindi la più grande distruzione, più del terremoto, l’ha fatta lo Stato. La cancellazione totale: chiara sentenza di condanna al passato, alla storia, di queste genti» (Corrao, 2010: 243).

Consagra condivideva in pieno queste riflessioni di Corrao, e con lui condannava il disprezzo di alcuni verso i Siciliani, tanto che a questo proposito scriveva:

«Si possono fare monumenti in tutte le grandi città d’arte italiane, ma non si deve consentire a un povero contadino di Gibellina di ammirare un’opera d’arte! Si possono erigere senza scandalo monumenti di condottieri a cavallo, ma a Gibellina non si deve consentire di ammirare un solo pelo di quei cavalli» [3].
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Pietro Consagra e Ludovico Corrao

E quindi un povero siciliano – commentava Corrao – «deve diventare emigrante perfino se vuole vedere un’opera d’arte». Consagra diventava molto duro solo quando parlava di certa arte e si arrabbiava molto di fronte all’ottusità di certi politici e amministratori. Nota è la sua decennale polemica con la città natale. Tanta amarezza per l’ostinato rifiuto del sindaco e dell’amministrazione ad accogliere in dono il disegno per la facciata del Comune (il cui progetto fu esposto a Roma in una mostra alla Galleria “Il Millennio” nel 1985), non attenuava la determinazione con cui continuava ad insistere, perché voleva contribuire con la sua visione alla rinascita culturale del suo territorio. Questo invece è stato possibile a Gibellina grazie alla condivisione del suo progetto artistico da parte di Corrao.

Consagra era un uomo dai convincimenti artistici e sociali molto forti (note erano le sue polemiche con il Partito Comunista alla fine degli anni ’40). Poteva diventare improvvisamente molto brusco quando polemizzava contro alcuni principi dell’architettura moderna. Credeva nella necessità di costruire una città che fosse “frontale” affinché l’essere umano entrasse dentro l’opera d’arte, la vivesse e vi si lasciasse sognare per coglierne la bellezza, e provare la felicità che trasmette la creazione artistica. Corrao ricordava che per Consagra sperimentare la sua “Città frontale” a Gibellina era un modo per «affermare il diritto (dell’arte) a sognare, a fantasticare» (Corrao, 2010: 254).

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Gibellina, Consagra e Corrao di spalla in occasione dell’inaugurazione della Stella, 1981

L’artista ha dato un contribuito determinante alla ridefinizione e umanizzazione del tessuto urbano gibellinese. Ha pensato a disegnare la stazione delle corriere, il Meeting, concepito come scultura e luogo di incontro per le persone che arrivavano e partivano da ogni parte della Sicilia. Accanto a questo edificio ha progettato il Teatro, al centro della città, come spazio preposto alla creazione e propulsione di idee e saperi. Ma la sua idea era di raggiungere l’“arte totale” e così progettava ogni dettaglio: le maniglie delle porte del Meeting (di cui il prototipo fu donato alla Fondazione Orestiadi), i disegni per i ricami della cooperativa delle ricamatrici di Gibellina, e per le ceramiche per la costituenda scuola di giovani artigiani. Un’arte totale, senza gerarchie, schematismi, né ideologismi.

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Consagra, Disegni donati a Ludovico Corrao, dal Quaderno di famiglia

Consagra partecipava anche a molti eventi culturali gibellinesi, come ad esempio con il poeta siciliano Ignazio Buttitta; contribuiva inoltre al festival delle Orestiadi disegnando anche le grandi sculture in metallo dipinto di bianco utilizzate come scenografia per la rappresentazione teatrale dell’Oedipus rex di Jean Cocteau, oggi ancora esposte nella piazza del municipio. Altre maquette di sculture realizzate a Gibellina si trovano nel Museo civico “Ludovico Corrao”. Alcune sculture, di cui qui ricordo la porta del Cremlino antistante il giardino botanico, si incontrano in città, mentre le cappelle e le porte monumentali si trovano al cimitero.

La sua presenza a Gibellina e ad Alcamo non è stato un fugace passaggio di artista, ma una partecipazione alla vita locale con grande passione. Ne rappresentano un significativo esempio la cura dei dettagli nel progettare le opere per la città, già accennato, e l’affettuoso rapporto stabilito con i suoi artigiani, a cui in qualche caso ha fatto dono delle sue maquette, successivamente offerte alla Fondazione. Un altro esempio viene dalla sua partecipazione per il ripristino della corsa dei cavalli ad Alcamo, una dimenticata tradizione locale, più semplice ma non molto diversa nello spirito dal Palio senese. Consagra aveva visto in quell’iniziativa il recupero di una festa gioiosa, e pertanto realizzò una scultura da donare al fantino vincitore. Il Maestro con il premio voleva conferire un riconoscimento artistico rinnovato nella modernità.

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Alcamo, Fasi di costruzione del cancello di casa Corrao

Consagra ha anche teorizzato la propria visione dell’arte in diverse occasioni; ne ricordo una in particolare quando gli fu conferita la laurea honoris dall’Università di Palermo. La tesi esposta in quella occasione aveva per oggetto il rapporto tra arte e potere e si concentrava sulle opere architettoniche incompiute, il restauro trasformativo e il riutilizzo degli edifici religiosi in epoche successive. Ricordo di essere rimasta molto colpita dalla sua vivida descrizione delle trasformazioni subìte nel corso dei secoli di alcuni monumenti.

Consagra non era molto loquace, ma non di rado quando la sera dopo cena discutevamo di politica e di arte, si animava assumendo un tono assertivo che colpiva per la passione e la fede con cui affermava i suoi convincimenti. Con noi ragazzi era molto affettuoso; a volte ci coinvolgeva anche, come ad esempio quando ci chiamò a dare un contributo nel mettere le listelle di circa dieci centimetri di legno nella scultura di cemento ancora fresco del grande cancello per casa nostra ad Alcamo. Con un operaio aveva creato delle casse-forma di ferro e in queste aveva fatto colare del cemento su cui avevamo fissato in punti precisi, e secondo le modalità da lui indicate, le listelle che poi sarebbero state tolte una volta ultimata l’opera. Quel grande cancello composto da tre elementi di cemento e due di ferro che chiudevano l’opera rappresentava per noi una testimonianza di arte vissuta, partecipata, come anche il grande tavolo di marmo intarsiato con alla base i simboli della Luna, del Sole e di Saturno. E ancora la grande scultura di marmo, che a noi ricordava un veliero, all’ingresso della villa che ora, assieme alle altre opere, sono esposte alla Fondazione quale comodato dei fratelli Corrao.

Appena ultimato il cancello restavano le casse-forma in ferro delle tre sculture e Consagra decise di farne delle cornici per inquadrare il panorama. Scelse i colori e decise di disporle una sul tetto della dimora dove alloggiava quando veniva a trovarci, una sulla vasca all’ingresso e una alle spalle del tavolo. La prima, la più grande, incorniciava il panorama sul golfo di Castellamare sul versante di Palermo e l’ultima, doppia, era rivolta verso Trapani. La bellezza, la sapienza e la riflessione sul mondo erano sempre presenti nella vita quotidiana per stimolare la crescita e la consapevolezza dell’interdipendenza dei fenomeni, e in particolare dell’uomo e dell’ambiente.

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Gibellina, La tomba di Pietro Consagra

L’inscindibile legame tra l’essere umano e il suo ambiente per Consagra si traduceva anche in gratitudine per la terra che gli aveva donato l’arte e la cultura, e che gli aveva trasmesso quella visione olistica. Per questo Consagra ha generosamente donato a Gibellina, l’angolo della sua Sicilia che ha saputo accogliere il suo messaggio universale di arte; anche Antonio Presti alla Fiumara di S. Stefano di Camastra volle poi una sua opera. A Gibellina ha voluto essere sepolto e la città gli ha reso un ultimo omaggio assieme alla vedova, la critica Gabriella Di Milia, i figli e gli amici accompagnando l’addio con un concerto. Lì il suo ricordo rimane vivo nel cuore di amici e cittadini insieme a tante delle sue opere, messaggio tangibile della sua visione dell’arte e del mondo, fonte d’ispirazione per la rinascita di un nuovo umanesimo che metta al centro l’essere umano e la bellezza dell’arte.

Dialoghi Mediterranei, n. 45, settembre 2020
Note
[1] P. Consagra, Approssimativamente, stampato in occasione della personale al Museo di Castelvecchio a Verona, Milano, All’insegna del pesce d’oro, 1977.
[2] L. Corrao, Il sogno mediterraneo. Conversazione a cura di Baldo Carollo, Alcamo Ernesto Di Lorenzo editore, 2010: 248-249.
[3] Molte riflessioni qui da me ricordate sull’arte e sulla Sicilia si trovano in P. Consagra, Vita mia, Skira Milano 2017 (1 ed. Feltrinelli).

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Francesca Maria Corrao, ordinario di Lingua e Letteratura Araba, alla Luiss Guido Carli Roma, ha studiato in Italia e al Cairo la cultura del mondo arabo e islamico. Tra le sue pubblicazioni numerosi articoli in sedi internazionali e nazionali e gli approfondimenti su: La rinascita islamica (ed. Laboratorio antropologico, Università di Palermo 1985); Poeti arabi di Sicilia (Mondadori 1987, Mesogea 2001) Le storie di Giufà (Mondadori 1989, Sellerio 2002), Adonis. Ecco il mio nome (Donzelli 2010), Le rivoluzioni arabe. La transizione mediterranea (Mondadori università 2011). Assieme a Luciano Violante ha recentemente curato il volume edito per i tipi de Il Mulino L’Islam non è terrorismo.

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