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Normative versus tradizioni

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Fiamignano 2 luglio 1936. Processione con banda musicale (Archivio S. Adriani)

Il centro in periferia

di Settimio Adriani

Era il 2 di luglio, festa della Madonna del Poggio, la ricorrenza più importante del paese, che da sempre si celebrava rigorosamente nella stessa data, in qualunque giorno della settimana cadesse. In quella occasione tornavano tutti, migranti stagionali e definitivi; non si poteva mancare. Oggi non è più così, la ricorrenza viene festeggiata la domenica più vicina al 2 luglio, non si fanno troppi sacrifici per esserci, e torna soltanto chi può.

Si pensò che spostare stabilmente l’appuntamento a un giorno festivo fosse la soluzione migliore per incrementare le presenze, che stavano calando in modo preoccupante; e inizialmente ci fu un’inversione di tendenza. Nel tempo, però, l’iniziativa non ha restituito all’evento l’attrattività originaria. Ormai tornano soltanto i più legati al posto, che si fanno via via più anziani, e inevitabilmente diminuiscono.

Molto probabilmente, il trascorso sfoggio dei festeggiamenti è più nei ricordi che nei fatti. D’altra parte, nonostante la generosità che li ha contraddistinti, i pochi abitanti non avrebbero potuto sostenere costi di chissà quale entità.

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Fiamignano, anni Cinquanta, uomini in processione (Archivio S. Adriani)

Comunque è sempre stato un evento decoroso: i colpi scuri all’alba, che davano la sveglia e annunciavano la ricorrenza; il vestito buono, che dopo il lungo letargo usciva dall’armadio, portandosi dietro l’odore di naftalina; le scarpe “fine” lucidate a puntino; la banda musicale, che rimbombava negli stretti vicoli ed era accolta “come si deve” ad ogni uscio; la gremitissima messa solenne delle undici; l’ “asta dei santi”, che dava prestigio al vincitore; la processione con l’accompagno musicale; il sole che picchiava duro lungo il trasferimento al santuario; le donne con il capo coperto da velette damascate; la straordinaria e massiccia presenza di uomini, ordinatamente disposti su due file parallele, col cappello in mano e i capelli con insoliti riflessi di brillantina; le mamme, che rientrate frettolosamente in casa dopo la messa, e riposto con cura il filo di coralli della nonna, si affaccendavano a spignattare per fare bella figura con gli ospiti; la batteria di colpi scuri al rientro dei simulacri in chiesa; i commenti sulla ricchezza della sua sequenza, e gli immancabili confronti con quelle dell’anno precedente e dei paesi vicini; il pranzo delle grandi occasioni, con i parenti e gli amici forestieri; la doverosa presenza a tavola di almeno un componente della banda, per “dare una mano” al comitato; le infinite portate, dall’antipasto con gli immancabili crostini fritti di frattaglie di pollo alici e prosciutto, al timballo, fino a chiudere dopo ore con la zuppa inglese; il lungo, ozioso, affollato, fumoso e chiassoso bivacco pomeridiano nell’unico bar del paese; le luminarie che si accendevano al tramonto; il concerto serale della banda, ormai stremata; l’asta e il ballo della Pantàsima; i fuochi d’artificio di mezzanotte a chiusura dei festeggiamenti.

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Fiamignano anni Sessanta. Processione sotto le luminarie (Archivio S. Adriani)

Il programma era questo, da sempre, tutti lo sapevano a memoria; eppure si aspettava con ansia la sua realizzazione, come se di anno in anno riservasse chissà quante e quali novità. Per chi non la conosce, la Pantasimà è un antico fantoccio rituale, corredato di fragorosi quanto innocui bengala, girandole, razzi e mortaretti, che gli organizzatori mettono a disposizione per essere ballato in piazza. Onore e onere tradizionalmente riservati al vincitore di un’asta estemporanea appositamente approntata. È proprio sulla Pantàsima che voglio soffermare l’attenzione, e in particolare sulle vicende che l’hanno riguardata in quella festa di una trentina di anni fa.

Capitò che un’anziana e appassionata ballerina, Maria, la bidella delle scuole elementari, ormi ridotta in carrozzella dall’età e dagli acciacchi, puntasse cocciutamente ad accaparrarsi l’esclusiva; così come aveva fatto più volte con successo, e non soltanto in gioventù. Anche quell’anno riuscì a spuntarla. Le condizioni non le permettevano però di ballare, delegò quindi tre giovanotti compaesani a farlo per suo conto. Ne avrebbe goduto anche in quel modo. All’incalzante suono del saltarello, accompagnati da fragorose incitazioni e turbinosi girotondo, i tre cominciarono ad alternarsi nel ballo, entrando e uscendo dal fantoccio scoppiettante. Improvvisamente, un intruso s’intrufolò pretendendo di ballare. Nel parapiglia alcune scintille gli bucherellarono la maglietta, purtroppo griffata! Alla questione che prese corpo seguì una ripicca: pronto soccorso, tre giorni di prognosi, denuncia d’ufficio, sequestro del fantoccio, indagini dei carabinieri, grandi problemi per gli organizzatori…

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Fiamignano anni Sessanta. Occhi al cielo per assistere allo spettacolo pirotecnico (Archivio S. Adriani)

Non ci volle molto, infatti, a far emergere la realtà di sempre, e che mai nessuno aveva rilevato: non c’era la regolarizzazione con la SIAE, non c’era l’assicurazione, non c’erano gli estintori, non c’era il fuochista ad accendere la miccia e a supervisionare lo spettacolo, non c’era il medico a disposizione, non c’era l’ambulanza, non c’erano le transenne per separare la Pantàsima dagli spettatori, non c’era un adeguato numero di bagni chimici, non c’era… non c’era… non c’era… Di fatto, fu messo a nudo tutto ciò che non c’era, trascurando totalmente quello che c’era; e che da allora non c’è stato più!

Questi sono i fatti. Non metto assolutamente in discussione la sacrosanta necessità di dover operare in condizioni di assoluta sicurezza, ci mancherebbe altro. Sarebbe però sufficiente dettagliare il bilancio di una qualunque attività realizzata da una piccola associazione con finalità sociali, per verificare con i numeri la reale impossibilità di concretizzare quanto teorizzato nelle (più che legittime) normative in vigore. Se nell’anno della maglietta bucata il comitato organizzatore avesse pagato (come dovuto) la SIAE, l’assicurazione, gli estintori, il fuochista, il medico, l’ambulanza, le transenne e i bagni chimici; non gli sarebbero rimaste le risorse necessarie per … la Pantàsima!

Non volendo però rendere sterile e fine a se stessa questa denuncia, mi chiedo (e chiedo) se esista una via d’uscita. La questione è tutt’altro che scontata, ma è ormai inderogabile l’apertura di una riflessione e l’acquisizione di determinazioni adeguate. L’idea è semplice: le leggi dovrebbero essere realmente a servizio delle attività umane, e non il contrario! In tale ottica, opportuni e stringenti accorgimenti sulla sicurezza non possono essere omessi né trascurati laddove servano davvero; ma non dovrebbero essere adottati nelle situazioni in cui sono palesemente inutili e rappresentano soltanto dei lacciuoli capziosi di natura esclusivamente burocratica.

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Pantàsima a Fiamignano ((https://www.flickr.com/photos/68792473@N04/7545210818)

Nel frattempo, la normativa vigente non ha un effetto inclusivo, anzi. Sembra infatti essere fondata sull’ipotesi che ogni manifestazione sia supportata da budget di entità adeguate alle necessità dei singoli eventi, escludendo così di fatto l’azione di tutte le aggregazioni che non operano in tali condizioni di vantaggio. Comprese le attività organizzate dai gruppi fondati sulla collaborazione di operatori volontari, che spesso sono portatori (esclusivi) delle culture locali; patrimonio da molti osannato e da pochi concretamente difeso. Forse perché le piccole comunità non rappresentano bacini di consenso significativi.

La questione, infatti, è di carattere squisitamente politico, e alla politica si presentano sistematicamente problemi più scottanti da risolvere nell’immediato. Tali sono stati quelli veramente drammatici di un passato non lontano, ora è il turno del Coronavirus, domani chissà cosa accadrà! E la storia si ripete: quel patrimonio culturale che molti osannano, e pochi difendono concretamente, resterà sul groppone delle minuscole associazioni dei piccoli paesi; la sua conservazione sarà ancora a carico delle realtà che non dispongono di risorse sufficienti a soddisfare le imposizioni della normativa, che in talune circostanze è esageratamente quanto inutilmente stringente. In quei casi, se le cose non cambieranno celermente, il tutto avrà un seguito soltanto finché ci sarà ancora qualcuno disposto a farsi carico di organizzare le manifestazioni in modo disinteressato, volontario, senza … senza … senza …; e quindi sulla propria pelle. Finché una maglietta griffata si bucherà nuovamente!

Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020

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 Settimio Adriani, laureato in Scienze Naturali e Scienze Forestali, si è specializzato in Ecologia e ha completato la formazione con un Dottorato di ricerca sulla Gestione delle risorse faunistiche, disciplina che insegna a contratto presso l’Università degli Studi della Tuscia di Viterbo (facoltà di Scienze della Montagna, sede di Rieti) e ha insegnato presso le Università degli Studi “La Sapienza” di Roma (facoltà di Architettura Valle Giulia) e dell’Aquila (Dipartimento MESVA). Per passione studia la cultura del Cicolano, sulla quale ha pubblicato numerosi saggi.

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