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Nella crisi evolutiva della psichiatria, lo stimolo efficace delle neuroscienze affettive

mental-health-2313430_1920-768x670di Mario Mulè

Lungo i percorsi del pensiero scientifico ogni tanto succede che nuove scoperte non possano essere assimilate all’interno dei paradigmi già esistenti. Diventa quindi necessaria la messa in crisi delle teorie precedenti e la ricerca di nuove formulazioni teoriche. Vi sono buone ragioni per ipotizzare, nell’ambito della psichiatria, una crisi provocata dalle conoscenze che ci arrivano dalle ‘neuroscienze affettive’ e in particolare dagli studi effettuati da J. Panksepp.

Infatti la dimostrazione, con metodi scientifici replicabili, della presenza in tutti i mammiferi di sistemi affettivi primari (i cosiddetti “motori primi”, di cui è stato possibile trovare localizzazioni, circuiti neuronali e meccanismi biochimici nelle parti più arcaiche del cervello) non si limita ad aggiungere nuove conoscenze. Viene dimostrato, in maniera abbastanza convincente, che questi sistemi affettivi (ricerca, paura, collera, desiderio sessuale, cura, panico/sofferenza) condizionano in modo rilevante sia i processi di apprendimento sia le operazioni mentali di ordine superiore presenti nell’uomo.

Le ricadute possono riguardare: a) la nosografia psichiatrica; b) l’interpretazione della psicopatologia; c) la psicoterapia; d) la psicofarmacologia; e) la pedagogia; f) la pratica clinica; g) più in generale la visione della mente umana. 

L’attuale nosografia psichiatrica si basa su intuizioni che abbiamo ereditato da “pionieri” come Bleuler, Freud, Kraepelin. Questi autori potevano contare sulle loro osservazioni del comportamento e sui resoconti forniti dai racconti dei pazienti. Non potevano quindi costruire le loro teorie usufruendo delle conoscenze sul funzionamento del sistema nervoso che si sono sviluppate successivamente. Forse è utile ricordare che Freud, dopo un tentativo di capire i fenomeni mentali basandosi sulle conoscenze disponibili alla fine dell’Ottocento, ha dovuto desistere, dichiarando esplicitamente che il suo “Progetto per una Psicologia” era folle, e che doveva essere imboccata un’altra strada.

Peraltro, il sistema diagnostico attualmente dominante è apparso a molti studiosi discutibile per vari motivi, uno dei quali è la moltiplicazione inverosimile delle sindromi psichiatriche nei passaggi dal DSM I al DSM V. E cominciano ad apparire proposte di sistemi diagnostici alternativi che inquadrano i disturbi mentali a partire proprio dai sistemi emotivi primari, basandosi quindi su metodi sperimentali.

i-fondamenti-emotivi-della-personalita-3162I disturbi psicopatologici possono essere interpretati (almeno in parte) come alterazioni di ordine quantitativo di alcuni sistemi emotivi di base e come influenze degli stessi sui processi mentali successivi di apprendimento e di pensiero simbolico ed astratto. Ad esempio, una condizione psicotica può essere vista come una disfunzione del sistema della ricerca, mediato dalla dopamina. Un’eccessiva attivazione potrebbe essere implicata nella produzione di pensieri irrealistici e di collegamenti impropri, mentre la condizione depressiva potrebbe in parte derivare da una ipofunzionalità dello stesso sistema. Così come un’eccessiva attivazione del sistema della paura (per influenze costituzionali o per esperienze acquisite) potrebbe in parte contribuire a capire vari quadri clinici raggruppati come disturbi d’ansia.

Una visione del funzionamento mentale che pone in primo piano i sistemi affettivi primari non si pone in contrasto con la psicoterapia, anche se ne suggerisce alcune correzioni. Se prendiamo in esame la psicoterapia psicoanalitica, possiamo constatare che Freud aveva riconosciuto i fondamenti biologici alla base della via mentale, ma ne aveva segnalato due soltanto (eros e thanatos). Basandoci su quanto emerso dalle neuroscienze affettive, dobbiamo guardare ai fondamenti affettivi come più ricchi e diversificati, riconoscendo almeno sette sistemi primari (ma con la possibilità che se ne possano individuare ancora altri).

Un altro aspetto è relativo ai fattori terapeutici realmente efficaci: basandoci sui dati delle neuroscienze affettive dovremo ancora essere attenti alle sofisticate produzioni simboliche e cognitive degli esseri umani, ma considerando anche il potere influenzante che i “motori primi” continuano ad esercitare per tutta la vita e valorizzando quelli che possiamo considerare nel loro insieme prosociali.

Sono sempre più numerose le ricerche che collegano salute mentale e buone relazioni sociali: l’ultimo numero della rivista “Mind” ha scelto come titolo “Il potere delle relazioni”, riportando vari studi che illustrano il ruolo fondamentale delle relazioni prosociali per il benessere psicofisico.

affective-neuroscienceLa psicofarmacologia potrebbe fare un salto qualitativo se riuscisse a modificare i meccanismi biochimici specifici dei vari sistemi affettivi fondamentali. Sappiamo che gli psicofarmaci attualmente disponibili non sono specifici, con la conseguenza di numerosi effetti collaterali indesiderati (vedi le terapie con neurolettici) oppure con farmaci attivi su numerose sindromi, come avviene con gli antidepressivi serotoninergici, che non solo hanno effetti collaterali indesiderati, ma presentano periodi di latenza piuttosto lunghi, sollevando dubbi sul meccanismo di azione (riduzione della ricaptazione della serotonina). Alcuni indizi fanno pensare a un’azione riparativa, che può richiedere più tempo, ma che al momento è solo un’ipotesi.

Vi sono stati tentativi di utilizzare molecole più specifiche: per esempio, la bupremorfina, agonista a piccole dosi e antagonista a dosi più elevate dei recettori degli oppioidi endogeni, potrebbe modificare velocemente una condizione depressiva (caratterizzata da un deficit degli oppioidi endogeni) sfruttando la conoscenza dei meccanismi biochimici coinvolti nella depressione. Prospettive certamente interessanti, ma che richiedono conferme attraverso piani di ricerca (ad esempio, studi in doppio cieco, peraltro già in corso) prima di una autorizzazione a un uso in ambito clinico.

Per inciso, vale la pena di ricordare che gli oppioidi interni vengono prodotti all’interno di specifici siti cerebrali attraverso le varie forme di cura, che vanno dalla toelettatura praticata su molti animali alle relazioni di cura attivate nelle relazioni umane; è evidente che questi dati ripropongono l’importanza delle relazioni prosociali nell’ambito psicoterapeutico e nella vita di ognuno di noi.

Nell’ambito educativo è decisiva l’osservazione che le nostre emozioni positive possono essere coltivate e rafforzate da esperienze affettive prosociali. Questa convinzione non è certo una novità, dal momento che già tradizioni spirituali di varia provenienza hanno considerato che emozioni prosociali (come la compassione universale o l’amore per il prossimo) sono alla base della salute mentale. Purtroppo ancora non si vede riconosciuta abbastanza l’importanza di tali esperienze nelle funzioni genitoriali e in ambito scolastico, anche se cominciano a realizzarsi esperienze pilota nei contesti educativi e nella pratica terapeutica (Gilbert).  A tutti noi viene presentata una proposta che vede l’uomo non soltanto portatore di funzioni superiori (homo sapiens sapiens), ma come un essere che appartiene anch’esso alla natura, essendo frutto di un lungo percorso evolutivo. Oltre alle funzioni cognitive e simboliche (processi terziari) bisogna considerare anche i processi primari (affettivi) e secondari (di condizionamento e di apprendimento) tra loro intrecciati e interagenti.

morin-1375x195_6x65ar-definitivaCosa si può dire delle ricadute acquisite con le neuroscienze affettive sulla pratica clinica? Posso solo riferire qualcosa della mia esperienza di psichiatra e di psicoterapeuta. Forse questo genere di neuroscienze ci permette una visione decolpevolizzante e depsichiatrizzante dei disturbi mentali. Ma non certo deresponsabilizzante: la consapevolezza di una quota irrazionale in ognuno di noi ci obbliga piuttosto ad impegnarci per diventare soggetti (per quanto possibile) del nostro funzionamento mentale. In questo ci possono aiutare alcune pratiche provenienti dal mondo orientale (mindfulness) senza sottovalutare quelle di casa nostra, più orientate all’azione (ruminare, riprendere, trasformare come avviene con i tre stomaci della mucca). Tutte funzioni molto utili anche in ambito terapeutico, anche se spesso non risolutive.

Infine proverei a confrontare quanto è stato proposto con il pensiero filosofico e con l’epistemologia contemporanea. Viste le mie scarse conoscenze in questo ambito (e consapevole di poter essere corretto o smentito) mi limito al confronto con quanto proposto da Edgar Morin. Morin definisce l’uomo sapiens-demens. L’aspetto demens non ha una connotazione negativa: vuole solo indicare la presenza di una dimensione irrazionale, di cui gli aspetti emotivi, provenienti dall’evoluzione, sono una parte rilevante. Ci avverte anche che la parte irrazionale, oltre a costituire una realtà innegabile, è anche fonte di vitalità e di gioia. La sua proposta è quindi di esercitare autocritica e consapevolezza al fine di aumentare la quota di saggezza, senza tuttavia negare o disprezzare quella irrazionale. Una visione lontana dal rinnegare le componenti emotive e che invece valorizzi, pur da un’angolazione diversa, la complessità della natura umana e la necessità di uno sguardo capace di coglierla.

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022 
Riferimenti biliografici
M. Cappello, Le emozioni di base secondo Panksepp. Introduzione e connessioni filosofiche, e-book edito in proprio, 2017
F. de Waal, ll bonobo e l’ateo. In cerca di umanità fra i primati, Raffaello Cortina Editore, Milano 2013
F. de Waal, L’ultimo abbraccio. Cosa dicono di noi le emozioni degli animali, Raffaello Cortina Editore, Milano 2020.
P. Gilbert, La terapia focalizzata sulla compassione. Caratteristiche distintive, Franco Angeli, Milano 2018
D. Goleman, La forza del bene. Il messaggio del Dalai Lama per una nuova visione del mondo, Rizzoli, Milano 2015 (in particolare il capitolo 10)
E. Morin, Amore, Poesia, Saggezza, Armando Editore, Roma 1999
J. Panksepp-L.Biven, Archeologia della mente. Notizie neuroevolutive delle emozioni umane, Raffaele Cortina Editore, Milano 2014
J. Panksepp-L.Davis, I fondamenti emotivi della personalità. Un approccio neurobiologico ed evoluzionistico, Raffaele Cortina Editore, Milano 2020

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Mario Mulè, psichiatra e psicoterapeuta, ha lavorato sia prima che dopo la riforma Basaglia (1978), anche come primario psichiatra direttore di dipartimenti di salute mentale. Ha sperimentato, per contrastare le patologie mentali, vari strumenti teorico-clinici: psicoanalisi, modello sociale di derivazione basagliana, modello sistemico, teorie cognitive etc. fino alle metodologie di origine orientale (mindfulness) e alle neuroscienze affettive. Co-dirige, insieme alla moglie Giovanna Bongiorno, nei pressi del tempio di Segesta, la fattoria sociale “Martina e Sara” per la cura della Terra e la promozione complessiva della persona umana.

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