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Moderne sorelle di Eva, oltre il sesso biologico

 Concorso di bellezza maschile presso i Wodaahé (Niger), ph. C. Beckwith

Concorso di bellezza maschile presso i Wodaahé (Niger), ph. C. Beckwith

di Veronica Polese

«La nostra stessa cultura, se la guardiamo storicamente, si è basata, per creare la ricca e contrastante gamma dei suoi valori, su molte distinzioni artificiali, la più sorprendente delle quali è il sesso. Non basterà semplicemente abolire queste distinzioni perché la società sviluppi dei modelli nuovi, nei quali le doti individuali possano trovare espressione, anziché essere costrette in forme non adatte. Se vogliamo elevarci a una cultura più ricca – più ricca di valori contrastanti – dobbiamo accettare tutta la gamma delle personalità umane, e con essa fabbricare un tessuto sociale meno arbitrario, nel quale ogni diversa dote umana trovi il posto che le conviene» [1]. Così ha scritto l’antropologa culturale Margaret Mead che, nei suoi studi, ha messo a confronto i modelli di comportamento delle società da lei osservate, con i modelli culturali degli U.S.A. Le sue ricerche hanno influenzato le idee alla base dei movimenti di liberazione sessuale degli anni Sessanta. In Sesso e temperamento, Mead analizza e mette in discussione la “naturalità” dei ruoli sessuali e le differenze di genere, attraverso l’osservazione e lo studio di tre gruppi etnici non occidentali, arrivando alla conclusione che i ruoli sessuali siano determinati attraverso una costruzione sociale.

Ciò che è il risultato di una costruzione culturale, dunque può essere anche de-costruito. Per questo motivo, a partire dagli anni ‘70, nelle scienze sociali accanto al concetto di sesso, inteso come mero dato biologico, si affianca quello di genere. Già Simone de Beauvoir in Il secondo sesso aveva sviluppato un’analisi sul concetto di genere; secondo la filosofa femminista, infatti, l’essere maschio o femmina non è strettamente un fatto biologico, ma il risultato di una costruzione sociale di comportamenti, educazione e ruoli che si attribuiscono ad un individuo in base alla sua appartenenza sessuale. Secondo Beauvoir «donne non si nasce, lo si diventa», poiché l’essere donna può considerarsi una condizione esistenziale, dunque si diventa donne anche se si possiede un corpo di uomo [2].

Il genere sessuale «è una delle categorie più evidenti dentro cui noi viviamo» e costituisce parte di quel bagaglio di conoscenze interiorizzate di ciascun individuo, che inconsapevolmente dà costante prova di essere maschio o femmina. Harold Garfinkel, padre dell’etnometodologia, ovvero «lo studio dei metodi che la gente usa per produrre ordine sociale riconoscibili (Rawl, 2000: 588)» [3], ha cercato di descrivere la costruzione del genere sessuale attraverso lo studio del “caso anomalo” di Agnese, transessuale di 19 anni. Agnese veste come le sue coetanee, si trucca in modo leggero, goffa e timida come un’adolescente, eppure la natura l’ha dotata di genitali maschili [4].

Garfinkel in Passing in cerca di dimostrare come «la percezione della composizione sessuale normale nell’ambito sociale, diviso in entità naturali e morali, di maschio e femmina, sia il risultato di pratiche continue e ordinarie date per scontato. Usando una serie di colloqui con Agnese, una persona la cui identità sessuale non poteva essere data per scontata, Garfinkel ha provato a mostrare come attraverso la continua realizzazione di routines viste ma non notate l’identità sessuale normale si produce nelle situazioni normali come fatto ovvio, familiare, riconoscibile e naturale» [5].

Garfinkel chiarisce che anche le persone come Agnese sottoscrivono la divisione di genere nelle due uniche categorie naturali, rilevando che l’intenzione di Agnese non è quella di combattere il sistema, piuttosto di farne parte poiché tutti coloro che non vi rientrano, sono oggetto di valutazione morale. La differenza è che per Agnese la categoria a cui appartenere può essere raggiunta, ad esempio, attraverso la chirurgia, che può aiutare ad ottenere l’attributo sessuale che legittimi lo status di genere [6].

1.Dunque con i termini sesso e genere, si fa continuamente riferimento ad una serie di informazioni che riportano a concetti dati per scontato. Basti pensare che, nonostante sia noto da tempo che a definire il sesso del nascituro è il cromosoma di cui è portatore lo spermatozoo, X per le bambine e Y per i bambini, è consuetudine attribuire alla madre la diretta responsabilità del sesso del nascituro [7].

«Infatti le credenze di varia natura relative alla maternità, da quelle più remote a quelle contemporanee, hanno sempre avuto la particolarità di attribuire all’uomo i meriti, la parte predominante nel processo della riproduzione, e alla donna i demeriti e la parte secondaria» [8].

Le sgradevoli conseguenze si manifestano a tutti i livelli di istruzione e appartenenza sociale, a causa di una cultura che predilige la nascita del “maschietto” a quella della “femminuccia”.

«“Nella mia famiglia sono nate cinque femmine”, dice una giovane laureata in filosofia in stato interessante, “speriamo che io non faccia come mia madre. Mio marito è un po’ preoccupato per questo precedente della mia famiglia, perché lui vorrebbe un maschio”. In una cultura patriarcale, che pone come valori essenziali da una parte la supremazia dell’individuo di sesso maschile e dall’altra l’inferiorità dell’individuo di sesso femminile, è comprensibile che sia rigorosamente vietato mettere in discussione il prestigio dell’uomo perché ciò porterebbe fatalmente allo sgretolamento del suo potere » [9].

 I fatti sociali però hanno dimostrato che genere e sesso hanno senso mutevole e confini che sbiadiscono sotto la luce della contemporaneità; per questo motivo le riflessioni sul tema vanno costantemente rinnovate, mettendo in discussione i concetti stessi, che il tempo, la storia e la società possono aver reso obsoleti o modificato, a seconda dei casi.

Uno spunto interessante arriva dal mondo dei social network, in cui inizialmente il genere è stato una questione totalmente ignorata. Quando è nato il social network più usato al mondo, per iscriversi e creare un profilo personale, era necessario indicare il proprio sesso, selezionando tra le opzioni Maschio / Femmina.  Con il tempo, la maggior parte degli utenti della piattaforma, usata da milioni di persone, hanno iniziato a considerare il proprio profilo come un’estensione dell’identità reale; così la dicotomia M / F  non è più bastata. Finalmente nel 2014, il social network ha ampliato le opzioni ad oltre 50, tutte individuate con la collaborazione di un gruppo di legali che collaborano con i movimenti LGBT. Come si può leggere dagli esempi riportati, per iscriversi si è passati dalla definizione dicotomica del sesso a quella più ampia del genere:

  • Agender (persona che non si sente parte di nessuna tipologia di genere);
  • Cis/cisgender  (persona che si identifica con il genere assegnato alla nascita);
  • Fluido (persona che si alterna tra l’identificazione con identità maschile, identità femminile e identità miste);
  • Male to Female / MTF (persona che è in transizione da maschio a femmina, in termini di genere, sesso o entrambi);
  • Intersessuale (persona che alla nascita presenta caratteristiche anatomo-fisiologiche sia maschili che femminili).
  • Transgender (persona la cui identità di genere differisce dalle aspettative sociali legate al sesso biologico assegnato alla nascita).

È interessante osservare come il gruppo di studio abbia voluto includere nella lunga lista di opzioni anche alcune definizioni di genere culturalmente connotate da uno specifico territorio o gruppo culturale:

  • Two-Spirit (definizione tipica dei membri della comunità LGBT dei Nativi d’America: persona dotata di genitali sia maschili che femminili, perciò definita “due spiriti”);
  • Femminiello (secondo l’enciclopedia Treccani «uomo d’aspetto effeminato». Il termine attualmente presenta un’accezione dispregiativa, ma ha significato radicato nella cultura della Napoli greca e nella sua tradizione pagana).

Ma per una società complessa come quella statunitense, non è bastato questo. Può capitare infatti che l’identità di genere non corrisponda ai dati riportati dal proprio documento di riconoscimento ed ancora una volta i social network hanno sottovalutato la questione.

2.Sempre nel 2014, per motivi di sicurezza, secondo le norme della realname policy, il già citato social network  ha sospeso numerosi profili di drag queen e artisti burlesque statunitensi, essendo registrati con nome diverso da quello riportato dal documento di riconoscimento. L’iniziativa ebbe però una ricaduta reale e negativa sulla vita di tutte queste persone; drag queen e artisti burlesque infatti sono conosciuti molto più con l’identità artistica (stage name) che con il nome ufficiale (realname). La vicenda ha dato origine alla campagna #MyNameIs (Il mio nome è), con cui la comunità drag e il movimento LGBT hanno messo in discussione il concetto di identità reale. Grazie a questa mobilitazione si è riusciti ad ottenere che lo strumento di riconoscimento individuale non fosse più il nome “legale” ma il nome “reale”, ovvero il nome con il quale ognuno viene riconosciuto nella propria vita quotidiana. Il social network, travolto dalle polemiche, è stato costretto a scusarsi e riabilitare i profili sospesi. Nel febbraio 2015, infine, l’annuncio: nonostante le nuove opzioni di genere, per permettere agli utenti di esprimere appieno la propria identità, lo staff della piattaforma virtuale aveva maturato la decisione di lasciare la domanda sul genere in forma aperta.

« La differenza tra i due sessi, per fortuna, è profonda. Gli abiti non sono che il simbolo di qualcosa nascosto nel profondo. Fu un mutamento avvenuto nell’intimo di Orlando a indurla a scegliere vesti e sesso femminili. E forse con questo esprimeva solo un po’ più francamente del solito – la franchezza era il nocciolo della sua natura – qualcosa che succede a tanti, ma che non viene così facilmente espresso. Perché qui giungiamo a nuovo dilemma. I sessi, per quanto diversi, si mescolano. Non c’è essere umano che non oscilli da un sesso all’altro, e spesso sono solo i vestiti a serbare l’apparenza maschile o femminile, mentre il sesso profondo è tutto l’opposto di quello superficiale » [10].

Nel romanzo Orlando Virginia Woolf descrive la storia di un giovane prediletto della regina.  Elisabetta, che ad un certo punto della sua vita subisce una metamorfosi: addormentatosi per giorni, Orlando si risveglia donna. Sebbene nata dalla penna creativa di Woolf, la storia di Orlando non è lontana da ciò che accade nella vita di non poche persone.  La United Nations High Commissioner for Human Rights (OHCHR) stima che la percentuale di persone che nascono con caratteri intersessuali sia compresa tra lo 0.05% e l’1,7% ; una stima che, per eccesso, si avvicina alle quote delle persone che nascono con i capelli rossi.

Einar Mogens Andreas Wegener è il noto pittore passato alla storia per essere stato la prima persona a sottoporsi ad interventi documentati di riassegnazione sessuale. Secondo la biografia autorizzata, nasce nella Danimarca del 1880 e poco più che ventenne sposa Gerda Gottlieb, illustratrice e pittrice, svolgendo una vita da uomo e marito grossomodo nella media. Per un caso Wegener è spinto dalla moglie a posare in abiti femminili, per un ritratto che le avevano commissionato. Il pittore scopre con sorpresa che indossare indumenti da donna gli produceva una stato di piacevole soddisfazione e anzi vi si trovò talmente a suo agio da sfoderare un’innata femminilità, in seguito alla quale gli amici gli attribuirono il soprannome “Lili”.

3,Con il passare del tempo Wegener iniziò a considerare Lili come una persona reale, che condivideva il proprio corpo con la parte maschile di sé. Lili divenne sempre più importante, tanto che Wegener decise di trovare una risposta al suo stato e studia personalmente le teoria sulle patologie sessuali. Lui, più dei medici del tempo, intuì la sua essenza di individuo intersessuale. Quando Lili divenne la personalità principale, il pensiero di non poterla esprimere liberamente, spinse Wegener a pensare al suicidio, preferendo la morte ad una vita da uomo, che ormai non aveva più senso. Un medico tedesco scoprì che effettivamente nell’addome di Wegener erano presenti ovaie poco sviluppate, dando la conferma della sua natura a Lili, che decise dunque di completare la metamorfosi, per cancellare la sua parte maschile definitivamente. Una volta affermata Lili nello spirito e nel corpo, Wegener smise di dipingere, perché «una cosa da Einar» [11].

Nonostante dunque la natura insegni come nemmeno il sesso biologico non possa essere ridotto ad una semplice dicotomia, quando ci si troviamo di fronte ad un caso non allineato alle categorie standard femmina e maschio, nascono le difficoltà. Storicamente i giochi olimpici sono un evento discriminatorio: le donne sono state ammesse per la prima volta nell’edizione del 1900 e solo in categorie sportive ritenute appropriate. Da allora, la strada  per la parità tra i generi nello sport, è aperta ma è ancora in salita.

Le donne intersessuali sono dotate di coppie di geni, cromosomi e di una produzione di ormoni che, se confrontate con quelli più comunemente diffusi, risultano anomali. Le loro caratteristiche mascoline hanno attirato l’attenzione del Comitato Internazionale Olimpico e posto le sportive sotto il sospetto discriminatorio di essere uomini che si fingono donne, per vincere più facilmente nelle categorie femminili. Il punto è che le atlete intersessuali, producendo più testosterone (iperandrogenismo), aumenterebbero le proprio prestazioni, a discapito delle altre. Per scansare ogni dubbio, nel 1966, il Comitato ha introdotto il test di genere, una sorta di prova di femminilità. Il test individuerebbe il sesso degli atleti attraverso l’analisi di cromosomi, ormoni, organi riproduttivi e caratteristiche sessuali secondarie, che non hanno uno sviluppo tipico. Ma la difficoltà a definire l’intersessualità è tale che le stime variano a seconda delle caratteristiche che gli studiosi decidono di osservare. Sta di fatto che, nel corso degli anni, a determinare l’idoneità o meno delle donne sono stati i test di genere.

Atlete come l’indiana Dutee Chand e la sudamericana Caster Semenya, sin da ragazze hanno subìto continui esami e dure analisi. La stessa Chand ha definito i test di genere umilianti per la persona, che, oltre alle proprie capacità atletiche, deve dimostrare di essere donna. Nel 2014 proprio la velocista Chand è stata esclusa dai Giochi del Commonwealth a causa delle norme sull’iperandrogenismo, applicate dalla International Association of Athletics Federations (IAAF) a partire dal 2011. Ma l’atleta ha fatto appello e ha vinto: la Corte di arbitrato per lo sport, infatti, ha sospeso il regolamento per l’insufficienza delle prove. Gli avvocati di Chand, inoltre, hanno dimostrato quanto la normativa fosse discriminatoria nei confronti delle donne, visto che nessun uomo è stato sottoposto allo screening per monitorare i livelli di testosterone naturale, che se prodotti in maggiore quantità pure sarebbero andati a discapito degli altri. Nel frattempo, la sentenza ha permesso a Chand e le altre atlete intersessuali di competere.

4.Il 28 Giugno 2016, Il New York Time Magazine pubblica on line:«The Humiliating Practice of Sex-Testing Female Athletes. For years, international sports organizations have been policing women for “masculine” qualities —  and turning their Olympic dreams into night mares. But when Dutee Chand appealed her ban, she may have changed the rules» [12].

Nel 1980 in Danimarca, viene eletto in Parlamento Hugo Holm. A distanza di 19 anni Holm si è ripresentato alle elezioni regionali del Paese, ma questa volta, in seguito ad un intervento di riassegnazione sessuale, non più come Hugo, ma come Anette Egelund. Il suo è stato il primo caso di candidato danese transessuale. In un’intervista, dell’epoca, al magazine Informatìon, Anette Egelund ha raccontato la sua esperienza, parlando di Hugo come di un’altra persona che non esisteva più, descrivendolo come un giovane interessante e per bene, ma non del tutto a suo agio con se stesso, e  il motivo del suo disagio era il suo essere una donna intrappolata nel corpo di un uomo.  Così dopo aver vissuto parte della sua vita in una menzogna, all’età di 53 anni, arriva la decisione di sottoporsi all’intervento. Per Anette quindi la politica si è trasformata nello strumento di lotta per cancellare la discriminazione. Il suo obiettivo: eliminare la definizione di transessualità dalla lista delle malattie mentali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

L’OMS ha rimosso l’omosessualità dall’elenco delle malattie mentali appena nel 1990,  definendola «una variante naturale del comportamento umano». Non è stato lo stesso per la riassegnazione sessuale. Nell’edizione 2016 della Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati (ICD10) è ancora presente il transessualismo (o transessualità) classificato nei «disordini mentali e del comportamento», sezione «disordini della personalità adulta e del comportamento», sotto la voce « disordini dell’identità di genere». Einar Wegener fu definito isterico dai medici dell’epoca.

Sara Kelly Keenan è stata la prima cittadina statunitense ad ottenere il certificato di nascita con il riconoscimento dello stato di intersessualità, nello Stato di New York. In una video-intervista per Now This,  Sara racconta che circa sei anni fa ha scoperto che, appena nata, venne classificata come bambino, ma quando lasciò l’ospedale per entrare in un orfanotrofio, appena tre settimane dopo, fu riclassificata come bambina. Una volta adottata, per i suoi genitori Sara è a tutti gli effetti una bambina, anche se piuttosto mascolina. Quando la pubertà tarda a manifestarsi, i suoi genitori la sottopongono a controlli medici. È in quel periodo che scoprono che la loro figlia è intersessuale, ovvero nata di genere maschile ma con genitali femminili. Decidono però di non dirle nulla, le spiegano semplicemente che ha bisogno di assumere ormoni perché il suo organismo non riesce a produrne da solo. Ma in realtà essendo geneticamente un corpo maschile dotato di gonadi femminili, Sara non può fare alcuna cura ormonale. Nel 2016 Sara inizia una battaglia per ottenere un certificato di nascita che specifica correttamente il suo genere e a dicembre lo Stato di New York emana il primo certificato di nascita che riconosce le persone intersessuali. Sara spiega come sia stata un’affermazione di esistenza la sua, poiché il termine intersessuale rappresenta la persona che è stata per tutta una vita, senza saperlo.

«È una sensazione meravigliosa non avere più un governo che nega la mia esistenza, che mi costringe in una scatola in cui non entro. […] Non c’è nulla di sbagliato nell’essere intersessuale. È solo un altro modo in cui nascono le persone. È solo un altro tipo di fiore!»

Dialoghi Mediterranei, n.24, marzo 2017
 Note

[1]    Margaret Mead, Sesso e temperamento, il Saggiatore, Milano, 2014.

[2]   AA.VV.,  Costruzionismo e scienze sociali, a cura di A. Santambrogio, Morlacchi Editore, Milano, 2010.
[3]    Giolo Fele, Etnometodologia. Introduzione alle attività ordinarie, Carocci Editore, Roma, 2002.
[4]    ivi.
[5]       Costruzionismo e scienze sociali, op .cit.
[6]   Giolo Fele, ibidem. Confr. anche Sherry B. Ortner- Harriet Whitehead, Sesso e genere. L’identità maschile e femminile,trad. it.  a cura di G. D’Agostino, Sellerio, Palermo, 2000.
[7]   Elena Gianini Belotti, Dalla parte delle bambine, Feltrinelli Editore, Milano, 1999.
[8]   Ivi.
[9]   Ivi.
[10]  Virginia Woolf, Orlando, Mondadori, Milano, 1995.
[11]  Niels Hoyer (a cura di), Lili : A Portrait of the First Sex Change, Canelo, 2015.
[12]   «L’umiliante pratica di testare il sesso delle atlete. Per anni, le organizzazioni sportive internazionali hanno analizzato le donne dalle caratteristiche mascoline e hanno trasformato i loro sogni olimpici in un incubo. Ma quando Dutee Chand ha fatto appello per la sua esclusione, potrebbe aver cambiato le regole» (Ruth Padawer, The New York Times, 26 Giugno 2016).

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Veronica Polese,  sociologa, si interessa di studi di genere, politiche sociali, cultura e folklore. Ha esperienze in museografia e antropologia visuale, ricerca sociale, progetti per le scuole, laboratori didattici, strutture per minori. Collabora con uno sportello antiviolenza ed è volontaria per Chayn Italia. Ha scritto testi per il progetto artists.sociologists – Dialoghi tra artisti e sociologi. Ha collaborato con la rivista elettronica Magm@; ha pubblicato, a quattro mani, Musei e beni immateriali. Il contributo della multimedialità e ha condotto ricerche sul differenziale salariale di genere e i tempi di conciliazione delle donne immigrate.      
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