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Mediterraneo, il pluralismo circolare delle lingue

39d402d5-8a6e-4dd2-b9a5-7318503f411edi Ilaria Guidantoni [*] 

Lingue di confine non confinanti 

La circolarità della lingua è una questione imprescindibile per quanto non sempre evidente in un mare chiuso, qual è il Mediterraneo, a cominciare dall’etimologia della stessa parola che dà il nome al nostro mare e che allude a un dialogo circolare fra corrispondenze e diversità. Qui si è costituita una “nicchia ecolinguistica”. Rispetto ad altri luoghi di confine nel Mediterraneo non c’è solo una dialettica tra l’io e l’altro, tipico delle frontiere, a due, quanto la pluralità delle differenze, una stratificazione dove il presente non annulla il passato: si può così parlare a pieno diritto di pluralismo linguistico. Ne è un esempio Siracusa.

Inoltre la presenza di lingue classiche per eccellenza, greco, latino, ebreo, aramaico, punico e arabo ‘classico’ non attesta una semplice evoluzione lineare come l’Hindi dal Sanscrito ma una continua contaminazione nell’ambito della quale è difficile spesso riconoscere la causa e l’effetto. Con uno sguardo nei vari ambiti si può confermare quest’idea, pensando ad esempio alla lingua e agli alfabeti mediterranei; al diritto romano e alla sua penetrazione; alla cucina; alla toponomastica e alla letteratura. Quest’ultima proprio nel suo recente meticciato sta riscoprendo la filologia, anche se sembra un paradosso come dimostrano alcune edizioni del Prix Goncourt che ha premiato autori ‘meticci’.

In un mare chiuso la civiltà o meglio le civiltà si sviluppano in una trama fitta di relazioni, sovrapposizioni e integrazioni, in qualche modo senza via di fuga, dove tra nord e sud ed est e ovest ci sono corrispondenze, simmetrie e analogie con diversificazioni che sono variazioni su tema. Non semplici differenze. Comune è la matrice, quel lit conjugal bagnato dallo stesso liquido seminale individuato da Jean Sénac, il Pasolini d’Algeria.

31171388089A cominciare dall’etimologia “Mediterraneo” si evidenzia essere costitutivamente un mare in mezzo alle terre, ma anche nella lingua ebraica, per dirla alla latina o un continente terraqueo come Ferdinand Braudel in la Méditerranée à l’époque di Philippe II e Pedrag Matvejević in Breviario mediterraneo fra corrispondenze e diversità: “una nicchia ecolinguistica”.

Se la lingua non è solo uno strumento di comunicazione ma una visione del pensiero, diventa anche una mappa del punto di vista e del territorio abitato, del nostro modo di abitare nello spazio e nel tempo, per dirla con Martin Heidegger. Ecco che i confini non sono tanto quelli politici o nazionali, tardivi per altro, e che hanno imposto le lingue nazionali a detrimento della ricchezza delle lingue locali.

Dove i paesi sono più ‘deboli’ in termini geopolitici sono stati vittime del colonialismo le lingue sono più ricche e non si tratta tanto e solo di bilinguismo italiano/francese o italiano/tedesco in Italia ma di lingue di confine come il patois in Val d’Aosta ad esempio. Il sud del Mediterraneo è in questo senso più ricco. Non è un caso che i confini del Mediterraneo siano legati al sentore del mare, al clima, ai frutti del Mediterraneo (le cinque piante sacre in tutte e tre le religioni: vite, olivo, dattero, fico e melograno), al diritto romano, alle lingue classiche e alle religioni che individuano le genti del libro ma anche alla mitologia e alle forme dell’arte greco-romana. 

Mediterraneo è… 

Per i Fenici è il ‘mare grande’ perché furono i primi a solcarlo e li spaventava; per i Greci era il mare interno il Mediterraneo – Tucidide lo definisce il mare ellenico, per appartenenza; Platone par ‘hemin thalassa, il mare accanto a noi e Aristotele he eso thalassa, il mare ‘interno’ per opposizione all’okeanòs, esterno, immenso (che ancora non era l’Oceano come noi lo intendiamo) – e per altri era un colore, blu per i Francesi, bianco per i turchi o Akdeniz per i berberi, per gli arabi che però sintetizzano la nozione di centralità, anzi di un mare di mezzo, البحر الأبيض المتوسطَ – al-Baħr al-Abyad al-Moutawassit, e infine rosso come il corallo, il mare color del vino di Omero e poi di Sciascia. È una grande regione, una somma di civiltà e regioni con una matrice più forte di altre identità.

Per il mondo greco e latino il Mediterraneo è il mare tout court, per eccellenza, e il mare accoglie una pluralità. In greco infatti esistono molti termini che poi sono stati presi di volta in volta nelle varie lingue: è thalassa (distesa quieta di acqua salata), pélagos (profondità), pòntos (ponte, via di comunicazione), ‘als (sale) e dalla sua spuma nasce Venere, Afrodite, afhros, spuma appunto e kòlpos (utero, è la grande madre). Solo nel De bello gallico diventa mare nostrum e recupera il senso antico dell’appartenenza. Nelle carte antiche il Mediterraneo era il cuore dei continenti allora conosciuti in una visione piatta della terra, era il trait-d’union.

Rispetto ad altri luoghi di confine ‘qui’ non c’è solo una dialettica tra l’io e l’altro, tipico delle frontiere ma la pluralità delle differenze, una stratificazione dove il presente non annulla il passato: pluralismo linguistico. Ne è un esempio Siracusa, epicentro, carrefour mediterraneo dove molti popoli sono passati lasciando il segno. Sul toponimo in greco Syrakusai; in latino Syràcusae; in dialetto siciliano Siracusa; in vernacolo Sirausa ma anche Sarausa; nei documenti musulmani al-Sarqusi. Ora il nome Siracusa non è spiegabile in greco, per cui si suppone un’origine sicula del vocabolo o comunque un’origine da lingue parlate nel bacino del Mediterraneo. Uno dei primi studiosi che si occupò di tale problema senza cadere in grossolane interpretazioni fu Stefano Bizantino, secondo il quale il nome deriva da una palude chiamata da Tucidide Syraco e corrispondente alla zona del Pantano.

Carta del Mediterraneo

Carta del Mediterraneo come era nel 550 d. C.

Nel Mediterraneo più in generale la presenza di lingue classiche per eccellenza, greco, latino, ebreo, aramaico, punico e arabo ‘classico’ non attesta una semplice evoluzione lineare come l’Hindi, letteralmente indiano del ceppo delle lingue indoeuropee dal Sanscrito insieme ad altre lingue antiche. Uno sguardo nei vari ambiti attraverso alcuni esempi ci porta a focalizzare l’attenzione innanzi tutto sulla lingua e gli alfabeti mediterranei dove si rintraccia il passaggio dal pittogramma all’ideogramma fino alla scrittura ‘arbitraria’, quando significante e significato si perdono, così dall’Alef, che indica il ‘bue’ con un segno stilizzato, si passa gradualmente all’alfa, prima lettera dell’alfabeto che non ha più attinenza con un particolare significato.

Il più antico sistema alfabetico mediterraneo è il cosiddetto “lineare A” a Creta tra il 1800 e il 1500 a.C. Quello che si evidenzia è che esiste una relazione stretta tra la storia sociale e politica e le lingue che parlavano o parlano i popoli coinvolti in questa storia; con i sistemi di trascrizione di queste lingue esiste quindi una parentela molto più stretta di quanto non appaia a prima vista soprattutto nelle regioni confinanti. E la memoria della storia data dalla lingua segue tre assi: la potenza/potere, ovvero una visione offerta e spesso imposta con diversi registri a seconda anche della gerarchia e degli ambiti (religiosi, militari, notabili); gli scambi commerciali attraverso i quali si esplica principalmente la funzione della lingua come strumento di comunicazione e dove si attua la più alta contaminazione; e la cultura, nella quale la lingua è contenuto centrale oltre che contenitore. Il sabir, lingua ormai estinta, evidenzia bene questa lingua creata dal basso e di confine anzi di confini, che si parla soprattutto in Algeria e si distingue dalla lingua franca.

Un elemento particolare, inoltre, che contraddistingue e fissa i confini del Mediterraneo è rappresentato dal diritto romano, forse la codificazione più completa del mondo della normazione del mondo antico, le cui fondamenta sono ancora attuali. In tal senso il termine arabo qānoun, riecheggia con tutta evidenza il canone, il canon, canonis latino; in tal caso non si tratta solo di un’influenza linguistica quanto storico-concettuale perché con l’espansione dell’Impero romano nel mondo arabo la legge civile, non divina, fa il proprio ingresso nella civiltà e quindi conia un termine ad hoc.

Per la cucina i termini in una lingua sono talora una trascrizione, un adattamento da un’altra generato da un matrimonio intimo tra cose e parole: spesso ci si chiede se le parole siano lo spunto per un passaggio di idee e poi di merci, prodotti e abitudini o il contrario. Per fare un esempio si può pensare al cacciucco livornese che pare derivi da un piatto ‘inventato’ a bordo dei pescherecci tunisini che si richiamavano alla chachouka, un ‘miscuglio di cose buone’, piatto povero con molte declinazioni nel Nord Africa.

Anche la toponomastica evidenzia come molte città nel Mediterraneo siano di fondazione: ad esempio Cartagine: Qarthadasht o città nuova, qart, città e dasht, nuova. Il riferimento è alla città tunisina ma anche a Cartagena in Spagna e a una Cartagine a Cipro. Non solo ma attraverso i nomi si ricostruiscono i meandri della storia, basti pensare al nome di Venezia in arabo البندقيه المدينة, la città dei pinoli, termine che però un tempo indicava i pistacchi, frutto prezioso, usato anche come moneta, che pertanto dovevano essere contati con attenzione, da cui il termine ‘pignolo’. Questo termine ricorda il legame della città lagunare con la Turchia oltre che la reciproca rivalità.

41oiubc6vil-_sx302_bo1204203200_Per quanto concerne la letteratura, quest’ultima proprio nel suo recente meticciato sta riscoprendo la filologia, anche se sembra un paradosso come dimostrano alcune edizioni del Prix Goncourt: basti pensare a Boualem Sansal con 2084 La fin du monde. In quest’ultima tendenza il mondo ‘fluido’ della lingua internazionale e contaminata dei giovani immigrati crea un cortocircuito che diventa una chachouka linguistica di grande originalità come dimostra il rap. Qui il confine è anche sociale, cerca condivisione ampia in rete e quindi si nutre e attinge da fonti diverse creando una sintesi nuova, una sorta di lingua mediterranea inventata.

In conclusione il Mediterraneo è un contrappeso e una calamita per l’Europa centrale e del nord per questa specificità – rispetto alla quale l’Inghilterra fin dal Rinascimento e il mondo protestante si sono distaccati – e vive di questa stessa ambiguità come identità. In tal senso la Germania e il mondo tedesco sono molto più mediterranei dell’Inghilterra, al di là della presenza coloniale. Basti pensare che il termine Estetica, aesthetĭca, greco αἰσϑητικός, aisthētikós ‘estetico’ nel senso di legato alla sensazione, dottrina della conoscenza sensibile, appare nel significato attuale nel secolo XVIII in Germania.

defaultCon l’opera Aesthetica, 1750, di Alexander Gottlieb Baumgarten (1714-1762) l’estetica si costituisce come disciplina autonoma e specificatamente filosofica, dotata di una precisa collocazione nell’ambito del sapere e dell’insegnamento accademico, di un proprio oggetto e di un proprio fine. Coniando il neologismo di derivazione greca aesthetica, che conferisce valore di sostantivo all’aggettivo aisthetike, sensibile, Baumgarten attribuisce un nome comune a un complesso di temi che per la prima volta si trovano riuniti in uno stesso ambito disciplinare: teoria della conoscenza, psicologia e antropologia empiriche, poetica e retorica. Egli assume il ruolo di “fondatore” dell’estetica filosofica anche se ancora la parola non è usata nel senso comune. Così come la parola Nostalgia, appare per la prima volta e in caratteri greci, nel titolo della Dissertatio medica de nostalgia di Johannes Hofer, tesi discussa a Basilea nel 1688. Hofer la definisce «tristezza ingenerata dall’ardente brama di tornare in patria» e «sintomo di un’immaginazione turbata» causato tuttavia da danni concreti, da spiriti vitali che s’incanalano verso la parte interna del cervello in modo tale da ossessionarlo.

Da qui i termini nòstos e àlghos, il ritorno a casa e il dolore, dunque il timore agognato del ritorno a casa, che è parola composta di origine anzi di matrice greca e che in Ulisse, il primo eroe moderno, trova la sua incarnazione. Questa storia dimostra che le lingue di confine non sono necessariamente confinanti. Il Mediterraneo come regione dell’anima è più vasto dei suoi confini geografici. 

Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023 
[*] Nell’ambito del IX Convegno Internazionale Studi mediterranei svoltosi a Tunisi il 27 e 28 aprile scorsi su “Dimora, confine, frontiera tra arte, letteratura e storia: percorso interdisciplinare”, lautrice ha trattato il tema Il confine o lingue di confine, riassunto in questo testo inedito.
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Iaria Guidantoni, laureata in Filosofia Teoretica all’Università Cattolica di Milano, giornalista fiorentina e scrittrice, si occupa di temi legati alla cultura del Mediterraneo soprattutto della sponda sud e del mondo arabo: dialogo tra le religioni, movimenti femminili e femministi, tradizioni e cibo; rilettura della storia e dei linguaggi mediterranei. Vive tra Firenze, la Toscana, Milano e Tunisi. Cura mostre d’arte ed eventi ed è presente in giurie di Festival teatrali. Tra i suoi ultimi lavori le traduzioni per la prima volta in italiano e curatela del Pasolini d’Algeria, Jean Sénac: Ritratto incompiuto del padre (2017) e Per una terra possibile (2017). Ha curato la traduzione dell’ultima opera di Jean-Jacques Rousseau per la Lorenzo De Medici Press con il titolo italiano Fantasticherie di un vagabondo solitario. Di prossima pubblicazione con la medesima casa editrice la traduzione e curatela dei Poèmes di Odilon-Jean Périer e di Les Tristesses di Georges Rodenbach.

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