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Luigi Capuana inedito, tra sedute spiritiche, vampiri, sonnambuli e foto di morti

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Luca Ferracane, Axis mundi, grafite su carta, 2019

di Gian Mauro Sales Pandolfini

Intorno a noi la terra trema. Il cielo, plumbeo, nero, con tiepide nubi basse che strisciano impaurite tra le morbide colline setose. Una terribile tempesta elettrica si è abbattuta quel martedì pomeriggio di maggio che siamo andati a Mineo. Savina Cusimano l’ho conosciuta tramite Vittorio Sgarbi l’anno scorso. Una donna energica e loquace che in breve tempo ha organizzato al Museo Riso una bella mostra dedicata a Gino De Dominicis, genio dandy che, insieme a Domenico Gnoli e Lucio Fontana, ha stupito l’Italia e il mondo del Secondo Novecento. Savina ha guidato da Palermo fin lassù, fino al pianoro menenino. Io e Luca Ferracane, scenografo, librettista e autore delle raffinatissime illustrazioni del nuovo volume che ho dedicato a Capuana [1], siamo rapiti da quel paesaggio che si dispiega dal finestrino, immobile e vivace al tempo stesso.

Sembra di essere in un film degli anni Quaranta, quando l’architettura post lecorbusierana non aveva ancora infettato le scenografie cittadine e campagnole. Sopraelevato su uno dei colli del territorio ibleo, Mineo gode di un paesaggio suggestivo e variegato, irrorato di luce, affrescato dai colori dei campi arati, dalle sinuose curve delle colline e degli altopiani verdeggianti, e chiaroscurato da uliveti, agrumeti, querce, lecci ed estese, ambrate campiture di grano. Pare che la cittadina fosse stata fondata dal bel Ducezio. Scrivo “bel” perché in una stanza della Casa di Capuana, oggi anche Biblioteca Comunale, appare una stampa che lo ritrae e di cui la responsabile del sito, Maria Giovanna Cafiso, va molto fiera. – Guardi che bell’uomo, dottore! – E non c’è che dire, Maria Giovanna ha ragione.

Di Ducezio e Mineo hanno scritto antichi cronisti e storici del calibro di Diodoro Siculo, Tolomeo, Apollodoro, Cicerone e Plinio il Vecchio. Il suo Castello, o meglio ciò che ne resta, riposa in trono sulla parte più alta del paese. Nella Casa di Capuana sono stati eseguiti dei lavori di restauro, più o meno discutibili, ma ci sono tanti ragazzi del paese che vanno lì a studiare. Li ho visti, mi ha fatto molto piacere. Non siamo certamente una società che si presta molto alla lettura. A Mineo, invece, nell’entroterra catanese, ho apprezzato questo gruppo di studenti che leggeva ai tavoli, rispettoso e appagato dalla piccola comunità che si è creata. Le vetrine ospitano testi moderni come la biblioteca personale di Luigi Capuana. C’è profumo di Ottocento, qualche affresco che fa la sua timida comparsa tra le volte delle stanze, qualche mobile liberty, apparecchiature fotografiche, quadri, due belle stampe di Telemaco Signorini (che mi sembrano il pezzo più forte della Collezione) e altre amenità, come la ciocca di capelli o il calco della mano di don Lisi. Fuori piove e i fulmini ogni tanto fanno sentire la loro presenza.

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Luca Ferracane, Casa museo e biblioteca comunale di Luigi Capuana, Mineo, studiolo con alle parete un fitto collage di stampe dell’epoca assemblato dallo stesso Capuana

Più di dieci anni fa ho avuto modo di entrare nello strano mondo di Capuana, il verista, il raccontafiabe, ma anche, e forse soprattutto, lo spiritista e il novellatore nero. La tassonomia con cui l’essere umano tende a voler racchiudere il sapere crea spesso cortocircuiti nella memoria. Viviamo di etichette, ne abbiamo bisogno per dare un senso a tutto ciò in cui ci imbattiamo, ma finiamo spesso per cadere nelle reti del riduzionismo. Luigi Capuana era prima di tutto un uomo libero, la cui ricerca non poteva e non doveva essere soggetta a censure, veti o relativismi di sorta: «Io sono naturalista, verista quanto sono idealista o simbolista»[2].

L’amico Verga gl’imponeva di darsi un tono all’altezza del comune progetto verista, di abbandonare quegli strani interessi occulti che animano in fin dei conti la stragrande parte della sua produzione artistica: perdere tempo a fotografare morti ed evocare spettri invece di dedicarsi alla loro missione era proprio un’onta, degna di scherno e di battute sagaci. E invece don Lisi non guardava in faccia nessuno, non si lasciava condizionare dal pregiudizio altrui, divenendo insieme a Ercole Chiaia e Cesare Lombroso, tra i primi intellettuali a occuparsi direttamente di spiritismo e magnetismo in Italia.

Se ne andò in giro per il mondo a conoscere spiritisti e magnetizzatori dell’epoca, leggeva di Crookes o Kardec e praticava il tutto nella sua casa di Mineo, con tanto di atelier fotografico per sostenere gli esperimenti. In breve divenne fotografo particolarmente apprezzato non solo a Mineo, ma in tutto il territorio, tanto da avviare una vera e propria scuola isolana in cui si distinsero anche Verga, De Roberto come, più avanti, Bufalino.

De Roberto racconta in proposito un aneddoto significativo. Pare che fece riesumare una bimba defunta da pochi giorni, Rosina Carcò Di Stefano, di cui i genitori, molto poveri, non erano riusciti ad aver per tempo un ritratto. La vestì con amore, le riaprì gli occhi e sempre con la medesima cura la adagiò in un angolo alberato del cimitero: oggi trionfa l’immagine di una bimba distesa e serenamente pensosa [3]. Lo stesso fece con la propria madre, una serena donna dormiente con un fazzoletto in testa per raccogliere i capelli.

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Luigi Capuana, la morticina riesumata, Rosina Carco Di Stefano, 1885, Biblioteca Comunale di Mineo

Poi un bel giorno, nel 1884, pubblicò il suo testo più celebre sull’argomento, Spiritismo?, con quel punto interrogativo che lasciava trapelare l’idea di una ricerca in fieri, mai appagata, da vero scienziato e chirurgo dell’anima quale era. Ne seguì una valanga di critiche, dai parenti agli amici più stretti, fino agli intellettuali in vista dell’epoca.

La sua amica fiorentina dei tempi in cui scriveva per “La Nazione”, Cesira Pozzolini Siciliani, terrorizzata da queste attività così lugubri, gli inviava una lettera dopo l’altra: «i suoi spiriti mi fanno paura, non per me, ma per lei. Stampato il volume, li lasci in pace, e non vi pensi più. Adesso questo suo libro farà chiasso, e tutti parleranno di Luigi Capuana che dal mondo degli orchi e delle fate è passato in quello degli spiriti, e che dopo aver divertito tutti i bambini e piccini si compiace di guastare i sonni tranquilli della gente impressionabile e nervosa»[4].

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Prima edizione di Spiritismo, edito da Giannotta (Catania 1884)

Spiritismo? oltre a essere un compendio sugli ultimi risultati europei e nostrani della pratica medianica, riporta – con tanto di documentazione fotografica – la magnetizzazione effettuata su una diciottenne fiorentina, tale Beppina Poggi, in un afoso agosto del 1864. Seguendo la linea del “sonnambulismo provocato”, ipnotizzò la poveretta posseduta da uno spirito che la ossessionava e la torturava giorno e notte. Indovinate chi era questo fantasma poi rivelatosi burbero e particolarmente nervosetto? Niente di meno che Ugo Foscolo, scrittore tra l’altro amatissimo da Capuana che da tempo immemorabile voleva scriverne una biografia! Il cantore dei Sepolcri però non si comportò tanto bene con gli astanti: da vero sadico qual era, fece piangere Beppina, la strapazzò, la alterò fisiognomicamente, la costrinse a gridare e correre per tutta la casa, la fece sbattere convulsamente su porte e mobili. Quella casa di via dell’Agnolo 1 era diventata un inferno!

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Probabile forma spiritica, sul retro è la firma di Capuana e la dicitura: Terminata ore 1, la data 17 luglio 1889 (Biblioteca comunale di Mineo)

Inutile riportare le numerose critiche accademiche alle pagine di Capuana. Persino l’amico Verga, ancor più incarognito, gli scrisse una tonante lettera denigratoria, consigliandogli di occuparsi di cose serie invece di gettarsi tra le cosce di una ragazzina per placarne l’isterismo uterino.

Alla passione per la saggistica aggiunse quella letteraria, una valanga di novelle nere sulla scia di Gautier, Poe, Maupassant, Polidori, Shelley o Wilde, ricche di suggestioni e piaceri gotici: case infestate, vampiri, revenants, sonnambuli, possessioni, presentimenti, allucinazioni. Persino Il Marchese di Roccaverdina, il suo capolavoro più noto, è “infestato” dagli spettri. Ma chissà perché, nei manuali scolastici e non solo, Luigi Capuana, padre del Simbolismo italiano, continua a essere unicamente annoverato tra i rappresentanti del Verismo, sotto l’egida di ciò che Cioran indiscutibilmente definisce la “competenza assassina” degli accademici.

Se un giorno leggerete I giganti della montagna, ultima opera scritta da Pirandello – insospettabile allievo di Capuana, al quale fu presentato a Roma nella casa-cenacolo del poeta Ugo Fleres – troverete un’incredibile assonanza tra il famoso discorso del mago Cotrone, uno dei protagonisti della piece teatrale dello scrittore agrigentino, e una comunicazione medianica pubblicata da Capuana in Diario spiritico (1916). Vi riporto due stralci esemplari a confronto:

«VI comunicazione medianica registrata il 25 ottobre del 1870 alle 8 del mattino circa. Parla lo spettro evocato:
Penetra coll’immaginazione e col sentimento la natura. […] Sei isolato: ma non isolarti da te stesso. Creati, per così dire, un mondo a parte, e di tutti i fantasmi della tua immaginazione fattene dei compagni amorosi, […] come di amici reali. L’anima non attinge forza che da se stessa. […] Il di fuori non avrebbe significato se non fosse, per così esprimermi, chilificato dall’anima e ridotto in sangue spirituale. […] Così sarai uomo; altrimenti no» [5].

· Luigi Pirandello, I Giganti della Montagna (1934):

«Cotrone: […] Non bisogna ragionare. Qua si vive di questo… […] seduti concepiamo enormità, […] è una continua sborniatura celeste. Respiriamo aria favolosa […] e tutte le cose che ci nascono dentro sono per noi stessi uno stupore. Udiamo voci, risa; vediamo sorgere incanti figurati da ogni gomito d’ombra. […] Le figure non sono inventate da noi; sono un desiderio dei nostri stessi occhi. […] I fantasmi… non c’è bisogno d’andarli a cercare lontano: basta farli uscire da noi stessi. […] A noi basta immaginare, e subito le immagini si fanno vive da sé»[6].
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Beppina Poggi fotografata da Capuana. Sul retro la didascalia Beppina Poggi dominata da Spirito [di Ugo Foscolo] dalla sera del Sabato 27 Agosto fino il giorno 30 di detto mese – 1864 – Firenze (Biblioteca Comunale Mineo)

Una celebrazione condivisa alla potenza creatrice e salvifica dell’immaginazione, come già ha ben rilevato Emanuele Buttitta nell’ultimo volume di Elsa Guggino, sua madre come mio mentore ai tempi degli studi universitari [7]. Finché riusciremo a distinguere le forme delle nubi, i geroglifici del cielo, li chiamava John Constable, saremo salvi. Io non ho mai smesso di cercarli, interpretarli e dar loro vita.

Come tutte le persone intelligenti, Luigi Capuana era devoto all’ironia. Sono davvero tante le occasioni in cui si divertiva a metterla in pratica. Inviò a Lionardo Vigo dei canti popolari inediti che finse di aver scoperto e che in realtà scrisse di suo pugno. Nel 1887 spedì all’amico Gabriele D’Annunzio una foto in cui si finse morto, seduto in poltrona, con gli occhi spalancati all’indietro e con le mani contorte che stringono una croce al petto. Immaginatevi la faccia del Vate all’arrivo della lugubre missiva. Sul retro di questa foto, non unica nel suo repertorio, compare una divertente “metastasiana” a cui D’Annunzio rispose a tono:

«Carissimo Luigi,
[…] La tua “metastasiana” mi ha profondamente commosso! La rileggo; le lacrime mi fan velo…
 Deh! Cessi in te l’ambascia,
o dolce amico, deh!
Torna tra noi… Deh! Lascia,
di star con fermo piè!
 Ma se, mio dolce amico,
tu vuoi morir così,
sappi che il sangue antico
non mai tale fiorì.
 […]
 E pur, “tu non morrai!”
No, tu non puoi morir!
“Morir tu non puoi mai!”
o lento mio desir!
 […]
 Esulta, amico, forte,
e non ti disperar:
l’aspetto tuo di morte
par vita secolar!!!» [8].

Devo alla cara amica di sempre, Clementina Giuffrida, donna di straordinaria cultura, figlia del noto storico Romualdo e ultima grande libraia palermitana, l’acquisto di un piccolo libello da cui tutta la mia ricerca è iniziata nel 2005. Si tratta della prima edizione de Un vampiro di Capuana, pubblicato, insieme alla novella Fatale influsso, nel 1907 per conto dell’editore romano Enrico Voghera, con i disegni di Castellucci e le incisioni di Ballarini. Fu allora che nacque la mia curiosità sullo scrittore menenino. Sono sempre stato attratto dall’universo neogotico e mi meravigliai che un presunto verista si fosse occupato di queste faccende in un modo totalmente suo pur in piena assonanza con i grandi scrittori dell’epoca. Capuana in effetti dimostra di accogliere le suggestioni mitteleuropee anche in fatto di apparizioni e revenant, ma le rivisita alla luce delle credenze e delle pratiche popolari. Non aderì, in altri termini, alla visione terrifica proposta dai modelli transalpini, ai quali dimostra spesso di ispirarsi. Credeva nell’aldilà e nella manifestazione medianica, ma non considerava gli spettri dei mostri spaventosi: i suoi racconti più che generare terrore e angoscia, sfumano nella meraviglia e nello stordimento della dialettica, in un perenne conflitto tra ragione e sentimento, scienza ed emozione.

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Prima edizione de Un vampiro di Luigi Capuana, stampata dall’editore romano Enrico Voghera nel 1907

Nella novella Un vampiro, il poeta Lelio parte per l’America a cercare fortuna, per poter sposare la sua Luisa e non incorrere così nelle obiezioni dei parenti di lei, preoccupati per l’incerta situazione economica in cui sarebbe potuta incappare la figlia nelle mani di un poeta sognatore. Trascorsi tre anni e ricevuta l’inaspettata eredità di uno zio defunto, decide di tornare, ma Luisa si è già sposata da sei mesi con un altro uomo. Dopo qualche tempo però il marito di Luisa muore improvvisamente e i due giovani allora decidono finalmente di sposarsi. Le cose però non vanno come dovrebbero andare: lo spettro del marito defunto torna dall’aldilà, accecato dalla gelosia e dalla vendetta, accusando ingiustamente Luisa di averlo avvelenato e terrorizzando i novelli sposini con forti pugni alle pareti, rumori notturni di passi agitati nella stanza da letto, strappi alle coperte o spintoni quando Lelio tentava di rassicurare la moglie con baci e carezze. Lo spettro arriva pure a possedere la donna, che, entrando in stato di trance spontanea, finisce persino per cambiare voce, parlare con un timbro maschile. La funesta presenza indirizza poi tutto il suo odio verso il loro bambino: chinatosi sulla culla, ne avvicina la bocca alla sua succhiandogli il sangue. Quel piccolo diventa ogni notte sempre più bianco ed emaciato, mentre ai genitori una strana forza impedisce d’intervenire, li immobilizza.

Si tratta in parte di un sotteso riferimento alla credenza siciliana delle donni, le quali, come ricorda Guggino, forse perché invidiose o gelose di una maternità loro negata, usano spesso fare dispetti alle madri, spostando i loro bambini nelle culle, nascondendoli, scambiandoli o facendo loro le mortali trizzi ai capelli. Questa stessa credenza, con caratteri più o meno differenti, appare anche in altri contesti extra isolani. Si pensi alle neráïdes greche, fate dai piedi ferini che rapiscono o scambiano i bambini con altri malaticci destinati a morire, portandosi quelli sani in luoghi felici o incantati. O ancora alle naràde calabresi, malvagie entità con zoccoli di mulo come piedi, che scambiano i bambini, fanno loro le “trecce” e addirittura mangiano le persone; e alle cogas sarde, vere e proprie streghe in carne e ossa, che, inconsapevolmente, volano in spirito e compiono atroci misfatti, come succhiare il sangue. A proposito delle cogas, Guggino scrive ironicamente: «Succhiano il sangue, in particolare quello delle puerpere e quello dei neonati. Si ripropone qui, sembrerebbe, la stessa ostilità nutrita in Sicilia dalle donni nei confronti delle madri terrene che vengono colpite direttamente o attraverso i propri figli. Solo che nessuna donna dalle mie parti [in Sicilia] succhia il sangue né a uomini né a donne né a bambini. Si vede che godono di maggiore salute»[9].

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Luigi Capuana, autoritratto in cui si finge morto, 1887 (Biblioteca Comunale di Mineo)

Sarà un fisiologo amico di Lelio, il dott. Mongeri, a dover risolvere la situazione ricorrendo alle credenze popolari. Pur mantenendosi in bilico tra scetticismo e possibilismo, trasformandosi in un novello Van Helsing e sulla scia delle dominanti teorie evoluzioniste, richiama le pratiche tradizionali delle contadine, «i rimedi empirici delle donnicciuole» – dissseppellire il corpo, decapitarlo e bruciarlo – e il loro effettivo potere che la scienza non può spiegare o sostituire.

La novella, dunque, manifesta uno stretto legame con la tradizione letteraria del vampiro che nell’Ottocento aveva trovato la sua più completa realizzazione. In questo caso però l’ispirazione che anima il racconto di Capuana, più che rifarsi alla caratterizzazione del personaggio proposta dai grandi scrittori delle letteratura gotica europea, Polidori, Gautier, Le Fanu, o Stoker, si nutre delle suggestive credenze della tradizione popolare proveniente dall’area greco-balcanica e rumena. Si tratta di un vampiro borghese, ben lontano dalla figura letteraria gotica, che di norma si stigmatizza in un bell’uomo seduttore, aristocratico, elegante, dandy.

Mi diverte far calare il sipario di questa anteprima, offrendo le gustose considerazioni del giornalista Luigi Barzini, noto per i suoi reportage (come quello sul raid Pechino-Parigi) e fondatore del “Corriere dei piccoli”, nonché corrispondente del “Corriere della Sera” per documentare le sedute della celebre medium Eusapia Paladino a Milano nel 1906, presso la Società degli studi psichici, circostanza in cui fu presente anche Lombroso. Barzini attirò naturalmente numerose polemiche dai lettori che si lanciarono in interventi, più o meno aggressivi o partecipati, cui il giornalista stesso rispose sempre con ironia o con interesse a seconda del singolo caso. Tra costoro, mentre qualcuno ipotizza spiegazioni di natura atomica, subatomica o radioattiva, qualcun altro si chiede se un giorno sarà possibile «con una macchina raccogliere, trasformare, rinforzare le onde che si sviluppano dal cervello del medium» per spostare «un vagone carico» invece che tavolini. Il giornalista risponde caustico che «se si potesse, viaggeremo senza gambe, senza cavalli, senza vapore, senza elettricità, soltanto premendo con un dito la fronte della vecchia Eusapia, per attingervi l’energia necessaria»[10] e, in chiusura, sposa in pieno la causa di Luigi Capuana. «Il nostro scopo» conclude Barzini, «è quello di sfatare le leggende e le superstizioni che circondano il medianismo per porre sotto gli occhi del pubblico i fatti nudi e crudi. Essi non hanno nulla di spaventoso, e noi non vogliamo nasconderli, negarli o fuggirli, perché crediamo utile esporli affinché la scienza se ne impossessi, li studi e ce li spieghi, sottraendoli alla ciarlataneria. “Prima della fine del mondo un gran numero di effetti soprannaturali si spiegheranno per mezzo di cause del tutto fisiche”, scriveva Teofrasto Paracelso quattrocento anni or sono»[11].

 Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
  Note

[1] È in corso di stampa il mio nuovo libro, Metafisicherie. Luigi Capuana e la cultura medianica tra Ottocento e Novecento, edito dalla palermitana Ex libris di Carlo Guidotti, che conterrà alcune tra le più belle fotografie scattate dallo scrittore, praticamente oggi sconosciute e gentilmente concesse dalla Biblioteca Comunale di Mineo, dedicate a spiriti e morti, come a paesaggi e ritratti magistrali. Unitamente alle illustrazioni di Ferracane, vi sono altresì allegate le immagini che ritraggono scorci della Casa dello scrittore. La presentazione è a cura di Vittorio Sgarbi e la prefazione a firma di Clementina Giuffrida
[2] Luigi Capuana, Cronache letterarie, Giannotta, Catania, 1899: 250.
[3] Luigi Capuana, L’aldilà, introduzione di S. Nicolosi, Tringale, Catania, 1988: 12.
[4] Corrado Di Blasi, Capuana originale e segreto, Giannotta, Catania, 1968: 150.
[5] Luigi Capuana, L’aldilà, introduzione di S. Nicolosi, Tringale, Catania, 1988: 26.
[6] Luigi Pirandello, Quando si è qualcuno, La favola del figlio cambiato, I giganti della montagna, a cura di R. Alonge, Mondadori, Milano, 2006: 171.
[7] Per approfondire cfr. Emanuele Buttitta, Luigi Pirandello e le “donne”, in Elsa Guggino, Fate, sibille e altre strane donne, Sellerio, Palermo, 2006: 167-210.
[8] Corrado Di Blasi, Luigi Capuana. Vita, amicizie, relazioni letterarie, “Biblioteca Capuana”, Mineo, Catania, 1954: 310. Qui riporto soltanto le strofe prima, seconda, nona e dodicesima.
[9] Elsa Guggino, Fate, sibille e altre strane donne, Sellerio, Palermo, 2006: 137
[10] Luigi Barzini, Nel mondo dei misteri con Eusapia Paladino, Longanesi & C., Milano, 1984: 129.
[11] Ivi: 136.

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Gian Mauro Sales Pandolfini, antropologo, si occupa di credenze popolari, siciliane e classiche attinenti la sfera magico-rituale e di fenomeni legati allo spiritismo medianico e magnetico tra Otto e Novecento, sia da un punto di vista socio-antropologico che letterario. Ha contribuito al disvelamento dell’opera saggistica e letteraria, inerente l’occultismo, di Luigi Capuana, sostenendo metodologicamente il dialogo interdisciplinare tra antropologia e letteratura.Già redattore e amministratore multimediale presso diverse case editrici palermitane, è stato archivista presso la biblioteca del Dipartimento dei Beni culturali-storico-geografico-antropologici dell’Università degli Studi di Palermo; ha collaborato e collabora all’allestimento di mostre d’arte moderna e contemporanea presso diverse istituzioni pubbliche e private; ed è stato consulente antropologo e coordinatore editoriale per conto dell’ex-Assessore ai Beni Culturali e all’Identità siciliana della Regione Sicilia Prof. Vittorio Sgarbi.

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