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L’oratorio della “Congregazione del S.S. Crocifisso della Mortificazione” di Trapani: un trionfo del legno e dei simboli

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Interno (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Interno (ph. Lina Novara)

di Lina Novara 

Nel complesso dei Domenicani di Trapani, dietro l’abside della chiesa di San Domenico, è inglobato un piccolo scrigno di architettura e arte, che fonde insieme pietra, legno, stucco, scultura e pittura: l’oratorio della Congregazione del S.S. Crocifisso della Mortificazione, in vulgo Ficarella [1].

La dedica deriva dal fatto che i membri della Congregazione segreta, esistente nel convento fin dal 1647, si sottoponevano alla mortificazione in quanto condannavano la morte in croce di Cristo [2].

Nelle forme in cui oggi si presenta l’oratorio fu realizzato su progetto dell’architetto trapanese Giovanni Biagio Amico (1684-1754) tra il 1715 e il 1730 ca., su commissione della suddetta Congregazione [3]. Ha un impianto rettangolare a navata unica, copertura a volta a botte ribassata, ed è preceduto da un piccolo vestibolo. Tutto lo spazio interno è un tripudio del legno, liscio, intagliato, dipinto. L’apparato decorativo, per la maggior parte, è infatti costituito da elementi lignei che rivestono le pareti e l’abside creando una integrazione tra struttura e ornato. Il colore dominante è il verde nelle varie tonalità, cui si associano l’oro e il beige.

Lungo i muri perimetrali corte lesene con capitelli compositi, partendo da un finto basamento al quale in passato erano appoggiate delle panche in legno, si innalzano fino a raggiungere un robusto cornicione che fa da base a mensoloni ricurvi, posti a sostegno della volta: si determina così un movimento continuo ascensionale, intervallato però dalla combinazione di conchiglie, volute, elementi fitomorfi e festoni di foglie e frutti.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Abside (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Abside (ph. Lina Novara)

Gli elementi architettonici in legno, i decori, le pitture fanno quindi da apparato alla struttura muraria che, se ne fosse priva, risulterebbe una scarna aula rettangolare. Funzione di spicco ha la composizione dell’abside dove il gioco delle colonne, addossate alla parete e libere, determina con gli architravi un avanzamento dello spazio e fa assumere ad esso un andamento convesso creando efficaci effetti dinamici, tipici dei modi di Giovanni Biagio Amico.

 Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Cartouche (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Cartouche (ph. Lina Novara)

Nelle parti progettate dall’architetto trapanese prevale ancora un gusto barocco di estrazione romana borrominiana, mentre in alcune delle rifiniture ornamentali riferibili ad una fase successiva alla costruzione, esplode il rococò che impregna l’altare ligneo, e le cornici sinuose della volta con sagomature dorate: conchiglie, volute, foglie, cartouches si insinuano nelle modanature o ne delimitano con ritmo avvolgente l’andamento concavo-convesso. Le profilature mosse e articolate, il repertorio decorativo dominato dalla varietà di ornato e dal senso dell’asimmetria, gli efficaci effetti plastico-pittorici denotano infatti l’acquisizione di stilemi nuovi e il distacco dagli stilemi tradizionali, barocchi.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Abside (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Abside (ph. Lina Novara)

Probabilmente fu l’architetto Luciano Gambina, dopo la morte dell’Amico, avvenuta nel 1754, a completarne il progetto, come avvenuto per la chiesa dell’Annunziata di Trapani. E proprio alla volta di questa, seppure «in piccolo», sembra ispirata la copertura dell’oratorio con la relativa decorazione.

Scudi, cartouches, volute fogliacee e fiori dorati, di gusto chiaramente rococò, increspano inoltre la superficie dei gradini d’altare che fanno ala al tabernacolo, sovrastato da un tosello a forma di scudo. Sotto la mensa, quello che un tempo era lo sfondo di un paliotto-urna mostra ancora, sulla sua superfice lignea, apprezzabili frammenti di un paesaggio dipinto nel quale sono raffigurati alberi, montagne e un villaggio con architetture di vario tipo. La cappella inoltre ha una complessa simbologia, volutamente ermetica in quanto destinata ad una congregazione segreta.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Paliotto ligneo dipinto (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Paliotto ligneo dipinto (ph. Lina Novara)

I soggetti delle tele collocate sulle pareti laterali, nelle specchiature tra le lesene, riguardano episodi della Passione di Cristo. I dipinti in origine erano dieci, ma oggi se ne contano soltanto sette che raffigurano, nell’ordine di disposizione (iniziando dall’abside sul lato sinistro): l’Ultima cena, Gesù nell’orto di Getsemani, l’Arresto, la Coronazione di spine; sulla parete destra (iniziando dall’abside) si osservano invece la Flagellazione, l’Ascesa al Calvario, il Trasporto al sepolcro [4]. Si tratta di opere devozionali di autore ignoto (sec. XVIII), probabilmente locale, iconograficamente riconducibili alle scene rappresentate nei sacri gruppi scultorei dei «Misteri» che vengono portati in processione il Venerdì Santo, e ispirate da incisioni e riproduzioni grafiche di famose opere d’arte.

Stilisticamente mantengono ancora suggestioni e impianti barocchi e vi si notano anche delle eredità manieriste nelle posture di alcuni personaggi, come nella Flagellazione e nella Coronazione di spine.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Coronazione di spine (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Coronazione di spine (ph. Lina Novara)

L’ascesa al Calvario ripropone l’iconografia del cosiddetto «Spasimo di Palermo» di Raffaello Sanzio, databile al 1517, un tempo collocato nella chiesa palermitana dello Spasimo, ora conservato nel Museo del Prado di Madrid, variamente riprodotto da diversi artisti, da Antonello Crescenzio e Giovan Paolo Fondulli, alla bottega di Polidoro da Caravaggio, e seguito nei secoli successivi come modello iconografico [5].

A completamento del ciclo della Passione, originariamente sull’altare si trovava una tela raffigurante la Crocifissione, una delle copie del quadro esistente nella cattedrale di San Lorenzo (1646), erroneamente attribuito al Van Dyck ma più verosimilmente da riferire ad un ignoto pittore fiammingo del secolo XVII. Attualmente il dipinto dell’oratorio si trova nei depositi del Museo Pepoli [6]. Nel grande cartiglio barocco che in alto domina l’abside si legge: HIC ME CRUDELI VULNERE FIXIT AMOR, Amore mi trafisse con una ferita crudele, frase tratta da un testo latino di Maffeo Vegio (1407-1458), umanista romano vicino al pensiero di Sant’Agostino, poi musicato dal francese Josquin Desprez (ca. 1455 – 1521): vi sono descritte le parole di Cristo in croce che esprimono stupore e dolore per l’irriconoscenza dell’uomo e indicano l’amore come l’unico motivo della morte in croce.

Alcuni elementi figurativi presenti nell’oratorio rimandano alle virtù tramite le quali i membri della Confraternita si sottoponevano alla mortificazione come condanna della crocefissione di Cristo.

Ai lati dell’abside sono collocate due statue in «legno tela e colla», una tecnica polimaterica, tipicamente trapanese con la quale sono realizzati i sacri gruppi dei «Misteri». Si tratta di un tipo di scultura in cui il volto, le mani, i piedi e le parti ignude della statua, realizzate in legno di cipresso, sono applicate su una struttura in legno di castagno, imbottita di sughero. Gli abiti sono in tessuto irrigidito con strati di gesso e di colla. Questo procedimento tecnico consentiva di ottenere facili soluzioni plastiche ed effetti che emulavano il legno.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Fortezza (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Fortezza (ph. Lina Novara)

Le due statue sono verosimilmente la personificazione di due delle virtù, solitamente rappresentate nell’arte sacra come giovani donne in abiti lunghi, recanti degli elementi distintivi. Al di là dell’intrinseco significato simbolico, la raffigurazione delle virtù all’interno dell’oratorio ha la funzione di sottintendere e trasmettere messaggi allusivi. Delle due statue quella che attualmente si trova nella nicchia di sinistra, ma che foto degli anni ‘80 del ‘900 mostrano a destra, tiene in mano una spada, attributo iconografico sia della Giustizia che della Fortezza, due delle quattro virtù cardinali.

La Fortezza è una virtù morale che, nelle difficoltà, assicura la fermezza e la costanza nella ricerca del bene. Essa rafforza la decisione di resistere alle tentazioni e di superare gli ostacoli, modera e controlla le passioni, fa seguire la retta ragione; rende capaci di vincere la paura, perfino della morte, e di affrontare la prova e le persecuzioni; dà il coraggio di giungere fino alla rinuncia e al sacrificio della propria vita per difendere una giusta causa. Nell’arte sacra viene spesso raffigurata con la spada per indicare la forza e la determinazione nell’affermare il bene, come i guerrieri e i martiri sono disposti a versare il sangue fino all’estremo sacrificio. Nel cartiglio posto sopra la nicchia si trova scritto SUPER EXAT IUDICIUM Iacobo.

L’assenza di attributi iconografici nell’altra statua rende dubbiosa l’identificazione, tuttavia la posizione della mano sinistra nell’atto di reggere un oggetto e il manto purpureo inducono ad identificarla con la Giustizia, regina delle virtù: nel cartiglio sovrastante la nicchia si legge IUSTITIA IUDICABO.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Giustizia (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Giustizia (ph. Lina Novara)

Nella rappresentazione iconografica la Giustizia regge in una mano una spada e nell’altra una bilancia a bracci uguali perfettamente in equilibrio, strumento di valutazione ma anche giudizio del bene e del male, di ciò che è corretto e di ciò che non lo è, di ciò che è giusto e di ciò che è ingiusto. La spada simboleggia la forza del potere che la Giustizia si propone di esercitare, anche combattendo, per imporre e far rispettare i propri giudizi.

Nel libro della Sapienza a proposito delle virtù si legge (8:7): «Se uno ama la giustizia, le virtù sono il frutto delle sue fatiche. Essa insegna infatti la temperanza e la prudenza, la giustizia e la fortezza, delle quali nulla è più utile agli uomini nella vita». Inoltre Sant’Agostino scrive «Vivere bene altro non è che amare Dio con tutto il proprio cuore, con tutta la propria anima, e con tutto il proprio agire. Gli si dà (con la temperanza) un amore totale che nessuna sventura può far vacillare (e questo mette in evidenza la fortezza), un amore che obbedisce a lui solo (e questa è la giustizia), che vigila al fine di discernere ogni cosa, nel timore di lasciarsi sorprendere dall’astuzia e dalla menzogna (e questa è la prudenza)»[7].

All’interno del tosello, l’edicoletta lignea destinata all’esposizione del SS. Sacramento, posto sopra il tabernacolo, si individuano piccole figure simboleggianti le Virtù teologali – Fede, Speranza e Carità – che indicano principalmente il rapporto dell’uomo con Dio. Sulla Fede S. Tommaso d’Aquino scrive che «è l’atto dell’intelletto che dà il proprio assenso alle verità divine per comando della volontà, messo in moto da Dio per mezzo della Grazia»[8]. Suo attributo iconografico è la croce, simbolo del sacrificio di Gesù e della sua resurrezione.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Tosello (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Tosello ligneo dorato e dipinto (ph. Lina Novara)

La Speranza è la capacità che l’uomo ha di desiderare e aspettare la vita eterna come felicità, riponendo la fiducia nelle promesse di Cristo e confidando nell’aiuto dello Spirito Santo. Alla figura della Speranza nel tosello dell’oratorio è associata l’ancora, simbolo di salvezza e tenacia: l’uomo confida in Gesù Cristo, ancora di salvezza. «In essa infatti noi abbiamo come un’ancora della nostra vita, sicura e salda, la quale penetra fin nell’interno del velo del santuario, dove Gesù è entrato per noi come precursore, essendo divenuto sommo sacerdote per sempre alla maniera di Melchisedek» (Lettera agli Ebrei 6, 19).

Delle tre virtù teologali la Carità è la capacità che l’uomo ha di amare ed essere amato da Dio, come Gesù ha insegnato. San Paolo nella prima Lettera ai Corinzi, indica la carità come la «più grande di tutte» le virtù: «Ora dunque rimangono queste tre cose: la fede, la speranza e la carità. Ma la più grande di tutte è la carità!» (Corinzi 1,13,13). Personificata in una donna con due bambini indica una madre che, mentre allatta al seno il figlio, è sollecita e caritatevole verso il prossimo debole e bisognoso. «Prima di offrire la Sua vita per noi, Egli disse: «Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri, come io ho amato voi» (Giovanni 15, 9-17). 

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, L'eternità (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, L’eternità (ph. Lina Novara)

In corrispondenza frontale alle due nicchie laterali all’abside, sulla parete interna dell’ingresso, sono dipinte altrettante nicchie tipologicamente simili alle precedenti, con figure di donne. Secondo la legge retorica delle corrispondenze le due figure dovrebbero essere le altre due Virtù cardinali, la Prudenza e la Temperanza, ma gli attributi iconografici non corrispondono ad esse. Sopra la porta di sinistra è raffigurata una donna che personifica l’Eternità con corona d’alloro in testa e nella mano destra un serpente che si morde la coda, l’uroboros greco, mentre nella sinistra tiene un ramoscello di alloro. Il serpente che si morde la coda è simbolo di eternità, di infinito, del trascorrere del tempo privo di un limite anteriore (inizio) e di un limite posteriore (fine). Cesare Ripa così la descrive:

«Donna in habito di matrona, che nella destra mano haverà un serpe in giro, che si tenga la coda in bocca, e terrà detta immagine un velo in testa, che ricuopra ambedue le spalle. Si ricuopre le spalle perché il tempo passato nell’eternità non si vede. Il serpe in giro dimostra, che l’eternità si pasce di sé stessa, ne si fomenta di cosa alcuna esteriore» [9].

Anche l’alloro è simbolo di eternità per la natura delle sue foglie sempreverdi e sta a significare che l’uomo pondera e riflette prima di agire. Nel cartiglio superiore al dipinto si trova una frase dell’Apocalisse (3-11), TENE QUOD HABES: «Verrò presto. Tieni saldo quello che hai, perché nessuno ti tolga la corona». È l’avviso con cui Dio fa intendere al peccatore la vicinanza della morte e lo esorta a tenere vivo il desiderio di servire il Signore con la fedeltà, la preghiera assidua, la confessione, oltre che con l’umiltà, la mansuetudine, l’obbedienza, la mortificazione dei sensi.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Mortificazione (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, La Mortificazione (ph. Lina Novara)

La figura sulla parete interna dell’ingresso di destra rappresenta invece una donna con corona di spine in testa, che nella mano destra tiene un flagello e, nella sinistra, un ramo di pianta spinosa e una catena, simboli che rimandano alla Passione di Cristo ma anche alla Mortificazione. Il termine «mortificazione» e il verbo «mortificare» ad esso associato, derivano dal latino mortificare, letteralmente «far morire». La mortificazione è un insieme di pratiche, largamente diffuse in passato nel mondo cristiano, intese a conquistare la vita eterna mediante la rinuncia ad alcuni piaceri sensibili, in modo da dominare con più successo la concupiscenza che porta al peccato.

San Paolo nei suoi scritti contrappone la vita «secondo lo Spirito» (di Cristo) alla vita «secondo la carne» (il peccato): «Se vivi secondo la carne, morirai. Ma se per mezzo dello Spirito metti a morte le opere del corpo, vivrai […] Mortifica dunque le tue membra terrene: fornicazione, impurità, passione colpevole, desideri malvagi, e quell’avidità che è idolatria» (Romani 8.13; Colossesi 3.5).

Di San Paolo è anche la frase riportata nel cartiglio posto superiormente alla figura, tratta dalla lettera ai Galati (5.25): QUI SUNT CHRISTI CARNE SUAM CRUCIFIXERUNT, Quelli che sono di Cristo, hanno crocifisso la carne.  Il significato è mortificare i sensi soffocare i desideri sfrenati ed impuri della carne.  La salvezza e la vita spirituale dipendono dunque dalla capacità di mortificare i piaceri sensuali. Le catene, il flagello, le spine sono simboli della Passione di Cristo ma nello stesso tempo oggetti atti a «frenare e contenere», mezzi per mortificare e contrastare le azioni della carne. Le catene sono anche simbolo di chi ha fede nell’intervento divino. «Poiché dunque Cristo ha sofferto nella carne, anche voi armatevi dello stesso pensiero, che, cioè, colui che ha sofferto nella carne rinuncia al peccato, per consacrare il tempo che gli resta da vivere nella carne, non più alle passioni degli uomini, ma alla volontà di Dio»: così dice Pietro nella «Prima Lettera» (4.1-2), volendo fare intendere che bisogna vivere secondo la volontà di Dio. 

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Volta (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Volta (ph. Lina Novara)

Su tutto lo spazio dell’oratorio domina la volta con le sue rappresentazioni allegoriche di gusto decisamente rococò, in cui i colori si schiariscono e prendono il sopravvento delicati cromatismi che animano le figure. La figura femminile con tiara papale in testa personifica la Chiesa di Roma, l’Ecclesia, che, coronata come una regina, allude alla «Potestà spirituale», ossia al potere e alla giurisdizione che la Chiesa cattolica ha sui credenti, in materia di fede. La tiara, il triregno papale alludente al dominio sulle regioni del Cielo, della Terra e degli Inferi, posta sulla testa della donna rappresenta, attraverso i tre anelli, la Chiesa sofferente, combattente e trionfante. La presenza di questa figura allegorica vorrebbe forse sottintendere che su tutto sovrintende la Chiesa e che sulle mortificazioni corporali è giusto attenersi a quello che Essa comanda. 

A completamento dell’apparato di rivestimento in alto, fra i mensoloni che reggono la volta, applicati sotto il cornicione, si trovano degli scomparti dalla forma di un ottagono irregolare, delimitati da cornici e decorati all’interno con episodi tratti dalla Bibbia, solo in parte decifrabili. Sono ancora leggibili alcuni brani di frasi latine che l’accompagnano: PORTABUNT INIQUITATEM ISRAEL (Ezechiele 14, 10): Porteranno la pena della loro iniquità Israele; VENDIDERUNT EUM (Genesi 37, 28): Lo vendettero con la scena di Giuseppe venduto dai fratelli agli Israeliti; INDUTUS VESTIBUS SORDIDIS (Zaccaria 3, 3) Giosuè vestito di vesti immonde; VULNERE SUPER VULNUS (Giobbe 16); Mi ha lacerato con ferita sopra ferita.

Nel vestibolo dell’oratorio si trovava fino al 2019 una tavola cinquecentesca raffigurante La Pietà tra le Sante Lucia e Agata, per almeno più di un secolo relegata in quest’angusto vano, e alla quale un recente restauro ha ridato vita e colore [10]. Quasi certamente il dipinto, una pala centinata dipinta ad olio, era originariamente collocato in altro luogo e vi venne trasferito in data imprecisata. Nel momento del distacco dalla parete si è constatato che la tavola era stata incassata nella parte del muro dove precedentemente si trovava una apertura, poi murata con conci di riuso in arenaria. La parete murata, nella parte interna, fino a qualche anno fa era ricoperta con una tela raffigurante La Madonna del Rosario con S. Domenico e Santa Caterina (sec. XVII), verosimilmente proveniente dal convento di San Domenico, oggi addossata alla stessa parete.

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Pietà tra le Sante Lucia e Agata (ph. Lina Novara)

Trapani, Oratorio del SS. Crocifisso, Vestibolo, Pietà tra le Sante Lucia e Agata (ph. Lina Novara)

Nell’anno 1900 il can. Fortunato Mondello nel suo manoscritto Sulle pitture in Trapani dal secolo XIII al secolo XIX e sui pittori trapanesi profili storici scrive che la Pietà «trovasi nel corridoio che per due porte conduce alla chiesetta chiamata volgarmente la Ficarella»[11]. Padre Stinco riporta inoltre che l’opera «secondo il parere degli intendenti appartiene al secolo XV» [12]. Allo stato attuale non si possiede una documentazione utile per l’individuazione dell’autore dell’opera, verosimilmente un ignoto pittore siciliano, attivo nella seconda metà del secolo XVI: un artista di ambito manierista siciliano, o un frate-pittore, che ebbe modo di conoscere, forse tramite testi incisori, la pala di Bellini con la Deposizione, e la famosa Pietà di Michelangelo alle quali si è ispirato esprimendosi però con modi convenzionali, privi di slanci inventivi, dove affiorano tuttavia echi dell’ambiente messinese, rinnovato dalla presenza di Cesare da Sesto e Polidoro da Caravaggio [13].

In particolare, nella configurazione della Madonna, anche se alterata da un intervento ottocentesco, si possono ravvisare riferimenti alla Pietà (1543 ca.) attribuita a Mariano Riccio, allievo di Polidoro, eseguita per la chiesa della Maddalena, annessa al convento delle Repentite di Messina (ora nel Museo Regionale della stessa città)[14].

La scoperta più rilevante, durante il restauro, è stata quella, ai piedi di Santa Lucia, di alcune lettere sparse, facenti parte di un’unica iscrizione lacunosa alla quale risulta difficile dare senso compiuto: …DE PV… OR(E)… (C)ANBRAIE P…XI, oltre che di uno stemma e di una data, verosimilmente 1557. La chiave di lettura di tutta l’opera, la sua provenienza, la committenza e forse anche l’autore restano celati in quella frase e soprattutto nello stemma che, purtroppo, allo stato attuale rimangono entrambi enigmatici. La tavola oggi si trova presso il Polo espositivo del Museo Diocesano di Trapani, nella chiesa di Sant’Agostino.

L’ipotesi di lettura iconologica delle immagini qui proposta è stata volutamente sviluppata secondo una chiave cristiana, nella consapevolezza che nell’ambito della simbologia si possono trovare interpretazioni diverse di uno stesso simbolo, a seconda dell’angolazione dalla quale si analizzi. 

Dialoghi Mediterranei, n. 64, novembre 2023 
Note
[1] Detto la «Ficarella» forse per la presenza in passato, nelle vicinanze, di un albero di fico. Per notizie storiche sul complesso di San Domenico e sull’oratorio si vedano: M. Stinco, Sul regio convento di S. Domenico di Trapani, Trapani 1880; M. Serraino, Trapani nella vita civile e religiosa, Trapani 1968; M. Serraino, Storia di Trapani, Trapani 1992; S. Corso, Trapani città dalle 5 torri Itinerario tra storia e monumenti, Trapani 2017. 
[2] I Confrati, per dispaccio vicereale del 26 giugno 1783, avevano l’obbligo di recarsi al convento dell’Annunziata nei giorni 11,12,13,14 agosto per lavare i piedi ai pellegrini venuti da lontano. 
[3] Per effetto delle leggi Siccardi del 1866 l’oratorio fu acquisito dallo Stato italiano. Il 17/05/1938 la Prefettura di Trapani concesse il nullaosta per la consegna del bene alla Curia Vescovile e due giorni dopo, presso il notaio Giuseppe Triolo venne stipulato un contratto di vendita tra il rappresentante prefettizio, Domenico Piacentino, e il vescovo di Trapani Mons. Ferdinando Ricca che acquistò per Lire 5.000 un fabbricato dipendente dall’oratorio della Mortificazione nella via Orfanotrofio. Lo stesso vescovo, in una lettera del 09/01/1950 certificò che la «Chiesa del SS. Crocifisso e della Mortificazione in Trapani» veniva elevata canonicamente a chiesa, assimilata in aiuto alla Parrocchia di San Nicola. Un mese dopo, il 14/02/1950, l’ingegnere del Genio Civile, Calogero Sammartino, firmò una perizia per i lavori di restauro della Cappella. Dopo avere subito diverse destinazioni, attualmente l’oratorio viene utilizzato dalla Comunità Serve di Gesù Povero. 
[4] Nella perizia del 14/02/1950 si precisa che i luoghi vengono denominati Oratorio e che all’interno si trovano: undici quadri con cornice, collocati sulle pareti in cattivo stato di conservazione; tre quadri dipinti in tela, collocati e facenti parte delle decorazioni del soffitto; due piccole statue in legno raffiguranti rispettivamente Sant’Ignazio e San Matteo: Queste ultime attualmente non risultano presenti all’interno dell’oratorio. 
[5] Cinque delle tele appartenenti alla cappella furono trafugate ma vennero in seguito rinvenute nel 2005 durante i lavori di restauro del complesso di San Domenico. Nel 2018, dopo essere stati restaurati, sono stati ricollocati alle pareti quattro quadri raffiguranti episodi della Passione di Cristo: si trovavano al Comune di Trapani (giusto carteggio intercorso tra la Soprintendenza BB.CC.AA. di Trapani e il Sindaco pro tempore del Comune). I vuoti lasciati dalle tele mancanti sono oggi coperti con delle tende. 
[6] Il sacerdote Bartolini nella perizia del 1950 dichiarava esplicitamente che mancava il quadro principale, posto originariamente sopra l’altare e raffigurante il SS. Crocifisso. 
[7] Sant’Agostino, De moribus Ecclesiae catholicae, 1, 25, 46: CSEL 90, 51 (PL 32, 1330-1331). 
[8] Tommaso dAquino, Summa Theologiae: II-II; q.2; a. 9.
[9] C. Ripa, Iconologia, Padova 1611, p.153. Si veda anche M. C. Di Natale, Il simbolismo della decorazione architettonica nel Trattato dell’Amico e nelle arti decorative, in Giovanni Biagio Amico (1684-1754) Teologo Architetto Trattatista, Atti delle Giornate di studio Trapani, 8, 9, 10 marzo 1985, Roma 1987: 93-104. 
[10] Cfr: L. Novara La “Pietà tra Sant’Agata e Santa Lucia” nell’Oratorio della “Mortificazione” a Trapani: gli enigmi di una tavola cinquecentesca, in Il bello, l’idea e la forma, Studi in onore di Maria Concetta Di Natale, a cura di P. Palazzotto, G. Travagliato, M. Vitella, Palermo 2022, vol. II: 195-200. 
[11] F. Mondello Sulle pitture in Trapani dal secolo XIII al secolo XIX e sui pittori trapanesi profili storici, 1900, Biblioteca Fardelliana Trapani, Ms 212. 
[12] M. Stinco, Sul regio convento… cit., Trapani 1880: 28. 
[13]Per la pittura siciliana del secolo XVI si veda: T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia Orientale, Napoli 1993; Eadem, Pittura del Cinquecento in Sicilia. La Sicilia Occidentale, Napoli 1998. 
[14] Per la pala di Riccio si veda: T. Pugliatti, Pittura del Cinquecento…, 1993:155-158, tav. XXXIV.

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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore. Ha recentemente pubblicato con M. A. Spadaro, Il liberty a Trapani. Architetture e protagonisti della modernità (ed. Kalos).

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