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L’inquieta scintilla. Sulla poesia di Alberto Giovanni Biuso

9788875880828_0_424_0_75di Sarah Dierna

Poesia e filosofia 

Biuso ha tratto dagli antichi il loro abitare e il loro canto. Il tentativo di comprendere il mondo e di coglierne le ragioni perenni che stanno al cuore del suo pensare si ritirano qui nell’esperienza stessa del mondo quale fucina da cui la filosofia, come «verità che tanto ci consuma» [1], si eleva e alla quale fa ritorno cogliendo il riflesso di sé nell’accadere che è la vita e il suo divenire. Poesia e filosofia banchettano dunque allo stesso tavolo ma lo fanno in modo diverso. La poesia è «emozionale, passionale, erotica» [2]; la filosofia è razionale, distante, pacata.

Nella prima è la carne che si fa «corpocosmo» (Mistica, BF: 14), a fremere, a desiderare, a cercare, ad anelare e a soffrire; nella seconda le rocce, i minerali e l’inorganico sono la ‘materiacosmo’, la vera potenza di cui la carne è il luogo del dolore, il «grido nella morte» (Sei stata canto, BF: 18) e il lamento sconsolato dinnanzi all’intero che non conosce pianto.

La filosofia materialista dell’autore pervade infatti anche i versi delle sue raccolte poetiche in cui il corpo – un corpo alla maniera nietzscheana – è centrale. Il corpo è il luogo dell’intimità e de «lo spazio degli anni» (Teatro, BF: 30) in cui tuttavia il tempo del divenire incessante della materia diventa la promessa di «amore e gloria degli anni miei venturi» (Nuit, BF: 16); nel corpo il rammemorare delle sfere antiche, dei Giuda e dei Saffo, diventa l’attimo delle 6.42 (BF: 44) che è un movimento di lancetta ma abbraccia l’eterno; nel corpo l’istante che in sé è un niente tra il prima e il dopo dischiude nell’accadere ciò che è da sempre e per sempre. Lì dove «labbra su labbra si posavano/ il tempo si compiva nell’inizio» (Teatro, BF: 30).

cop-biusoInsomma, gli Inni alla luce e Un barlume di fasto anticipano, manifestano, sono l’esperienza vissuta di una Somatica del tempo in cui «il tempo accade nelle loro divenienti dinamiche, nel loro movimento, mutamento, sorgere, farsi, decadere, finire. […] È la potenza del diventare, è il divenire che certamente determina tutti i modi della coscienza ma che per essere non ha bisogno di una coscienza che lo percepisca» [3]. Una somatica che mentre è e mentre accade, in una parola mentre vive, impara anche una metafisica del tempo che apprende «l’emergere degli enti mondani sullo sfondo del loro essere allo stesso tempo parti materiali dell’intero ed espressioni fenomeniche conosciute e comprese da una mente» [4]; una mente che spesso inventa e crea, le forme ideali come il proprio oggetto amoroso [5], ma infine impara e metabolizza che di imperituro c’è solo il divenire della materia mentre tutto ciò che esiste è destinato a finire, un bicchiere di vetro come un sentimento, l’oggetto che lo muove e lo fa vibrare.

Nelle poesie di Biuso l’umano è al centro dei versi; le donne sono le muse ma anche le destinatarie; i sentimenti di passione, di disperazione non si sono ancora freddati nel pensiero distante che pensa l’oltre con la razionalità, la distanza e la pacatezza che caratterizzano la filosofia materialista dell’autore. 

1qApollineo e dionisiaco. Una poesia a colori 

La poesia, quale che essa sia, è un distillato difficile da comprendere. In essa la comprensione passa anche dall’ordine con cui le parole seguono l’una dopo l’altra, dalla cura con cui ne vengono selezionate alcune e ne vengono escluse altre; selezione ed esclusione, ma soprattutto comprensione che per essere veramente profonda e intima non deve allontanarsi troppo dall’autore, come scrive Mario Luzi nella cui poesia la parola vola alta, « cresc[e] in profondità, / tocca nadir e zenith della tua significazione, / […] però non separarti / da me, non arrivare, / ti prego, a quel celestiale appuntamento / da sola, senza il caldo di me / o almeno il mio ricordo, / sii luce, non disabitata trasparenza…» [6]. Esattamente di questo è impastata la poesia di Biuso: di luce e non di disabitata trasparenza.

In essa le parole sono il vibrato di sentimenti che conservano il pathos ebbro e dionisiaco dell’amore ma che attingono alle sorgenti dei saperi antichi per restituire la parola nella sua forma apollinea. Il poeta infatti è uno scrittore lento, il quale «attend[e] che la mente s’allontani/ dalle cose passate e dalle nuove»; che compie lo sforzo di «non avvolger[s]i […]/ nella corazza della [s]ua memoria» ma di rimanere alle superficie delle cose, alla prossimità degli oggetti, aspettando che «essi ti detteranno le parole» (Il Poeta, IL: 17).

Parole lontane, come quelle suggerite dagli dèi a cui Biuso dedica la seconda raccolta poetica; parole soavi, che si adagiano sulle cose senza scolorirle; parole ispirate, che vibrano di passione e sono inumidite dalle Gocce (IL: 69); parole raffinate in cui il referente è l’amore ma non il significante, poiché «questa troppo facile parola/ non è che il velo di speranze lontane, / perduti sogni dove giochiamo soli/ e la memoria si colora di sanguigno» (Amore, IL: 53).

Come note su un pentagramma, le parole si accostano a formare un verso e preparano il successivo in un canto che esprime Grazia o Abbandono. La Grazia di un sentimento nascente che incede come l’aurora ma che in Inni alla luce si presenta con i colori dell’iride. Iride che diventa un nome di donna ma profuma di fiore; che esprime le tonalità di un’anima (Incontri) che possiede il colore del vino ma anche dell’attesa. Come attende l’amato di rivedere l’oggetto amato; come gli innamorati la notte e la notte il giorno, per intravedersi nei chiaroscuri delle prime luci quando il sole avanza «fra le pieghe delle ore/ nel labirinto, fra gli alberi, nella città-joli» (Musica, BF: 45), una città che è Milano Phoenix (IL: 31) o Catania, che riposa sulla pianura o sulla montagna, che è benedetta di luce perché di luce è fatta la sostanza amata e desiderata.

L’Abbandono è invece salato come il mare, riga il volto e dissolve tutto come in un sogno di Ulisse e Filottete (IL: 26), sopraggiunge come il tramonto per portare via la luce e cedere il passo all’oscurità. Riposa sulla soglia della notte, quella in cui non c’è Risveglio (IL: 43) perché è mancato il sonno e l’amato si è consumato Per la dolce memoria di quel tempo (IL: 50).

Nelle poesie di Biuso non è il rosso il colore dell’amore. È il verde dell’età giovane, è il carnato del cielo sulla pelle, è lo zaffiro degli occhi che si aprono a un incanto nuovo; è la porpora della loro venuta. Scarlatto è il colore dei tramonti, della fiamma che «nelle sere infinite ritorni/ […] / le vene a sciogliermi d’amore/ giovane luce svanita nel sole» (Imago, IL: 52). Sanguigno è il colore della memoria, del ricordo ancora dolce ma dal retrogusto amaro che ogni fine lascia sulle labbra e nel cuore. Soprattutto, i colori dei componimenti sono scelti con cura e si ripetono infatti permettendo così di immaginare che il destinatario di quei componimenti sia sempre lo stesso; un segno molto dolce di fedeltà che attribuisce forse a ogni creatura la sua tonalità e la sua sfumatura; tonalità e sfumatura che appunto si ripete, e ripetendosi si mantiene; mantenendosi si rinnova come accade al sentimento amoroso che quando è vero conosce un modo soltanto di amare: assoluto. Il sentimento ha tinto ogni cosa di zaffiro o di iride, di porpora o di verde, tesse e lega le belle chiome che per il cantore innamorato diventano l’aureola dell’Universo.

E se i colori sono soltanto il diverso angolo di rifrazione della luce, è Di stelle e di Buio [7] che è fatta la poetica filosofica di Alberto Giovanni Biuso. Di luce e di tenebra. Due elementi che intridono i suoi versi come le sue opere filosofiche e manifestano l’origine ma anche la consolazione gnostica del suo pensare. 

un-barlume-di-fastoArianna e Dioniso. Poesie gnostiche 

Origine e consolazione che sono racchiusi in due versi assai densi che in qualche modo possono essere anteposti a epigrafe della filosofia dell’autore: «lucida coscienza del dolore/ di cui l’umano sogno si pervade. / Altro diletto non v’è che il sapere» (Epicuro, IL: 27).

Un sapere che nelle raccolte poetiche sembra ancora bambino ma non perché al poeta manchi la Gnosi della mente, bensì perché è ancora tenera e candida quella del cuore. La scintilla si ritrova infatti nella luce di una donna, di una presenza dunque nella quale è possibile completarsi e avvertire la vertigine della pienezza; l’incompletezza di Dioniso che ha bisogno di Arianna per divenire totale: Arioniso. È «l’inquieto domandarsi il senso/ degli incontri che ti fanno viva» (Incontri, IL: 57).

L’incontro si compie nel ‘poemetto’ che apre gli Inni alla luce; dieci strofe in cui sembrano incontrarsi quattro mani: quelle di chi scrive le prime cinque, un canto innocente che sente «la nostalgia d’essere una cosa/ priva di ricordi, senza cuore» (Didone e Arianna, IL: 9); quelle di chi risponde, nelle restanti cinque ed eleva una creatura inquieta a Regina dell’altrove, d’ogni tempo, del cuore.

C’è una regina, sembrerebbe una nuova regina, anche in un Barlume di fasto in cui Biuso ha intravisto la stessa luce che adesso ricomincia tiepida il suo tremore per poi diventare sempre più forte e più calda, passionale. Ancora una volta essa porta il nome non pronunciato di una donna. La vera luce non è però il riflesso di un volto.

La luce filosofica è una luce pleromatica, un’energia elettromagnetica che riflette se stessa nelle rocce, nei mari, nelle stelle, ma mai nella carne. Negli scritti filosofici infatti la Gnosi diventa un atteggiamento di vita e il suo volto non è nell’altro bensì nel mondo intero che si appresta a capire, a illuminare, a perdonare. Il mondo viene dolorosamente compreso e sofferto anche nelle poesie in cui il dolore si riduce a una scheggia di Verità. Porta questo titolo l’ultima poesia che chiude la raccolta poetica dell’autore; l’ultima scrittura in forma di verso di Biuso: 

L’ombra che sale ha le mani infette,
segnale che c’è un limite al dolore,
che il nulla sta fitto dentro il mondo
nessuna sfera ne esce già redenta.
Il male involve la sostanza sacra
da cui discese una volta senso,
perduto ora in ogni istante e luogo,
solo il silenzio rimane con l’abisso.
La verità indicibile, l’oltre di un barlume (Verità, BF: 53). 

Alla verità indicibile e all’oltre di un barlume Biuso dedica le pagine di Temporalità e differenza, di Aión, di Tempo e Materia, di Chronos, vale a dire dei suoi testi metafisici. In essi l’umano si dissolve, ricompare come ombra, come residuo di un mondo in cui il riscatto è dato dalla promessa del niente. Credo sia comunque significativo che la luce intitola, apre e chiude entrambe le raccolte poetiche dell’autore e, rifrangendosi su superfici diverse, rimane comunque presente nei suoi libri.

Negli Inni il riscatto passa dallo sguardo, dalla carezza, dal sorriso e dalla carne di una donna. Nella sua molteplicità il corpo della donna diventa esso stesso il cosmo, le sue chiome l’Universo appunto, il suo delta una montagna, gli occhi l’abisso; l’intera sua figura il sole e il mare. L’Aurora e il Tramonto. Anche la notte (Nuit) porta il nome di donna. Che sia una scelta dell’autore o una riuscita soltanto casuale poco importa, la prima lettera di ogni verso invoca un nome. Invoca «Amore e Gloria» (Nuit, BF: 17). 

biuso_chronos_copertinaPoesia dei sensi 

La poesia di Biuso è carnale, è passionale, è avvolgente. Alcuni componimenti narrano un amplesso in forma apollinea in cui le parole fluiscono con la stessa vorticosità di una passione amorosa; di un fiume alla foce.

In Ottavia/Nuit c’è lo sguardo del corpo, l’ascolto del canto, il calore del sole, la carezza di due amanti che si cercano come vanno cercate le lettere che compongono il nome di donna di questo componimento. Dai sensi si lascia ispirare anche Simmetria, l’equilibrio di due sfere, degli unici corpi celesti a cui l’umano potrà giungere, gli unici che potrà possedere e tenere per mano.

Gli Inni custodiscono una carnalità ancora timida, intima, che il poeta esprime lasciando alla sua donna i vestiti addosso. Una carnalità che si esprime nel desiderio comunicato; nell’anelito al possesso; un riempimento che è ancora degli occhi, che si soddisfa in sguardi e apparizioni, in cui dell’amore rimangono soltanto le lenzuola sgualcite sul letto e il silenzio poiché «solo silenzio l’anima mi spinge/ non posso dire, Luce, altre parole/ se non l’antico, l’infinito amore» (Inni gnostici, IL: 78).

Un barlume di fasto sprigiona la potenza di un sentimento vorticoso e mistico in cui esplode il gaudio del corpo, della mente e del cuore: «mentre esplodevi nelle membra tese, mentre la voce cercava di sognarti/ per dirti un corpo colmo di pienezza/ per darti intera tutta la mia essenza/ nel liquido profluvio dello scambio/ che fa di due nature un solo enigma» (Mistica, BF: 14).

Nella prima raccolta l’enigma è ciò che allontana e conquista; ciò che l’autore coglie, accoglie e riscatta nelle sue muse. Nella seconda l’enigma è condiviso, mantenuto e mai sciolto. Non appartiene alla creatura inquieta e lontana, proveniente da un fondo di abissi ma appartiene alla coppia che si cerca e si appartiene; che fa del frammento del loro stare l’eterno. Nel buio una luce. Il labirinto della città-joly rimane ma non è più perdizione bensì ritrovo. Non è più il silenzio ma un canto nuovo. È il segreto in cui ci si salva dal mondo perduto. In cui ci si sforza per diventare e rimanere per l’altro qualcuno ne «l’indifferenza che del tempo è re» (Inni gnostici, IL: 75). Per essere «senso dell’esser nato e del morire/ amata, amante, amore, amanda/ Nodo dell’anima, Cerchio che si chiude»; nel baratro effimero avere «reso eterno il grumo che io sono» (Sei stata canto, BF: 18). 

1111Un sogno 

Nelle poesie di Biuso non c’è soltanto l’amore erotico; non c’è soltanto l’amore che sembra sentimentale ma è in verità soltanto totale, pieno, assoluto; non c’è solo la figura di una creatura angelica che incede nelle fibre del tempo. C’è anche il dolore del mondo perduto. C’è il nome a cui nessuno più risponde. C’è il pianto composto, risoluto e nascosto. C’è il risveglio. Quello che preoccupa Leucotea dinnanzi alla partenza di Ulisse in uno dei dialoghetti di Pavese; quello che fa dire a Ungaretti in uno dei versi più belli della letteratura italiana del Novecento: «ti amo, ti amo ed è continuo schianto» [8].

C’è, ancora una volta, il diletto ma anche il dolore di sapere che l’altro è soltanto un riflesso dei nostri sentimenti. La metà a cui dedicare il tempo e le parole che vorremmo ricevere e sentire, e la meta del proprio agire, del proprio pensare e del proprio desiderare. Il dono di una presenza che non esiste. Su questo mondo perduto l’autore riflette insieme a una ludica gatta adagiata sulle gambe: 

«Spegni le stelle del tuo cielo sazio/ sigilla il solco dal quale prendi vita,/ ora comprendi che l’Altro non esiste/ che inventiamo, tutti, il nostro bene/ che energia ci spinge a dare forma/ a ogni nostro squillante desiderio./ E il ritorno ti porta nell’abisso/ nella frangente sera della mente/ che, lucida, comprende quanto poco/ al tempo umano sia dato di gioire./ Afferra, infine, quel frammento dato, sulla sua stilla viaggia ancora vita,/ -verità o simulacro non importa-/ si addensa e forma una sfera sacra/ che è punto di pienezza e d’allegria/ del tempo in cui non eri, non sarai» (Nostos, BF: 34). 

photo1705594762Quando il simulacro si sbiadisce ritorna il silenzio, ciò che soltanto può rispondere all’amore, ciò che soltanto rimane quando dell’altro non resta che un’ombra. In questa solitudine «credevi che l’amore fosse luce/ che un umano potesse darti pace, / cercavi negli anfratti urbani e soli/ la tenerezza di ore non avute. / E ti ritrovi sempre e solo sola/ nell’abisso dei tuoi pensieri veri, / nella potenza delle tue creazioni» (Solitudine, BF: 29). Quelle che hanno reso possibili versi profondi e lucidi come questi; che hanno toccato l’abisso di vuoto e di pienezza, che hanno imparato «quanto d’usura si paghi/ il prestito di un sorriso al vostro costo». «Mi sono sdebitato a interessi alti come il cielo. / Non sei più, più non sarai sistole e diastole/ del mio desiderio di bambino. / La tua voce mi è silenzio./ Mi parla invece il mondo/ ridiventato ora per fortuna gaio» (Infine, BF: 50).

L’Amore alla fine si scopre un sogno, nel duplice significato di questa parola: un’immagine onirica dalla quale non ci si vuole risvegliare quando il sentimento abita nel cuore corrisposto di due amanti e un’illusione che svanisce non appena il sonno finisce. Nonostante la forma, la tonalità e il coinvolgimento descrivano qui uno stile assai lontano rispetto agli scritti filosofici, credo non ci sia nessuna distanza tra la poesia e la filosofia dell’autore. La poesia che piange e ama conosce bene il dolore del mondo; la prosa che argomenta la realtà con rigore e distanza non scioglie il canto dell’abbandono ma lo accetta.

«Non conosco», scriveva Ungaretti, «sognare poetico che non sia fondato sulla mia esperienza diretta» [9]. Credo che questo valga anche per il sognare poetico delle due raccolte poetiche di Biuso. Non si tratta di sentimentalismo o di amore romantico. È qualcosa di più profondo che Ungaretti è riuscito a dire con grande precisione: «Sentivamo in noi il medesimo carattere composito e quella difficoltà che l’animo nostro aveva di trovare la via di assomigliare a se stesso, di costituire la propria unità. Quell’unità non l’avremmo mai trovata altrove se non ricorrendo alla poesia. Era la ricerca, era il ritrovamento di un linguaggio liberatore se riusciva a manifestare l’angosciosa ricerca di sé» [10]. Tale angosciosa ricerca di sé, il ritorno dello stesso meccanismo con nomi e con volti di donna diversi, la ripetizione con cui una poesia evoca il suo abbandono e prepara il lettore a un nuovo diletto, non fanno che approdare a una conclusione dolce ma anche amara e cioè che si chiamino Iride, Valeria, Ottavia, Arianna; che sia Milano Phoenix, la città-joly o la Sicilia; che siano montagne o mari; che siano fatte di porpora, di zeffiro, di verde o del colore del cielo; che siano le 6.42 o che sia notte, «Verranno/ ad altre luci, ad altri albori».

Non bisogna ingannarsi. La poesia finisce in modo veramente filosofico perché alla certezza, al conforto e alle cieche speranze preferisce il dubbio, pone una domanda alla quale però l’autore non risponde: «Verranno?» (Posteri, IL: 24). La poesia di Alberto Giovanni Biuso si comprende e si ri-comprende nel suo cammino teoretico che individua nella poesia il luogo della «Dichtung che porta a evidenza, comprensione e dolore ciò che di più radicale gorgoglia nelle vite» [11]. L’autore è riuscito a trasformare il gorgoglio in musica, in un’inquieta scintilla.  

Dialoghi Mediterranei, n. 66, marzo 2024
Note
[1] A.G. Biuso, Filosofia, in Id., Inni alla luce, Petite Plaisance, Pistoia 2006: 33. Indicherò le poesie successive tratte da questa raccolta direttamente nel testo con il titolo e la sigla IL.
[2] Id., Un barlume di fasto, Scrimm Edizioni, Catania 2013: 5. Indicherò le poesie successive tratte da questa raccolta direttamente nel testo con il titolo e la sigla BF.
[3] Id., Tempo e materia. Una metafisica, Olschki, Firenze 2020: 19.
[4] Ivi: 117. ‘Una somatica del tempo’ e ‘Una metafisica del tempo’ costituiscono rispettivamente la seconda e la quinta sezione di Tempo e materia.
[5] Negli scritti di Biuso il sentimento amoroso non viene mai tematizzato in modo sistematico. La comprensione proustiana dell’amore emerge da queste poesie ed è una concezione sempre filosofica e mai sentimentale.
[6] M. Luzi, Vola alta parola, in A. Sichera, Ermeneutiche. Punti di vista sul confine, Euno Edizioni, Leonforte 2019: 38.
[7] A.G. Biuso, «Di stelle e di buio», in F. Carlisi, Il valzer di un giorno, Gente di Fotografia Edizioni, Modena 2018.
[8] G. Ungaretti, Giorno per giorno, in Il dolore, in Id., Vita d’un uomo. Tutte le poesie, testo secondo l’edizione “I Meridiani” 2009 a cura di C. Ossola, Mondadori, Milano 2016: 246.
[9] Id., «Nota introduttiva», in Id., Vita d’un uomo, cit.: 573.
[10] Ibidem.
[11] A.G. Biuso, Chronos. Scritti di storia della filosofia, Mimesis, Milano-Udine 2023: 365.

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Sarah Dierna, studia Scienze filosofiche nel Dipartimento di Scienze Umanistiche dell’Università di Catania. Si è laureata in filosofia con una tesi dal titolo Liberi di scegliere fino alla fine: questioni etiche e politiche su eutanasia e suicidio medicalmente assistito. Sulla rivista Vita pensata ha pubblicato una introduzione al pensiero del filosofo sudafricano David Benatar. Scrive anche sulle riviste Il Pequod, Discipline Filosofiche, Gente di Fotografia, Il Pensiero Storico. Rivista internazionale di storia delle idee.

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