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L’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, un’agenzia per lo sviluppo sostenibile del territorio

Cantiere del paesaggio ad Artegna (ph. Graziano Soravito)

Cantiere del paesaggio ad Artegna (ph. Graziano Soravito)

il centro in periferia

di Maurizio Tondolo

Introduzione

In generale l’ecomuseo rappresenta l’evoluzione del museo verso una dimensione territoriale. Il modello si rifà ai concetti della Nuova museologia che vede il museo aperto al territorio e non più racchiuso in un edificio, e che sposta i princìpi alla base dell’istituzione museale dalla collezione al patrimonio in senso olistico, da un’impostazione disciplinare a una modalità di organizzazione interdisciplinare, dalla gestione pubblica dei beni culturali a forme di cittadinanza attiva in favore del patrimonio nella sua più ampia accezione.

In più gli ecomusei sono chiamati a promuovere e a sostenere le attività di inventariazione e catalogazione relative ai patrimoni culturali presenti sui propri territori rendendo partecipi le comunità dei processi di ricerca, valorizzazione, fruizione e promozione dei beni materiali e immateriali, comprensivi dei saperi e delle pratiche tramandati localmente.

L’ecomuseo è per sua natura un processo dinamico che si arricchisce degli apporti provenienti dalle azioni e dalle iniziative di cui si fa promotore, è un modello di governo del territorio che permette di valorizzare congiuntamente le risorse naturalistiche, storiche e culturali locali, ma è anche un contenitore spaziale e concettuale in cui si esprimono le esigenze di riconoscibilità di una comunità attraverso la messa in valore delle proprie caratteristiche peculiari. La connessione e l’integrazione tra la memoria del passato e la persistenza sul territorio di elementi qualificanti (e unificanti) rendono l’ecomuseo uno strumento di analisi e riflessione di notevoli potenzialità, per una più corretta gestione del patrimonio nel quadro di progetti sostenibili e condivisi.

La valorizzazione del patrimonio culturale locale è una delle missioni di un ecomuseo, che ha il dovere di incidere in positivo sul territorio di appartenenza, salvaguardandolo e riqualificandolo (ovviamente nell’ottica della sostenibilità e della partecipazione). Questa azione deve misurarsi con un concetto, quello di “bene culturale”, che va allargandosi sempre più: il bene culturale non è solo un oggetto o un monumento, ma si configura come un complesso aggregato di natura e storia, abitudini, lingua e tradizioni. Ne deriva un cambio di prospettiva: a una politica di conservazione e tutela del bene deve aggiungersi un’azione di valorizzazione che assume un’importanza fondamentale nel processo di ricerca e riscoperta dell’identità culturale di un territorio. Il bene culturale, che si colloca in stretta relazione con il territorio che lo ha prodotto, diventa quindi “risorsa”, termine che più di altri contiene un riferimento implicito all’evoluzione e alla progettualità. 

Cantiere del paesaggio ad Artegna (ph. Graziano Soravito)

Cantiere del paesaggio ad Artegna (ph. Graziano Soravito)

L’Ecomuseo delle Acque

L’Ecomuseo delle Acque del Gemonese, il primo ad attivarsi in Friuli Venezia Giulia (sorto nel 2000, è stato riconosciuto di rilevanza regionale nel 2006; comprende i comuni di Gemona del Friuli, Artegna, Buja, Majano, Montenars e Osoppo), nei suoi vent’anni e passa di attività si è particolarmente distinto nell’interpretare, conservare e valorizzare il patrimonio “vivo”, non tutelato, materiale e immateriale, naturale e costruito, che costituisce l’eredità culturale della popolazione locale. È un museo diffuso e partecipativo, che svolge il ruolo di orientatore e facilitatore di processi che puntano a “patrimonializzare” i beni territoriali, rafforzando l’identità e la coesione della comunità, stimolando sinergie e legami tra le varie attività presenti localmente.

L’area di riferimento è rappresentata dal Campo di Osoppo-Gemona, un’unità geografica che assume una posizione baricentrica nell’ambito del territorio regionale: si tratta di una pianura alluvionale completamente circondata da rilievi, solcata ad ovest dal fiume Tagliamento che è l’artefice della sua formazione. L’area comprende numerose salienze, naturali e antropiche, legate tra loro dalla stessa storia geologica e da un’attività comune, quella dello sfruttamento dell’acqua a fini irrigui, produttivi e domestici. A dimostrazione che un territorio non è fatto di soli ambienti, con le loro componenti biotiche e abiotiche, ma ingloba pure la storia degli uomini che lo hanno abitato e lavorato nel passato (e che continuano a farlo) e le tracce che l’hanno segnato.

I progetti promossi in questi anni dall’Ecomuseo evidenziano come un territorio a vocazione ecomuseale può diventare un laboratorio privilegiato per diffondere buone pratiche e sperimentare nuove strategie di sviluppo, essendo l’ecomuseo il luogo di informazione, formazione e ricerca per eccellenza. Si tratta di progetti che si occupano “attivamente” del territorio, affrontano una serie di argomenti strettamente intrecciati e complementari (esplicitando la vocazione “interdisciplinare” dell’ecomuseo), intervengono sulla qualità della vita e del paesaggio, creano una rete di scambi e relazioni con enti, istituti e associazioni da cui attingere informazioni ed esperienze. L’ecomuseo punta a far emergere l’identità delle comunità locali e ad avviare processi di sviluppo e valorizzazione attraverso la tutela attiva e la reinterpretazione del patrimonio culturale e ambientale. Di questo patrimonio il pan di sorc, le uccellande storiche, i muri in pietra a secco, le latterie turnarie rappresentano una testimonianza tangibile, assumendo dei valori che trovano espressione nel paesaggio, come elemento di identificazione e legame della comunità con i suoi luoghi di riferimento. I progetti che li riguardano sono esempi paradigmatici del modus operandi dell’Ecomuseo, affinatosi e consolidatosi nel tempo. E poi c’è l’attività per così dire ordinaria, quella dell’autoformazione (il Festival “Sguardi sui territori”), dell’educazione al territorio (il Laboratorio sul terremoto) e dei servizi (il Paniere). 

Pan di sorc (Graziano Soravito)

Pan di sorc (Graziano Soravito)

La filiera del pan di sorc

Il progetto ha consentito di recuperare una piccola filiera agroalimentare per la produzione di un pane della tradizione locale, sperimentando un’effettiva chiusura del ciclo (produzione, trasformazione, commercializzazione). Il pan di sorc è un pane dolce e speziato che è stato prodotto fino agli anni Sessanta utilizzando la miscela di tre farine – frumento, segale e mais cinquantino (sorc in lingua friulana) –, noci, fichi, semi di finocchio selvatico. L’abbandono della pratica della coltivazione del mais a ciclo vegetativo breve e i mutati gusti alimentari avevano estinto commercialmente il prodotto che “sopravviveva” ancora in qualche famiglia. La ricetta originale è stata raccolta intervistando testimoni, panificatori e mugnai ancora in vita.

Il progetto si è posto sin dall’inizio una serie di obiettivi: a quelli generali – la riscoperta e la valorizzazione del territorio attraverso un prodotto della tradizione, la conservazione della biodiversità agraria, il recupero del ruolo dell’agricoltura nella gestione del territorio e come strumento di riqualificazione e salvaguardia del paesaggio, la trasmissione intergenerazionale di saperi e pratiche –  si sono aggiunti una serie di obiettivi specifici: la creazione di una filiera di raccordo tra produttori, trasformatori, ristoratori e consumatori; il recupero di vecchie varietà di cereali un tempo coltivate diffusamente, poi dimenticate o circoscritte a piccolissimi areali di coltivazione; l’organizzazione di una rete di “conservatori” che si impegnano a preservare parte del germoplasma presente a livello locale; l’ottimizzazione e differenziazione delle pratiche agricole attraverso la rotazione delle colture; la sperimentazione di tecniche agronomiche sostenibili dal punto di vista ambientale, sociale ed economico.

Pani di sorc (ph. Ulderica Da Pozzo)

Pani di sorc (ph. Ulderica Da Pozzo)

Dalla rete di singoli, gruppi, enti, istituzioni e associazioni, sostenuta e coordinata dall’Ecomuseo, ha preso forma una filiera provvista di un marchio collettivo che garantisce l’origine e la qualità del prodotto, collegandolo a uno specifico disciplinare di produzione. Nell’ambito della filiera, rigorosamente biologica, è stata introdotta la cosiddetta “certificazione condivisa”, per consentire anche a hobbisti e piccoli produttori di aderire a pieno titolo al progetto.

Attualmente fanno parte della filiera numerosi coltivatori e hobbisti che hanno rimesso a dimora la popolazione di mais cinquantino e coltivano frumento e segale, un mulino a pietra che effettua la macinazione dei cereali, un panificio che ripropone il pane con la tradizionale lievitazione con pasta madre utilizzando per la cottura un forno a legna, vari ristoratori e gestori di agriturismi che hanno inserito il pan di sorc nei loro menù. Tutti sono oggi riuniti nell’Associazione Produttori Pan di Sorc, che promuove il prodotto e collabora con l’Ecomuseo per iniziative formative e divulgative. Infine, la disponibilità degli hobbisti a raccogliere manualmente le pannocchie del mais ha consentito di riattivare la produzione di piccoli oggetti in cartoccio. La bontà del prodotto e la qualità del progetto sono stati riconosciuti anche da Slow Food che ha inserito il pan di sorc tra i Presìdi italiani e da ICOM Italia, che ha premiato il progetto qualificandolo «eccellente pratica nella relazione tra museo e paesaggio culturale». 

copertina-lunario-2022La Carta dei princìpi delle latterie turnarie

«Dietro ogni formaggio c’è un pascolo d’un diverso verde sotto un diverso cielo», scrive Italo Calvino in Palomar. Con queste parole il grande scrittore mette a fuoco un elemento fondamentale: il legame inscindibile fra formaggi e territorio. Ma affinché un formaggio conservi l’impronta del territorio servono allevatori consapevoli e orgogliosi del proprio lavoro, che producano latte di alta qualità curando l’alimentazione e la salute delle vacche; casari appassionati e tenaci, capaci di trasformare il latte crudo rispettandone le peculiarità che esalteranno le proprietà olfattive e organolettiche del formaggio; consumatori attenti e informati sulle qualità del prodotto e sulla storia di persone, animali e territori che i formaggi, straordinariamente, ci portano in bocca. In Friuli questo ragionamento può essere ricondotto, a buon diritto, al modello turnario ovvero alla caseificazione collettiva.

Le latterie turnarie erano un tempo capillarmente diffuse in tutto l’arco alpino, al servizio di un sistema insediativo fortemente radicato anche nelle aree più marginali. Ogni borgo aveva la sua latteria turnaria. Era il modo per poter utilizzare tutto il latte prodotto nella stalla: una parte veniva trattenuta dall’allevatore per il consumo giornaliero della famiglia e una parte portata in latteria per fare il formaggio. La quantità conferita veniva segnata in un libretto, accumulando così un credito in formaggio e burro da riscuotere periodicamente.

Nella prima metà degli anni Sessanta si contavano in Friuli 652 caseifici turnari, distanti anche solo un paio di chilometri l’uno dall’altro. Il terremoto del 1976 ha portato alla chiusura di molte stalle e alla concentrazione degli allevamenti. Le latterie rimaste si sono mantenute ancora per pochi anni e poi hanno iniziato a chiudere per la progressiva scomparsa dei piccoli allevamenti familiari a causa di una politica agroalimentare che ha spinto i produttori a riunirsi o ad aderire a consorzi di grandi dimensioni per ottenere una maggiore penetrazione nel mercato della grande distribuzione che in quegli anni si stava affermando. Oggi le latterie turnarie che ancora operano in Friuli sono una mezza dozzina, in Italia una decina. Il numero continua a calare di anno in anno poiché i soci diminuiscono, spesso sono anziani con poche vacche in stalla che cessano l’attività. Se i volumi di latte lavorati calano eccessivamente, non è più economico mantenere in piedi la struttura di caseificazione e la latteria chiude o viene rilevata da privati.

Latteria turnara di Campolessi (ph. Graziano Soravito)

Latteria turnara di Campolessi (ph. Graziano Soravito)

Da oltre dieci anni l’Ecomuseo delle Acque sostiene e valorizza la Latteria turnaria di Campolessi di Gemona. Lo ha fatto coinvolgendo Slow Food (nel 2013 il formaggio della latteria è diventato Presìdio), promuovendo la campagna “Amica mucca” che prevede da parte del consumatore l’adozione di una mucca, producendo con l’Ecomuseo della Val di Peio il film documentario “Latte nostro” di Michele Trentini, stampando annualmente un lunario dedicato al modello turnario. Ha redatto con Slow Food la “Carta dei princìpi delle latterie turnarie” a cui hanno aderito le latterie di Campolessi (UD), Peio (TN) e Valmorel (BL), a cui si aggiungerà presto un microsistema cooperativo per la lavorazione del latte presente in Slovenia nei dintorni di Tolmin. La Carta definisce un decalogo di valori in cui le quattro latterie si identificano, evidenziando i princìpi che comprendono tutti i passaggi della filiera riassumibili in alcune parole chiave: turnazione, alimentazione naturale, benessere animale, latte di qualità, formaggio artigianale, biodiversità e paesaggio, conduzione familiare, economia di relazione, prodotti diversificati, condivisione. La prossima iniziativa dell’Ecomuseo consisterà nella realizzazione di una mostra itinerante dedicata ai protagonisti delle latterie che si riconoscono nella Carta, da allestire nei paesi che fanno ancora da cornice a queste straordinarie realtà economiche e sociali. 

Roccolo di Pre Checo (ph. Graziano Soravito)

Roccolo di Pre Checo (ph. Graziano Soravito)

I roccoli di Montenars

I roccoli sono boschetti a pianta circolare, piantumati e attrezzati un tempo per la cattura degli uccelli. Nel Comune di Montenars a metà del secolo scorso ce n’erano una cinquantina su selle e crinali lungo una delle rotte migratorie più battute. Solo alcuni sono sopravvissuti sino ai nostri giorni, ben conservati, pregevoli per le dimensioni e il fascino delle forme. Il progetto “Un futuro per i roccoli di Montenars”, promosso dall’Ecomuseo, ha proposto una conversione delle uccellande dal punto di vista scientifico, didattico e turistico, puntando ad evidenziare il modo con cui la comunità locale percepisce e attribuisce valore al proprio territorio, partendo dal recupero della sua storia.

La raccolta delle testimonianze sulla vita di un tempo incentrata sui roccoli è stato il punto di partenza per approfondire aspetti del patrimonio, del paesaggio e della tradizione della comunità. È stato distribuito un questionario a tutte le famiglie del Comune con l’obiettivo di individuare le persone un tempo attive nelle pratiche di cattura, analizzare le conoscenze attuali degli abitanti sull’argomento, ma anche valutare consensi e adesioni sulla possibilità di utilizzo dei roccoli a fini didattici e scientifici. Ha fatto seguito un’attenta ricerca storica condotta in archivi pubblici e privati, allo scopo di comprendere meglio il contesto socio-economico del territorio nel secolo scorso. Sono seguite le interviste che hanno dato la possibilità di raccogliere e registrare la testimonianza dei protagonisti che in prima persona hanno vissuto l’esperienza dell’uccellagione. Nell’occasione si è fatto uso della lingua friulana, che ha consentito di raccogliere termini specifici e desueti legati agli impianti, agli uccelli e alla toponomastica.

Roccolo di Spisso (ph. Graziano Soravito)

Roccolo di Spisso (ph. Graziano Soravito)

La localizzazione degli impianti di cattura un tempo attivi è stata particolarmente complessa (i roccoli abbandonati sono spesso inglobati in nuove formazioni forestali). I rilevamenti hanno riguardato le strutture ancora esistenti o con tracce visibili. Sulla scheda sono state riportate, nel corso di numerosi sopralluoghi, tutte le informazioni possibili. Le localizzazioni dei roccoli non più esistenti o sopraffatti dal bosco sono state desunte dalle testimonianze di anziani informatori.

Il progetto ha provveduto a riconvertire e valorizzare gli impianti. È stato recuperato un sentiero ad anello che collega i quattro roccoli superstiti; nei roccoli vengono ancora oggi condotte le scuole per approfondire materie e argomenti legati al paesaggio; sono stati promossi eventi culturali che utilizzano lo spazio scenico di cui i roccoli dispongono, come reading, letture sceniche, concerti; nei roccoli sono stati organizzati corsi di potatura e manutenzione arborea e “cantieri del paesaggio” aperti al pubblico per la costruzione e il ripristino dei muri in pietra a secco. 

Roccolo di Pre Checo, muro ripristinato (ph. Graziano Soravito)

Roccolo di Pre Checo, muro ripristinato (ph. Graziano Soravito)

I cantieri del paesaggio

L’Ecomuseo delle Acque ha avviato un progetto che punta a recuperare, conservare e valorizzare i muri e le altre tipologie di manufatti in pietra a secco presenti nella piana di Osoppo-Gemona e sui primi rilievi prealpini. Il paesaggio murato e terrazzato è un carattere distintivo del territorio del Gemonese, anche se a rischio di scomparsa per la mancanza di manutenzione e il conseguente abbandono, con il degrado e il cedimento delle opere. Questo comporta la perdita dei valori culturali, ambientali, identitari propri di un “patrimonio vivente” riconosciuto dall’Unesco con l’iscrizione dell’arte dei muri a secco nella lista dei beni immateriali dichiarati Patrimonio dell’Umanità.

Per questo l’Ecomuseo sta rilevando e catalogando sistematicamente tutte le opere murarie del territorio in cui opera. In più dal 2015 organizza, nei comuni di Artegna, Montenars e Majano e in stretta collaborazione con ITLA Italia, i “cantieri del paesaggio” con l’obiettivo di valorizzare i muri in pietra a secco e il paesaggio che ne deriva evidenziandone funzioni e caratteristiche. I cantieri mettono in contatto persone e istituzioni e facilitano lo scambio di conoscenze e buone pratiche, si propongono di acquisire maggiore visibilità nei confronti dell’opinione pubblica e in particolare delle comunità locali, coinvolgendole in progetti di recupero e salvaguardia del proprio territorio. Si tratta di corsi gratuiti che si propongono di fornire ai partecipanti il metodo base e i consigli pratici su come recuperare i muri a secco. L’attività dei cantieri prevede l’approfondimento delle tecniche di taglio delle pietre, il calcolo dell’angolo di inclinazione del muro e del suo spessore, la costruzione e posa delle calandre, la posa delle pietre di fondazione e l’elevazione del muro. Con i corsi si è consolidata una tradizione di collaborazione tra civici volontari, appassionati, cittadini e istituzioni, che permette di tramandare un’arte antica, accrescere cultura e capacità personali e nel contempo restituire al territorio una parte della sua storia.

Alle varie edizioni dei “cantieri del paesaggio”, che costituiscono ormai una vera e propria scuola regionale sui muri in pietra a secco, hanno aderito negli anni oltre un centinaio di aspiranti artigiani. Nel 2021 all’attività pratica si sono aggiunti gli insegnamenti teorici nell’ambito di un convegno a cui hanno preso parte esperti provenienti da tutta Italia e una visita guidata alle opere murarie ripristinate, anche con la funzione di cogliere la biodiversità di quello che è un vero e proprio habitat verticale, costituito da materiali naturali come la pietra e la terra. 

Mappa della Parrocchia di Santa Maria Maddalena

Mappa della Parrocchia di Santa Maria Maddalena

La mappa di comunità

Si è trattato di quattro progetti in cui la comunità è stata coinvolta a pieno titolo. Per farlo l’Ecomuseo si è valso di uno strumento innovativo e con ampie ricadute sociali e culturali: la mappa di comunità. È un percorso partecipato che, attraverso il confronto con i residenti, la raccolta di memorie e immagini e la riflessione collettiva sulle prospettive future di sviluppo, mira a intrecciare in maniera creativa il passato, il presente e il futuro di un territorio. Il risultato finale è una rappresentazione cartografica in grado di segnalare non solo gli elementi del patrimonio materiale e immateriale, ma anche le trasformazioni sociali, economiche e paesaggistiche riscontrabili localmente. La mappa di Godo frazione del Comune di Gemona del Friuli (per il pan di sorc e le latterie turnarie) e le mappe di Montenars e della Parrocchia di S. Maria Maddalena (per i roccoli e i muri in pietra a secco), sono nate dal desiderio delle comunità coinvolte di raccontare la propria storia, il patrimonio, il paesaggio, i saperi in cui si riconoscono e che vogliono conservare. Nei numerosi incontri che hanno accompagnato i processi partecipativi è stato possibile mettere assieme vari tasselli e affrontare diversi argomenti, frutto di ricordi, racconti, ricerche condotte negli archivi familiari. Si è riusciti nell’impresa di ripercorrere la storia locale, valorizzando la memoria collettiva e interpretando le trasformazioni che hanno mutato il territorio, fino a giungere alla realtà attuale e a definire una visione per il futuro.

Particolarmente interessante e coinvolgente, per l’entusiasmo e lo spirito comunitario manifestati e i tempi adeguati di lavoro (una decina di mesi), il percorso collettivo che ha coinvolto la piccola comunità di Flaipano, a nordest del Comune di Montenars, costituita da una quindicina di persone. Tra i temi e gli argomenti affrontati dalla mappa, vanno segnalati quelli relativi al cosiddetto patrimonio immateriale, con il recupero di racconti, filastrocche, proverbi, modi di dire e la riscoperta della ricchissima toponomastica della zona, che comprende oltre duecento nomi tra località, corsi d’acqua, sentieri e insediamenti, evidenziando in modo particolare l’impronta slava che da secoli caratterizza il territorio. Altri temi oggetto di approfondimento e confronto sono stati la gastronomia, incentrata sul recupero dei piatti tipici locali e la riscrittura delle ricette, e le attività artigianali tradizionali. 

Festival Sguardi sui territori (ph. Graziano Soravito)

Festival Sguardi sui territori (ph. Graziano Soravito)

Il Festival “Sguardi sui territori”

Dal 2017 l’Ecomuseo delle Acque organizza con cadenza biennale il Festival “Sguardi sui territori. Antropologia visuale ed ecomusei”, che si propone di creare un momento di confronto e di scambio tra gli ecomusei (ma anche musei di comunità e musei etnografici) che producono o promuovono documentazioni audiovisive territoriali, al fine di mettere a fuoco le questioni metodologiche connesse con la restituzione video-filmica degli aspetti della vita delle popolazioni locali. Il Festival si articola in presentazioni, conferenze, seminari, incontri e proiezioni aperti al pubblico, costituendo un’occasione importante di confronto e dibattito tra operatori ecomuseali, antropologi, antropologi visivi, sociologi, videomaker, documentaristi. 

I filmati presentati nelle tre edizioni del festival hanno consentito di avviare riflessioni e confronti tra vari punti di vista. Considerando la “naturale” vocazione antropologica degli ecomusei, per l’intimità culturale con le persone, per la promozione di attività integrate con i territori, per lo sguardo attento al dettaglio, è “naturale” fare tesoro dell’impostazione metodologica che è propria dell’antropologia visuale, un indirizzo disciplinare che ha avuto grande sviluppo negli ultimi cinquant’anni in Italia. Entro tale cornice alcuni aspetti (condivisione con gli attori sociali, osservazione prolungata, riprese sul campo contestualizzate, attenzione ai dettagli, uso del piano-sequenza, suono-ambiente ecc.) risultano sicuramente efficaci per rappresentare i luoghi e le persone attraverso contenuti performativi che, proprio in quanto tali, acquistano anche un forte valore informativo.

Il festival 2021, pur svolgendosi online, ha mantenuto una continuità con le due precedenti edizioni. Ha comportato la visione collettiva e partecipativa di una serie di filmati preselezionati, presentati dagli autori e discussi, nei contenuti e nelle forme, da un’ampia e variegata platea di interlocutori. L’attenzione si è rivolta ai territori dell’arco alpino. Sono state individuate quattro strutture ecomuseali/museali fra quelle che in vario modo hanno contemplato, nelle loro attività, la documentazione audiovisiva dei contesti umani di riferimento: l’Ecomuseo della Pastorizia (Piemonte), il Museo Maison Gargantua (Val d’Aosta), il Museo Ladino di Fassa (Trentino) e il Museo Etnografico Canal di Brenta (Veneto). Ciascuna realtà ha fatto da referente a una giornata di proiezioni ed è stata responsabile, insieme al comitato scientifico presieduto da Roberta Tucci, delle selezioni filmiche operate e dell’individuazione dei relatori per la discussione. 

Laboratorio sul terremoto (ph. Graziano Soravito)

Laboratorio sul terremoto (ph. Graziano Soravito)

Il Laboratorio didattico sul terremoto

La didattica e l’educazione al territorio e all’ambiente sono tra le principali attività che l’Ecomuseo ha strutturato sin dalla sua costituzione. Negli anni, il territorio si è trasformato in un’aula all’aperto dove la storia, la geografia, la geologia, la biologia sono state trasmesse sul campo mediante visite e laboratori. Ogni scuola ha trovato nel servizio educativo dell’Ecomuseo un valido supporto per studi e approfondimenti. Prima della pandemia numerose erano le classi che raggiungevano i luoghi dove maggiori sono le possibilità di intrattenere i ragazzi facendoli riflettere sugli aspetti fisici e biologici del territorio del Gemonese, sulle interazioni dell’uomo con l’ambiente, sulle tracce e testimonianze che la storia, antica e recente, ha lasciato sul territorio. Oggi l’Ecomuseo sta lavorando per riproporre tutte queste esperienze anche a distanza, continuando a essere un riferimento per le nuove generazioni.

Nel centro storico di Gemona l’Ecomuseo ha allestito il Laboratorio didattico sul terremoto, che offre la possibilità di un apprendimento multidisciplinare del fenomeno sismico attraverso un approccio fortemente interattivo e partecipativo. È costituito da un percorso espositivo con cui vengono approfonditi argomenti complessi (la struttura della Terra, la teoria delle placche, l’origine e la tipologia dei terremoti, gli strumenti di rilevazione e misurazione, le misure di prevenzione, la geologia dell’Italia, del Friuli e del Gemonese) attraverso un linguaggio accessibile ma rigoroso. Ai pannelli riccamente illustrati si accompagnano alcuni exhibit, vere e proprie postazioni interattive che consentono di “simulare” i fenomeni o di scomporli in modo da individuare fattori e dinamiche. Il Laboratorio fa parte di un percorso territoriale sul terremoto in Friuli comprendente una serie di itinerari per valutare sul campo le tracce e i segni dei fenomeni che sono alla base della formazione e dell’evoluzione del territorio del Gemonese e le modalità con cui si è proceduto nella ricostruzione assurta a modello nazionale. 

Concerto nel Roccolo di Spisso (ph. Graziano Soravito)

Concerto nel Roccolo di Spisso (ph. Graziano Soravito)

Il Paniere

L’Ecomuseo promuove e valorizza i prodotti e i produttori del territorio. Lo fa con il Paniere, che è il felice risultato della collaborazione tra contadini, allevatori e artigiani che intendono rafforzare e rilanciare le potenzialità produttive della campagna gemonese e la ricchezza dei saperi ad essa collegati. L’Ecomuseo con il Paniere affianca le aziende, le promuove, utilizza i mezzi di comunicazione, propone eventi per dare visibilità a prodotti e produttori. “Un po’ di tutto e di alta qualità” è la regola di fondo. I produttori che aderiscono al Paniere si impegnano a collaborare attivamente a favore dello sviluppo locale per un’agricoltura rispettosa dell’ambiente, del paesaggio, dei suoi abitanti e della loro cultura. Credono ai princìpi della solidarietà e della partecipazione, promuovono colture sostenibili per l’ambiente e rispettose della stagionalità, conciliano la cura del territorio con la redditività dell’azienda, sostengono la filiera corta che valorizza il lavoro sul campo e offre prodotti di qualità a un prezzo equo. Il progetto coinvolge mugnai, panificatori, agricoltori, allevatori, viticoltori offrendo una vasta gamma di prodotti. 

La conclusione non può che essere questa: l’Ecomuseo delle Acque nel 2022 è a tutti gli effetti un’agenzia che opera per orientare lo sviluppo del territorio del Gemonese in una logica di sostenibilità ambientale, economica e sociale, di responsabilità e partecipazione dell’intera comunità locale. 

Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022

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Maurizio Tondolo, coordinatore dell’Ecomuseo delle Acque del Gemonese e direttore del Centro di Educazione Ambientale “Mulino Cocconi”. Per l’editore Utopie Concrete ha curato recentemente l’edizione italiana del libro L’ecomuseo singolare e plurale di Hugues de Varine

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