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L’atelier dove abita la luce

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G. Modica, Omaggio ad Antonello, S. Girolamo,1990-91

di Piero Di Giorgi

A distanza di otto anni dalla mia intervista a Giuseppe Modica, pubblicata sul numero di novembre del 2013 di Dialoghi Mediterranei, l’occasione di un mio recente incontro a Roma con l’artista mi è gradita per tornare a parlarne. Nel frattempo, egli, nella sua inarrestabile e prorompente versatilità creativa, dopo le tantissime mostre in Italia e all’estero, tra cui, nel 2002, una antologica nella sua città natale, dal titolo significativo La luce è la luce, la luce, ha esposto in Russia, in Cina e in Australia. Il prestigioso pittore siciliano di Mazara del Vallo, che insegna all’Accademia delle Belle Arti di Roma e con studio di fronte al Colosseo, è ormai un artista di fama internazionale, del cui linguaggio pittorico si sono occupati intellettuali e letterati, a partire da Leonardo Sciascia, che per primo gli ha dedicato la sua attenzione e fino a Giorgio Agamben, filosofo e accademico italiano, e passando per Giorgio Soavi, Antonio Tabucchi e Massimo Onofri.

Ovviamente, l’opera di Modica ha suscitato l’interesse di importanti critici d’arte come Maurizio Fagiolo dell’Arco, Guido Giuffrè, Vittorio Sgarbi, Marco Di Capua, Giovanni Faccenda, Gabriele Simongini, Sergio Troisi e Claudio Strinati tra gli altri. Quest’ultimo, in particolare ha curato le importanti mostre del 2004 al Complesso del Vittoriano e del 2008 al Palazzo Venezia a Roma. Maurizio Fagiolo trova nell’arte pittorica di Modica un filo conduttore in quella classicità astratta e metafisica che collega Piero della Francesca a Vermeer, passando per Antonello, Caravaggio e Seurat, per arrivare a De Chirico e Savinio.

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G. Modica, Studium, 2016

Durante il nostro incontro romano ho appreso della sua prossima mostra che inaugurata il 23 giugno resterà aperta al pubblico fino al 24 ottobre 2021. È ospitata presso il museo Hendrik Christian Andersen, diretto da Maria Giuseppina Di Monte, la quale ha sottolineato che «la mostra che il museo Hendrik Andersen dedica a Giuseppe Modica è un tributo alla sua carriera lunga e prolifica ma, al tempo stesso, un omaggio a Andersen nella casa-museo che fu la residenza dello scultore norvegese, naturalizzato americano, che è vissuto nell’elegante palazzo liberty dal 1923 al 1940, anno della sua morte, e che ha lasciato allo Stato italiano e dove sono raccolte quasi tutte le sue opere più importanti». Il museo Andersen è afferente ai Musei Statali della città di Roma, diretti dalla storica dell’arte Mariastella Margozzi, che promuove la mostra. L’esposizione, oltre che dalla Di Monte è curata anche dal critico d’arte Gabriele Simongini.

Le 37 opere esposte provengono per lo più da collezioni private e rappresentano un percorso di trent’anni di lavoro che va dal 1990-91 al 2021.  Il tema centrale è l’atelier, a cui fanno da corollario numerosi quadri che hanno come tematica la condizione umana e sociale, divenendo la sua creazione artistica una perenne ricerca. Il suo colore s’incarica di narrare il dramma dell’esistenza umana, come il peregrinare dei migranti, che approdano in terra di Sicilia, come si legge nel quadro Le rotte della tragedia del 2017.

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G. Modica, Le rotte della tragedia, trittico, 2017

L’atelier è il luogo magico ed alchemico per eccellenza della decodificazione e successiva rielaborazione del soggetto, a partire da un’opera paradigmatica che rappresenta un omaggio ad Antonello (San Girolamo) del 1990-1991, in cui l’artista si ritrae seduto mentre dipinge e lo studio si trasforma nell’Atelier. Una grande finestra ad arco di stile catalano si apre sullo studio di San Girolamo e l’elemento centrale è rappresentato dalla luce che proviene da più parti ma soprattutto dall’arco centrale e che dirige lo sguardo dello spettatore su S. Girolamo ma in particolare sulle sue mani e sul libro. Seguono Atelier (riflessione improbabile) del 1995, L’autoritratto del 1996-97, che ritrae il pittore nello studio, Grande stanza della pittura del 1997, dove l’atelier è invaso da una luce diffusa attraverso tre porte sul Mediterraneo, Atelier (Pittore e modella) del 2002-2003 che ha per tema un luogo immaginario proteso sul Mediterraneo e sullo sfondo alcuni palazzi del lungomare e al centro la modella nuda senza volto perché di spalle.

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G. Modica, Atelier nero, 2018

E ciò perché Modica, come mi ha svelato nell’intervista del 2013, è attratto dall’avvenenza sinuosa e plastica del corpo nudo della donna, una bellezza carnale ed erotica e non riferita al soggetto identificabile in particolare. Una sorta di “bellezza” impersonale e atemporale, un reperto di bellezza ed eros senza tempo, per questo le figure o sono di spalle o se frontali non hanno un volto specifico e riconoscibile. E ancora Atelier malinconia con fotocamera del 2008, Labirinto- Atelier del 2013, Atelier con Dürer Man Ray del 2015, Studium del 2016, che richiama l’atelier-studio del pittore di fronte al Mediterraneo, Atelier nero del 2018, un nero picchiettato di luce e di azzurro, Rifrazione Atelier del 2020, Spazio circolare (viaggio infinito) del 2021. Questi ultimi mettono insieme oggetti della quotidianità e itinerari verso l’Infinito, immersi sempre in un bagno di luce e di colori.

La luce è la costante fondamentale e primaria che caratterizza l’opera pittorica di Giuseppe Modica ed è la luce del Mediterraneo, della sua Sicilia, definita isola del sole. Questa energia magica della luce costituisce l’essenza e il corpo della pittura di Modica. Fu Sciascia per primo, nel lontano 1986 in un intervento sul Corriere della Sera, ad averne intuito la peculiare qualità. Essa trova riscontro e ragione propria nella sua connotazione e condizione mediterranea.

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G. Modica, Atelier, pittore e modella, 2002-2003

La pittura di Giuseppe Modica è la rappresentazione di un silenzio che esplode in una luce, talvolta violenta e che si tinge di azzurro e di smeraldo. Infatti, anche se la luce è una forza della natura, quella elettromagnetica, che appare in forma di onda, è essa stessa fatta di piccole particelle materiali, chiamate fotoni e, come ci ha insegnato Isaac Newton, la luce non si può separare dai colori. Attraverso la magia della luce, l’onda diviene materialità, è il mezzo attraverso cui si manifestano le cose, s’illuminano gli oggetti e le persone, si esprimono dense atmosfere ed emozioni profonde, cariche spesso di nostalgia e di dolore che provengono dai meandri più profondi della coscienza. È la luce, nelle sue diverse tonalità, da quella dell’alba a quella sfavillante del giorno a quella più tenue del meriggio e del crepuscolo, che inonda la scena e si può dire che rappresenta l’unico soggetto in un campo di solitudine.

D’altronde la luce è vita, la Bibbia si apre con la nota espressione latina “Fiat lux”, che tra l’altro è anche il titolo di un quadro di Modica chiamato così per un riflesso esplosivo di luce su una finestra verticale. Nel linguaggio comune si usa la frase “dare alla luce” per significare la nascita. In altri termini, la luce ha un’identità di campo semantico con la nascita, con la vita, mentre il buio è assimilabile alla morte, all’ingresso nel buio eterno. In qualche modo si può dire che luce e buio si fronteggiano e si contrappongono in un’eterna battaglia come Eros e Thanatos, che sono due facce complementari della stessa medaglia.

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G. Modica, Riflessione improbabile, 1995

Come ha scritto Gesualdo Bufalino, Eros e Thanatos sono voci consonanti e dissonanti, che fanno pensare alla luce e lutto, da cui prende il titolo il suo libro omonimo. Infatti, la luce è nata insieme all’Universo. Senza la luce non sarebbe stato possibile né il Cosmo né la Vita. Senza la luce non sarebbe potuta nascere la materia e quindi neanche noi viventi, perché è la luce che dà la forma alla materia. Senza la luce non potremmo vedere neanche la nostra ombra corporea. I pittori non possono fare a meno della luce per dare corpo alle cose e alle persone rappresentate nei loro quadri. In un recente libro dal titolo Dire luce, pubblicato dalle edizioni Cue Press, a un certo punto uno dei due autori, Pasquale Mari, scrive che «in termini psicofisici, chi si occupa della luce patisce una mancanza, quella del tatto. Si soffre di non potere toccare la luce».

Il pittore deve affrontare una continua lotta per definire lo spazio che vuole evidenziare attraverso i colori e anche con il buio. La luce non è soltanto qualcosa che si vede e, in certe occasioni, ci fa esclamare: “che luce che c’è nel Mediterraneo”! Ma essa rappresenta soprattutto il mezzo attraverso il quale vediamo tutte le altre cose. Per Modica la luce è colore, movimento e vita, come aveva, d’altronde, ben intuito Caravaggio. La luce violenta del Mediterraneo, che si staglia sul mare che il maestro siciliano guarda dal terrazzo dell’atelier nella sua dimora estiva, accende i colori di quel mare della sua Mazara di un azzurro intenso che si coniuga con lo smeraldo. I quadri di Modica sono attraversati e impastati dalla luce e dai colori del Mediterraneo, di cui sono colmi i suoi occhi e del quale è impregnata la sua mente, dove pullulano ricordi e una certa malinconia intercostale.

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G. Modica, Labirinto Atelier, trittico, 2013

Oltre alla luce e l’azzurro, anche lo specchio è un elemento identificatorio della pittura di Giuseppe Modica. È da più di 30 anni che Modica lavora sul tema dello specchio, oltre che sulla luce e la memoria. Lo specchio,  che fa l’apparizione nel 1982 (La memoria riflessa: gli interlocutori) è come memoria riflessa, ma è anche, come nel quadro “Las Meninas” di Velasquez, una sorta d’interlocuzione tra lo specchio e lo spettatore e ancora il mezzo per la diffusione-rifrazione della luce ma anche – come dice Modica – veicolo attraverso il quale si riflettono le cose, le figure, gli eventi, lo spazio intermedio imprendibile tra il qui presente dell’oggetto e l’oltre immaginario ed irreale della finzione, ma anche il vuoto, l’aria, l’assenza di fisicità, i ricordi evocati, le malinconie, il senso del mistero e di solitudine. Lo specchio, nella pittura olandese svolgeva una funzione di duplicazione e ripetizione ma all’interno di uno spazio irreale, incurvato e ricomposto. In Modica, ci dà le immagini per riflessione della luce. Oltre a produrre immagini di chiaroscuro, è anche lo specchio dell’anima, della capacità riflessiva di stati d’animo; è un oggetto metaforico, che ci restituisce la nostra immagine, simbolo mai narcisista per Modica ma moltiplicatore della realtà e delle tante visioni, interpretazioni e punti di vista diversi e quindi luogo della relatività ma anche spazio di meraviglia e dello stupore.

La pittura stessa è uno specchio – dice Modica. Nella superficie dello specchio si unificano e convivono contemporaneamente il piano della lastra riflettente e la realtà riflessa. Diciamo che convivono contestualmente due spazialità: sia quella fenomenica, misurabile e fissa della superficie riflettente che quella fluttuante ed illusoria dello spazio riflesso. Nello specchio, si concretizza una realtà altra, parallela e ribaltata: una sorta di apparizione epifanica e misteriosa dello spazio circostante.

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Giuseppe Modica, La grande stanza della pittura, 1997

Il tema centrale della mostra è lo studio-atelier, inteso come labor-oratorium, il luogo elettivo dove – come scrive lo stesso Modica – «si riordinano e si chiariscono le idee», dove «avviene la conversione alchemica dei pensieri, dei frammenti di memoria e delle annotazioni (schizzi, prove di colore, collage, foto), che si organizzano e prendono forma divenendo pittura, configurazione visiva». L’atelier è anche il luogo privilegiato della riflessione e della meditazione, del pensiero che si alimenta di fantasia, di visioni, di immaginazioni, che vanno oltre il reale e che aspira a orizzonti di senso e d’infinito, il cui emblema è un quadro del 1997, Grande Stanza della pittura: un grande atelier con una serie di cavalletti allineati in una prospettiva centrale investita da fasce orizzontali di luce e il tutto si riflette in un grande specchio. È un quadro sullo spazio-tempo e sulla luce che muta durante la progressione verso l’infinito. L’atelier è anche «luogo d’incontro di temporalità diverse: il tempo della memoria e dell’immaginazione si coniuga con quello processuale e costruttivo della lunga elaborazione esecutiva».

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G. Modica, Atelier con Durer Man Ray, 2015

Un artista riflessivo e meditativo come Modica non può non soffermarsi sulla dimensione spazio-temporale che lui esprime attraverso le sue opere che alludano quasi sempre ad una mancanza, un’assenza. Lo si vede bene in Omaggio ad Antonello e nell’opera Atelier con Dürer Man Ray in cui si nota l’usura del tempo attraverso il logorio e il degrado degli spazi intorno, i muri scrostati e i pavimenti corrosi con le mattonelle saltate e sbeccate. La luce si coniuga anche con la dimensione del tempo, anzi dello spazio-tempo, perché diviene un’unica dimensione alla velocità della luce. Lo spazio-tempo è il campo gravitazionale, un campo come quello elettromagnetico di cui è fatta la luce. Ma se a livello fondamentale il tempo non esiste, noi umani abbiamo una visione sfocata del tempo perché ci mancano tante variabili dell’universo ed è per questo che nascono i concetti di entropia e del fluire della freccia del tempo dal passato al futuro.

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G. Modica, Spazio circolare, viaggio infinito, 2021

Parlando dell’arte pittorica di Giuseppe Modica non si può non accennare al tema della memoria. La memoria è il deposito dei nostri ricordi. Senza memoria non ci potrebbe essere coscienza, non sapremmo chi siamo, non avremmo un’identità. Essa è anche il luogo dei ricordi rimossi o accumulati inconsciamente. Vi sono anche dei quadri dell’artista siciliano che ne portano espressamente il titolo: Paesaggio della memoria del 1992 e Stanza della memoria del 1995. La memoria è qualcosa che emerge spontaneamente e affiora in superficie autonomamente. Si presenta a noi inconsciamente anche a dispetto della nostra volontà precostituita.

C’è una memoria nostalgica in sintonia con la “ricerca del tempo perduto”, della quale Proust è maestro ineguagliabile, ed una memoria straniante, animata da una inquieta vertigine metafisica e fantastica, alla Savinio per intenderci. Il Nostro si ritrova prevalentemente in quest’ultima nella quale la memoria si intravede tra le righe della realtà come apparizione visionaria ed evocazione immaginaria, ma anche come proiezione nel futuro; sebbene non manchi in lui la fascinazione per la remota e struggente sospensione di un tempo immemorabile e mitico. Ed è la memoria che salda tutte le nostre esperienze e relazioni durante il fluire del tempo. Perciò il tempo ci appare come nostalgia e come dolore. Lo scorrere del tempo, nel suo inarrestabile e veloce cammino, travolge persone e cose e ha il volto della morte.

Come scrive il critico Gabriele Simongini, «innumerevoli germinazioni e memorie di atelier (Antonello da Messina, Caravaggio, Velasquez, Man Ray) sono nate nell’atelier di Giuseppe Modica». Ma fondamentalmente, come scrivevo nel mio articolo del 2013, l’atelier concettuale, il motivo di riflessione di Modica è stato Las Meninas di Velasquez, sulla cui analisi rinvio al prezioso e dotto contributo di Michel Foucault in Le parole e le cose: un’archeologia delle scienze umane.

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G. Modica, Rifrazione Atelier, 2020

La luce, lo specchio, il tempo e la memoria, sono interrelati nella poetica pittorica di Giuseppe Modica e raccontano, indagano le malinconie, le inquietudini, il senso della vita. Parafrasando Walter Benjamin, si può dire che, non solo quando si scrive, ma anche quando si dipinge, lo si fa sempre per conoscere la propria anima, un viaggio nella memoria per recuperare frammenti dall’oblio.

Il mare infine sembra imprescindibile per chi è nato ed è vissuto in luoghi dove esso è presente. È una sorta di navigazione, di viaggio della memoria. Il Mediterraneo, per Modica, è sia luogo della memoria, traccia, impronta e anche luogo e scenario dell’immaginario. Non c’è nostalgia nell’opera di Modica. Le tracce della memoria, oltre a quelle dei propri vissuti, sono qualcosa di originario, di primigenio, hanno legame con il presente ed esistono solo come evocazione fantasmatica.

Dialoghi Mediterranei, n. 50, luglio 2021

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Piero Di Giorgi, già docente presso la Facoltà di Psicologia di Roma “La Sapienza” e di Palermo, psicologo e avvocato, già redattore del Manifesto, fondatore dell’Agenzia di stampa Adista, ha diretto diverse riviste e scritto molti saggi. Tra i più recenti: Persona, globalizzazione e democrazia partecipativa (F. Angeli, Milano 2004); Dalle oligarchie alla democrazia partecipata (Sellerio, Palermo 2009); Il ’68 dei cristiani: Il Vaticano II e le due Chiese (Luiss University, Roma 2008), Il codice del cosmo e la sfinge della mente (2014); Siamo tutti politici (2018).

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