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La Sicilia ritrovata tra pratiche esoteriche ed esperienze essoteriche

copertina-002di Alessandro D’Amato

Tra le cose che mi porto dietro dai tempi dell’Università, m’è rimasto il vizio, forse semplicemente un vezzo, di “ribaltare” i libri nel momento del mio primo contatto con loro. Anziché principiare dalla copertina o dall’indice, da circa vent’anni il mio primo pensiero è quello di andare a spulciare avidamente la bibliografia e le pagine conclusive del testo tenuto per la prima volta tra le mani, con l’obiettivo di scoprirne un eventuale indice dei nomi e i principali riferimenti dell’autore, dal punto di vista, appunto, della bibliografia da questi consultata. Devo anche ammettere che questa pratica mi ha più volte dissuaso dall’acquisto di libri risultati essere, a un primo sguardo, non sufficientemente “attraenti”. Allo stesso modo, in altre circostanze, la possibilità di verificare la qualità della “matrice culturale” fatta propria dall’autore, mi ha invece fatto propendere per una soluzione positiva dell’amletico dilemma se acquistare o meno quel dato libro.

Questa mia fissazione si è riproposta la prima volta che ho potuto testare materialmente l’ultima opera di Giuseppe Giacobello. Così, “sfogliando a ritroso” Oltre quel che c’è (Edizioni Museo Pasqualino, Palermo 2017, collana “Studi e materiali per la storia della cultura popolare”) l’immediata sensazione provata è stata di grande stupore, trovandomi di fronte a una bibliografia vasta, esauriente e aggiornata, in grado di raccogliere e trasferire al lettore un quadro completo dei testi di riferimento per chi volesse accostarsi alle tematiche affrontate all’interno del volume. Temi che, tra l’altro, sono efficacemente sintetizzati nel sottotitolo del libro: Oracoli, giochi di sorte, tesori nascosti, incanti sotterranei. Oltretutto, la compiutezza della bibliografia con cui si chiude il testo garantisce sulla serietà dell’approccio scientifico dell’autore, il quale, in questa sua pubblicazione – suddivisa in 7 saggi tra loro concatenati ma, volendo, fruibili liberamente, senza necessariamente seguire l’ordine d’impaginazione – ha deciso di riunire in un’unica monografia una serie di contributi che in parte erano già stati pubblicati in passato su rivista e in parte, invece, risultano essere del tutto inediti. Nel complesso ne viene fuori un insieme organicamente coerente e assemblato con grande precisione e dovizia di metodo.

La lettura del volume si configura, pertanto come un viaggio in costante oscillazione tra gli aspetti esoterici e quelli essoterici di alcune pratiche umane, le quali, in alcune circostanze, si è ben lungi dall’essere del tutto estinte e che sono culturalmente radicate nelle nostre aree geografiche. Dalla cledonomanzia alle pratiche divinatorie legate a luoghi sacri “acquatici”, dai giochi di sorte a quelli in qualche modo legati a pratiche rituali, fino ad arrivare a un insieme complesso e sedimentato di credenze legate al sottosuolo (fiabe, leggende, truvature), la lettura si dipana efficacemente e instancabilmente tra suggestioni e miti, pratiche e cerimonie rituali, personaggi fantastici ed esseri soprannaturali, culti sacri e tradizioni profane, tradizione etnografica e produzione letteraria colta.

Altro grande merito della ricerca di Giacobello è rappresentato dall’aver recuperato una tradizione di studi (e di studiosi) che, ai tempi di Pitrè, diedero un grandissimo impulso e un fondamentale contributo alla strutturazione della ricerca demopsicologica in Sicilia, grazie alle preziose e rare informazioni trasmesse al medico palermitano mediante ricche e feconde amicizie epistolari. Parliamo di studiosi come Girolamo Ragusa-Moleti che, tra le altre cose, pubblicò anche numerose monografie, la cui rilevanza è oggi recuperata per mezzo dell’attenzione offerta ad esse dal volume di Giacobello. Ne vien fuori uno spaccato della Sicilia a cavallo tra la seconda metà dell’Ottocento e la prima del Novecento, all’interno del quale la vivacità delle raccolte demologiche fu resa possibile da alcuni seri e scrupolosi studiosi, cosiddetti “intellettuali periferici”, tra i quali il nome di Ragusa-Moleti appare essere uno tra i tanti, affiancato meritoriamente da altre importanti figure, come Carlo Simiani, Raffaele Castelli, Serafino Amabile Guastella, Stefano Mulè Bertolo, tutti collaboratori di Pitrè dalle varie province dell’Isola.

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Vergine del Carmine e Anime del Purgatorio, stampa devozionale, coll. privata

In Oltre quel che c’è emerge con prepotenza la capacità dell’autore di schematizzare, attraverso modelli descrittivi, il senso e i contenuti ritual-simbolici delle pratiche osservate e poi descritte. Ciò rende pienamente agevole l’interpretazione dei relativi fenomeni e la comprensione stessa delle differenti tipologie di occorrenze riscontrate nel corso della propria ricerca e riportate all’interno del testo. Un mondo cerimoniale estremamente complesso è indagato con scrupolo e dedizione, in un gioco speculare e metodologicamente complementare di continui rimandi tra l’osservazione etnografica e il dato bibliografico. Inoltre, il libro si arricchisce di una maestosa appendice iconografica contenente fotografie, immagini, cartoline, dipinti, testimonianze di arte devozionale di origine popolare, volantini, locandine ecc.

Dottore di ricerca in Etnoantropologia all’Università di Palermo, Giuseppe Giacobello oggi vive a Bologna, dove insegna nel Liceo Artistico “F. Arcangeli”, dopo aver svolto per anni ricerca etnografica in Sicilia, raccogliendo registrazioni orali e interessandosi ai fenomeni cultuali e alle pratiche divinatorie legate al mondo magico-religioso delle periferie culturali dell’Isola. In quest’ultimo lavoro emerge il desiderio di identificare le modalità mediante le quali il mondo popolare abbia in passato e, residualmente, continui tuttora a culturalizzare o domesticare spazi interpretativi di più difficile comprensione, come la morte, l’oscurità notturna o lo stesso mondo sotterraneo.

In tal senso, il contributo forse più rilevante proposto dall’autore è rappresentato dal capitolo con il quale il libro esordisce. Come già accennato, si tratta di un saggio inedito, dedicato alla cledonomanzia, particolare modalità di divinazione applicata a frasi, parole, dialoghi e a ogni altro possibile fenomeno sonoro percepito nel corso di ben determinati rituali di propiziazione. Il meccanismo semantico prevede pertanto che, per analogia, avvenga un’associazione di senso, tale per cui il significato attribuito a un dato suono/parola/frase/rumore/azione percepito nel corso del dispositivo rituale viene automaticamente messo in correlazione con la particolare circostanza sottoposta a indizio prognostico, determinando in tal senso quale sia il responso finale.

In pratica, parole frasi o suoni sono «adattati per analogie alla vicenda […] e quindi decifrati come responso», secondo una consuetudine culturalmente trasmessa, che attesta le sue prime origini nella civiltà mesopotamica, e che è storicamente testimoniata dalla sua presenza in testi-chiave della cultura occidentale, come l’Odissea o il Don Chisciotte. Nel primo caso, Ulisse interpreta il rombo dei tuoni come un prossimo segnale di una punizione inflitta dagli dèi agli uomini malvagi; nel secondo caso, invece, il protagonista Don Chisciotte e il suo fedele scudiero Sancho Panza danno un’interpretazione radicalmente differente (i due, d’altronde, risultano essere frequentemente su posizioni distanti, in tutto lo svolgersi della narrazione), se posti di fronte al medesimo segnale. Così, se il protagonista della vicenda descritta da Cervantes valuta in maniera pessimistica alcuni “eventi”, determinando da essi l’impossibilità futura di poter rivedere l’amata Dulcinea, dall’altro lato, gli stessi segnali sono decriptati da Sancho come presagio positivo per un felice esito della vicenda vissuta.

I due casi appena citati ci offrono un primo, concreto esempio di quella costante operazione di giustapposizione tra riferimenti demologici e rimandi alla letteratura colta che costituisce una tra le cifre stilistiche di questo lavoro di Giacobello. In questo caso specifico, il simbolismo della pratica cledonomantica trova attestazioni letterarie incasellate in opere di autori tra loro distanti, tanto spazialmente quanto nel tempo: dai già citati Omero e Cervantes a Eduardo De Filippo, fino ad arrivare a Federico De Roberto.

2Contrariamente a quanto espresso dai due esempi letterari appena citati, dal punto di vista etnografico, la cledonomanzia si configura come pratica divinatoria prevalentemente femminile: «donne erano e sono le portatrici delle tecniche; femminili erano e sono i percorsi esistenziali interessati a questa singolare investigazione dell’esperienza quotidiana». Oltretutto, così capillarmente diffusa tra i ceti popolari che, negli anni dell’Inquisizione spagnola, tra i rituali messi sotto la lente d’osservazione dalle autorità del tempo, le «tecniche divinatorie finalizzate a diagnosi o prognosi» furono particolarmente vigilate e sottoposte a severe forme di censura.

Altro elemento caratterizzante le pratiche cledonomantiche è rappresentato dalla morfologia dei luoghi in cui le divinazioni sono messe in atto, che richiama quell’esperienza essoterica a cui si è in precedenza accennato. Non di rado, infatti, la divinazione viene effettuata nei pressi di santuari appartati, siti funerari difficilmente raggiungibili o storicamente caratterizzati dall’essere stati teatro di eventi raccapriccianti. Ancora una volta, il legame determinato tra pratica divinatoria e simbolismi ad essa soggiacenti torna a riproporsi in tutta la propria eloquenza.

In altre circostanze ancora, la lettura del testo ci consente di apprendere che anche determinati suoni sono indubitabilmente associati a presagi positivi o, al contrario, negativi. A quest’ultima categoria appartengono segni acustici come il pianto umano o il miagolio di un gatto. Ciò che, tuttavia, appare una costante è il radicato sincretismo tra credenze pagane tipologicamente ascrivibili al mondo della magia e culti religiosi di stampo cristiano-cattolico, in base ai quali viene attribuita fiducia all’intercessione favorevole di santi, madonne o del “Padreterno” in prima persona. Ad esempio, da questa prospettiva, possiamo individuare un chiaro nesso con la “novena”, «con riferimento alla ripetizione, nove volte consecutive, delle preghiere recitate durante la propiziazione dei presagi; oppure con riferimento all’uguale ripetizione, nove giorni consecutivi, dell’intero cerimoniale relativo a una stessa consultazione».

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L’Eremita, carta dei tarocchi siciliani, sec. XIX, coll.privata

Le pratiche divinatorie sono oggetto d’attenzione anche all’interno del secondo capitolo, intitolato Discese all’Acquasanta. Qui, in un ancor più determinato sincretismo tra tradizioni pagane e credenze religiose, le «pratiche divinatorie e terapeutiche trovano orientamento in caratteri sacrali fondati sull’acqua». Le similitudini con la cledonomanzia, in quest’ultimo caso, appaiono rilevanti e vanno dalla prevalenza del ruolo femminile all’individuazione di luoghi simbolici particolarmente rilevanti: non più legati alla sfera dell’oscurità e della morte (cimiteri, sottosuolo, aree abbandonate ecc.), quanto piuttosto associati a sorgenti o corsi d’acqua, aventi pertanto un evidente richiamo alla vita. Ancora una volta, inoltre, eventi o comportamenti osservati, in determinati momenti e in ben precise circostanze, si rivelano essere come dei chiari segnali del responso atteso dai “fedeli”, i quali d’altronde compiono dei veri e propri pellegrinaggi presso tali luoghi, a tutti gli effetti dei santuari, disseminati un po’ in tutta l’Isola.

Così come nei rituali cledonomantici, anche le divinazioni legate agli “ambienti acquatici” si riconnettono dunque all’interpretazione di segni – dai movimenti spiraliformi delle acque all’ondeggiare della fiamma di una candela posta nei pressi di una sorgente – come manifestazioni del volere di santi o altre entità immateriali. E gli stessi toponimi in cui si concentrano tali pratiche culturali sono evidentemente legati a tradizioni magico-religiose o miti che richiamano l’intervento salvifico o il sacrificio di santi, contribuendo ad alimentare e rendere più solido il relativo culto (quasi sempre trattasi di culti legati alla natura: acque o vegetazione).

I due saggi che seguono, Smorfie del destino e Spirito del gioco, irrompono in una dimensione costituita dal rapporto tra iconografia e immaginazione simbolica, ponendo l’attenzione sui giochi di sorte e sugli elementi rituali ad essi collegati, oltre che sulla polemica innescata dal mondo ecclesiastico nei confronti di tali manifestazioni. In un siffatto contesto, un ruolo di primo piano è esercitato da personaggi in grado di ergersi a portatori di doti di particolare sensibilità o innata abilità nella previsione del futuro o nella capacità interpretativa di numeri, segni e simbolismi; figure interposte tra il giocatore e l’acquisizione preventiva dei numeri per via divinatoria. Dai cabalisti, rifacentesi ad antiche e ormai perdute tradizioni esoteriche, ai polacchi, solitamente frati conventuali o monaci eremiti, considerati da molti come esperti nella interpretazione numerologica; dagli spiritati, “posseduti” da uno spirito-guida in grado di far loro prevedere gli eventi, sino ad arrivare ai cosiddetti addivinavinturi (gli indovina-venture), venditori ambulanti di bigliettini (“pianeti della fortuna”) contenenti previsioni astrologiche o numeri fortunati, da giocare al lotto. In linea generale, «un più vasto insieme di pratiche cerimoniali che si è costituito attingendo a uno strumentario simbolico niente affatto occasionale, ma correlato agli orizzonti di sacralità di un contesto culturale piuttosto esteso».

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Tabbaranu, stampa figurata per gioco di sorte messinese, sec. XIX, Museo Pitrè

Parallelamente al ruolo esercitato da questi personaggi, vi è anche un corollario di esseri fantastici o entità soprannaturali, i quali albergano da secoli nell’immaginario della cultura popolare siciliana: dai folletti ai fatuzzi, dalla sirena del mare alla bellina, dalla Monacella della fontana alla Sibilla, fino a giungere alle donne di fora, le quali probabilmente rappresentano la figura immaginifica più capillarmente diffusa sul territorio regionale. In grado di mutare repentinamente il proprio carattere da benevolo a malevolo, queste sono rappresentate da esseri notturni, frequentanti un habitat domestico femminile, cui il mondo popolare affidava le proprie sorti attraverso riti propiziatori.

La seconda parte del libro è costituita da un trittico di capitoli – Leggende e fiabe del sottosuolo, Orlando nell’impresa plutonica e Scritture e truvature – accomunati dal fil rouge rappresentato dall’ambientazione plutonica, vale a dire sotterranea, delle relative vicende, andando a costituire, secondo una felice locuzione coniata da Giacobello, «una speleologia dell’altrove folklorico». Dalle fiabe alle leggende, alle credenze circa l’esistenza di tesori nascosti, il mondo del sottosuolo costituisce indubbiamente un fattore attrattivo (dovuto verosimilmente al mistero generato dalle eventuali forme di vita presenti in luoghi ignoti) per la cultura popolare, in particolar modo in quei contesti di miseria esistenziale in cui ci si può spingere a credere anche a entità irrazionali pur di alimentare la speranza di una svolta delle proprie condizioni socio-economiche. Ne vien fuori «un ampio sistema di rappresentazioni dell’aldilà o di atteggiamenti codificati in relazione al mondo dei morti» che “torna utile” sia nella formulazione di fiabe o racconti popolari sia nella costruzione semantica di una narrazione mitica connessa alla credenza nelle truvature. L’intreccio tra mondo del meraviglioso e dinamiche sociali si sostanzia, pertanto, nella diffusione di credenze tradizionali che mescolano al proprio interno alcuni chiari elementi di caratterizzazione del tessuto narrativo: l’ambientazione in un aldilà infero; i protagonisti individuati in personaggi sprovveduti; la presenza di fondamentali “attori non-protagonisti”, spesso esseri soprannaturali, nella veste di guardiani dei tesori; la messa in atto di prove di coraggio e il relativo, sistematico fallimento delle stesse, a causa di ineluttabili stereotipe infrazioni procedurali. Infine, la mancata riuscita dell’impresa.

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Ribera, venditore ambulante di pronostici, 1994 (ph. R. Perricone)

La questione delle leggende plutoniche ha visto intrecciarsi, sin dalla metà dell’Ottocento, l’interesse dei folkloristi con quello degli scrittori di racconti e romanzi. Così, se da una sponda possiamo citare i contributi di Pitrè, Salomone-Marino, Cocchiara, Lo Presti, Uccello, Guggino (e quelli contemporanei di Mannella e Maffei), dall’altra parte Giacobello ricorda gli importanti contributi di Capuana, De Roberto, Pirandello, Lanza, Sciascia, Consolo, La Spina e Camilleri. Di questi ultimi, il volume, nella propria parte conclusiva, riporta nove brani, che coprono un arco temporale piuttosto vasto, collocandosi tra il 1888 e il 2011. Una attestazione della commistione tra letteratura ed etnografia rilevata e fatta propria dall’autore, che è abile a porre in evidenza l’esperienza di rilettura artistico-letteraria che questi grandi nomi della letteratura siciliana hanno fatto delle ricerche sul campo compiute dai demologi precedentemente citati. E proprio al tema delle connessioni etnografico-letterarie nel novembre del 2016 Giacobello dedicò il proprio intervento, intitolato Codici dell’incantesimo. Storie di trovatura da Pitrè a Camilleri, in occasione del Convegno Internazionale di Studi a cento anni dalla morte di Giuseppe Pitrè e Salvatore Salomone Marino, il cui testo oggi è consultabile nei relativi Atti, pubblicati anch’essi per le edizioni del Museo Internazionale delle Marionette ‘A. Pasqualino’.

Già in quella circostanza la demarcazione della ricerca di Giacobello appariva perfettamente delineata, sebbene ancora non definitivamente conclusa. Pur tuttavia, appariva già nitidamente il perfetto bilanciamento di una postura collocata in equilibrio tra la pratica della ricerca sul campo e l’utilizzo critico e analitico di fonti di seconda o terza mano. Un lavoro meritorio, in grado di dar vita a un contributo di rilievo nell’attuale panorama di studi demologici relativi a quel patrimonio immateriale di credenze e pratiche magico-religiose che, nonostante il loro graduale e inesorabile affievolimento, si configurano come prezioso oggetto di interesse della ricerca etnoantropologica.

Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
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Alessandro D’Amato, dottore di ricerca in Scienze Antropologiche e Analisi dei Mutamenti Culturali, vanta collaborazioni con le Università di Roma e Catania. Oggi è funzionario demoetnoantropologo al MiBAC. Esperto di storia degli studi demoetnoantropologici italiani, ha al suo attivo numerose pubblicazioni sia monografiche che di saggistica. Insieme al biologo Giovanni Amato ha recentemente pubblicato il volume Bestiario ibleo. Miti, credenze popolari e verità scientifiche sugli animali del sud-est della Sicilia (Editore Le Fate 2015).

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