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La memoria per accogliere: il Museo delle Spartenze

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Museo della Spartenza, sala principale

di Santo Lombino

Come è noto, già alla fine del XIX secolo migliaia di uomini, donne e bambini lasciarono la Sicilia, attraversarono il Mediterraneo e l’Oceano Atlantico per trovare altrove condizioni di vita più dignitose, inserendosi così nel vasto mondo della prima globalizzazione. Le ferrovie, le miniere e le aziende manifatturiere degli Stati Uniti [1], le piantagioni del Brasile e dell’Argentina, le terre del Venezuela, ma anche i campi della Tunisia [2] richiedevano manodopera che arrivò dall’Europa. Nel corso di mezzo secolo, cinquanta milioni di europei, tra cui inglesi, irlandesi, russi, polacchi, italiani si trasferirono nel Nuovo Mondo determinando così «lo spostamento di baricentro demografico del pianeta» [3].

L’esodo dalla nostra Isola è continuato per oltre un secolo ed è ripreso dopo la seconda guerra mondiale, soprattutto verso le regioni settentrionali italiane ed i Paesi europei: verso questi ultimi, in modo legale attraverso accordi tra gli Stati, ma spesso in modo irregolare, con i rischi connessi [4]. Recentemente la nostra terra, come vediamo ogni giorno, è diventata luogo di passaggio e di immigrazione dai éaesi dell’Est europeo, dall’Africa e dall’Asia [5], ma è rimasta terra di emigrazione per le nuove generazioni.

La ricerca storiografica sull’emigrazione italiana, che fino agli anni settanta del Novecento ha visto poche opere spesso prive di adeguata problematizzazione, ha prodotto negli ultimi trenta anni studi approfonditi che hanno mostrato sfaccettature ed aspetti in passato trascurati o appena accennati. Le opere di autori come Emilio Franzina [6], Andreina De Clementi [7], Matteo Sanfilippo, Donna R. Gabaccia [8] ed altri hanno portato a una visione del fenomeno meno schematica e approssimativa, che tiene conto della sua complessità.

Per quanto riguarda l’emigrazione siciliana, il Convegno internazionale di studi tenutosi a Salina nel giugno 1999 [9] ha permesso di porre fine a diversi stereotipi sulla nostra vicenda migratoria e di stimolare originali ricerche sul campo. In particolare Franco Ramella ha mostrato nel suo intervento come ormai la storiografia più avveduta abbia compreso che «la mobilità geografica possa e debba essere considerata come un processo endemico della vita sociale e che quindi richieda di essere analizzata non, come spesso è avvenuto in passato, come un fenomeno che esprime comportamenti di devianza rispetto alla stanzialità» [10].Veniva altresì dimostrato come, accanto al modello di spiegazione fondato su fattori espulsivi (crisi economica, oppressione sociale, protezionismo, incremento demografico, sconfitte dei movimenti sociali), fosse da valutare e, a volte, da privilegiare, un modello attrattivo (attività delle compagnie di navigazione, catene migratorie, alti salari nei luoghi di destinazione), spesso più adatto a dar conto di quanto avvenuto anche in Sicilia a cavallo dei due secoli. Dati alla mano, veniva documentata la diversa natura che il fenomeno assumeva nelle varie zone dell’Isola, per cui era impossibile sostenere che la migrazione colpiva solo le terre del latifondo (l‘osso), visto che aveva investito anche le zone dove vigevano colture pregiate (la polpa), con tempi, caratteristiche e destinazioni diversificate.

1Il successo del convegno e la spinta da esso innescata ha portato negli anni seguenti alla promozione della “Rete dei Musei Siciliani dell’Emigrazione” che, diretta da Marcello Saija, docente all’Università di Messina prima e di Palermo dopo, ha inteso promuovere gli studi sulle diaspore dei siciliani e nel contempo raccogliere i documenti e i materiali per rappresentare il grande esodo dall’Isola nelle diverse epoche con le caratteristiche che esso assume in relazione alle peculiarità territoriali e culturali.

Per questa ragione sono sorti nel territorio siciliano diversi spazi espositivi. Il prototipo nasce a Salina, nelle isole Eolie, nel 2005, grazie ad una fruttuosa e ricca raccolta di materiali sull’emigrazione eoliana avviata in America, Australia e nell’Arcipelago sin dal 1999. Qualche anno più tardi nascono i musei di Savoca, in provincia di Messina e Giarre [11] in provincia di Catania, che rappresentano rispettivamente l’esodo dalla costa jonica e dai paesi attorno all’Etna, esodo nato da territori vocati alle colture pregiate come agrumeti e vigneti. Nel 2008 vede la luce il Museo di Canicattini Bagni (Siracusa) che eredita la collezione della “Casa dell’Emigrante” aperta da tempo con l’intento di illustrare i viaggi della speranza dal Siracusano verso il Connecticut. Risale invece al 2010 l’apertura del Museo dell’Emigrazione Iblea a Giarratana (Ragusa) dove si racconta la storia della Colonia Trinacria in Paraguay. Nel frattempo nella Sicilia occidentale erano nati il Museo dell’Emigrazione (2006) dall’Area del latifondo ad Aquaviva Platani, in provincia di Agrigento, nel cuore del Vallone nisseno ed il Museo dell’emigrazione dall’area trapanese a Santa Ninfa, che descrive anche la emigrazione politica siciliana conseguente alla repressione dei Fasci dei lavoratori [12].

Ancora nel 2006 viene messa in circolazione, per iniziativa della stessa Rete, la mostra Sicilian crossings ad derived communities composta da più di cento pannelli che illustrano con testi e documentazione fotografica le cause della grande emigrazione siciliana, le tappe del viaggio, l’arrivo nei Paesi di destinazione e la formazione delle Società di mutuo soccorso nelle diverse città del Nuovo e del Nuovissimo mondo. La mostra, installata a Villafrati nel marzo 2014, suscitò vivo interesse nella cittadinanza e nelle scuole locali. A conclusione di essa, la Rete propose al Comune ospitante la creazione di una struttura espositiva permanente sulla problematica affrontata dalla mostra. In seguito a tale sollecitazione, la Giunta municipale di Villafrati ha deliberato nel settembre del 2015 di dare il via ufficiale alla nuova istituzione, regolamentata, quanto a finalità, funzionamento e organizzazione, da apposito Statuto approvato dal Consiglio comunale nell’autunno del 2016. Dopo più di un anno di preparazione, il “Museo delle Spartenze” nasceva il 28 gennaio del 2018.

Per sua natura, esso non è una istituzione localistica, ma vuole rappresentare le diverse tappe del “cammino della speranza” intrapreso per diverse mete dalla popolazione dell‘area geografico-culturale dominata dal rilievo della Rocca Busambra (la cima più alta dei monti Sicani), comprendente i comuni di Villafrati, Baucina, Bolognetta, Campofelice di Fitalia, Cefalà Diana, Ciminna Corleone Godrano, Marineo, Mezzojuso, Prizzi, Vicari, Ventimiglia di Sicilia, caratterizzati da vicende storiche, tradizioni, interscambi sociali e culturali [13].

Il Museo si propone la conservazione della memoria storica del fenomeno, la sua valorizzazione e la sua conoscenza critica; vuole favorire la riflessione sui motivi sociali ed individuali degli spostamenti di popolazione e sui legami con le comunità degli emigrati all’estero. Importanti anche la volontà di approfondire la conoscenza della realtà dell’emigrazione al femminile e il ruolo svolto dalle donne durante le diverse fasi dell’esodo migratorio e di stimolare un confronto tra i movimenti del passato e quelli contemporanei, considerando il nostro territorio come area di mobilità e integrazione nel corso del tempo.

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I fratelli Mentesana ferrovieri a Dallas

La denominazione di “Museo delle migrazioni”, inizialmente scelta, venne poi sostituita da quella definitiva di “Museo delle Spartenze” alla luce di diverse ragioni. A Villafrati, a pochi passi dal museo, sorge il teatro del Baglio, uno dei pochi teatri pubblici dell’entroterra palermitano, dove nel 2005 è nato l’atto unico La spartenza messo in scena dalla Compagnia del teatro, composta in gran parte da giovani attori locali, “professionali ma non professionisti”, guidati dal regista Enzo Toto. A lui il compianto attore e regista palermitano Franco Scaldati aveva chiesto di lavorare a quella piece per le Orestiadi di Gibellina del 2005. L’opera era liberamente ispirata all’originale e straordinario volume einaudiano contenente la memoria autobiografica firmata dal contadino-emigrato-scrittore originario di Bolognetta (Palermo) Tommaso Bordonaro (1909-2000), con la quale aveva vinto nel settembre 1990 il concorso annuale di Pieve Santo Stefano (Arezzo), dove viene premiato il miglior diario inedito [14]. Il termine spartenza, che i vocabolari siciliani traducono in “separarsi con pena”, appartiene senz’altro ai dialetti meridionali. Il lemma è utilizzato nella tradizione religiosa di Caltanissetta per indicare un momento delle processioni rituali del Venerdì santo, ed è presente nella tradizione musicale non solo siciliana. Nelle opere di Giuseppe Pitrè si parla infatti di canzoni “a contrasto” di «gilusia, sdegnu e spartenza» [15] mentre il cantautore calabrese Otello Profazio ne fa uso nelle sue canzoni:

Oh, chi spartenza dolurusa e amara!
Ciàngiunu puru ‘i petri di la via!
Ciàngiunu l’occhi mei, fannu funtana…
Ciàngiunu ca si spàrtunu di tia! [16]
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Lettere e passaporti di emigranti in mostra

A giudizio del linguista Franco Lo Piparo, «la parola spartenza fa venire in mente l’espressione siciliana si sparteru, si divisero, evoca una separazione dolorosa da antichi affetti e un andare verso luoghi dai contorni incerti. Una partenza che è sradicamento, uno sradicamento che si nutre anche della speranza di andare a costruire qualcosa di nuovo, di andare a mettere radici altrove, ma senza averne certezza: per questo è spartenza» [17]. Anche lo scrittore Andrea Camilleri ha avuto parole di elogio per il titolo del libro dell‘autore “semicolto”: «Bordonaro indica con la spartenza la natura amara, tossica della partenza» [18]. Il nome dato al Museo rispecchia quindi la ricchezza lessicale degli abitanti del territorio in cui esso nasce e valorizza le produzioni linguistiche ed artistiche che vi sono sorte nel tempo.

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Corteo della Society of mutual benevolence of Villafrati a New York, 1910 ca

Il percorso museale si snoda attraverso vari ambienti, che consentono di seguire i diversi aspetti del fenomeno. Il visitatore vedrà illustrate dai pannelli di colore rosso, contenuti in una prima sala, le cause espulsive ed attrattive della grande emigrazione, per poi passare ad una seconda dove pannelli di colore verde mostrano le caratteristiche del viaggio (a piedi, sui carri, in treno…) che dai centri abitati arrivava all’imbarco marittimo e da qui alle regioni di insediamento, con i coloratissimi manifesti delle compagnie di navigazione tesi a diffondere in lungo e in largo il verbo del “sogno americano“. La terza tappa (colore giallo) vuole documentare le condizioni di vita e di lavoro nei luoghi di arrivo e la formazione di social club di riferimento da parte di chi proveniva dallo stesso paese o regione. Le immagini dei migranti che soprattutto dalla costa sud del Mediterraneo hanno tentato, spesso con esito tragico, di raggiungere le coste della Sicilia, sono presenti nello spazio della quarta sala, che espone le immagini del fotoreporter Tony Gentile in viaggio sulla nave Aquarius e di Nino Randazzo, presente a Lampedusa il 3 ottobre 2013, quando centinaia di migranti persero la vita. Un altro ambiente, che sarà costruito soprattutto con il lavoro delle scuole locali, darà conto dei percorsi di mobilità che ha visto una parte notevole della nostra popolazione raggiungere nel secondo dopoguerra i Paesi europei e le regioni italiane del “triangolo industriale“.

Istallazione

Installazione

L’iniziativa si ispira alla teoria e alla pratica della Public history, che negli ultimi anni ha preso piede anche in Italia e ha portato nel giugno del 2017 alla fondazione dell‘Associazione italiana di Public history, articolazione italiana e prima articolazione europea della International Federation for Public history [19]. Tale orientamento nasce dalla scelta di realizzare percorsi conoscitivi con il pubblico e per il pubblico, portando la ricostruzione del passato, che ha origine dalla ricerca a livello universitario, fuori dalle aule scolastiche, facendole perdere il suo carattere spesso autoreferenziale. Si vuole intrecciare così la pratica storica intesa come ricostruzione scientifica e documentata da parte degli “addetti ai lavori“ all‘uso della memoria, intesa come comunicazione del “vissuto“ soggettivo degli individui e delle comunità. D’altro canto, ha scritto il sociologo e filosofo polacco Bauman, «La memoria è la sopravvivenza della storia. Attraverso la memoria, la storia continua a vivere nelle speranze, negli scopi e nelle aspettative di donne e uomini che vogliono dare un senso alla vita, trovare ordine nel caos, fornire soluzioni note a problemi ignoti. La storia ricordata è la materia di cui sono fatte tali speranze, obiettivi e conoscenze; a loro volta, questi sono i depositi in cui le immagini del passato sono salvate dall’oblio» [20].

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Immigrati tra i visitatori alla inaugurazione del Museo

Secondo questa impostazione del lavoro storico, chi costruisce un museo (o un film, un’opera teatrale, un sito web) finalizzato alla comprensione del presente attraverso il passato deve attenersi ai criteri di un uso rigoroso della scienza storiografica e allo stesso tempo avere come principale obiettivo quello di coinvolgere i fruitori nella narrazione, adeguando il linguaggio a quello di questi ultimi. Se ciò non avviene, la storia scolastica sarà sempre più noiosa perchè lontana dalla vita reale e dagli interessi dei singoli e delle collettività, mentre altre agenzie avranno facile gioco nel piegare il racconto del passato ad interessi e scopi ideologici o politici in senso deteriore.

Per tale ragione uno degli obiettivi fondamentali che il nuovo spazio espositivo si pone per il futuro è quello di dare il più possibile carattere interattivo delle sue istallazioni, per “conquistare“ alla storia in generale e a quella delle migrazioni in particolare le giovani generazioni, e farne strumento di conoscenza critica, di formazione culturale, di crescita civile. Un compito certo non facile, ma è l’unica prospettiva per considerare il Museo delle Spartenze, per dirla col poeta Nicola Grato, «luogo di memoria condivisa, luogo aperto e laboratorio di cultura, luogo dove si sperimentano accoglienza e incontro, luogo Mondo»

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
Note
[1] Stefano Luconi, Matteo Pretelli, L’immigrazione negli Stati Uniti, Il Mulino Bologna 2008.
[2] Cfr. Salvatrice Chetta, L’immigrazione siciliana in Tunisia tra il secolo XIX e il XX, tesi di laurea presso l’Università degli studi di Palermo, anno accademico 2008-09.
[3] Giovanni Gozzini, Le migrazioni di ieri e di oggi. Una storia comparata,  Bruno Mondadori Milano 2005.
[4] Tra le opere recenti che documentano questo fenomeno: Michele Colucci, Lavoro in movimento. L’emigrazione italiana in Europa 1945-57, Donzelli Roma 2008; Sandro Rinauro, Il cammino della speranza, Einaudi Torino 2009.
[5] Cfr. Marco A. Pirrone (a cura di), Crocevia e trincea. La Sicilia come frontiera mediterranea, edizioni XL Roma 2007.
[6] Emilio Franzina è uno dei più attenti e prolifici studiosi di storia sociale e dei movimenti migratori. Ha scritto numerosi volumi e saggi per riviste. Tra gli altri, Traversate. Le grandi migrazioni transatlantiche e i racconti italiani del viaggio per mare, Editoriale Umbra Foligno 2003.
[7] Questi due autori hanno curato, con Piero Bevilacqua, i due ricchi volumi della Storia dell’emigrazione italiana editi da Donzelli  (Roma) tra il 2001 e il 2002 per conto del “Comitato nazionale Italia nel mondo”.
[8] Cfr. Donna R. Gabaccia, Emigranti. Le diaspore degli italiani dal Medioevo ad oggi, Einaudi Torino 2003.
[9] Cfr. Marcello Saija (a cura di ), L’emigrazione italiana transoceanica tra Otto e Novecento e la storia delle comunità derivate, Trisform Messina 2003, atti del Convegno internazionale di studi di Salina.
[10] Franco Ramella, “Gli studi sull’emigrazione tra vecchi paradigi e nuove prospettive”, in M. Saija, cit., volume primo: 28 ss.
[11] Su questo, si veda l’ottimo cd Migranti edito nel 2003 dal Liceo scientifico statale “Leonardo” di Giarre, realizzato dalle classi di quella scuola e curato dalla prof.ssa Grazia Messina.
[12] Cfr. Marcello Saija, Breve manuale di storia dell’emigrazione siciliana, Regione Siciliana, 2006; Giuseppe Bivona, Marcello Saija (a cura di) L’esperienza migratoria dei Santaninfesi in America 1894-1924, Trisform Messina 2010.
[13] L’individuazione di tale area si deve a Francesco Carbone, poliedrico intellettuale originario di Godrano (Palermo) che ha operato a livello regionale e nazionale negli anni 1965-1995 fondando diverse riviste ed il Museo etno-antropologico “Godranopoli”.
[14] T. Bordonaro, La spartenza, prefazione di Natalia Ginzburg, Einaudi Torino 1991; nuova ristampa con prefazione di Goffredo Fofi, a cura di Santo Lombino, Navarra, Palermo 2013. Sull’opera di Bordonaro e sul contesto umano, culturale e sociale da cui nasce si veda l’ampia disamina di Valentina Richichi, Dalla Rocca Busambra al New Jersey. Memoria dell’emigrazione in una comunità siciliana, tesi di laurea presso l’Università di Milano-Bicocca, anno accademico 2014-15: 38 ss.; Lucia Comparato, Scrittura e poesia nella Spartenza di Bordonaro, in “Segno mensile”, n. 372, febbraio 2016: 61 ss.; il volume collettaneo a cura mia, Raccontare la vita, raccontare le migrazioni, Comune di Bolognetta, Bolognetta 2011.
[15] Giuseppe Pitre, Canti popolari siciliani, vol. 1, Palermo 1870 (rist. 1978): 30. La citazione in M. Sarica, “La Spartenza” in M.Saija (a cura di), L’emigrazione italiana transoceanica, cit., volume secondo: 829 ss.
[16] Otello Profazio, Canzone dell’emigrante, nell’album “L’Italia cantata dal sud”, Fonit Cetra 1969. È molto probabile che Tommaso Bordonaro, appassionato di musica popolare oltre che suonatore di trombone nelle bande musicali, conoscesse il testo di Profazio.
[17] F. Lo Piparo, Un contastorie della propria vita, in Nicola Grato e Santo Lombino (a cura di), “Lasciare una traccia”, Comune di Bolognetta, Bolognetta 2009: 21 ss.
[18] Gaetano Savatteri, Intervista ad Andrea Camilleri, in “Nuova Busambra”, Istituto Poligrafico Europeo, Roccapalumba, vol. 2, dicembre 2012.
[19] Si veda il sito ufficiale dell’Associazione: aiph.hypotheses.org; Paolo Bertella Farnetti, Lorenzo Bertuccelli, Alfonso Botti (a cura di) Public history. Discussioni e pratiche, Mimesis, Milano-Udine 2017; i numeri monografici di Memoria e Ricerca. Rivista di storia contemporanea, n. 37, maggio-agosto 2011, FrancoAngeli Milano e n.1 (nuova serie), gennaio-aprile 2017, Il Mulino Bologna.
[20] Zygmunt Bauman, Memorie di classe. Preistoria e sopravivenza di un concetto, Einaudi Torino 1987: 3.
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Santo Lombino, ha insegnato lettere nella scuola media e storia e filosofia nei licei statali, si occupa di scritture autobiografiche, storia e letteratura dell’emigrazione, didattica della storia. Ha presentato  al “Premio Pieve-Banca Toscana”  Tommaso Bordonaro, autore de La spartenza, ha curato la pubblicazione di memorie e diari di autori popolari. Ha scritto I tempi del luogo (1986); Cercare un altro mondo. L’emigrazione bolognettese e la S. Anthony Society di Garfield (2002); Una lunga passione civile (con G. Nalli, 2004); Cinque generazioni. 1882-2007, il cammino di una comunità (2007). Tra le ultime pubblicazioni: Il grano, l’ulivo e l’ogliastro (2015) e Un paese al crocevia. Storia di Bolognetta (2016). È direttore scientifico del Museo delle Spartenze dell’Area di Rocca Busambra.

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Una risposta a La memoria per accogliere: il Museo delle Spartenze

  1. Gaetano Nicastro scrive:

    Eccellente lavoro di sintesi, stimolo per approfondire e guida … – perché no? – per visitare i piccoli musei con tanto impegno allestiti.
    Grazie all’Autore … e al Direttore

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