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La lingua della scuola

1-locandina-eventodi Melina Bianco

La diversità linguistica a scuola: nodi problematici  

Che lingua parla oggi la scuola? È o non è un sistema dinamico in cui l’eterogeneità delle lingue, dei livelli linguistici, degli stili cognitivi, dei background culturali, costituiscono non problemi, ma risorse da valorizzare? Quali trame epistemologiche, vecchie e nuove, si intrecciano nel rapporto tra linguaggi, identità e didattica? Quali emergenze pedagogiche e linguistiche irrompono, all’indomani del contrattempo pandemico?

Di questo e di tanto altro si è discusso al convegno internazionale “Nadwet Limdina”, svoltosi in Tunisia nei giorni 10/11/12 novembre 2021, presso il sito archeologico di Sufetula, antica città romana nei pressi dell’odierna Sbeitla, organizzato dall’Istituto di Studi Umanistici dell’Università di Kairouan.

La scelta (non casuale) della località, da parte dello staff accademico, proprio nel cuore dell’Africa romana, ha perseguito l’obiettivo di ri-conoscere e identificare, nel corso delle tre giornate di studio e di confronto internazionali, il forte legame culturale tra passato e futuro, per l’individuazione delle comuni radici mediterranee, nell’ottica di un rivisitato approccio, epistemico, dialogico e linguistico, delle culture e delle lingue altre. Muovendo dalle sollecitazioni pedagogiche della Global Education [1], lungo assi socio-culturali ed etico-valoriali del pensiero etico-filosofico (M. Buber, E. Levinas, H. Jonas, M. Nussbaum) [2], di quello sociologico (H. Arendt, Z. Bauman, E. Morin) [3]  , e di quello linguistico e glottodidattico (W. Klein, L. Selinker, S.P. Corder, A. Pona, P. Balboni) [4], si è sviluppata  una riflessione su dimensioni, prospettive e cittadinanze multiple, da promuovere e sperimentare fin dai banchi di scuola.

foto-copertina-volume-convegno-1Il presente contributo costituisce una rielaborazione, nelle linee generali, del lavoro tecnico proposto per il predetto convegno, e recante il titolo: “Didattica delle lingue: facilitazione grammaticale e linguistica. Il lemmario multilingue dei bambini di Mazara del Vallo”, già, peraltro, pubblicato nel volume di raccolta degli atti dell’evento, The city conference Nadwet Limdina - Languages, Identity and Didactics (Latrach Edition, 2021:159-184) [5], nelle lingue inglese, arabo, italiano e francese.

Nelle pagine che seguono si cercherà di tratteggiare, nella prima parte, i nodi concettuali e teorici che hanno fornito lo spunto e suggerito le riflessioni per l’elaborazione del presente lavoro, mentre nella sezione finale, di natura pratico-didattica, si riporterà l’esperienza di facilitazione linguistica, dal titolo “Il lemmario multilingue”, realizzata con gli alunni dell’I.C. Borsellino-Ajello di Mazara del Vallo, secondo l’impostazione metodologica della ricerca-azione, e con la strategia educativa del cooperative learning e le tecniche creative di gruppo del brainstorming e del focus group. 

La ridefinizione del paradigma pedagogico 

Il fervore pedagogico correlato all’eterogeneità culturale e linguistica che caratterizza i contesti scolastici odierni, porta questi ultimi ad assumere caratteristiche di sempre più spiccata complessità.

L’allenamento educativo, continuato e ininterrotto, di abitare la complessità scolastica, ormai plurilingue e multiculturale, ha condotto negli ultimi tempi ad un cambio di prospettiva nelle pratiche didattiche interculturali, ed ha richiesto il passaggio da una logica dell’integrazione ad una dell’inclusione, dove il richiamo ad una presunta normalità di riferimento ha via via ceduto il posto ad una ri-elaborazione dell’intero sistema organizzativo, strutturale e professionale, per liberarlo da sedimenti di abitudini educative poco interrogate e renderlo capace di accogliere e valorizzare le diversità di tutti e di ciascuno.

Il graduale passaggio dal concetto di tolleranza a quello di dialogo e arricchimento reciproco, e da quello di uguaglianza senza distinzioni a quello di valorizzazione delle diversità, dentro e fuori la classe, ha fatto emergere la consapevolezza di una necessaria ri-lettura plurale dei contesti educativi, unitamente ad un ripensamento epistemologico e pedagogico della categoria della differenza,  ormai difficilmente etichettabile all’interno di paradigmi concettuali lineari e riduttivi, a fronte della complessità strutturata e sistemica (non più emergenziale) del fenomeno migratorio, secondo orientamenti sempre più indirizzati verso la coesione sociale, l’etica della solidarietà e dell’impegno responsabile (contro quelli del disimpegno e dell’irresponsabilità), su piste differenti di approfondimento e di visioni multiculturali, incapaci di esaurirsi e risolversi in un’unica chiave di lettura interpretativa.

Tutto ciò impone oggi alla riflessione pedagogica continue rivisitazioni del modello educativo interculturale della tradizione, con linee di tendenza sempre più composite e articolate, via via che gli intrecci tra le economie, le culture, le religioni e le nazionalità, evidenziano e delineano profili e riferimenti generali contraddittori e disomogenei tra loro. Si è passati da una pedagogia interculturale fine a sé stessa, della mera accoglienza, intrisa di demagogia multiculturale sentimentale (è bello vivere tutti insieme), essenzialmente diretta alla ricerca di informazioni e curiosità stereotipate e folklorizzate, ad una pedagogia interculturale dell’emergenza che, nel tentativo di rispondere a criticità educative considerate temporanee, ha proceduto con l’introduzione di dispositivi di integrazione e di misure didattiche compensative (protocolli di accoglienza, figure di mediatori linguistici e culturali, etc), allo scopo di riportare “a norma” lo studente non italofono, carente nelle competenze linguistiche e curriculari, trascurando i suoi bisogni identitari di studente immigrato. Molte scuole sono ferme a questa linea di tendenza educativa.

La pedagogia dell’inclusione sposta oggi la riflessione della ricerca pedagogica interculturale fuori dal mito dell’emergenza, secondo un approccio aperto e pluralistico che assume la diversità quale paradigma strutturale e costitutivo dell’identità stessa della scuola e della società tutta. In tale ottica, l’impegno a sollecitare lo sviluppo multidimensionale della persona, riconoscendo e valorizzando non solo la differenza, ma il diritto alla differenza, promuove la piena coscienza del concetto di relatività delle culture quale dimensione legittima e necessaria per la costruzione di atteggiamenti autenticamente pluralistici, ma prende, allo stesso tempo, le distanze da ogni forma di relativismo assoluto che, collocando gli studenti in una sorta di prigione culturale, postula neutralità nei loro confronti e ne impedisce le relazioni, innescando modalità inconsapevoli di segregazione scolastica, con percorsi educativi autonomi e differenziati che, nei fatti, impediscono alle diversità di interrelarsi e dialogare fra loro.

L’attuale tendenza pedagogica interculturale, d’altro canto, prendendo atto della maggiore fluidità e complessità delle identità che si formano nelle culture odierne, intessute sempre più di elementi trasversali, globali e accomunanti, si spende ormai in direzione transculturale, secondo una concezione dinamica della cultura che, re-interpretando continuamente se stessa in prospettiva creativa e vitale, valorizza il momento compositivo e i collegamenti trasversali di ogni elemento di distanza e di differenza, senza preoccuparsi di doverli risolvere a tutti i costi.

71eimngedflIn linea con tale approccio transculturale, la valorizzazione in classe della lingua d’origine L1, contribuisce, ad esempio, a svolgere un ruolo educativo strategico nell’azione di prevenzione e contenimento, tra le giovani generazioni di immigrati, della paura del contagio occidentale, con l’apertura a forme di multilinguismo e di pacifica contaminazione linguistica, culturale e religiosa, nell’ottica dell’arricchimento e della crescita reciproci, attraverso la valorizzazione (non la risoluzione) delle diversità, dentro e fuori la scuola, nella convinzione che le differenze, specie quelle di matrice culturale e religiosa, rivestano natura dialettica e non sintetica. Non più e non solo, dunque, tentativi forzati e infecondi di conciliazione tra le diverse posizioni, ma conoscenza delle diverse posizioni, incontro delle diverse posizioni, apertura ad esse, per educare i giovani a nuove forme di disponibilità comunicativa inter/transculturale, aiutandoli ad oltrepassare posizioni di comoda neutralità, di pseudo neutralità e di generico senso comune (parlare per sentito dire), che generano, da un lato, stigmi culturali e sociali difficili da estirpare e, dall’altro, pericolose derive di odio e risentimento, se non vere e proprie forme di radicalizzazione e di estremismo violento.

La risposta strategica della pedagogica interculturale, in tale prospettiva, non può che puntare alla costruzione di identità integrate, di soggetti attivi, responsabili e solidali, partecipi di una convivenza sociale e culturale variamente connotata, intrecciata nei suoi diversi tessuti esistenziali,  in cui la disposizione al dialogo e la razionalità richieste, per un approccio autenticamente interculturale, vengono tenuti insieme e costruiti come atteggiamenti complementari, piuttosto che in contraddizione tra loro; in cui, cioè, la pratica non occasionale del decentramento dello sguardo, si volge all’Altro non per incasellarlo e risolverlo approssimativamente, ma per lasciarsi permeare e interrogare da esso, convergendo intorno a valori comuni, destrutturando pregiudizi e stereotipi, vecchi e nuovi, ed educando le giovani menti al dialogo autentico e maturo, dentro e tra le differenze, senza assolutizzarle, né banalizzarle, (tantomeno risolverle), e seguendo, nel far ciò, modelli re-infoltiti di competenze e performances comunicative che, travalicando il piano soggettivo, consentano l’effettiva esperienza con l’Altro, in dimensione intersoggettiva e transnazionale, dove ogni manifestazione singolare acquisisce e prende forma, proprio nella sua valenza collettiva e comunitaria.

La conquista partecipata di orizzonti di senso più ampi, d’altro canto, indirizza l’impegno socio-pedagogico su piste di convivenza e cittadinanza di più difficile caratterizzazione e, forse, di realizzazione, per insegnare la ricerca del chi si è (agli occhi del molteplice), accanto a quella del chi sono gli Altri (ai nostri occhi), verso la scoperta di una propria unicità e bellezza, intimamente legata ad un significato più profondo di umanità. Una umanità concepita in senso universale, relazionale, partecipata, secondo trame arendtiane di lettura, per cui «la pluralità è la legge della terra e non l’uomo, ma gli uomini», la abitano[6]. 

downloadI riferimenti normativi

L’esigenza di capitalizzare le buone prassi e di portare a sistema le esperienze realizzate dalle scuole italiane interessate dal fenomeno migratorio, ha indirizzato il Ministero dell’Istruzione a pubblicare nel febbraio 2014 le Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri [7], rivisitando quelle già pubblicate nel 2006 [8]  .Il documento ministeriale fornisce preziose indicazioni sia di tipo amministrativo che organizzativo e didattico, frutto dei risultati di numerose esperienze realizzate negli anni dalle istituzioni scolastiche, per il raggiungimento dell’inclusione e del successo scolastico e formativo degli alunni di origine e lingua straniera.

Nella fattispecie, il documento, in relazione ai tempi di acquisizione dell’italiano come lingua seconda, evidenzia la necessità di differenziare tra l’apprendimento per la comunicazione di base, per il cui percorso occorrono generalmente alcuni mesi, e quello della lingua veicolare di studio, per l’apprendimento dei contenuti delle diverse discipline, per il cui percorso servono tempi molto più lunghi, oltre che il coinvolgimento di tutti i docenti della classe [9]. Decisivo, si ribadisce nel documento, diventa il ruolo di facilitatore dell’apprendimento svolto da ciascun docente per la propria disciplina, attraverso un lavoro didattico mirato, riferito a concetti e conoscenze per micro-linguaggi disciplinari.

La casualità e la frammentarietà delle misure finora adottate, tuttavia, non consentono ancora di mettere a sistema l’individuazione formale di figure qualificate e competenti per la facilitazione linguistica in italiano L2, nonostante i lodevoli sforzi di tanti professionisti della scuola e dell’extrascuola. Nella maggior parte dei casi, infatti, l’insegnamento dell’italiano come lingua seconda rimane affidato a docenti non impegnati in altre attività, a docenti distaccati o di sostegno, a volontari, a educatori degli Enti locali, se non addirittura a insegnanti in pensione. È stata istituita, per la verità, una specifica classe di concorso, la classe A023 Lingua italiana per discenti di lingua straniera (alloglotti)[10], che rappresenta un primo passo verso il riconoscimento istituzionale dell’insegnamento dell’italiano L2 nella scuola pubblica italiana. Ad oggi, però, la predetta classe di concorso A023, non prevede una laurea specifica, e per la selezione concorsuale il prerequisito indispensabile per accedervi è l’abilitazione su altra disciplina (Lingue e Letterature Straniere o Lingua e Letteratura italiana), nonché il possesso di uno o più titoli di specializzazione in Didattica dell’Italiano come Lingua Seconda o Straniera [11]  .

In ogni caso, dopo il concorso del 2016, tutti i docenti vincitori sono stati destinati (in contingenti di massimo due unità) esclusivamente ai Centri Provinciali di Istruzione per Adulti (CPIA) e il loro inserimento, all’interno dell’organico dell’autonomia, è stato effettuato su posti di potenziamento.  All’atto della nomina cioè, per questa categoria di docenti, non è stato possibile scegliere altro tipo di Istituzione scolastica o altro grado di istruzione, se non quella dei CPIA. Attualmente la classe di concorso A023 è presente, dunque, in tutti i Centri Provinciali per l’Istruzione degli adulti, ma potrebbe essere estesa anche nella scuola secondaria di primo e secondo grado per le attività inerenti l’italiano L2, attesa la formazione qualificata del personale docente che ne possiede l’abilitazione. Non è superfluo ribadire che, per impartire tale specifico insegnamento, è necessario che il personale utilizzato possieda idonea specializzazione e opportuna formazione, dal momento che insegnare italiano agli stranieri non è la stessa cosa di insegnare italiano agli italiani.

Tenuto conto di ciò, le Linee guida indicano tre diverse fasi dell’apprendimento della lingua da parte degli alunni stranieri inseriti nella scuola, ovvero: 

-una fase iniziale dell’apprendimento dell’italiano L2 per comunicare[12] in cui gli alunni frequentano, oltre alle normali lezioni, i laboratori linguistici secondo un orario più intensivo nei primi 2-3 mesi e più diluito in seguito; 

-una fase ponte di accesso all’italiano dello studio[13]  in cui è necessario continuare a dare sostegno all’alunno da un punto di vista linguistico, per rinforzare la L2 come lingua di contatto ma, allo stesso tempo, fornire gli strumenti cognitivi e metacognitivi necessari per lo studio delle varie discipline attraverso la lingua veicolare; 

-una fase degli apprendimenti comuni [14]  durante la quale l’italiano L2 resta sullo sfondo e le strategie volte alla facilitazione dell’apprendimento delle diverse materie sono utili tanto allo studente italiano quanto allo straniero, avendo però sempre cura di monitorarne le difficoltà linguistiche, per eventuali interventi specifici. 

In tutte le fasi sopra descritte, il ricorso a metodologie didattiche laboratoriali, ludico-esperienziali, narrative ed espressive, si rivela particolarmente motivante per favorire il coinvolgimento attivo e partecipativo degli studenti di culture diverse, anche nell’ottica dell’elaborazione cooperativa dei conflitti e del superamento non violento e creativo di problemi, di ostacoli e di eventuali resistenze. 

largepreviewIl tempo senza lingua

L’emergenza pandemica ha imposto, senza anticipi e senza preavvisi, una pesante battuta d’arresto alle numerose esperienze di ricerca pedagogica e di sperimentazione didattica, realizzate negli anni dalle scuole che insistono in contesti multiculturali. Per la verità, la chiusura delle scuole e dei servizi educativi durante il periodo del lockdown, e la conseguente attivazione della didattica a distanza, hanno messo in luce e, per certi versi, amplificato, vulnerabilità socio-assistenziali e divari educativi territoriali, già presenti da tempo tra coloro che versano in situazioni di svantaggio socio-economico: tra questi, molti sono alunni con background migratorio.

L’assenza o la scarsità di dispositivi e strumenti individuali e di reti di connessione adeguate, la condivisione forzata di spazi ristretti, la sovrapposizione dei tempi di studio, sono condizioni materiali molto frequenti presso le abitazioni degli alunni stranieri (e non solo), senza dimenticare quanti di loro vivono storie di vera e propria erranza esistenziale: si pensi ai minori stranieri non accompagnati (MSNA), o alle alunne nigeriane vittime di tratta. Si tratta di popolazione scolastica generalmente frequentante i Centri Provinciali per l’Istruzione degli Adulti (CPIA), ospitata, quasi sempre, in soluzioni abitative provvisorie, o in case di accoglienza e in case famiglia temporanee, se non presso centri di detenzione e di pena, nel caso di alunni detenuti [15].

Gli studenti con bisogni linguistici specifici, com’è noto, sono a rischio di esclusione e di insuccesso scolastico precoce, in quanto faticano nello sviluppo della competenza comunicativa completa, innanzitutto nell’italiano L2 e poi nelle altre lingue LS incluse nel curricolo, e impartite, generalmente, da docenti italiani. Tutto ciò ostacola la loro relazione con gli altri e il loro inserimento nel gruppo dei pari, comportando disorientamento e sforzo cognitivo ed emotivo elevati: l’alunno immigrato, in tale ottica, è sempre straniero in senso cognitivo e sociale. La realizzazione di una scuola maggiormente inclusiva presuppone, allora, la predisposizione di setting laboratoriali linguistici permanenti che, a partire dalla valorizzazione della lingua materna L1, limitino il più possibile gli ostacoli per l’apprendimento dell’italiano, sia come lingua base per comunicare, sia come lingua di studio per apprendere i contenuti delle diverse discipline.

Purtroppo, il ricorso (inevitabile e obbligato) alla didattica a distanza (DAD) [16], successivamente rivisitata e proposta come didattica digitale integrata (DDI)[17], pur nelle nobili intenzioni di continuare a perseguire, durante le difficili settimane dell’emergenza sanitaria (e, a tappe alterne ancora oggi), il compito educativo e sociale del fare scuola, non a scuola, o quantomeno non solo a scuola, ha interrotto, improvvisamente, il cammino di inclusione scolastica avviato da tempo dalle scuole, privandolo della sua dimensione dialogica e relazionale diretta, e precludendo (nel caso di specie), agli studenti con background migratorio e, in particolare ai neoarrivati in Italia (NAI), la necessaria esposizione continuata all’italiano come lingua seconda.

La scuola e l’attività didattica in presenza costituiscono, si sa, il contesto linguistico privilegiato per l’apprendimento di una lingua seconda (e non solo per quello). I bambini imparano le nuove parole proprio stando in relazione con gli altri, in immersione continua con i pari italofoni, con i docenti e il personale della scuola, provando e sperimentando nuovi codici linguistici, tra giochi, risate e sguardi rassicuranti. Nessuna videolezione o videoregistrazione può sostituire tutto ciò, né alcuno schermo può prendere il posto della relazione empatica e motivazionale che si dispiega nelle aule, tra i banchi di scuola, gomito a gomito, faccia a faccia.

La scuola, è vero, nell’emergenza si è attivata senza risparmiarsi, per recuperare ogni prezioso frammento di quella relazione umana che, in una dimensione scolastica normale, costituisce il cuore del dialogo educativo. Eppure, sono mancati all’appello proprio i più deboli, proprio coloro che presentano bisogni educativi e sociali elevati. E, forse, la concentrazione massima sui contenuti da continuare a trasmettere, sic et simpliciter, ha distratto circa i processi e le relazioni educative da attivare, trasformando, in molti casi, la didattica a distanza in didattica distante, fredda, asettica. Lontana, appunto. Ostacoli e nuove sfide educative, dunque!

Mai come adesso è chiaro che la scuola non tornerà più quella di prima: pur tra mille difficoltà e impedimenti, la DAD ha, comunque, fatto scoprire il senso di poter essere comunità educante anche (non solo) in rete. Sta ai professionisti dell’educazione saper raccogliere ed integrare, alla didattica in presenza, quanto di più efficace ed innovativo è venuto fuori dagli approcci digitali e multimodali della didattica a distanza, per una più attenta e matura ri-partenza, nell’ottica di «fornire un’educazione di qualità, equa ed inclusiva, e opportunità di apprendimento per tutti», secondo quanto indicato dall’obiettivo strategico n. 4 dell’Agenda 2030 (Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, Documento ONU, Settembre 2015) [18]. Un nuovo cambiamento di paradigma è in gestazione. E come in ogni gestazione, il passaggio dal dolore e dal caos, lungo, difficile, inesplicabile, condurrà, inevitabilmente, ad un cambiamento di rotta, imprevisto, imprevedibile, ma, ci si augura, profondamente rigenerativo, per la protezione del pianeta e l’umanizzazione della società. 

Mazara del Vallo, l'esperienza didattica

Mazara del Vallo, l’esperienza didattica

L’esperienza didattica di Mazara del Vallo: il Lemmario multilingue

A conclusione del presente contributo, si riporta un esempio didattico di facilitazione linguistica in italiano Lingua seconda L2. Si tratta di un compito di realtà, il Lemmario multilingue, realizzato dagli studenti della scuola secondaria di primo grado dell’Istituto Comprensivo “Borsellino-Ajello” di Mazara del Vallo, sotto la guida della docente di italiano, prof.ssa Giovanna Vaiana.

È noto come la città di Mazara del Vallo, per la sua posizione di frontiera e per le sue possibilità di sbocchi occupazionali nel settore della pesca, da tempo sia impegnata in prima linea per l’interazione con i popoli della riva sud del Mediterraneo, favorendo una massiccia immigrazione ed un continuo insediamento di popolazione, in larga parte nordafricana e, negli ultimi decenni, anche slava, kossovara e albanese. Proprio nel cuore della città, nel centro storico denominato Kasbah, l’Istituto Comprensivo Statale “Borsellino-Ajello” accoglie da anni numerosi studenti stranieri, ed è impegnato a promuovere strategie didattiche e percorsi progettuali inclusivi, per arginare il rischio di abbandono e di insuccesso formativo precoce, gravante, spesso, sull’ampia fetta di popolazione scolastica non italofona che lo frequenta.

L’attività didattica Lemmario multilingue, realizzata per la prima volta nell’Istituto mazarese nell’anno scolastico 2015/16, durante il periodo di dirigenza della Scuola da parte della scrivente, viene ogni anno riproposta con successo ai diversi alunni che si avvicendano nelle classi prime, con leggere rivisitazioni legate alle mutevoli quote e tipologie di nazionalità presenti, nei differenti anni scolastici. La modalità utilizzata è quella laboratoriale mista ed eterogenea, con strategie di tutoraggio tra pari, così come suggerito dalle Linee guida ministeriali 2014, più volte citate nel presente lavoro, e parte dal presupposto che il modello linguistico più efficace per la comunicazione interpersonale degli alunni parlanti italiano L2, siano i compagni di classe, e dunque i pari italofoni. Si legge nel documento ministeriale che «i pari italofoni rappresentano infatti la vera ‘autorità’ linguistica e il modello d’uso al quale riferirsi» [19] .

Mazara del Vallo, L'esperienza didattica

Mazara del Vallo, L’esperienza didattica

Il compito di realtà: descrizione dell’attività

Il compito di realtà Lemmario multilingue rappresenta il momento conclusivo di un’unità di apprendimento dal titolo I diritti dei minori: raccontare l’inclusione. L’idea progettuale ha preso avvio da una attenta riflessione sui bisogni formativi e comunicativi degli alunni e suoi loro stili di apprendimento, per un approccio didattico che, nel rispetto delle differenze, potesse favorire il successo formativo, mediante il confronto tra i diversi modi di apprendere. La presenza all’interno del gruppo classe di tre alunni di origine straniera e di due minori stranieri non accompagnati con notevoli difficoltà linguistiche, ha ulteriormente rafforzato l’esigenza di narrare l’integrazione e l’inclusione, con la promozione di attività/esperienze volte a far apprendere agli studenti il concreto prendersi cura di sé e degli altri, nell’ottica della fattiva cooperazione e dello scambio relazionale tra pari.

Il compito ha avuto origine da un problema/stimolo che, attraverso un’attività di brainstorming, ha condotto ad una riflessione sull’inclusione a scuola e sull’importanza della comunicazione per stare bene insieme agli altri. Tra le questioni poste in modalità di brainstorming, la seguente –  L’apprendimento della lingua è una straordinaria, quanto indispensabile, modalità per poter sviluppare e approfondire la comunicazione reciproca: per molti stranieri, questo è anche un passaggio difficile, che però può essere facilitato anche grazie alla collaborazione scolastica – ha ottenuto all’unisono dagli studenti la presente risposta: La lingua è uno strumento fondamentale per l’accoglienza e per star bene insieme agli altri. Gli alunni hanno, allora, focalizzato l’attenzione sull’importanza della costruzione di un lemmario multilingue, individuando, in gruppo, i settori di maggiore importanza e di utilità quotidiana, e procedendo poi a rappresentarli graficamente. 

Lemmario

Lemmario multilingue

Dalla realizzazione grafica all’attività laboratoriale in aula multimediale

L’attività laboratoriale, svolta in aula multimediale, ha consentito a ciascun alunno di mettersi in gioco, di sperimentare le proprie competenze, di confrontarsi con l’altro e di rivedere le proprie opinioni, qualora necessario. Nell’espletamento dell’attività, la lingua italiana si è configurata non soltanto quale elemento determinante per l’accesso ai saperi, ma anche come veicolo fondamentale per la costruzione di relazioni assertive.  Gli alunni, suddivisi in piccoli gruppi, hanno sperimentato l’opportunità di progettare un lavoro condiviso, di costruire e testare giochi linguistici in lingue diverse, di confrontarsi tra di loro, attivando strategie di facilitazione linguistica nei confronti dei compagni stranieri, per facilitare loro la comprensione di vocaboli appartenenti ad una lingua altra.

I diversi mediatori didattici utilizzati, come la lezione frontale, l’uso della lavagna interattiva (LIM) i computer, si sono rivelati funzionali per la facilitazione linguistica, in quanto hanno consentito a ciascuno studente, un approccio attivo e partecipativo al dialogo di gruppo, sollecitando il pieno coinvolgimento di tutti, in un contesto educativo responsabile, stimolante e collaborativo. La semplificazione del linguaggio e il tutoraggio tra pari hanno facilitato il superamento dell’iniziale impaccio linguistico dei compagni non italofoni con maggiori difficoltà, e hanno rimosso efficacemente numerosi ostacoli comunicativi, in relazione a precisi bisogni e a concrete esigenze, non strettamente di natura scolastica o curricolare, ma di vera e propria vita quotidiana.

Particolarmente significativo è risultato il momento dell’assemblaggio delle varie parti del lemmario, specificatamente realizzate da ciascun gruppo, che ha consentito a tutti i partecipanti un ulteriore momento di prezioso confronto, all’interno del quale gli errori riscontrati, sono stati prontamente individuati e, di volta in volta, risolti in forma ludica e cooperativa. La realizzazione del compito, in particolare, ha consentito agli studenti di utilizzare la lingua come mezzo per mettere in atto processi di apprendimento e di facilitazione linguistica volti a: 

  • esercitare le capacità di produzione orale per descrivere oggetti e/o processi;
  • raccontare esperienze di vita quotidiana;
  • condividere e negoziare idee;
  • classificare e definire percorsi;
  • porre ipotesi di lavoro e risolvere problemi;
  • fare proposte e sostenere punti di vista;
  • riferire i risultati di una ricerca;
  • auto-valutare il proprio lavoro in relazione agli esiti.

Tutte le strategie metodologiche utilizzate, specialmente il cooperative learning, sono risultate efficaci per il raggiungimento degli obiettivi previsti dal compito di realtà, configurandosi, al contempo, ausili significativi per il dialogo educativo e per il conseguimento di competenze trasversali di cittadinanza, anche in chiave di cittadinanza digitale.

La valutazione in itinere, effettuata attraverso schede strutturate di osservazione, ha consentito di monitorare l’intero percorso didattico e di ricavare, via via, informazioni adeguate circa gli apprendimenti conseguiti da ciascun alunno. La valutazione finale, riferita sia al lavoro di gruppo, che a quello del singolo studente, ha infine tenuto conto, oltre che dell’acquisizione di strumenti linguistici precisi, atti a facilitare la comunicazione reciproca all’interno del contesto multiculturale, anche di alcuni criteri fondamentali, quali il grado di socializzazione raggiunto, il livello di disponibilità comunicativa e di fattiva collaborazione ottenuti, la capacità manifestata di saper lavorare col gruppo e tra i gruppi.

Dialoghi Mediterranei, n. 53, gennaio 2022
Note
[1]  https://www.coe.int/en/web/north-south-centre/global-education
[2]  Buber M., Il principio dialogico e altri saggi, San Paolo Edizioni, 2014; Lévinas E., Totalità e infinito. Saggio sull’esteriorità, Jaca Book Editore, 2016;Jonas H., Il principio responsabilità. Un’etica per la civiltà tecnologica, Einaudi, 2009; Nussbaum M., Coltivare l’Umanità, Carocci Editore, 2006
[3]  Arendt Hannah, Vita activa, Ed. Bompiani, 2019; Bauman Z., La solitudine del cittadino globale, Feltrinelli, 2014; Morin E., Cambiamo strada, Le 15 lezioni del Coronavirus, Raffaello Cortina Editore, 2020
[4]  Klein W. (1986), Second language acquisition, Cambridge University Press, Cambridge; Selinker, L. 1984 [1972]. Interlingua, in Arcaini/Py (a cura di): 25-37; Corder, S. P. (1967), The significance of learner’s errors, in International Review of Applied Linguistics, 5: 161-17; Pona, A., (2016), L2. La facilitazione linguistica e degli apprendimenti nella classe plurilingue. Appunti per la scuola, Tecnodid Editrice; Pona, A. Chiappelli, T.  (2016), Facilitazione linguistica, insegnamento dell’Italiano come L2, didattica delle lingue seconde e pedagogia interculturale a scuola: uno sguardo d’insieme, pubblicato in M. Gentile, T. Chiappelli (a cura di), Intercultura e inclusione. Il Cooperative Learning nella classe plurilingue, Franco Angeli; Balboni P. E., Le sfide di Babele. Insegnare le lingue nelle società complesse, UTET Università, 2019.
[5]   A.A.V.V., The city conference Nadwet Limdina - Languages, Identity and Didactics”, Latrach Edition,  2021: 159-184
[6]   Arendt Hannah, La vita della mente, Il Mulino,1987: 99
[7]    Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, MIUR Febbraio 2014
[8]   Linee guida per l’accoglienza e l’integrazione degli alunni stranieri, MIUR Marzo 2006
[9]  cit. Linee guida MIUR Febbraio 2014: 16
[10] Il D.M. 92 del 25 febbraio 2016, recante disposizioni per il riconoscimento dei titoli di specializzazione in Italiano Lingua 2, ha individuato i criteri per il riconoscimento dei titoli conseguiti entro l’anno accademico 2015/2016, ai fini dell’utilizzo del personale docente in compiti connessi all’insegnamento dell’italiano lingua seconda (Italiano L2).
[11]   D.M. n. 259 del 9 maggio 2017 di revisione e aggiornamento delle classi di concorso
[12]  cit. Linee guida MIUR Febbraio 2014: 18
[13]  ibidem
[14]  ibidem
[15] È la lingua che ci fa uguali, a cura dell’Osservatorio per l’integrazione degli alunni stranieri e per l’intercultura del Ministero dell’Istruzione, giugno 2020
[16]  Emergenza sanitaria da nuovo Coronavirus. Prime indicazioni operative per le attività didattiche a distanza, Nota dipartimentale, Ministero dell’Istruzione, 17 marzo 2020, n. 388
[17] Linee guida per la Didattica digitale integrata, Ministero dell’Istruzione, agosto 2020
[18] Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile, Documento ONU, Settembre 2015, obiettivo n. 4
[19]  cit. Linee guida MIUR Febbraio 2014: 17

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Melina Bianco, Dirigente del Ministero dell’Istruzione, già Preside a Mazara del Vallo, ha ottenuto importanti incarichi istituzionali tra cui quello di Dirigente Tecnico del Ministero dell’Istruzione con Funzioni Ispettive di Consulenza, Studio e Ricerca e quello di Provveditore agli Studi di Ragusa. È stata docente a contratto di Docimologia presso l’Università Lumsa di Palermo, e di Pedagogia della scuola e di Diritto scolastico presso le sedi siciliane della Pontificia Facoltà Auxilium di Scienze dell’educazione di Roma. Insignita del titolo di Accademica di Sicilia, honoris causa, per i risultati ottenuti in campo professionale, culturale e sociale e per il suo impegno costante nella riva Sud del Mediterraneo, formatrice del personale scolastico e autrice di diversi contributi monografici e collettanei relativi alle tematiche educative interculturali, attualmente è Dirigente scolastico distaccato a Palermo, presso la Direzione Generale dell’Ufficio Scolastico Regionale della Sicilia, e docente a contratto di Educazione degli Adulti presso le sedi siciliane della Pontificia Facoltà Auxilium di Scienze dell’educazione di Roma.

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