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Io scrivo, voi leggete!

copertinadi Concetta Garofalo

Dice Paul Valéry: «Se mi osservo, trovo … che ci sono delle cose che si possono dire agli altri; e altre che si possono dire solo a se stessi … E altre che non si possono dire nemmeno a se stessi» (Valéry, 2008: 41). Partendo da questa riflessione discende la consapevolezza che oggi sempre più spesso utilizziamo i canali delle chat per comunicare eventi (ed esprimiamo i conseguenti stati d’animo) di gioia, di nascita, di lontananza e partenza, di lutto e assenza-presenza. I numerosi strumenti di Comunicazione Mediata da Computer (CMC) stanno, ormai da decenni, delineando forme relativamente nuove di socialità le cui implicazioni sociali non si esauriscono completamente nelle classiche definizioni di comunicazione e dialogo. Mi sto riferendo al fenomeno sociale della condivisione e della group chat. Le internet social networks possono essere sistemi di comunicazione sincrona  – guardare un film al cinema e raccontarlo contemporaneamente agli amici che sono altrove – oppure asincrona  – il racconto, per esempio, delle vacanze o della visione di un film al cinema non enuncia più “io ho visto” al passato bensì “sto vedendo” nell’istante del divenire-avvenire dell’azione ma gli interlocutori possono continuare il susseguirsi degli interventi in diversi momenti nel tempo connettendosi a più riprese. Le implicazioni culturali riflettono un cambiamento epocale dei sistemi di comunicazione di massa e individuale ma anche il cambiamento nei sistemi di profilazione degli individui e di pubblicizzazione delle istanze individuali, intime e personali.

Nel mio contributo procedo a una breve e intensa analisi tecnica di alcune tipologie di conversazione sempre più frequenti all’interno di gruppi (per esempio di facebook o wathsapp). In particolar modo, intendo focalizzare l’attenzione su specifiche modalità di espressione nella forma del discorso, dell’articolazione della successione degli interventi e sulle implicazioni da un punto di vista socio-antropologico. Quando un soggetto pubblica un post della seguente tipologia:

-          “sei nato e hai portato la felicità nella mia vita”

-          “dopo mesi, finalmente, sei tornato a casa”

-          “sei andato via, il percorso della tua vita ti porterà lontano”

-          “cara mamma sei passata a miglior vita. Ti ringrazio, sarai sempre con me”

Le risposte avviano la conversazione:

-          “Oh! Cara sono molto contenta per te”

-           “Oh! Cara mi dispiace tanto, bella persona, lei sarà sempre con noi …”

-          “Oh! Cara …”

-          “Oh! Cara…”

Utilizzo, questi esempi specifici, nei quali, il riferimento “Tu” è diretto ad una persona (animale o cosa) che, di fatto, non è in condizioni di rispondere ma diventa argomento principale di conversazione. Il “Tu” funge da ponte fra due piani del discorso altrimenti non comunicanti sull’asse cronologico, ontologico e logico: quello dell’enunciazione e partecipazione e quello dell’osservazione e dell’oggettivazione.

«La “partecipazione” infatti individua di volta in volta l’assetto comunicativo che unisce o esclude tra loro i presenti e può invocare persone o unità assenti, definendo l’unità sociale cui va la responsabilità delle parole pronunciate, e quindi la parte di responsabilità che il parlante (o animatore) prende su se stesso e quella che distribuisce nel suo uditorio» (Donzelli, Fasulo, 2007: 31).

L’intesa emotiva che si instaura fra “soggetto parlante” e “soggetto destinatario” non solo rende possibile la comunicazione ma costituisce il punto di avvio e, rispetto al quale, si compie la deviazione della direzione stessa della comunicazione e la conversione delle funzioni comunicative. Come si evince da una semplice sintesi schematica:

il Soggetto enunciante si rivolge al destinatario → al Soggetto “Tu” dell’enunciato (ENUNCIAZIONE – ENUNCIATO)

il Ricevente della comunicazione (enunciatario) risponde al → Soggetto enunciante (ENUNCIAZIONE)

il Soggetto “Tu” dell’enunciato originario diventa → oggetto della comunicazione

(COMUNICAZIONE)

1Si tratta quindi di una tipologia complessa di messaggio che inter-rela, in maniera non univoca e non lineare, il soggetto autoreferenziale e il destinatario dell’enunciato con il soggetto parlante e l’oggetto seguente.

Se consideriamo, con Jakobson, informare e comunicare come due modalità della significazione, l’intenzione di esprimere si lega necessariamente alla componente estetica ed entrambe si posizionano su un piano discorsivo differente. Siamo ancora lontani dal livello interpretativo del metalinguaggio. Individuiamo quindi un piano discorsivo intermedio, cronologicamente estemporaneo all’enunciazione e alla comunicazione, configurato sia dal progetto intenzionale dell’emissione sia dal processo interpretativo della ricezione. Possiamo analizzare questo complesso sistema di processi dal punto di vista dell’intesa intersoggettiva basata sulla codificazione condivisa degli oggetti culturali di riferimento (Coquet, 2008: 10). Lo scambio comunicativo è fortemente orientato sul mittente e sul contatto, pertanto prevalgono sulle altre la funzione emotiva e la funzione fatica.

«La funzione detta “espressiva” o emotiva, che si concentra sul mittente, mira ad un’espressione diretta dell’atteggiamento del soggetto riguardo a quello di cui si parla. Essa tende a  suscitare l’impressione di una emozione determinata, vera o finta che sia» (Jakobson, 2002: 186).
«Vi sono messaggi che servono  essenzialmente a stabilire, prolungare o interrompere la comunicazione, a verificare se il canale funziona […], ad attirare l’attenzione dell’interlocutore o ad assicurarsi la sua continuità  […]. Questa accentuazione del contatto (la funzione fatica, secondo la terminologia di Malinowski) può dare luogo ad uno scambio sovrabbondante di formule stereotipate, a interi dialoghi il cui unico scopo è di prolungare la comunicazione» (ivi: 188).
«Lo sforzo mirante a stabilire e a mantenere la comunicazione è tipico degli uccelli parlanti; così la funzione fatica del linguaggio è sola forma che essi abbiano in comune con gli esseri umani. È anche la prima funzione verbale che viene acquisita dai bambini, nei quali la tendenza a comunicare precede la capacità di trasmettere o di ricevere un messaggio comunicativo» (ivi: 189).

2Nel proseguire della conversazione in chat è evidente l’uso ricorrente di formule di partecipazione allo stato emotivo determinato dall’evento in questione, a tal punto da instaurarsi una forma che ci ricorda le modalità e le funzioni di rituali classici. L’eteroripetizione è funzionale a dare forza all’asserzione e, anche, per creare il senso di collettività, delinea i confini di uno spazio dialogico condiviso di compartecipazione affettiva nei confronti dell’evento luttuoso o di gioia o di allontanamento (Ochs, 2006: 68). Dal punto di vista sociale del susseguirsi sequenziale delle proposizioni, lo stato d’animo è amplificato dalla concatenazione di enunciati. L’entità destinataria dell’enunciato originario è usata come tema principale delle predicazioni degli enunciati successivi. L’avvicendarsi degli interventi scritti non evolve la trattazione del tema, il punto focale resta fermo, la tematica non è argomentata anzi le predicazioni che si susseguono ribadiscono la staticità come a congelarne l’irrimediabilità dell’accaduto del referente iniziale (“è nato!”, “è partito!”, “è morto!”).

L’azione logica che permette di individuare ed analizzare la sequenza delle proposizioni e il trasferimento da referente a tematica principale è una forma semplice di significato referenziale: la gioia, la speranza, il dolore e la perdita.

In realtà, l’enunciazione iniziale contiene in sé le implicite selezioni circostanziali che ne predestinano, in certo senso, il trasferimento ad un altro sistema semiotico nel quale si modula lo sviluppo enunciazionale. Il grado di semiotizzazione è ulteriormente bilanciato dalle condizioni di felicità degli atti linguistici non pianificati. Pertanto, da una meta-analisi conversazionale, emerge che il trasferimento da destinatario a referente è spiegabile come interpretazione di prossimità semiotica molto frequente nel discorso parlato che sempre più spesso predomina nelle forme di comunicazione di messaggistica veloce:

«Troviamo un pattern analogo nel discorso spontaneo, e in particolare predicazioni in cui l’argomento principale è eliminato dall’enunciato corrente. Per identificare il referente rilevante, l’ascoltatore deve tener presente lo sviluppo del discorso o aspetti della situazione del momento. Rispetto alla situazione, può essere soprattutto eliminata la referenza al parlante e all’ascoltatore» (Ochs, 2006: 71).

La caduta del referente e la relazione semantica non espressa sintatticamente sono meccanismi comunicativi riconducibili a casi di co-occorrenza co-testuale secondo quanto esposto da Eco:

«Una selezione contestuale registra i casi generali in cui un dato termine potrebbe occorrere in concomitanza […]. Quando poi il termine concretamente co-occorre con altri termini (quando cioè la selezione contestuale si attualizza) ecco che abbiamo un co-testo. Le selezioni contestuali prevedono dei possibili contesti: quando si realizzano si realizzano in un co-testo» (Eco, 1989: 17).

Mi sembra importante sottolineare l’attenzione al procedimento comunicativo descritto come attualizzazione di mondi possibili. Infatti, soltanto lo sviluppo dialogico imprime la direzione al percorso di semiotizzazione del concatenarsi degli atti linguistici.

Questo passaggio di informazione univoca ma diffusa è un modo per allontanare da sé (o rafforzare) gli stati d’animo procurati dall’evento. Dunque, pongo il quesito: un solo interlocutore non basta? Nella molteplicità degli interlocutori ravvedo la struttura multivocale di un attante. Le voci plurime sono stereotipate tra loro e la ripetitività conferma la funzione di transfert che potrei attribuire all’interlocutore/lettore modello. È così che, una conversazione apparentemente molto semplice alla quale molti di noi sono ormai assuefatti a reggere nella quotidianità delle relazioni sociali può essere descritta da una prospettiva culturale dell’antropologia dei linguaggi e della socio-semiotica (Duranti: 2007) per rintracciare le modalità e i livelli di agentività intersoggettiva e di performatività degli atti linguistici.

3L’etnografia incentrata sulle modalità di CMC (Comunicazione mediata da Computer) perviene all’analisi pragmatica dei sistemi di performatività dei linguaggi nei processi di comunicazione e traduzione fra soggettività e contesto collettivo di ricezione e risposta.

Inoltre, molto spesso si nota che i numerosi interlocutori che intervengono nel susseguirsi dei post, quasi mai si relazionano tra loro e continuano a intrattenere una sequenza comunicativa con il soggetto-emittente iniziale. Pertanto, lo spazio dell’intersoggettività assume una struttura a forma di raggiera: gli interlocutori sono legati con l’emittente originario e senza comunicare tra loro intrattengono tante istanze comunicanti uno-a-uno.

La rappresentazione molto semplificata, usando la teoria dei grafi, mostra una rete sociale poco densa e caratterizzata da legami deboli (Figura 1). Da questo punto di vista emerge che una situazione comunicativa affollata si dimostra invece essere nutrita da un rapporto di solitudine fra le voci che intervengono (Io-Tu e un Noi che non è interrelazionale). Se risulta assente la sincronizzazione fra la sintassi dell’enunciato e la sintassi sociale dell’istanza comunicativa si perviene ad un evento apparentemente unico ma disarticolato in tante linee comunicative parallele che non si incontrano (o raramente) né a livello semantico ma neanche sintattico. Si assiste ad uno slegamento fra la sintassi sociale e la sintassi sintagmatica degli enunciati. Come dice la Turkle:

«Sono tante le storie da poter raccontare sulle persone e i loro oggetti tecnologici. Abbiamo bisogno di sentire storie che esaminino le istituzioni politiche, economiche e sociali. […] Il racconto della vita nascosta mostra la tecnologia come un architetto della nostra intimità così come lo sono le nostre solitudini» (Turkle, 2009: 44).

4Ma vorrei approfondire con un’ulteriore riflessione. Questa sorta di solitudine delle voci enuncianti è a livello del discorso, cioè è relativa alla forma del discorso poiché mancano “frasi” di interazione fra i partecipanti. Se consideriamo la sintassi sociale, invece, tutti leggono tutti. Quindi la funzione comunicativa crea la dimensione social nella fase non di produzione ma di ricezione (lettura) del testo. L’assenza della forma non pregiudica la funzione comunicativa. A tal proposito, ribadisco gli assunti, approfonditi altrove, di rete e dispositivo:

«Il concetto di rete ricopre fondamentale importanza per spiegare le dinamiche di indentizzazione del Sé che avvengono nel passaggio dall’istanza-soggetto alle individualità plurime. L’aspetto della questione che ho intenzione di mettere, qui, maggiormente in evidenza è la “natura strategica” dei dispositivi analizzati da Foucault» (Garofalo, 2016)

Infatti, leggo da Foucault che un dispositivo è

«[…] un insieme decisamente eterogeneo che implica discorsi, istituzioni, sistemazioni architettoniche, decisioni regolamentari, leggi, misure amministrative, enunciati scientifici, proposizioni filosofiche, morali e filantropiche, insomma un detto ma anche un non-detto, son questi gli elementi del dispositivo. Il dispositivo è quindi la rete che si può stabilire fra questi elementi» (Foucault, 2005: 25).

Molto interessante ai fini della prospettiva in questione è anche l’ampliamento del concetto di dispositivo operato da Agamben:

«non soltanto, quindi, le prigioni, i manicomi, il Panopticon, le scuole, la confessione, le fabbriche, le discipline, le misure giuridiche, ecc., la cui connessione col potere è in un certo senso evidente, ma anche la penna, la scrittura, la letteratura, la filosofia, l’agricoltura, la sigaretta, la navigazione, i computers, i telefoni cellulari e – perché no – il linguaggio stesso, che è forse il più antico dei dispositivi» (Agamben, 2006: 22).

Le molteplici configurazioni dei soggetti interagenti in contesti sistemici di comunicazione massmediale assumono inevitabilmente una dimensione processuale:

«Uno stesso individuo, una stessa sostanza, può essere il luogo di molteplici processi di soggettivazione: l’utilizzo di telefoni cellulari, il navigatore in internet, lo scrittore di racconti, l’appassionato di tango, il no-global, ecc. Alla crescita sterminata dei dispositivi nel nostro tempo, fa così riscontro una altrettanto sterminata proliferazione di processi di soggettivazione» (Agamben, 2006: 23).

Le implicazioni emotive legate alla sfera dell’intimità e del sostegno solidale sono interamente affidate alla comunicazione. Lo spazio-network assume così una rilevante forza di coesione sociale che si esprime in uno spazio interamente virtuale e rispetto al quale la dimensione del reale si posiziona a specchio in un andirivieni continuo di feedback testuali.

5La breve analisi conversazionale mi permette allora di riflettere a proposito del rapporto fra reale e virtuale fra i quali il confine diventa sempre meno netto. Le persone partecipanti ad una social chat sono in genere persone che si conoscono nella vita reale e che, impossibilitate ad incontrarsi fisicamente, comunicano tramite le chat, ma lo fanno all’interno di un gruppo che dona loro contestualmente visibilità, pubblicizzazione, notorietà, divulgazione, esposizione della propria sfera sensibile (Pistolesi, 2004). L’immagine di sé che ne deriva è lo scarto fra reale e virtuale. Si tratta pur sempre di un soggetto virtuale che dialoga con altri soggetti virtuali che condividono le regole del gioco. Non è come parlare al telefono e neanche inviare e ricevere telegrammi, lettere e cartoline! Stiamo analizzando lo spazio della comunicazione virtuale non privata. Dunque, la dimensione intima e la dimensione pubblica si mescolano dando forma al soggetto virtuale, il quale sviluppa in sé e nei suoi interlocutori un senso di appartenenza che, ad un certo momento, si disconnette dal reale e acquista una vita sociale propria e di questa si nutre. I soggetti virtuali accettando il “contratto” virtuale utilizzano il profilo personale e interagiscono nella piena consapevolezza di essere scrittori di mondi possibili di pirandelliana memoria.

In sintesi, la condivisione assorbendo i contesti classici della comunicazione, socializzazione e dialogo si impone come pratica di vita quotidiana. Il tempo dedicato all’esperienza diretta è pari al tempo dedicato alla condivisione in rete la quale avviene nell’istante contestuale dell’accadimento stesso. La condivisione si insinua nell’esperienza fenomenica della realtà fisica e attraverso essa ciò che è fenomenico accadimento diventa testualizzazione virtuale attraverso i codici e i linguaggi di comunicazione telematica. Strumento, pratica, dinamica, esperienza e processo insieme (topic and tool), la condivisione, sincrona e asincrona, traduce il soggettivo in pubblico e socializzato. È come dire che la condivisione, tramite essa e in essa, coniuga (nel senso che attiva, rende possibile, realizza) la trasformazione dell’accadimento stesso dalla datità fisica dell’evento alla testualizzazione, alla traduzione in informazione testualizzata e in datità fluidamente volatile.

L’esperienza perde di corporeità e la datità fisica si trasforma in fluida volatilità. Ma la trasformazione comporta una variazione di essenza dell’esperienza? Si può parlare di “una” esperienza che si trasforma o stiamo considerando esperienze diverse e co-testuali di diversa essenza-esistenza? Le questioni restano intenzionalmente aperte.

Dialoghi Mediterranei, n.30, marzo 2018
 Riferimenti bibliografici 
Agamben G., Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo, Roma, 2006
Coquet J., Le istanze enuncianti. Semiotica e fenomenologia, trad. a cura di E. Nicolini, Mondadori, Milano, 2008
Donzelli A., Fasulo A,  Agency e linguaggio: etnoteorie della soggettività e della responsabilità nell’azione sociale, Meltemi, Roma, 2007
Duranti A., Etnopragmatica. La forza del parlare, Carocci, Roma, 2007
Eco U., Lector in fabula,  Bompiani, Milano, 1989
Foucault M., “Il giuoco” in Eterotopia. Luoghi e non-luoghi metropolitani, Mimesis, Milano, 2005 (1994)
Garofalo C., “Habitus e dispositivi. Isotopie dell’agire”, in  Dialoghi Mediterranei, n. 20, luglio 2016
Jakobson R., Saggi di linguistica generale, trad. a cura di L. Heilmann e L. Grassi, Feltrinelli, Milano, 2002 (1963)
Ochs E., Linguaggio e cultura. Lo sviluppo delle competenze comunicative, trad. a cura di A. Fasulo e L. Sterponi, Carocci, Roma, 2006
Pistolesi E., Il parlar spedito. L’italiano di chat, e-mail e SMS, Esedra, Padova, 2004
Turkle S., La vita nascosta degli oggetti tecnologici, trad. a cura di N. Cavalli e I. Franco, Ledizioni, Milano, 2009
Valéry P., L’idea fissa, a cura di V. Magrelli, Adelphi, Milano, 2008 (1933)
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Concetta Garofalo, laureata sia in Lettere sia in Studi storici, antropologici e geografici presso l’Università degli Studi di Palermo, studia i molteplici aspetti teorici e pragmatici della agency e i processi, a breve e lungo termine, di interazione fra soggetti, instaurati nel mondo contemporaneo in relazione ai sistemi culturali di appartenenza, in spazi e tempi configurati soprattutto dai contesti urbani e dai contesti di apprendimento. La sua prospettiva di ricerca interdisciplinare attinge agli ambiti di studio più specifici dell’etnopragmatica e della sociosemiotica.
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