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Il valore “intertestuale” del patrimonio culturale

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Roma, Largo  Argentina, base di colonna ed elementi di riuso (ph. Niglio)

di Olimpia Niglio

Analizzare il concetto e il valore del patrimonio culturale, secondo quella dimensione interdisciplinare ben elaborata nei documenti internazionali e nelle numerose ricerche che principalmente in questi ultimi anni hanno caratterizzato differenti ambiti scientifici, significa rintracciare le origini storiche ed etnologiche che sono alla base del contenuto stesso del termine patrimonio e quindi risalire all’accezione “civile” della parola.

In prima istanza occuparsi di patrimonio significa dedicare la propria attenzione all’uomo, alla sua creatività, al suo fare e quindi prendersi cura di tematiche connesse ai differenti modi con cui gli uomini, e pertanto le differenti civiltà, hanno manifestato nel tempo il proprio saper fare, il saper trasformare, il saper dialogare e comunicare quelle ragioni culturali che sono alla base della propria esistenza. Quindi affrontare una riflessione sul tema del patrimonio implica interrogarsi sulla civiltà a cui intendiamo riferirci quando parliamo di questo tema.

La civiltà [dal latino civilitas -atis] infatti non è altro che la modalità attraverso la quale si manifesta la vita sociale, spirituale e materiale di un popolo o di più popoli strettamente relazionati tra loro. La civiltà è quell’insieme di differenti caratteristiche culturali spontanee o strutturate, riferite ad una specifica epoca, che si riferiscono ad una collettività e quindi ad una etnia.

Le pagine di storia tuttavia ci hanno trasmesso importanti studi antropologici, archeologici e storici che hanno dimostrato non solo l’evolversi ma anche il susseguirsi di differenti civiltà che in luoghi ed epoche differenti hanno lasciato traccia del proprio passaggio e quindi del proprio contributo culturale.

Da qui l’esplorazione sul tema del patrimonio trova strette interconnessioni con la biologia e la genetica e pertanto la conoscenza della struttura di questi specifici meccanismi naturali, che hanno determinato le caratteristiche delle singole civiltà, ci consentono di elaborare riflessioni sulle capacità di conservazione e di trasmissione delle diverse manifestazioni culturali. Questo implica osservazioni sulle diversificate forme dell’evoluzione del patrimonio culturale. Quest’ultimo, in generale, è strettamente connesso al grado di evoluzione della civiltà a cui ci riferiamo.

Luigi Luca Cavalli Sforza, genetista e scienziato italiano, nel suo volume L’evoluzione della cultura afferma che «[…] tale evoluzione culturale è determinata dalla somma delle innovazioni e delle scelte o, meglio ancora, dall’accettazione o meno di queste innovazioni da parte della società […] Vi è un cambiamento continuo che è sempre di natura statistica dato che è molto improbabile che tutti facciamo le stesse scelte. Alcune innovazioni sono più fortunate di altre (Cavalli Sforza, 2010:13).

Infatti la storia ci insegna che proprio quelle civiltà che più di altre hanno saputo elaborare aspetti culturali innovativi, seppur poi decadute nel tempo, hanno tuttavia scritto importanti pagine di storia e quindi trasmesso patrimoni, anche genetici, che sono stati alla base di evoluzioni culturali successive.

Per fare alcuni esempi pensiamo alla civiltà egiziana (a partire dal IV millennio a.C.) in Africa, a quella babilonese (nata tra il III e il II millennio a.C.) in Mesopotamia in Medio Oriente, alla civiltà della valle dell’Indo (tra il III e il II millennio a.C.) sul subcontinente indiano e lungo il fiume Indo che nasce dall’Himalaya, ed ancora alla civiltà Maya (a partire del III millennio a.C., definito preclassico) nell’area Mesoamerica, per poi giungere a civiltà più recenti come quella degli Inca, sviluppatasi a partire dal XIII secolo d.C. sugli altopiani andini del continente americano meridionale. Lo studio della storia di queste singole civiltà ci aiuta a leggere, analizzare ed interpretare l’evoluzione culturale, e quindi il patrimonio realizzato nonché come eventuali fattori esterni siano stati recepiti e quindi abbiano collaborato al fattore evolutivo ed innovativo.

Ovviamente questi fattori esterni, non sempre nati da forme di dialogo tra civiltà, ma prevalentemente di supremazia, hanno spesso imposto limiti piuttosto che stimoli all’evoluzione culturale in corso, generando così cambiamenti non sempre positivi. Pensiamo come, a partire dal XVI secolo, l’incontro tra la cultura occidentale e quelle del continente americano abbia del tutto modificato il percorso evolutivo di diverse civiltà e quindi il proprio patrimonio culturale. Quest’ultimo altro non è che il risultato dell’opera dell’uomo (Niglio, 2012; Niglio 2016), di conoscenze, di attività, di esperienze, risultati di miliardi di individui che hanno vissuto prima di noi e che ci hanno trasmesso un bagaglio che certamente ha posto delle condizioni ma allo stesso tempo ci ha aiutato a dare risposte nonché a costruire nuovi obiettivi. Questo sta a testimoniare che il significato del patrimonio culturale va ricercato all’interno delle pagine scritte dalle singole civiltà e pertanto è un processo di natura sociale alla cui base ci sono le relazioni tra gli individui.

foto1Ernst Gombrich, storico dell’arte austriaco, nel meraviglioso volume Storia dell’Arte, analizzando il difficile compito della ricostruzione storica dei fenomeni culturali, afferma che per intendere il valore del patrimonio ereditato non è possibile prescindere dallo studio delle innovazioni, degli stili e dei contenuti che sempre si sono succeduti nel corso dei secoli; inoltre tali evoluzioni sono un magnifico esempio di come la storia sia il risultato di continui interscambi socioculturali (Gombrich, 1966). Questo tipo di studio impone anche una visione multidimensionale del significato del patrimonio culturale, ossia una dimensione multicentrica dove vi sono tante influenze, diverse forze che intervengono e complesse motivazioni sociali, religiose, politiche ed economiche che contribuiscono, in ogni epoca, a determinare e risolvere le differenti interazioni che intervengono nell’evoluzione del concetto stesso di patrimonio culturale.

Per questo ancora Cavalli Sforza afferma che «[…] la ricostruzione della storia e dell’evoluzione della cultura può essere uno strumento molto importante per la comprensione del mondo in cui viviamo e delle differenze che lo caratterizzano» (Cavalli Sforza, 2010:16).

Ne scaturisce pertanto che il concetto di patrimonio è strettamente connesso alla civiltà che lo ha generato e a cui si riferisce e che qualsiasi generalizzazione non potrà mai includere in sé tutti quegli aspetti peculiari che invece caratterizzano il concetto. Questo il motivo per il quale quando parliamo di patrimonio culturale è fondamentale chiarire, sin dal principio, a quali persone, che hanno creato e dato vita all’oggetto, stiamo riferendo le nostre osservazioni, quindi a quale civiltà, epoca, contesto socioculturale ci riferiamo nel descrivere il significato peculiare di un dato patrimonio che include in sé allo stesso tempo sia la materialità (forma, stile, sostanza) che l’immaterialità (idea, creatività, contenuto).

Queste riflessioni trovano un interessante riscontro in un recente libro pubblicato  nel 2017 in Messico dal titolo Patrimonio cultural: intertextos y paralelismos, a cura di Estrellita García Fernández dell’Universidad de Guadalajara e de El Colegio de Jalisco e di Agustín Vaca dell’Istituto Nazionale di Antropologia e Storia (INAH) e del El Colegio de Jalisco.

I curatori attraverso una ricerca interdisciplinare, che ha visto la partecipazione di studiosi messicani, cubani, spagnoli, francesi, portoghesi e brasiliani, hanno inteso riflettere sul valore del patrimonio culturale dal punto di vista dell’intertestualità, analizzando quell’insieme di relazioni e di significati che le differenti civiltà, sia in passato che nella contemporaneità, hanno inteso attribuire al concetto di patrimonio culturale. Pertanto partendo da indicazioni e definizioni proprie dei documenti internazionali gli autori intervenuti hanno elaborato riflessioni che hanno dimostrato come il concetto di patrimonio, proprio per la sua differente definizione in relazione al contesto socioculturale di riferimento, sia generatore di interessanti reti interpretative in grado di intessere relazioni tra differenti ambiti geografici, sociali e formativi. Questa intertestualità ha consentito di rilevare che un testo, quindi nel caso specifico una definizione del concetto di patrimonio, ha un valore se è in grado di dialogare con altri testi, quindi con i bisogni generatori e creatori propri del bene culturale. Questa relazione intertestuale testimonia come il patrimonio, quindi il testo a cui ci stiamo riferimento, trova la sua ragion d’essere all’interno di relazioni socioculturali specifiche, dal momento che trova il suo vero significato quando dialoga con altri testi e si relaziona al contesto di appartenenza, ossia si identifica nella società e con gli individui che lo hanno creato.

Lucca, piazza Anfiteatro, esempio di patrimonio intertestuale (ph. Degli Innocenti)

Lucca, piazza Anfiteatro, esempio di patrimonio intertestuale (ph. Degli Innocenti)

Da qui la impossibilità di procedere con una convenzionale generalizzazione del concetto di patrimonio culturale. Differentemente lo studio condotto dai colleghi messicani ci invita ad elaborare una ricerca di “definizioni parallele”, ossia lo sforzo di dar vita ad un dizionario multiculturale sul concetto di patrimonio che possa riunire in sé i differenti significati che necessariamente questo termine possiede nei diversificati ambiti geografici e culturali. Tale considerazione trova ampia testimonianza sulle innumerevoli definizioni rilasciate da studiosi e ricercatori interpellati sull’accezione che il termine patrimonio ha nella propria formazione culturale e di come tale significato sia poi tradotto, inteso e percepito dalla società civile.

Al riguardo Salvatore Settis, archeologo e storico dell’arte italiano, scrive che «[…] nuove ricerche di sociologi, psicologi, antropologi definiscono lo spazio in cui viviamo un formidabile capitale cognitivo che fornisce coordinate di vita, di comportamento e di memoria e costruisce l’identità individuale e quella collettiva della comunità» (Settis, 2017: 136). Pertanto l’uomo crea, genera, costruisce relazionandosi a quelle regole proprie del contesto in cui vive e che lui stesso contribuisce a modificare nel bene e nel male e da qui quell’insieme di fattori che definiscono il bagaglio culturale, il patrimonio materiale delle singole civiltà e delle diverse epoche storiche.

Un patrimonio necessariamente destinato però ad essere trasformato, rielaborato, rimesso in discussione nel corso della sua vita perché cambiano gli uomini ed i parametri culturali, cambiano i testi, i contesti e quindi i significati a cui rapportarci. Nasce così la necessità di riflettere su nuovi percorsi intertestuali, nuove relazioni e differenti definizioni protagoniste di rinnovati valori del patrimonio culturale. È proprio questa capacità di rinnovamento intertestuale costante, richiesta ormai dal rapido cambiamento della società contemporanea, che ci consente di riflettere sull’evoluzione dei differenti valori e significati che un tempo aveva un antico tempio oggi divenuto museo all’aperto di un parco archeologico, un’antica chiesa oggi biblioteca o ancora un palazzo fortificato o un castello divenuti sedi istituzionali a destinazione pubblica o privata.

 Monte Alban (Oaxaca, México). Area civico-cerimoniale della civiltà Azteca oggi parco archeologico patrimonio UNESCO (ph. Niglio).

Monte Alban (Oaxaca, México). Area civico-cerimoniale della civiltà Azteca, oggi Parco archeologico patrimonio UNESCO (ph. Niglio)

Il volume Patrimonio cultural: intertextos y paralelismos, proprio nell’ambito di questo interessante dialogo tra differenti approcci disciplinari e culturali, spiega, attraverso diversificati casi studio, come il patrimonio culturale sia un “sistema aperto” (Genette, 1997) a cui viene attribuito un significato nella sua fase creativa ma come questo stesso vada modificandosi e plasmandosi in relazione alla società che ne usufruisce nelle differenti epoche.

Così il patrimonio altro non è che un “libro liquido”, si direbbe oggi nel gergo contemporaneo, ossia un libro dove le pagine sono sempre trascrivibili, aggiornabili, rinnovabili e dove ognuno può contribuire a scrivere nuove storie, nuovi percorsi della conoscenza, nuove definizioni ed appropriazioni di ciò che un giorno fu quel patrimonio e di ciò che invece oggi è, sperando che se ne parlerà ancora nel futuro.

Dialoghi Mediterranei, n.27, settembre 2017
Riferimenti bibliografici
Cavalli Sforza, L.L. (2010). L’evoluzione della cultura, Codice ed., Torino.
Genette G. (1997), Palinsesti. La letteratura al secondo grado, Einaudi, Torino 1997
Gombrich E.H., Storia dell’Arte, Einaudi, Torino 1966
Niglio O. (2012), Sul concetto di Valore per il patrimonio culturale, in O. Niglio, Paisaje cultural urbano e identitad territorial, Atti del 2° Coloquio Red Internacional de pensamiento crítico sobre globalización y patrimonio construido (RIGPAC), Firenze 12-14 luglio 2012. vol. I: 23-38.
Niglio O. (2016), Il Patrimonio Umano prima ancora del Patrimonio dell’Umanità, in Cities of memory, International Journal on Culture and Heritage at Risk, vol. 1, n.1,  Edifir, Firenze 2016: 47-52.
Settis S. (2017), Architettura e democrazia. Paesaggio, città e diritti civili, Einaudi, Torino.

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Olimpia Niglio, architetto, PhD e Post PhD in Conservazione dei Beni Architettonici, è docente titolare di Storia e Restauro dell’Architettura comparata all’Universidad de Bogotá Jorge Tadeo Lozano (Colombia). È Follower researcher presso la Kyoto University, Graduate School of Human and Environmental Studies in Giappone. Dal 2016 in qualità di docente incaricato svolge i corsi Architettura sacra e valorizzazione presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Santa Maria di Monte Berico” della Pontificia Facoltà Teologica Marianum con sede in Vicenza, Italia.

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