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Il paesaggio urbano di Catania. Documenti e immagini

Veduta di Catania durante l’eruzione del 1669 (copia dell’affresco della sacrestia della Cattedrale di Catania). Anonimo, [1687], disegno a penna, mm 295 x 383, Bibliothèque Nationale di Parigi.

Veduta di Catania durante l’eruzione del 1669 (copia dell’affresco della sacrestia della Cattedrale di Catania), Anonimo, [1687], disegno a penna, mm 295 x 383, Bibliothèque Nationale di Parigi

di Anna Maria Iozzia

In occasione delle Giornate FAI di Primavera (24-25 marzo 2018) sono state inaugurate presso l’Archivio di Stato di Catania le mostre Catania com’era: dalle “Antichità” alle “Difese” della città e I monasteri di clausura e gli edifici conventuali a Catania tra Settecento e Ottocento. La prima mostra focalizza l’attenzione, a partire dall’età greco-romana fino al terremoto del 1693, su alcuni edifici e costruzioni di Catania distrutti totalmente o parzialmente, oltre che dal terremoto, dalla colata lavica del 1669 e dall’uomo.

Il percorso espositivo dei documenti e delle pubblicazioni – selezionati da Anna Maria Iozzia – inizia con Ignazio Paternò Castello, principe di Biscari (1719-1786), che svolse un ruolo notevole nella “riscoperta” delle antichità catanesi: nel 1748 ottenne, infatti, dal Tribunale del Real Patrimonio il permesso di scavare per arricchire il suo museo; permesso che fu riconfermato nel 1768. Diversa è l’ottica (che si evince dalle domandedi autorizzazione) con cui vengono affrontati questi scavi: i primi sono finalizzati alla raccolta e alla collezione di manufatti del passato destinati ad arricchire il suo museo per decoro della patria, i successivi, invece, al disseppellimento degli antichi edifici pubblici che servano a dare lustro alla città. Le operazioni di scavo interessarono sia monumenti noti (il teatro, l’odeon, l’anfiteatro, le terme Achilliane sotto la Cattedrale) dove furono eseguiti degli sterri all’interno degli ambienti conservati, sia aree e edifici (l’area antistante alla chiesa di S. Maria dell’ Itria, la piazza del monastero di S. Nicolò l’Arena, il bastione degli Infetti, le case Sapuppo al largo S. Antonio) dove con scavi a cielo aperto vennero riportati alla luce ambienti termali.

Legati alla carica di Regio custode delle Antichità del Val di Noto e Valdemone – conferitagli con dispaccio reale del 1° agosto 1778 – sono i rilievi di alcuni monumenti (le terme dell’Indirizzo, l’ipocausto sotto il monte di Santa Sofia, i due sepolcri nella selva dei Padri minimi osservanti e il sepolcro nella chiesa di S. Girolamo) realizzati da Carlo Chenchi, architetto di S.M. per le antichità di Sicilia.

Oltre che all’attività di scavo il nome del principe di Biscari è legato all’istituzione del museo inaugurato nel 1758 che Riedesel considerava come «uno de’ più completi che vi siano in Italia e forse… in tutto il mondo» [1]. In vista della fondazione del suddetto museo, nel 1743 il Senato di Catania autorizza la richiesta del principe affinché gli venga donata la statua di marmo antica, in più parti infranta, che giaceva nel palazzo senatorio. Tale statua era un torso virile colossale di età romana, rinvenuto nel 1737 in mezzo alle rovine di antichi edifici nell’area del convento di S. Agostino, che venne detto Torso Biscari dopo il suo passaggio dal Palazzo senatorio al museo biscariano.

La sua opera Viaggio per tutte le antichità di Sicilia (1781), a distanza di anni, si rivela ancora utile agli studiosi di antichità siciliane «per la diligente menzione di alcuni ruderi oggi trasformati o scomparsi, per la compiutezza dell’esposizione…» [2]. Non venne, invece, pubblicata l’opera sulle Antichità di Catania. Un brano del Capitolo III descrive il lungo gradino marmoreo su cui posava la fronte della scena ornato con un festone di foglie e due delfini scolpiti che tengono in mezzo una conca marina [3].

 Camera sepolcrale sotto il convento di S. Caterina da Siena al Rosario. Pareti nord, ovest e sud. Anonimo , s.d., Catania, incisione, mm 185 x 260, Archivio di Stato di Catania, Archivio Paternò Ca

Camera sepolcrale sotto il convento di S. Caterina da Siena al Rosario, Pareti nord, ovest e sud, Anonimo, s.d., Catania, incisione, mm 185 x 260, Archivio di Stato di Catania, Archivio Paternò Castello

Un brano inedito di tale opera – riscontrato nell’ Archivio di Renata Maria Rizzo Pavone – ha permesso di accertare che l’ipogeo sepolcrale raffigurato in due incisioni conservate nell’Archivio Paternò Castello principi di Biscari si trova sotto l’ex convento di S. Caterina da Siena al Rosario, oggi sede dell’Archivio di Stato di Catania.

Tra i monumenti distrutti dall’uomo si segnala un caso di “mala antichità”: l’ambiente sotterraneo scoperto nel 1827 nel cortile del Reclusorio del Santo Bambino con affreschi raffiguranti le Tre Grazie nude la cui distruzione, nel 1832, è avvolta nel mistero. Grazie alla minuziosa descrizione conservata in archivio e ai disegni editi nei Monumenti inediti pubblicati dall’ Instituto di Corrispondenza Archeologica i proff. Enrico La Rosa e Corrado Rubino e il dott. Davide Ruvolo dell’Accademia di Belle Arti di Catania hanno realizzato un video che riproduce la ricostruzione virtuale di tale ambiente.

Alcune fotografie dell’Archivio del Polo Regionale di Catania – fornite dall’ arch. Giovanna Buda – consentono di ripercorrere le varie fasi dell’intervento di restauro del Teatro antico attuato dall’ arch. Italo Gismondi a partire dagli anni ’50 del secolo scorso; intervento che, da un lato, portò alla demolizione delle case costruite sulla cavea per lo più tra il XVI e il XVIII secolo e, dall’altro, all’integrazione e alla ricostruzione delle strutture danneggiate.

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Elaborazione grafica e pittorica dell’affresco ritrovato nel 1827 nel cortile del Reclusorio del Santo Bambino di Catania

Un aspetto della Catania medievale è rappresentato nel sarcofago (sec. XIV) della regina Costanza d’Aragona (1343- 1363) conservato nella Cattedrale di Catania. In una delle pareti lunghe sono raffigurati, infatti, due edifici della Platea Magna: la Loggia dei Giurati (costituita da un piano terreno e da un piano superiore merlato a cui si accede da una scala esterna) e il Duomo.

Oltre a questi due edifici nella piazza c’erano il palazzo delle Carceri pubbliche del Capitano di Catania (di proprietà della famiglia Bonaiuto), circondato da palazzi di nobili famiglie e sito nella parte di mezzogiorno della piazza, il Vescovado, la Corte del Vescovo, la Corte del Capitano, la Corte del Patrizio, l’Ufficio ossia Corte del Secreto, nonché le banche dei notai, le botteghe degli orefici, degli argentieri, dei panettieri, dei mercanti e delle maestranze di molte Arti e lo Studio (V. Casagrandi, La Piazza Maggiore di Catania Medievale, in “Archivio storico per la Sicilia orientale”, Anno II,1905: 356-361) .

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Odeum di Catania, Louis Ducros, 1778, acquarello, Rijsks Museum Amsterdam

Per quanto riguarda la Sezione delle “Difese” sono esposti documenti inediti relativi sia al Castello Ursino che alle mura i cui originali si trovavano nell’ Archivio storico comunale di Catania distrutto dall’incendio del 1944. Nel primo caso la trascrizione parziale – curata da Carmelo Ardizzone e Guido Libertini e custodita presso la Società di Storia patria per la Sicilia orientale – della convenzione stipulata il 13 settembre 1433 tra il Senato di Catania e il castellano Belingario de Bardaxi fa luce sulla porta di legno che venne costruita nel baglio del Castello Ursino per fare entrare l’immagine della gloriosa Agata con la sua caxea, et cum multitudine Populi eam sequentis, mentre era condotta fuori dalle mura della città nella processione del 4 febbraio in sostituzione della porta murata che ogni anno veniva aperta e chiusa in quell’occasione.

Nel secondo caso sei copie autentiche – conservate presso l’Archivio di Stato di Catania – delle lettere del viceré di Sicilia don Francesco Ferdinando de la Cueva, duca di Albuquerque, del Senato di Catania, del Gran Maestro del Sacro Ordine Militare di Malta e dell’ingegnere Antonio Maurizio Valperga permettono di ricostruire i provvedimenti adottati subito dopo l’eruzione del 1669.

Particolarmente significativa è la relazione inviata il 3 gennaio 1670 al Senato di Catania da Valperga il quale, al fine di riparare i danni prodotti dalla lava alle mura della città, propone di cingere il quadrato del Castello Ursino con quattro baluardi e di aggiustare soltanto la parte del muro verso San Nicolò, in quanto la spesa per i quattro baluardi non avrebbe superato quella necessaria per rifare il muro demolito. La relazione era allegata al disegno del suo “Progetto della cittadella, del lazzaretto, del molo e della lanterna di Catania”, conservato presso la Bibliothèque Nationale di Parigi.

Accanto ai documenti sono esposti, a partire dal Seicento fino ai nostri giorni, libri e riviste in cui sono descritti gli antichi monumenti e costruzioni catanesi, gli scavi eseguiti per riportarli alla luce, le diverse tipologie dei reperti ritrovati e l’eruzione del 1669 tra cui Catanense Dechacordum, sive novissima Sacrae Ecclesiae Catanensis notitia di J.B. De Grossis (Catania 1642-1647), Delle Memorie Historiche della Città di Catania di Pietro Carrera (Catania 1649), Narrativa del fuoco uscito da Mongibello il dì undici di Marzo del 1669 di Carlo Mancino (Messina 1669), ristampa anastatica 1998, Breve Raguaglio degl’incendi di Mongibello avvenuti in quest’anno 1669 di Tommaso Tedeschi Pater (Napoli 1669), ristampa anastatica 1990, Catana illustrata di Vito Maria Amico Statela (Catania 1741), Catania antica di Adolfo Holm (Catania 1925), La città del principe e del vulcano. Immagini e descrizioni di Catania (XVI- XIX secolo) di Enrico Iachello ( Catania 2004), Museum biscarianum: materiali per lo studio delle collezioni di Ignazio Paternò Castello di Biscari (1719-1786) di Stefania Pafumi (Firenze 2006), Castello Ursino di Catania. Gli anni dei restauri 1988–2000, a cura di Fulvia Caffo (Palermo 2009),. Le Terme dell’Indirizzo di Catania, a cura di Maria Grazia Branciforti (Palermo 2013).

Di notevole interesse il volume Catania antica. Nuove prospettive di ricerca, a cura di Fabrizio Nicoletti, Palermo 2015, costituito da ventotto contributi che affrontano numerose problematiche dell’archeologia catanese, dalla preistoria all’eta greca e romana, dai temi di interesse storico-artistico, archivistico ed antiquario alla storia degli studi e degli scavi e ad alcuni recenti interventi di archeologia urbana nell’area archeologica centrale.

Anello di congiunzione tra le due sezioni sono le pubblicazioni del prof. Giuseppe Pagnano che si è occupato sia delle “Antichità” (Il rilevo dell’antico a Catania nella seconda metà del Settecento, in dal tardobarocco ai neostili, Atti della giornata di studio Catania 14 novembre 1997, Messina 2000: 85- 104; Le Antichità del Regno di Sicilia 1779. I plani di Biscari e Torremuzza per la Regia Custodia, Siracusa-Palermo 2001; La costruzione dell’identità di Catania dal secolo XVI al XX, in Catania. La città, la sua storia, a cura di M. Aymard e G. Giarrizzo, Catania 2007: 180-237, che delle “Difese” (Il disegno delle difese. L’eruzione del 1669 e il riassetto delle fortificazioni, Catania 1992).

Insieme a documenti e libri sono esposte le riproduzioni su pannelli in forex di alcune importanti rappresentazioni cartografiche di Catania realizzate tra Cinquecento e Seicento al fine di mostrare qual era l’idea e l’immagine della città che nei secoli passati veniva data dai catanesi, dai cartografi stranieri e dai viaggiatori. La selezione delle cartografie relative alle “Antichità” è stata curata dai proff. Enrico Iachello e Paolo Militello.

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Catania urbs clarissima patria sanctae Agathae virginis et martiris, in G. Braun-F. Hogenberg, Civitates orbis terrarum, 1597

A tal riguardo si riportano alcune considerazioni di Paolo Militello:

«Nei primi secoli dell’età moderna, tra metà Quattrocento e fine Seicento, tutte le città europee cominciarono a far realizzare delle vedute nelle quali venivano raffigurati gli elementi principali della propria identità urbana. Si trattava di veri e propri “ritratti” con i quali la città si offriva agli occhi del mondo. In età moderna Catania era uno dei principali centri della Sicilia e si presentava come la capitale delle “radici” meridionali del vulcano, del versante marittimo e orientale dell’Etna (quella zona, cioè, che con le sue aree costiere e i suoi porti rappresentava l’area più dinamica della regione) e, infine, della fertilissima piana omonima. Data la sua importanza, era quindi inevitabile che anche Catania facesse realizzare diversi suoi “ritratti”.

Il primo importante elemento nelle vedute di Catania è il Famosus Mons Etna: Catania è, per antonomasia, la “città del vulcano”. In quasi tutte le carte realizzate tra fine Cinquecento e inizio Seicento la città è raffigurata insieme all’Etna. Essa era sempre rappresentata vista da Sud, tra il mare e la Piana, e veniva disegnata adagiata alle falde del vulcano. Per chi abitava alle pendici dell’Etna il vulcano era sempre un «dio buono», che donava fertilità al proprio territorio, anche se era sempre un po’ minaccioso; pertanto viene sempre disegnato con un pennacchio di fumo, a ricordare il pericolo delle eruzioni.

A difendere la città, poi, c’era Sant’Agata. È questo il secondo elemento importante di queste vedute. Anche se non viene raffigurata, la Santa è comunque sempre presente nei titoli, nei cartigli, nelle legende , etc. Un altro elemento caratterizza le vedute di Catania: la presenza dell’Antico, con il quale sono sempre celebrate le «antichità», soprattutto greco-romane. A tal fine, vengono innanzitutto riprodotte due piante-vedute della seconda metà del Cinquecento: la prima, manoscritta e anonima, realizzata quasi sicuramente negli anni Ottanta del ‘500 attualmente conservata presso la Biblioteca Angelica di Roma; la seconda, alquanto rara, commissionata dal catanese Antonio Stizzia, stampata a Roma nel 1592 dall’incisore fiammingo Nicolaus van Aelst e, dopo il 1597, riprodotta con piccole modifiche nell’importantissima opera Civitates Orbis Terrarum di Georg Braun, Franz Hogenberg e Simon Novellanus. Oltre a queste carte, viene esposta anche la veduta dell’ “antichissima Catania” pubblicata nel 1651 da Giovan Battista Guarneri: una carta celebre che, pur fornendo alcune informazioni interessanti, risulta comunque poco attendibile e realizzata con molta fantasia.

In queste carte è possibile individuare i principali monumenti esistenti prima dell’eruzione del 1669 e del terremoto del 1693: tra questi l’ “Anfiteatro alla romana”, il “Colosseo”, il “Foro come quello di Roma”, l’Arco trionfale, il Pantheon, il “Cerchio grandissimo alla romana”, gli Acquedotti alla romana, il tempio di Cerere, il sepolcro di Stesicoro, etc. Infine, la città disegnava se stessa secondo gli stilemi del tempo: circondata di mura possenti, ricca di strade e di piazze, e con gli edifici e i monumenti più importanti disegnati «fuori scala», molto più grandi delle altre semplici abitazioni: così è possibile individuare subito l’antica cattedrale con il suo alto campanile, il Castello Ursino, l’antico teatro romano, etc.

Due eventi tragici contribuiranno, però, a cambiare per qualche decennio il rapporto positivo tra il vulcano e la città: la grande eruzione, che nella primavera del 1669 distrusse il versante meridionale dell’Etna spingendosi fin dentro la città di Catania, e l’orribile terremoto del 1693 che, oltre a Catania, distrusse numerose città del Val di Noto (ricordiamo che dal vulcano si credeva fossero generate le scosse sismiche). Sono soprattutto gli “incendi di Mongibello” a rammentare agli abitanti la pericolosità dell’Etna. Ecco perché le vedute di questo periodo raffigurano la regione in maniera “orrorifica”. Nelle vedute dell’eruzione, l’elemento più evidente è la lava che dall’Etna (poco più sopra di Nicolosi) scende e distrugge la città e il suo territorio. Nell’unica veduta che abbiamo del terremoto del 1693, poi, una terribile esplosione nasconde il vulcano, mentre ai suoi piedi la città intera viene distrutta dal sisma. Dopo questi eventi calamitosi, della Catania greca, romana e medievale non resteranno che macerie e pochissime residue testimonianze architettoniche».

Le riproduzioni cartografiche sono integrate con le foto dei monumenti principali dell’«antica» Catania che sono rimasti dopo l’eruzione e il terremoto e che ancora oggi possono essere ammirati all’interno del panorama urbano.

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Veduta di “Catania antica in tempo della Gentilità”, anonimo, 1651, incisione su rame, mm.193×282

Nell’ambito della sezione dedicata alle “Difese” l’’ing. Salvatore Maria Calogero ha selezionato per la riproduzione sui pannelli in forex alcuni dei disegni pubblicati dal prof. arch. Giuseppe Pagnano (Il disegno delle difese, 1992) in gran parte rinvenuti nella Biblioteca Nazionale di Francia (Parigi) che descrivono l’evento calamitoso della colata lavica del 1669 e gli interventi di ricostruzione della cinta muraria danneggiata o coperta dal magma, nonché le piante realizzate dagli ingegneri militari Tiburzio Spannocchi (1578) e Francesco Negro (1637) per migliorare il progetto dell’ing. Antonio Ferramolino realizzato fra il 1541 e il 1553 per difendere la città di Catania dagli attacchi dei turchi.

L’ing. Calogero ha esposto, inoltre, otto pannelli che contengono le foto dei resti della cinta muraria cinquecentesca ancora oggi esistenti (bastioni, porte e cortine), individuati nella pianta di Catania del 1832 di Sebastiano Ittar e nella fotogrammetria attuale. Dal confronto di queste due planimetrie si evincono le modifiche e l’occultamento di tali emergenze monumentali tra la fine dell’Ottocento e i primi del Novecento a causa della costruzione di edifici per civile abitazione. Un altro pannello mostra la rielaborazione digitalizzata della veduta di Catania che l’arch. Camillo Camiliani riprodusse nel 1584 quando stava sbarcando nel porto di Catania. Un ultimo pannello mostra, infine, l’epigrafe realizzata nel 1674 per ricordare l’ultimazione della strada della Vittoria (oggi via Plebiscito) dopo la colata lavica del 1669, collocandola graficamente nelle piante di Catania del 1684 e in quella del 1760.

Veduta di Catania nel 1584 (rielaborazione digitale del disegno di Camillo Camiliani).

Veduta di Catania nel 1584 (rielaborazione digitale del disegno di Camillo Camiliani)

Nella mostra è possibile anche guardare un video che riproduce la ricostruzione virtuale del chiostro di marmo, realizzato nel primo decennio del Seicento dall’architetto Giulio Lasso per il monastero dei benedettini di San Nicolò l’Arena di Catania, crollato a causa del terremoto del 1693. La riproduzione in 3D è stata digitalizzata dall’Accademia di Belle Arti a corredo della restituzione storica fatta dall’ing. Calogero sulla base del rilievo eseguito durante i lavori di restauro dell’attuale chiostro di ponente e, soprattutto, grazie ai documenti dell’ Archivio del monastero di S.Nicolò l’Arena conservato presso l’Archivio di Stato di Catania.

La mostra I monasteri di clausura e gli edifici conventuali a Catania tra Settecento e Ottocento curata dal prof. Eugenio Magnano di San Lio e dalle dott.sse Anna Maria Iozzia e Maria Nunzia Villarosa, ripercorre alcuni momenti della ricostruzione dei monasteri di clausura e dei conventi catanesi dopo il terremoto del 1693 in cui furono impegnati alcuni degli architetti più quotati del Settecento.

Per i monasteri la ricostruzione si intreccia talora con la tutela della clausura delle suore come nel caso del monastero di S. Benedetto la cui badessa nel 1734, dopo essersi opposta all’innalzamento di fabbriche nel prospetto settentrionale del convento di S. Francesco che fronteggiava la cosiddetta Badia Piccola del monastero, alla fine concede l’innalzamento di tali fabbriche, purché le stesse non superino in altezza i davanzali delle finestre del monastero e non venga realizzata alcuna apertura nel suddetto prospetto.

Chiostro di marmo realizzato nel ‘600 su progetto dell’arch. Giulio Lasso (elaborazione digitale in 3D dell’Accademia di Belle Arti di Catania sulla base della restituzione storica dell’ing. Salvatore Maria.

Chiostro di marmo realizzato nel ‘600 su progetto dell’arch. Giulio Lasso (elaborazione digitale in 3D dell’Accademia di Belle Arti di Catania sulla base della restituzione storica dell’ing. Salvatore Maria

La salvaguardia della clausura viene affrontata anche dal monastero di S. Placido, la cui badessa il 3 novembre 1740 concede a don Pietro Valle e Gravina la possibilità di continuare la costruzione del suo palazzo posto di fronte al prospetto nord del monastero a condizione di non fare aperture sopra i finestroni dell’ordine nobile per non ricevere da tali aperture alcuna servitù di prospetto o introspetto riservandosi, invece, la possibilità di costruire il monastero a suo piacimento. Sempre la badessa del monastero di S. Placido nel 1802 ottiene la sospensione dei lavori per la costruzione del nuovo Teatro comunale di fronte al prospetto nord.

Tra i documenti esposti c’ è la pianta del chiostro-giardino dell’ex Casa dei Crociferi allegata alla relazione del 9 luglio 1874 dell’ingegnere Pietro Beltrami sui lavori di scavo eseguiti dal Comune di Catania in tale chiostro nel tentativo di captazione delle acque dell’Amenano. Sui chiostri dei monasteri e dei conventi si riportano alcune considerazioni del prof. Magnano di San Lio.

«Il chiostro col suo giardino era la ricostruzione simbolica del Paradiso Terrestre (paradiso era sinonimo di giardino), dell’Eden perduto dove l’uomo era vissuto in pace con Dio e col Creato. Così come al centro del Paradiso Terrestre sgorgavano i quattro fiumi (Tigri, Eufrate, Pison e Ghicon) il giardino claustrale si divideva in quattro settori, erede dei giardini (paradiseion) dell’antica Persia, ed al suo centro sgorgava l’acqua della fontana che lo bagnava. I quattro settori corrispondevano alle quattro stagioni dell’anno che danno frutti e fiori in ogni stagione. La fontana, la cisterna o il pozzo posti al centro, oltre che per dare acqua in estate al giardino, simboleggiavano il Cristo come sorgente d’acqua viva per la redenzione e la vita eterna. Analogo significato simbolico poteva avere un albero piantato al centro, come simbolo dell’Albero della Vita.

Soprattutto nei monasteri di clausura femminili il chiostro col suo giardino costituiva, inoltre, un’anticipazione in Terra del Paradiso e della felicità eterna che era destinata a chi a Cristo aveva donato la propria vita o a chi, come le monache, ne era divenuta la sposa. Lo spazio del chiostro non era il risultato dell’allineamento dei vari corpi di fabbrica lungo il perimetro dell’isolato, ma era il luogo centrale attorno al quale ruotavano tutti gli ambienti dell’edificio.

Il chiostro del convento domenicano di S. Caterina da Siena al Rosario è uno degli esempi meglio conservati a Catania di spazi claustrali. Posto accanto alla chiesa, alla quale da esso si poteva accedere attraverso un portale posto sullo stesso asse centrale del monumentale portone d’ingresso, era il cuore dell’edificio conventuale. Era armonicamente scandito da quattro quinte architettoniche perfettamente identiche. Sul quadrato perfetto della sua pianta si innalzavano quattro prospetti che in alzato replicavano percettivamente la stessa proporzione perfetta del quadrato. Cinque arcate per lato, intervallate da lesene ioniche, scandiscono il primo ordine sul quale si eleva il piano un tempo abitato dai frati. Al di sopra degli archi sulle pareti del secondo ordine si aprono per ogni lato quattro finestre ed un balcone centrale (finestrone) con parapetto a balaustra. Le prime davano luce alle celle dei monaci, i secondi si aprivano verso i corridoi centrali che disimpegnavano gli ambienti superiori, inondandoli di luce.

Le arcate al pianterreno realizzavano una galleria continua sui quattro lati del chiostro che non solo creava un riparo dalle piogge invernali e dal sole estivo, ma creava un luogo ideale per la recita delle orazioni, per la conversazione, la meditazione spirituale e il riposo del corpo e dell’anima. L’abbassamento della sede stradale dell’antica Strada del Corso (attuale Via Vittorio Emanuele) e l’attuazione delle Leggi Eversive con la cacciata degli ordini religiosi e l’inserimento di uffici statali dopo l’Unità d’Italia, hanno provocato l’alterazione dell’architettura perfetta del chiostro conventuale, insieme a quella di gran parte dell’edifico conventuale.

La quota dello stesso è stata abbassata, così come quella dell’androne di ingresso, il cui portale è stato allungato inserendo al di sopra dei battenti un tavolato sul quale si possono leggere le date degli interventi. Le arcate sono state chiuse in parte con vetrate, in parte con strutture in muratura per ricavare nuovi spazi per i depositi e per l’abitazione del custode. Due arcate della galleria sono state occupate da una rampa dello scalone di accesso al piano superiore, che un tempo era collocato fra la galleria e la chiesa, mentre in tempi recenti è stata inserito in un angolo il volume in acciaio e vetro di un ascensore per il cui accesso al piano superiore è stato distrutto il parapetto di una finestra del Settecento».

Volto-di-Madonna-affresco-nel-convento-di-Santa-Caterina-da-Siena-al-Rosario

Volto di Madonna,part. dell’ affresco nel convento di Santa Caterina da Siena al Rosario

Diversi tasselli della ricostruzione devono ancora essere “riportati alla luce” come nel caso degli affreschi di uno dei locali di deposito del convento di S. Caterina da Siena al Rosario. Tali affreschi, raffiguranti, tra l’altro, una Madonna e santi dell’ ordine domenicano quali san Pietro martire e san Vincenzo Ferrer (come è emerso da alcuni saggi eseguiti nel 2008 i cui risultati sono esposti in mostra) furono ricoperti con uno strato di intonaco dopo l’Unità d’Italia. Il progetto per il restauro degli affreschi è stato inserito nel decreto del presidente del Consiglio dei ministri del 31 ottobre 2017 di ripartizione della quoa dell’8 per mille dell’IRPEF a diretta gestione statale per l’anno 2016 per un importo complessivo pari a Euro 263.917,49.

Le mostre saranno visitabili fino al 31 maggio 2018 con i seguenti orari: Lunedì-Venerdì dalle ore 9:00 alle ore 18:30; Sabato dalle ore 9:00 alle ore 12:30

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
Note
[1] J. H. RIEDESEL, Viaggio in Sicilia del Signor barone di Riedesel, diretto dall’autore al celebre SignorWinckelmann, Palermo,Tipografia Abbate, 1821: 78.

[2]  G. LIBERTINI, Il museo Biscari, Milano-Roma, Bestetti e Tumminelli, 1930: XV.

[3] G. LIBERTINI, I principali problemi intorno all’antico teatro in “Catania. Rivista del Comune”, anno 1, n. 2, 1929: 14-15 .
Riferimenti bibliografici
Anna Maria Iozzia, La cultura antiquaria nelle lettere ad Ignazio Paternò Castello, V principe di Biscari, in Archivio di Stato di Catania, Un millennio di storia tra le carte d’archivio, Documenti dall’ XI al XX secolo, e il progetto per l’Archivio Storico Multimediale del Mediterraneo, Catania 2003: 147-160.
Anna Maria Iozzia, Documenti dell’Archivio di Stato di Catania per la storia dell’archeologia catanese. 1743 – 1912, in Catania antica. Nuove prospettive di ricerche, a cura di Fabrizio Nicoletti, Palermo 2015: 673-719.

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Anna Maria Iozzia, direttrice dell’Archivio di Stato di Catania. Ha progettato e curato l’allestimento di diverse mostre, tra cui Iconografia devozionale fra i documenti d’archivio (2000), Percorsi di storia e traguardi scientifici dell’Osservatorio Astrofisico di Catania (2009), Editori e Tipografi a Catania tra Cinquecento e Novecento (2015), e da Mineo a Spaccaforno. Luigi Capuana tra attività amministrativa, ricerche archivistiche e attività letteraria (2017). Ha partecipato con relazioni a numerosi convegni e seminari. Ha pubblicato diversi studi su aspetti storici e personaggi letterari di Catania.

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